Finanziaria e ai giudici.
Ma prima di addentrarci specificamente in questi argomenti, forniamo, di
seguito, un quadro generale della nozione di elusione fiscale e delle norme
antielusive presenti nell'ordinamento tributario italiano.
1.1 Nozione di elusione.
L'elusione fiscale – secondo la definizione che ne dà Tesauro2 - occupa uno
spazio intermedio tra l'evasione fiscale ed il risparmio lecito di imposta.
L'evasione è un vero e proprio illecito amministrativo e penale, perché consiste in
una violazione diretta ed aperta di norme fiscali, generalmente realizzata
occultando il presupposto d'imposta e perciò sottraendosi, in tutto o in parte, alle
conseguenze fiscali che da tale presupposto derivano.
Essa viola apertamente il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), oltre
che il più fondamentale rapporto di correttezza tra il cittadino e la collettività.
Il risparmio lecito di imposta si verifica, invece, quando, un contribuente pone in
essere il comportamento a lui fiscalmente più conveniente tra quelli che
l'ordinamento tributario consapevolmente prevede e pone a sua disposizione.
Ciò significa che per l'Amministrazione Finanziaria è irrilevante il fatto che il
contribuente adotti un comportamento che gli consenta di fruire di un vantaggio
fiscale e, di conseguenza, non appresta nessun tipo di strumento per esigere
l'imposta dovuta secondo la normativa meno favorevole.
Ricercare il risparmio lecito di imposta è un comportamento previsto e difeso dal
principio generale di stampo comunitario e costituzionale di libertà dell'iniziativa
economica privata (art. 41 Cost.), in virtù del quale il contribuente è libero di
scegliere, tra più negozi giuridici, la soluzione che comporti per lui il minimo
dispendio economico, e di beneficiare, anche, di norme fiscali che prevedano una
tassazione meno onerosa.
Questo comportamento, però, non deve sfociare in un illecito; in altre parole non
deve generare pratiche elusive delle norme fiscali.
2 Francesco Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol.1, parte generale, Torino, 2006, pag. 247.
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L'elusione fiscale è, infatti, definita come un risparmio fiscale illecito, perché si
verifica quando il contribuente - attraverso mezzi leciti (ad esempio: operazioni
straordinarie, localizzazioni in paradisi fiscali, interposizione di persone, ecc.),
che rispettano la lettera della legge ma ne travisano la ratio, o avvalendosi di
lacune ed ambiguità della norma tributaria - si sottrae, in tutto o in parte, al
pagamento del tributo ottenendo un risparmio di imposta, appunto, indebito.
In questi casi il legislatore permette all'Amministrazione Finanziaria di
disconoscere i vantaggi fiscali ottenuti dal contribuente grazie all'operazione
elusiva compiuta, e di richiedere il pagamento delle somme così indebitamente
risparmiate.
1.2. Mezzi antielusivi.
Nella prassi, se l'ordinamento giuridico tributario non prendesse in
considerazione il fenomeno elusivo e non vi apprestasse rimedio mediante la
creazione di strumenti antielusivi, l'elusione non sarebbe distinguibile dal
risparmio lecito di imposta.
Non solo: trovandoci in un sistema di diritto positivo si potrebbe affermare senza
difficoltà che se il legislatore non ha codificato in norme scritte determinati
fenomeni, allora significa che, consapevolmente, non li ha voluti regolare, e,
quindi, tali fenomeni, se posti in essere, non possono essere considerati vietati
dalla legge.
Quindi, nel momento in cui il legislatore decida di vietare un determinato
comportamento, dovrà scrivere una norma espressa che lo impedisca, correndo,
d’altra parte, il rischio che, in concreto, essa venga facilmente aggirata, data
l’impossibilità di prevedere l’assoluto.
La scuola che, da sempre, si è occupata dell’elusione fiscale è la “scuola di
Pavia”, che, muovendo dalle considerazioni sopra esposte, ha sempre avvertito la
necessità di affrontare ed arginare il fenomeno elusivo appellandosi al principio
di capacità contributiva, cioè: se tutti i membri di una collettività sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva,
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coloro che si sottraggono a tale pagamento danneggiano la collettività e, in virtù
del principio perequativo, che vuole che i tributi siano equamente distribuiti tra
tutti i consociati, il comportamento del contribuente che si sottrae alla fattispecie
prevista dal legislatore, reca un danno a tutti i consociati che sopportano una
previsione di imposta più grave di quella che, invece, sopporta il contribuente
che riesce ad eludere.
Il sistema che la scuola pavese ha offerto per contrastare l’elusione è l’istituto
dell’analogia, sia intesa come analogia legis, sia come analogia iuris.
Mediante la prima si cerca di risolvere il caso non previsto da alcuna
disposizione, utilizzando norme che regolano casi simili o materie analoghe; con
la seconda, invece, si ricorre ai principi generali dell’ordinamento per tentare di
chiudere le lacune che le norme lasciano3.
Oltre l’analogia vi sono molteplici tecniche antielusive: in primis
l’interpretazione estensiva della norma impositiva.
Nell'ambito del diritto tributario, tendenzialmente, si utilizzano metodi
interpretativi strettamente legati alla lettera della legge ed alla casistica
legislativa, in virtù del richiamo alla certezza del diritto, per cui al contribuente
deve essere garantita certezza riguardo alle conseguenze tributarie del porre in
essere un comportamento piuttosto che un altro.
Il fenomeno elusivo nasce dalla particolare struttura della norma tributaria, basata
sulla determinazione del presupposto di imposta, e, quindi, costretta
all'esaustività ed alla tipizzazione delle fattispecie impositive.
L' interpretazione estensiva antielusiva è favorita, quindi, da metodi non
formalistici che tendono a far prevalere il significato economico dei termini usati
dal legislatore piuttosto che il significato strettamente giuridico e letterale.
Un'altra tecnica antielusiva consiste nel riqualificare il negozio elusivo alla luce
del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, ossia riqualificare il
negozio in modo da far emergere, al di là dell'apparenza meramente formale, il
vero affare posto in essere dalle parti.
Per contrastare l'elusione non vi sono soltanto strumenti interpretativi ma anche
3 Cfr. art.12, 2° comma, disposizioni preliminari al Codice Civile.
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norme a ratio antielusiva, cioè norme dettate con la finalità di impedire ai
contribuenti l'attuazione di pratiche elusive e norme espressamente antielusive,
mediante le quali il nostro legislatore attribuisce all'Amministrazione Finanziaria
il potere di qualificare come elusiva una determinata operazione e di imporre il
pagamento del tributo eluso.
La norma antielusiva per eccellenza, presente nel nostro ordinamento tributario, è
l’art. 37-bis del D.P.R. n.600/1973, rubricato, appunto, “disposizioni antielusive”,
che esamineremo di seguito.
1.3. L'art. 37-bis del D.P.R. n.600/1973 e la clausola generale antielusiva.
Nel nostro ordinamento tributario, il legislatore non ha espressamente previsto
una clausola generale antielusiva, come, invece, accade in ordinamenti di altri
Stati membri, ma ha preferito delineare un elenco tassativo di singoli
comportamenti espressione del fenomeno elusivo.
La disposizione antielusiva più significativa del nostro ordinamento tributario, in
cui è contenuto il numerus clausus di operazioni ritenute elusive dal nostro
legislatore, è l'art. 37-bis del D.P.R. n.600/1973.
La genesi di tale norma risale al 1988 quando l'allora Ministro delle Finanze
presentò il d.d.l. 1301 il cui art. 31 così si esprimeva:
"...Si ha elusione di tributo quando le parti pongono in essere uno o più atti
giuridici tra loro collegati al fine di rendere applicabile una disciplina tributaria
più favorevole di quella che specifiche norme impositive prevedono per la
tassazione dei medesimi risultati economici che si possono ottenere con atti
giuridici diversi da quelli posti in essere.".
Nel secondo comma prevedeva un elenco degli atti ritenuti elusivi, lasciandone
però l'individuazione alla discrezione dell'Amministrazione Finanziaria.
La proposta fu bocciata dal Parlamento e non si ebbe nell'ordinamento italiano
alcuna norma antielusiva fino al 1990 quando nella Legge 408/1990 venne
inserito l'art. 10 che così recitava:
"(...) (è consentito) all'amministrazione finanziaria di disconoscere ai fini fiscali
5
(...) i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di fusione, concentrazione,
trasformazione, scorporo e riduzione di capitale poste in essere senza valide
ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un
risparmio di imposta."4.
Nel 1997, poi, cogliendo l'occasione dell'emanazione del D.Lgs. 358/1997
riguardante le operazioni societarie, ecco che nell'ordinamento tributario italiano
compare l'art. 37-bis inserito nel decreto sull’accertamento ossia nel D.P.R. n.
600/1973.
L'art. 37-bis si differenzia dalla norma previgente perché da un lato amplia il
novero delle fattispecie a cui si applica la disciplina antielusiva, in particolare,
ponendo maggiore considerazione alle operazioni straordinarie, e dall'altro
perché concerne soltanto le imposte dirette essendo inserito nel decreto
sull'accertamento.
Nonostante sia teoricamente possibile ricondurre il primo comma della norma in
questione ad una clausola antielusiva generale, tuttavia, dalle informazioni prima
specificate, si evince come l'ambito di applicazione di questa previsione sia,
invece, settoriale, interessando una platea di vicende che, per quanto ampia,
risulta, tuttavia, circoscritta sotto un duplice aspetto.
In primo luogo - come abbiamo già messo in evidenza - la sua collocazione
nell'ambito del D.P.R. n. 600/1973 fa sì che la sua applicazione venga limitata
alle sole imposte dirette ed alle altre imposte il cui accertamento è regolato
mediante rinvio alla normativa in materia di imposte sui redditi.
In secondo luogo, la sua efficacia è subordinata all'utilizzo - nell'ambito dello
schema elusivo - di almeno una delle operazioni nominate nell'elenco tassativo
presentato al terzo comma.
Quindi, il primo comma dell'art. 37-bis non va letto come clausola generale
antielusiva, ma come disposizione che detta determinate condizioni in base alla
sussistenza delle quali l’elusione assume rilievo, e l’Amministrazione Finanziaria
può disconoscere eventuali vantaggi fiscali conseguiti:
"Sono inopponibili all'Amministrazione Finanziaria gli atti, i fatti, i negozi,
4Pietro Bonazza, Elusione, valide ragioni economiche e principio di proporzionalità, in Boll. Trib.,
2002, pag. 254.
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anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare
obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario, e a ottenere riduzioni di
imposte o rimborsi, altrimenti indebiti."
Tali condizioni sono:
1) l' aggiramento di un obbligo o di un divieto;
2) l'assenza di valide ragioni economiche nel compimento delle operazioni poste
in essere;
3) il conseguimento di un vantaggio fiscale altrimenti indebito;
Analizziamo di seguito ciascuna di queste condizioni.
Aggiramento di un obbligo o di un divieto significa sottrarsi all'obbligo di
assoggettare, in maniera appropriata, i redditi derivanti dal compimento di una
determinata operazione, o avvalersi indebitamente di norme fiscali agevolative.
L'accertamento della ricorrenza di un risparmio di imposta ottenuto mediante
l'aggiramento di determinati obblighi o divieti stabiliti dall'ordinamento tributario
implica una comparazione tra l'onere tributario derivante dalle posizioni sorte in
ragione della condotta seguita e quello legato alle posizioni che sarebbero
scaturite dall'adozione di un comportamento diverso assunto a modello.
Nell'espletamento di una tale verifica si ricorre alla distinzione teorica di Zizzo5
fra schemi circolari e schemi lineari.
Si definiscono "circolari" gli schemi che non producono, né hanno la funzione di
produrre, modificazioni significative della sfera economico-giuridica del
soggetto coinvolto; infatti i vari negozi che li compongono sono disposti così da
annullare vicendevolmente gli effetti di ciascuno, in modo tale che il soggetto
coinvolto, al termine dell'operazione, ritorni esattamente all'assetto economico-
giuridico originario.
Si definiscono "lineari", invece, quegli schemi che sono destinati a produrre e, di
5 Giuseppe Zizzo, La nozione di elusione nella clausola generale, in Corr. Trib., 2006, pag. 3088.
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fatto, producono significative modificazioni nella sfera economico-giuridica del
soggetto coinvolto, ma raggiungono tale risultato mediante una serie di atti
inadeguata rispetto alle modificazioni prodotte.
Per i primi il confronto pare più agevole perché si tratta di verificare le posizioni
tributarie correlate al comportamento e quelle che vi sarebbero state se tale
comportamento non fosse stato posto in essere.
Per il secondo tipo di schemi, invece, è necessario porre a confronto i due
itinerari conducenti alla medesima meta: quello in concreto posto in essere, e
quello - maggiormente oneroso sotto il profilo tributario - assunto a modello.
Se la meta finale è diversa, ciò induce a ritenere che non vi sia aggiramento, per
mezzo del primo itinerario, dell'obbligo o divieto sancito dal secondo, viceversa
nel caso contrario.
L'individuazione della condotta modello può essere immediata laddove si
riscontri l'esistenza di uno strumento negoziale diretto per il conseguimento di un
determinato assetto economico-giuridico, al quale, invece, il contribuente
preferisce una manovra costituita da una pluralità di atti; diventa, invece, più
complessa quando, per raggiungere il predetto assetto, in mancanza di uno
strumento negoziale diretto, siano enucleabili soltanto percorsi costituiti da più
tappe.
E' necessario sottolineare, infine, come lo schema alternativo - per fungere da
paradigma - debba, in ogni caso, prevedere una soluzione più diretta ed efficiente
di quella adottata; infatti il concetto di aggiramento postula l'utilizzo di un
disegno giuridico caratterizzato da uno o più passaggi incongrui, seppure idonei,
rispetto al risultato, perché articolati in modo da evitare il ricorso allo strumento
più immediato e diretto disponibile a tal fine, andando ad aggirare, appunto, la
situazione assunta dalla legge tributaria a presupposto di un certo obbligo o
divieto.
Non sussiste, perciò, aggiramento se il percorso seguito non è
sovradimensionato, in quanto permette di raggiungere l'assetto voluto in via
ugualmente immediata e diretta, avvalendosi di altri mezzi.
Il secondo requisito che deve necessariamente sussistere affinché un'operazione
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