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“ ma se capirai, se li cercherai fino in
fondo, se non sono gigli son pur sempre
figli vittime di questo mondo. “
Fabrizio de Andrè, La citta vecchia
INTRODUZIONE
Con queste parole Fabrizio De Andrè chiude una delle sue opere intitolata
appunto la citta vecchia, canzone dedicata alla citta di Genova ma che in
questi ultimi versi cela la filosofia del suo pensiero, uno stile piu che una
forma di espressione, in cui le vittime non sono solo coloro che subiscono un
torto, o un’abuso di potere, ma anche chi compie questo torto,
quest’ingiustizia è una vittima di qualcosa di piu grande e a volte meno
visibile. Nel fenomeno del bullismo, infatti, vengono a interagire diversi
fattori personali, sociali ed emozionali che sono alla base di comportamenti
aggressiviti (in quest caso proattivi) volti a provocare un danno, o meglio, a
gestire un potere su qualcun’altro. Molteplici sono le variabili da prendere in
considerazione per la valutazione e la progettazione di un’intervento, primo
fra tutti il luogo in cui tali comportamenti vengono a compiersi: la scuola. « La
scuola è luogo di formazione e di educazione mediante lo studio,
l'acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica. » questa
è la defizione che ci viene offerta nello Statuto delle Studentesse e degli
Studenti della Repubblica Italiana, (art. 1 comma 1.), quindi un luogo in cui si
sviluppano conoscenze e relazioni tra individui piu o meno coetanei. Nei vari
sistemi che interagiscono (classe, scuola, relazione scuola-famiglia) l’alunno
ha la possibilita di appendere stili educativi e nuove forme di interazione, in
ogni caso, una relazione, uno scambio sociale, una transazione tra persone, che
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ha luogo in setting più o meno istituzionale, entro una specifica cultura, i cui
valori, rappresentazioni sociali, ideologie influenzano lo scambio stesso.
Molteplici sono le difficolta comportamentali insite in un ambiente scolastico,
difficoltà che derivano sia da fattori interni (motivazione e gestione attivita)
sia da fattori esterni (contesto difficile, coinvolgimento degli insegnanti). Da
sempre si incontrano ragazzi con difficoltà ed è proprio a scuola che emergono
queste difficoltà, perciò è da qui che bisogna intervenire o per lo meno
colloborare al raggiungimento di un’autonomia indiviuduale.
Il primo capitolo di questa tesi è dedicato al bullismo, un fenomeno che, di
recente, ha avuto un’espansione impensata e preoccupante, fino a riempire
quotidianamente le prime pagine dei giornali. Da circa 40 anni, parte della
comunità scientifica si sta interessando in maniera piu approfondita a ciò e le
scoperte finora emerse hanno contribuito ad una risoluzione efficace di questi
comportamenti. Un ragazzo è oggetto di azioni di bullismo, o è prevaricato o
vittimizzato, "quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad
azioni offensive messe in atto da uno o più compagni" (Olweus, 1993); il
bersaglio del bullismo può essere un singolo individuo o un gruppo, in ambito
scolastico è comunque in genere uno studente. Per parlare di bullismo vi deve
essere un'asimmetria nella relazione, nel senso che lo studente esposto ad
azioni offensive ha difficoltà a difendersi e si trova in una situazione
d’impotenza contro chi lo molesta. Le ragioni primarie di questo fenomeno
sono da ricercarsi non solamente nella competenze cognitive del giovane
bullo, ma anche nei modelli familiari sottostanti, negli stereotipi imposti dai
mass-media, nella società di oggi a volte disattenta alle relazioni sociali.
L'enorme eco che gli episodi di bullismo hanno ottenuto in quest'ultimo anno
sui mass-media segnala la diffusione, nell'opinione pubblica, di una crescente
consapevolezza del problema. È di fondamentale importanza, infatti, che tutti
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riconoscano la gravità degli atti di bullismo e delle loro conseguenze per la
crescita sia delle piccole vittime, che nutrono una profonda sofferenza, sia dei
piccoli prevaricatori, che corrono il rischio di intraprendere percorsi
caratterizzati da devianza e delinquenza. L’asimmetria delle forze rende
sempre più probabile il ripetersi dell’aggressione e rende sempre meno pari i
coetanei: ovvero il bullo diventa sempre più potente rispetto alla vittima.
Il bullismo prevalentemente è un fenomeno scolastico, ma non solo, negli
ultimi anni con l’avvento delle nuove tecnologie un altro fenomeno si è
sviluppato con molte similarità del bullismo, tanto da esser stato definito
Cyberbullying, e ad esso è stato dedicato il secondo capitolo .
Il termine cyberbullying è stato coniato dall'educatore canadese Bill Belsey
(http://en.wikipedia.org/wiki/Cyber-bullying), creatore del sito bullying.org. I
giuristi anglofoni distinguono di solito tra il cyberbullying (cyberbullismo),
che avviene tra minorenni, e il cyberharassment ("cybermolestia") che avviene
tra adulti o tra un adulto e un minorenne. Tuttavia nell'uso corrente
cyberbullying viene utilizzato indifferentemente per entrambi. Come il
bullismo nella vita reale, il cyberbullismo può a volte costituire una violazione
del Codice civile, del Codice penale e del Codice della Privacy (D.Lvo 196 del
2003). La differenza più rilevate tra i due fenomeni sta proprio nel fatto che gli
atti di bullismo si svolgono prevalentemente a scuola (o nei pressi di essa),
mentre nel cyberbullying, basta essere in posseso di un cellulare, o avere
accesso alla rete informatica che le vittime sono perseguitate anche a casa,
giorno e notte (Keith & Martin, 2005). Inoltre è molto facile che il cyber-bullo
rimanga nell’anonimato e potenzialmente la vittima non sapra mai l’dentita di
chi lo perseguita. L’abilità di nascondersi dietro la tecnologia mette il bullo in
una condizione di controllo (e potere) sulla vittima (Bauman, 2007). Come se
non bastasse, il pubblico nel cyber-bullismo può essere molto più vasto di
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quello del bullismo tradizionale e ci potrebbero essere migliaia di ragazzi ad
assistere all'umiliazione.
Nel terzo capitolo si illustrano le teorie classiche dello sviluppo del pensiero
morale (Piaget e Kohlberg), i contributi di Albert Bandura (1991), con il
concetto di disimpegno morale, quelli di Elliot Turiel (1983), con la teoria dei
domini morali, e come queste hanno offerto un contributo allo sviluppo di
nuove teorie sul fenomeno dei comportamenti aggressivi, tra cui il bullismo.
Arsenio e Lemerise (2004), ad esempio, integrando diversi modelli cognitivi,
hanno messo in evidenza come un atto aggressivo sia anche una trasgressione
a norme morali e come la trasgressione di queste norme spesso implichi
un’aggressione fisica o verbale. Infatti il grado con cui i bambini rispettano i
principi morali, e quindi respingono il bullismo perche moralmente sbagliato
può essere importante per predire il loro coinvolgimento o opposizione al
bullismo stesso. Per spiegare il comportamento aggressivo dei bulli, tuttavia, è
necessario specificare i loro deficit morale. Alcuni psicologi sostengono che la
comprensione delle regole morali non è sufficiente a garantire azioni morali
(Gibbs, 2003), infatti anche se socialmente competenti, i bulli possono essere
ben consapevoli delle regole morali che dovrebbero guidare le loro azioni
senza sentire nessun impegno a rispettarle.
Il quarto capitolo presenta lo studio che si propone di investigare la relazione
tra il bullismo, la vittimizzazione, il cyberbullismo e la cybervittimizzazione.
In seguito si è considerata la relazione tra la moralità e bullismo (tradizionale e
online), tenendo presente i meccanismi di disimpegno studiati da Bandura
(1991) e il modo in cui si concepisce la trasgressione di regole morali. Un
ulteriore aspetto considerato è stato il ruolo dello status sociale inteso come
popolarità percepita e preferenza sociale. Il bullo, infatti, pur essendo poco
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“amato”, risulta essere molto popolare all’interno del gruppo dei pari. Questa
popolarità percepita gioca un ruolo importante a suo favore, conferendogli una
posizione privilegiata e di potere, a discapito delle vittime.
L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di verificare delle ipotesi sulle
relazioni tra bullismo e cyber bullismo e di compiere una breve analisi dei
meccanismi morali che sottostanno alla condotta prepotente e
“cyberprepotente”.
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Capitolo 1
Bullismo
1.1 Definizione
Tradurre in italiano il termine “bullying” ha comportato delle difficoltà,
poiché il termine “to bully”, significa proprio usare prepotenza. In italiano non
esiste un’espressione che traduca esattamente questo concetto, pertanto si è
dovuto coniare un termine nuovo. Nella nostra cultura la figura del bullo è
interpretata come “sbruffone o spavaldo” (Caravita & Ardino, 1998).
Originariamente nei paesi dell’Europa settentrionale sono stati usati i termini
“mobbing” (Norvegia e Danimarca) e “mobbning” (Svezia e Finlandia).
(Menesini, 2000). L’etimologia della parola inglese “mob” si riferisce ad un
gruppo di persone coinvolte in azioni di molestie ma è usato anche per
indicare una persona che critica, molesta, o picchia un’altra
(http://it.wikipedia.org/wiki/Mobbing).
I primi studi pioneristici fanno riferimento a Olweus che già dal 1978
descrisse il fenomeno definendolo come:
“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o
vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo,
alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni”
(Olweus, 1993).
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Nel corso degli anni l’interesse e gli studi a riguardo sono aumentati, e cosi
anche le definizione ad esso associate (Menesini, 2000; Monks et al., 2009;
Rigby, 2002; Smith & Sharp, 1994).
La più recente definizione di Smith ci dice che con il termine bullismo si
definiscono quei comportamenti offensivi e/o aggressivi che un singolo
individuo o più persone in gruppo mettono in atto, ripetutamente nel corso del
tempo, ai danni di una o più persone con lo scopo di esercitare un potere o
dominio sulla vittima (Smith, 2009), in breve Rigby (2002) e Smith (1994) lo
spiegano come “abuso sistematico di potere”.
La differenza fra le normali dispute fra i bambini e gli atti di bullismo veri e
propri consiste nella predeterminazione e nell’intenzionalità che caratterizzano
questi ultimi, nel ripetersi nel tempo, nonché nella soddisfazione che gli autori
di tali abusi ne traggono, nello squilibrio di potere tra il bullo e la vittima, con
l’affermazione del bullo sulla vittima (Monks et al., 2009). Ciò significa che
con il termine bullismo, non ci si riferisce ad una situazione statica in cui c’è
qualcuno che aggredisce e qualcun altro che subisce, ma ad un processo
dinamico in cui persecutori e vittime sono entrambi coinvolti.
Le dimensioni che ne emergono sono:
La dimensione del potere. Nel bullismo, vi è sempre una
disuguaglianza di forza o di potere, tale per cui la vittima non riesce, o sente di
non riuscire, a difendersi o a controbattere in maniera paritaria (Olweus,
1993). La maggiore forza del bullo può presentarsi in diversi modi, ad
esempio una maggior forza fisica, o abilità socio-cognitive maggiori, o una
maggior bravura nello scoprire dei punti deboli della vittima, quali possono
essere capacità intellettive minori, difetti fisici o vulnerabilità psicologica
(Gini, 2005). “In altre parole, il bullo agisce pubblicamente comportamenti
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aggressivi nel tentativo di conquistare la leadership e la dominanza nel
gruppo. Per aumentare la probabilità di successo in queste manifestazioni
pubbliche di potere, il bullo sceglie come vittime i coetanei più deboli
fisicamente o psicologicamente” (Gini, 2005, p17).
La persistenza nel tempo della prepotenza, cioè non devono presentarsi
episodi isolati, ma deve essere presente una ripetizione continua del
fenomeno. Questo è anche un elemento che fa sì che si crei un clima di terrore
quotidiano, in quanto “parte della paura e della sofferenza del bambino
vittimizzato deriva dal fatto di aspettarsi che le prepotenze nei suoi confronti
si ripeteranno” (Gini, 2005).
La dimensione dell’intenzionalità: alla base di un episodio di bullismo,
infatti, c’è la volontà di creare un danno alla vittima e di riuscire ad avere il
controllo sugli altri (Gini, 2005). Da ciò, deriva che non può essere
considerato bullismo né una reazione ad un’aggressione né un danno
provocato da un incidente non voluto.
Il bullismo, secondo la prospettiva teorica inaugurata da Bronfenbrenner, può
essere concepito come una nicchia ecologica, delineata in primo luogo dalla
drammatica complementarità del bullo e della vittima. Non si tratta tuttavia di
una cellula isolata, dato che questo fenomeno è bene inserito e trova un
terreno di sviluppo e sostegno nella situazione più ampia del gruppo dei
coetanei, in modo particolare della classe (Filippi, 2007) Diversi sono i
contesti in cui si verificano le azioni di prepotenza. Prima fra tutti è la scuola:
classi, bagni, corridoi, cortile, spogliatoi, mensa, scale antincendio, il tragitto
da casa a scuola e viceversa, diventano ambienti in cui viene perpetrata
l’azione del bullo. Le prevaricazioni, le umiliazioni e gli episodi di bullismo
avvengono fuori dal controllo degli insegnanti e del personale non docente.
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1.2 Caratteristiche del bullismo
Björkqvist (1992) evidenziò che l’aggressione può essere di varia
natura e forma, differenziandosi dagli obiettivi e dai modi in cui si manifesta.
Per primo ditinse fra aggressivià fisica, verbale e indiretta. Quindi la
prepotenza puo assumere due forme: propotenza diretta, e prepotenza
indiretta. Nel primo caso il bullo attacca la vittima provocandone sofferenza,
utilizzando la forza fisica(pugni e calci), o minacce in e offese a livello
verbale( prese in giro, dare soprannomi offensivi, ricatti, ecc..). Nel caso di
prepotenza indiretta, il bullo agendo sul gruppo compie un’azione indiretta
sulla vittima,escludendola e lasciandola sola. Per ottenere questo risultato, il
bullo convince gli altri ad attaccare la vittima, diffondendo maldicenze sul suo
conto in tal modo da creare un vuoto attorno ad essa. Ovviamente un episodio
di prepotenza puo contenere entrambi i modelli di attacco.
Questa distinzione ci permette, almeno in parte, di spiegare le differenze di
genere e di età nel bullismo. Infatti entrambe le forme di prepotenza (diretta e
indiretta) sono riscontrabili in giovani di età scolare (Crick & Grotpeter,
1995)e gli studi di Jolliffe e Farrington (2010) confermano che già a 4 anni, i
bambini sono in grado di comprendere il significato di “vittima”, tuttavia,
hanno una diversa comprensione del termine ''bullismo” dei bambini più
grandi, definendolo come un’aggressione più in generale (Smith & Levan,
1995)) e non come un atto reiterato di un aggressore più potente.
In due studi di Monks del 2006, si evidenziano importanti scoperte; la prima ci
mostra che dai 4 agli 8 anni la concettualizzazione del bullismo rimane
piuttosto stabile finchè non si acquisiscono le capacità per differenziare tra