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Introduzione
La criminalistica è la scienza dell‟indagine criminale.
È definita come lo studio interdisciplinare su cui si basa e trae spunto la moderna ricerca delle
tracce con tecniche e procedure di laboratorio scelte tra quelle più atte e proposte dalle
discipline scientifiche, che si fondono e s‟integrano a vicenda, per il raggiungimento di
proprie specifiche finalità: ossia risalire alle tracce di un delitto e all‟identificazione del suo
responsabile, attraverso risultati obiettivi, verificati e riscontrabili.
Di conseguenza, l'esperto criminalista è colui che provvede, attraverso inflessibili protocolli
scientifici, alla ricerca, raccolta e analisi delle tracce di un reato, al fine di ricostruire gli
eventi e soprattutto d‟identificarne, attraverso prove certe, l‟autore.
Appare evidente che il percorso storico della criminalistica è stato, inevitabilmente,
condizionato dall‟evolversi delle conoscenze scientifiche.
Infatti, man mano che l‟umanità è maggiormente, in campo tecnologico, progredita, il
contenuto scientifico delle investigazioni si è sempre più arricchito, e se esso prima poteva
essere gestito da uno stesso operatore, successivamente è andata creandosi una nuova figura, a
se stante, che si occupa esclusivamente di quella porzione investigativa a contenuto
prettamente scientifico.
La moderna criminalistica nasce nell‟ambito di un‟epoca che, dal XIX secolo, mette in
auge le scienze naturali e sociali.
Il XIX secolo ha dato un volto completamente nuovo all‟antica lotta del mondo umano contro
quell‟elemento criminale, importuno e distruttore, che si manifesta, sotto aspetti sempre
nuovi, in ogni forma di società.
Nel corso di cent‟anni i naturalisti procurarono ai fondatori della criminalistica il materiale
per le solide fondamenta sulle quali oggi si combatte, su scala mondiale, la lotta contro ogni
struttura e tipo di delitti.
Il corso degli eventi di questi cento anni rappresenta uno dei drammi più burrascosi di cui la
società umana sia mai stata a conoscenza; al pari delle altre epoche pioneristiche, anche
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questa è caratterizzata da imponenti e particolari figure, da sognatori e realizzatori, da uomini
di rottura, tragici o favoriti dalla sorte, esaltati o maledetti.
È l‟epoca rivoluzionaria delle impronte digitali, delle fotografie di casellario, della
valorizzazione delle tracce dei delitti, dall‟orma di una scarpa ai pochi granelli di sabbia
trovati nella tasca del colpevole.
L‟epoca in cui la tossicologia diventa un‟arma contro il delitto e nasce la scienza balistica, che
studia le armi da fuoco e i loro proiettili.
L‟epoca in cui la medicina forense ruba i segreti ai morti, e macchie praticamente invisibili di
sangue, recuperate sul luogo del delitto, rivelano la loro identità: l‟epoca in cui il delinquente
è ingannato dalla sua stessa scrittura.
Un‟epoca tutta risonante dell‟eco dei suoi grandi delitti, di non dimenticabili Causes célèbres,
per mezzo delle quali il nuovo mondo della tossicologia cresce, collauda le sue armi e ne crea
di nuove.
Questa epoca, in tutta la sua totalità, può essere chiamata “il secolo dei detective”.
Vedremo che inizialmente il contenuto tecnologico dell‟investigazione era limitato a
un‟azione orientata a fissare i caratteri fisici dei soggetti e delle materialità collegate con
l‟indagine stessa, e successivamente, quando le scienze accrebbero le proprie possibilità, il
suo contributo fu sempre più decisivo inserendo nel suo campo d'interesse anche il reato oltre
che il reo.
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1. Cenni storici
La criminalistica si è sempre occupata di numerose tematiche, ma la più insistente è
sempre stata quella dell‟identificazione personale.
In questo campo, sin dai tempi più remoti, furono esperiti innumerevoli tentativi, ma
solamente con mezzi empirici e risultati quasi inutili.
È, nella storia della criminalistica, un raggiungimento abbastanza recente la possibilità di
giungere all‟identificazione di una persona con velocità e conclusioni garantite.
Nell‟antico Egitto ai ladri venivano spezzati alcuni denti incisivi; nell‟Europa medievale
invece era loro mozzato il naso.
È evidente come la mutilazione avesse un duplice scopo: punire il reo (se la colpa non era
tanto grave da comportare la condanna a morte), e allo stesso tempo contrassegnarlo come
criminale e quindi renderlo identificabile ed impedirgli, così, di commettere altri reati.
Per tutto il XVII secolo, ad alcuni criminali erano apposti sulle carni veri e propri marchi
a fuoco, costituiti dalla lettera iniziale equivalente alla pena cui erano condannati (in Francia, i
condannati ai lavori forzati erano riconoscibili con il marchio “T”, Travaux, inciso sulla spalla
destra).
Marchi quindi con lo scopo principale di costituire un elemento d'identificazione indelebile.
Un‟altra possibilità di prova indiscutibile era il riconoscimento della persona basato sulla
memoria visiva delle guardie carcerarie: una guardia carceraria inglese si vantava di aver
fatto, in tal modo, un migliaio d'identificazioni con soltanto cinque errori.
Un ottimo risultato, anche se di poco conforto per le vittime dei cinque casi errati.
Ma metodi così deboli, basati sulla memoria umana o sulla violenza del marchio a fuoco,
fecero nascere l‟esigenza di individuare un mezzo d'identificazione personale preciso ed
immutabile nel tempo, che fornisse, a chi svolgeva le indagini, una prova di assoluta certezza.
Fu proposto lo studio della cicatrice ombelicale, dell‟iride dell‟occhio, della dentatura, della
rete venosa del dorso della mano e dei piedi o delle caratteristiche delle unghie.
Consigli che rimasero purtroppo tali.
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Il modo più immediato per giungere all‟identificazione rimaneva ancora il
riconoscimento.
Nell‟intento di perfezionarlo e di sfruttarlo al meglio, fu ideato dall‟ispettore Vidocq, nella
Parigi del 1830, il sistema della “parata”.
Il sistema consisteva nell‟imporre ai poliziotti di recarsi presso le carceri giudiziarie per
osservare i detenuti che camminavano in circolo per diverse ore, affinché i volti rimanessero
loro bene impressi e li potessero riconoscere senza ombra di dubbio, ovunque e sotto
qualunque travestimento.
Nel 1700 l‟Illuminismo aveva sviluppato in Francia moderni principi umanitari e sociali.
Opponendosi al dogmatismo, a capo di tutte le scienze, aveva innalzato a principio il rispetto
dei diritti degli uomini, che secondo la legge naturale, dovevano essere uguali.
I principi dell‟Illuminismo trovarono ben presto sostenitori anche in Italia; in particolare in
Cesare Beccaria, il quale con un‟attenta analisi del sistema carcerario e giudiziario, contenuta
nel suo “Dei delitti e delle pene”, cercò di sensibilizzare l‟opinione pubblica sulle esigenze di
una riforma della Giustizia Penale.
Un nuovo impulso ai nuovi principi, peraltro già legittimati nei codici napoleonici del
1810, fu dato dalle Scuole italiane di diritto.
La “Scuola Classica”, con Rossi, Carmignani, Carrara, Pessina, e la “Scuola Positiva”, con
Ferri, Garofalo, Lombroso.
A Lombroso si deve, in particolare, l‟avvio degli studi sull‟antropologia criminale nel campo
del diritto penale.
L‟antropologia criminale applica il metodo naturale dell‟antropologia allo studio del
delinquente tramite una stima dei caratteri morfologici e psichici del soggetto.
Al metodo unicamente descrittivo dei tratti somatici del criminale, iniziò ad affiancarsi la
riproduzione dell‟immagine.
La tecnica della fotografia, che muoveva i primi passi col dagherrotipo, ebbe nella sua
applicazione all‟indagine criminale, fervidi sostenitori e, naturalmente, agguerriti maldicenti.
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2. Dalle civiltà ellenica e romanica al XV secolo
Sia la civiltà greca e poi quella romana, per garantire l‟identificazione dei soggetti di
particolare interesse criminale o degli schiavi che, com‟è noto, avevano un notevole valore
economico, non trovarono di meglio che contrassegnarli con l‟apposizione di marchi a fuoco,
usanza che, con varie modalità, rimarrà in vigore sino a tutta la prima metà 1800.
Nel campo investigativo e medico legale propriamente detto, la prima traccia si rinviene
nel 44 a.c. quando Anstizio, medico della Corte Imperiale, fu chiamato ad ispezionare il
cadavere di Giulio Cesare (nato a Roma nel 101 a.c.) e stabilì che solo una delle ventitré ferite
era stata mortale.
Nel campo peritale, la prima traccia si rinviene nel 150 d.c., con la citazione del medico
greco-romano Claudio Galeno, il quale narra un caso in cui un marito aveva citato in giudizio
la moglie non volendo riconoscere la paternità del figlio, ritenendo che quello non gli
somigliasse per niente.
Il medico, investito della questione, dichiarò che il ragazzo rassomigliava al personaggio
effigiato in un quadro a lungo ammirato dalla madre durante la gestazione.
Nel 300, l‟imperatore Costantino regolamentò le perizie grafiche, e perciò si deve dedurre che
tale investigazione non era un fenomeno sporadico ma, probabilmente, abusato al punto da
indurre l‟autorità a regolamentare il settore.
Nel periodo buio del Medio Evo, la scienza non aveva molto seguito; i medici, in campo
giudiziario, erano impiegati unicamente per controllare che gli indagati potessero sopportare
la tortura.
In Cina, nel 1248, fu pubblicato un voluminoso testo intitolato: “Hsi Yuan Lu”.
Questo era una guida alle investigazioni giudiziarie e forniva tutta una serie d‟indicazioni
sulle differenze tra le ferite in base al tipo d‟arma che le aveva prodotte, dava suggerimenti su
come accertare se un cadavere rinvenuto in acqua fosse morto annegato o vi fosse stato
gettato da morto.
Si raccomandava di esaminare tutto con la massima cura ed enunciava la massima: «La
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differenza tra due capelli può essere decisiva».
Nel 1507, il Vescovo di Bamberga, in Germania, emanò la “Constitutio Bambergensis
Criminalis” in cui si faceva precetto d‟interpellare un medico in tutti i casi di ferimento o
uccisione di bambini.
Tale indicazione fu ampliata dall‟imperatore Carlo V che, nel 1532, nell‟ambito di una vasta
revisione della legislazione penale del suo grandioso impero, promulgò la “Costitutio
Criminalis Carolina”.
Pure se l‟utilizzo della medicina in campo giudiziario era ormai sancito dal diritto tedesco, era
ancora molto lontana da come intendiamo oggi la medicina legale: infatti il medico si limitava
ad esplorare il fondo delle ferite alla ricerca del tramite e della loro profondità.
Il chirurgo francese Ambroise Paré, nel 1540 descriveva le differenze che si potevano
riscontrare sui polmoni dei bambini soffocati e le lesioni che caratterizzano le violenze
sessuali.
In Italia, Andrea Vesalio aveva attrezzato e ceduto in uso ai medici Fortunato Fidelis e
Paolo Zacchia, un terreno perché vi si eseguissero autopsie.
S‟incominciarono a fugare le fantasticherie sull‟interno del corpo umano, sostituendole con le
nozioni autentiche provenienti dal duro lavoro di sezionamento (è superfluo ricordare che
all‟epoca non esistevano celle frigorifere).
Zacchia, precorrendo i temi che solo nel IXX e XX secolo avrebbero trovato più ampio
uditorio, disquisiva sulle ferite d‟arma da fuoco, sfregi, diagnosi differenziata tra le varie
cause di morte per asfissia, tra suicidio e assassinio, tra aborto ed infanticidio, e, questione
ricorrente, se un bambino era nato vivo o morto.
I tre secoli successivi, in Europa, furono un ribollire di novità scientifiche e un rincorrersi tra
delinquenti e criminalisti nell‟utilizzare, ognuno ai propri fini, tali scoperte; infatti, l‟arte
militare insegna che: « la corazza si adegua al nuovo cannone».