CAPITOLO 1
EVOLUZIONE STORICA, LEGISLATIVA E NORMATIVA DELLE
COMUNITÀ PER MINORI
1.1. Evoluzione e percorso storico-legislativo delle Comunità per minori.
Gli anni dal primo dopo guerra alla fine degli anni sessanta
Nel corso della storia abbiamo assistito ad una profonda
trasformazione dell’approccio al sistema di intervento assistenziale sui
minori e proprio a questa trasformazione è legata lo sviluppo della storia
delle comunità.
La situazione Italiana può essere suddivisa in tre periodi storici.
Una prima fase è riconducibile al periodo fascista, la seconda fase
comprende gli anni settanta e ottanta e infine il terzo ed ultimo periodo
vede protagonisti gli eventi che si sono susseguiti dagli anni novanta fino
ad oggi.
“Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato” era uno degli uno
slogan che nell’epoca fascista rappresentavano al meglio il regime
totalitario.
La famiglia assunse un nuovo ruolo: doveva essere la cellula madre
della società, e una fonte di stabilità, il centro della società stessa.
Ordine e disciplina erano i principi che assicuravano la solidità della
famiglia.
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Uomo e donna non erano considerati parte della società se non
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all’interno di una famiglia.
Emerge in questo periodo il nuovo ruolo della donna ed inizia ad
imporsi la necessità di assicurare una stirpe sana, per la continuità della
Nazione.
Si pongono quindi le basi per la tutela della donna e del bambino, che
a sua volta veniva visto come il futuro dello Stato e pertanto bisognoso
della massima protezione.
In questo contesto istituzionale si consolida l’esperienza dell’ONMI,
Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia.
L’ONMI è stato istituito attraverso la legge del 10 dicembre 1925, n.
2277, denominata “Protezione e assistenza della maternità e
dell’infanzia”.
Tale istituto si proponeva di provvedere alla protezione e
all’assistenza delle gestanti e delle madri bisognose, dei bambini
appartenenti a famiglie che versavano in stato di bisogno e che non
potevano prestare ai propri figli le cure necessarie per una crescita sana
ed equilibrata, sia dal punto di vista fisico, sia sotto il profilo socio-
psicologico.
Inoltre si occupava dei bambini ai quali era stata diagnostica una
qualunque patologia, o che erano stati “etichettati” come devianti.
Tra gli altri scopi dell’ONMI ricordiamo il ruolo di sostenitori per
l’apertura di scuole teorico-pratiche che si occupassero di puericultura, di
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Ritengo opportuno fare un breve accenno ai tre distinti concetti di Maternità, Maternage e
Maternisation: il primo concetto fa riferimento all’atto procreativo, il secondo termine sta ad
indicare l’insieme delle cure materiali, affettive ed educative attraverso le quali un bambino
assume il ruolo di “figlio”, sia che quest’ultimo sia naturale o adottato ed infine il termine
Maternisasion indica l’insieme dei processi attraverso cui il bambino rende la procreatrice o
l’adottante sua madre Maternage et nursing, in La Presse médicinale, 1960, p. 2059; Quemada
N., Ed. Foulon, Parigi. (Traduzione italiana) Cure materne e adozione.
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organizzatori di consorzi anti-tubercolosi, uffici sanitari, opere di
profilassi. Vigilava inoltre sull’applicazione delle disposizioni
legislative.
All’istituzione dell’ONMI seguì la costituzione di organi sanitari e di
assistenza materiale quali i consultori pediatrici, ostetrici e ginecologici,
quelli pre e post matrimoniali, i reflettori materni e gli asili nido, i
dispensari di dermatologia e i centri medici psico- pedagogici.
L’ONMI è stata soppressa con legge del 23 Dicembre 1975 n. 698, e
le sue funzioni sono state assorbite dalle regioni e dai comuni.
Una legge molto importante che vide la luce durante il periodo
fascista fu la legge n. 1404 del 20 Luglio 1934, denominata “Istituzione e
Funzionamento del Tribunale per i Minorenni”, modificata
successivamente dalla legge n. 835 del 27 Maggio 1935.
Tale legge prevede che in ogni sede di Corte d’Appello, o di sezione
di Corte d’Appello, venga Istituito il Tribunale per i Minorenni,
composto da un Magistrato di Corte d’Appello, da un magistrato di
tribunale e da due cittadini, un uomo e una donna, propensi
all’Assistenza Sociale, scelti fra cultori di biologia, psichiatria,
antropologia criminale, pedagogia, psicologia e che abbiano almeno 30
anni.
Ha competenze in campo civile, amministrativo e penale.
In questo periodo storico inizia a delinearsi il modello di comunità
famigliare.
Una prima definizione di tale modello è stata data dall’Unesco e
risale al 1948; designa tali strutture come comunità che attuano una
rieducazione a carattere permanente, basata sulla partecipazione attiva
dei minori alla vita di comunità.
Il modello rieducativo è basato su sistemi moderni di istruzione che
enfatizzano la partecipazione familiare e le modalità di vita collettiva.
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Si aprono le porte verso una nuova mentalità, che pone l’attenzione
alla crescita psicologica e sociale del bambino o dell’adolescente, sui
suoi diritti e sui suoi bisogni di crescita.
Con la fine della Seconda Guerra in Europa si acutizzò la domanda di
assistenza e di accoglienza, in particolare per i minori orfani e
abbandonati; ci troviamo di fronte a forme di intervento sociale fragili e
incomplete, fondate essenzialmente sull’assistenzialismo che portarono
al fenomeno dell’Istituzione Totale.
Le istituzioni nel senso comune del termine sono “luoghi, locali o
insiemi di locali, edifici, costruzioni, dove si svolge con regolarità una
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determinata attività”.
Ogni istituzione totale si impadronisce del tempo e degli interessi dei
membri dell’istituzione stessa, offrendo come contropartita un particolare
tipo di mondo.
L’istituzione attua una sorta di circuizione attraverso un’azione
inglobante.
Il carattere inglobante o totale è simbolizzato dall’impedimento allo
scambio sociale e all’uscita verso il mondo esterno.
Spesso questi impedimenti sono, oltre che di natura psicologica e
mentale, anche di natura fisica, costruiti attraverso porte chiuse, filo
spinato, corsi d’acqua.
Goffman raggruppa le istituzioni totali in cinque categorie.
La prima categoria comprende le istituzioni nate a tutela di incapaci
non pericolosi, quali ciechi, anziani, orfani o indigenti.
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Goffman E., da Asylums, Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza,
Einaudi, 1968.
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La seconda divisione è destinata alla tutela di coloro che sono
incapaci di badare a se stessi, e di conseguenza rappresentano un
pericolo, seppur non intenzionale, per la comunità.
Rientrano in questa categoria i lebbrosari, i sanatori per le persone
affette da tubercolosi, gli ospedali psichiatrici.
La terza categoria è destinata a coloro che sono intenzionalmente
pericolosi per la società; ne sono un esempio le prigioni, i penitenziari, i
campi per i prigionieri di guerra.
Nella quarta ritroviamo le istituzioni nate al solo scopo di svolgerci
una determinata attività, come collegi, piantagioni coloniali, campi di
lavoro.
Infine troviamo le istituzioni “staccate dal mondo” che hanno la
funzione di luoghi di preparazione per religiosi.
Goffman prosegue sostenendo che uno degli assetti fondamentali che
caratterizzano la nostra società è che l’uomo ha la tendenza a dormire,
divertirsi e lavorare in luoghi diversi, con compagni diversi e senza uno
schema razionale.
La caratteristica principale delle istituzioni totali è la rottura delle
barriere che separano queste tre sfere della vita quotidiana.
Gli aspetti della vita si svolgono tutti nello stesso luogo e sotto una
stessa unica autorità, ogni fase si svolge a stretto contatto di un gran
numero di persone, le quali vengono trattate tutte allo stesso modo e sono
tutte obbligate a fare le stesse cose.
Infine le varie attività sono schedate secondo un ritmo ben definito e
prestabilito, che le porta l’una all’altra.
Vediamo quindi come con istituzione totale si intenda una vera e
proprio depersonificazione della persona con conseguente perdita
dell’identità.
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L’Italia degli anni cinquanta si caratterizza per l’innovazione degli
orientamenti anche sotto il profilo culturale.
Si modificano i concetti perno della beneficenza e della solidarietà
legati alla famiglia e si progredisce verso vere e proprie forme di
sostegno.
Per quanto riguarda il periodo degli anni cinquanta vediamo come ci
sia stato un iniziale periodo di transazione, caratterizzato dall’
approvazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo del 20
Novembre 1959.
Dopo lo scioglimento della Società delle Nazioni e la nascita
dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e del Fondo Internazionale delle
Nazioni Unite per l'Infanzia (UNICEF), si fece strada il progetto di una
Carta sui diritti dei bambini che andasse ad integrare la Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, con lo scopo di sottolinearne i bisogni
specifici.
La stesura e l'approvazione della Dichiarazione dei diritti del
fanciullo avvenne da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
all'unanimità e senza astensioni il 20 novembre 1959.
Il documento si propose di mantenere i medesimi intenti previsti nella
precedente Dichiarazione di Ginevra chiedendo però agli Stati di
riconoscere altresì i principi contemplati nella dichiarazione e di
impegnarsi affinché gli stessi venissero applicati e diffusi.
Più precisamente la Dichiarazione può essere descritta come una
sorta di "statuto" dei diritti del bambino la quale contempla un
Preambolo, in cui si richiamano la Dichiarazione universale dei diritti
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dell'uomo del 1948 e la Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 1924
più dieci principi fondamentali.
La nuova Dichiarazione incluse una serie di diritti non previsti nella
precedente Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, quali il divieto
di ammissione al lavoro per i minori che non abbiano raggiunto un'età
minima, il divieto di impiego dei bambini in attività produttive che
possano nuocere alla sua salute o che ne ostacolino lo sviluppo fisico o
mentale, il diritto del minore disabile a ricevere cure speciali
Pur non essendo uno strumento vincolante, bensì una mera
dichiarazione di principi, tale Dichiarazione godé di una notevole
autorevolezza morale, che le derivò dal fatto di essere stata approvata
all'unanimità e di essere un documento estremamente innovativo.
La Dichiarazione del 1959 inoltre introdusse il concetto che anche il
minore, al pari di qualsiasi altro essere umano, sia un soggetto di diritti,
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Il primo strumento internazionale in assoluto a tutela dei diritti dell'infanzia è stata la
"Convenzione sull'età minima" adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel 1919.
A parte questa, la prima significativa attestazione dei diritti del bambino si ha con la
Dichiarazione di Ginevra, o Dichiarazione dei diritti del bambino, adottata dalla Quinta
Assemblea Generale della Società delle Nazioni nel 1924. Tale documento, che precede di più
di venti anni la "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo", non è però ancora concepito
come strumento atto a valorizzare il bambino in quanto titolare, ma solo in quanto destinatario
passivo di diritti. Inoltre, la Dichiarazione non si rivolge agli Stati per stabilirne gli obblighi,
ma chiama in causa più genericamente l'umanità intera affinché garantisca protezione ai
minori. La stesura della Dichiarazione è dovuta agli eventi drammatici che hanno caratterizzato
l'inizio del '900, in particolar modo la I Guerra Mondiale. La scomparsa di milioni di persone,
il problema delle vedove e degli orfani ponevano in primo piano la questione della
salvaguardia delle generazioni future. È una collaboratrice della Croce Rossa ad elaborare un
testo volutamente breve e conciso, recepito prima dall'Unione Internazionale per il soccorso
all'Infanzia e successivamente adottato all'unanimità dalla Società delle Nazioni. La
Dichiarazione di Ginevra consta di cinque principi ed ha un impianto sostanzialmente
assistenzialista, teso ad affermare le necessità materiali e affettive dei minori.
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nonché il principio di non discriminazione e quello di un'adeguata tutela
giuridica del bambino sia prima che dopo la nascita
Infine, ribadì il divieto di ogni forma di sfruttamento nei confronti dei
minori e auspicò l'educazione dei bambini alla comprensione, alla pace e
alla tolleranza.
I risultati delle ricerche che si svilupparono in quegli anni sugli
istituti riflessero pareri tendenzialmente negativi, sia sull’allontanamento
del minore dalla famiglia, sia sul ruolo di controllo esercitato.
Si svilupparono quindi servizi alternativi, che cercano di rispondere ai
bisogni del minore come la mancanza di affetti e di legami famigliari, e
istituiscono servizi di accoglienza ispirati al modello famigliare, come ad
esempio i “gruppi famiglia”, i “focolari”, i “villaggi”.
1.2. La svolta degli anni settanta
Il secondo fondamentale punto di svolta nel processo di riforma per
minori, è rappresentato all’inizio degli anni settanta della legge n. 1044,
del 6 dicembre 1971, denominata “Piano quinquennale per l’Istituzione
di asili nido comunali con il concorso dello Stato”.
L’introduzione dei servizi di asili nido promuove e sostiene le
potenzialità di cura ed educazione della famiglia, attivando modalità di
relazione e collaborazione a livello di socialità positiva con il nucleo
genitoriale, il bambino e il servizio.
Un posto d’eccezione merita sicuramente la riforma del diritto di
famiglia del 1975, avvenuta attraverso l’introduzione della legge del 19
Maggio n. 151, denominata "Riforma del diritto di famiglia”.
Tale legge esprime anzitutto il diritto del minore ad essere titolare di
specifici diritti.
Gli aspetti fondamentali della riforma sono essenzialmente due.
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Il primo è quello relativo alla generale equiparazione dei figli, sia
quelli nati all’interno del matrimonio, sia quelli nati al di fuori, i
cosiddetti figli “illegittimi”.
Il secondo punto cruciale è quello relativo all’introduzione della
potestà genitoriale, riferito ai genitori come coppia, la quale va a
sostituirsi alla tradizionale patria potestà.
Queste innovazioni normative vanno ad inserirsi in un nuovo contesto
culturale, che vede l’emergere di servizi sul territorio sempre più
orientati verso forme di intervento di tipo preventivo e promozionale
nell’interesse della famiglia, accanto a risposte di natura
tradizionalmente riparativa, come il collocamento dei bambini in
strutture di accoglienza.
Negli anni ottanta continua la crescita verso un tipo di servizio
sempre più improntato verso i diritti del minore, della famiglia, e della
necessità di questi due elementi di crescere insieme.
Si iniziano a delineare le prime tipologie di strutture, che presentano
elementi comuni nel modello organizzativo.
Distinguiamo quindi: comunità pedagogiche-assistenziali, case
famiglia, comunità educative, pensionati, istituti di riabilitazione.
Altra legge di fondamentale importanza è la legge n. 184 del 1983 sul
Diritto del minore a una famiglia, modificata e integrata dalla legge n.
149 del 2001, denominata “Diritto del minore ad una famiglia”.
In questa normativa, che tratta delle modalità dell’adozione è previsto
il ricorso alle comunità famigliari nei casi in cui gli interventi di sostegno
alle famiglie d’origine non siano serviti ad eliminare la situazione di
rischio e nei casi in cui non sia possibile il ricorso ad una famiglia
affidataria.
L’articolo 1 della legge in questione sostiene che il minore ha diritto
di crescere e di essere educato nell’ambito della propria famiglia.
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Proseguendo poi nel testo, si evidenzia che le condizioni di indigenza
dei genitori non possono essere d’ostacolo al diritto del minore ad avere
una propria famiglia, e a tal fine sono proposti degli interventi da parte
dello stato.
Lo stato, le regioni, e gli enti locali, nell’ambito delle proprie e
competenze e con interventi idonei, nel rispetto della loro autonomia e
delle risorse finanziarie e materiali disponibili, attuano interventi al fine
di prevenire l’abbandono, e di consentire al minore di essere educato
all’interno della propria famiglia.
L’articolo 2 cita testualmente: “Il minore temporaneamente privo di
un ambiente famigliare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e
aiuto disposti, è affidato ad una famiglia, possibilmente con figli minori,
o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento,
l’educazione, l’istruzione, e le relazioni affettive di cui ha bisogno”.
Ove poi non sia possibile l’affidamento famigliare, la legge prevede
l’inserimento in comunità di tipo famigliare, che abbia preferibilmente
sede nel luogo vicino a quello in cui stabilmente risiede il minore con la
famiglia d’origine.
Tale norma enfatizza il ruolo del Tribunale dei minori nella sua
funzione di controllo e di garante dei diritti degli stessi.
Altra peculiarità della norma è la dimensione di temporaneità della
permanenza del minore al di fuori della famiglia, a cui si affianca
l’impegno a ricostruire il rapporto e, laddove sia possibile, anche una
ricongiunzione.
Una grande lacuna normativa risiede nell’indeterminatezza delle
strutture nelle quali inserire il minore a rischio.
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Gli articoli seguenti della legge trattano delle disposizioni relative
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all’adozione nazionale, internazionale e in casi speciali.
Molto importante è la Dichiarazione dei diritti dell’Infanzia,
approvata a New York il 20 Novembre del 1989, ratificata in Italia con
la legge n. 176 del 1991.
Tale documento individua i diritti dei minori, e attua una serie di
controlli periodici sullo stato della concreta attuazione della legge.
È una normativa sopranazionale, a cui indirettamente fanno
riferimento le normative locali.
Gli stati si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella convenzione
e a garantirli ad ogni fanciullo, senza alcuna distinzione di razza,
religione, sesso, colore, lingua, opinione politica, situazione finanziaria,
della loro incapacità, o di ogni altra circostanza.
Gli stati che ratificano tale dichiarazione si impegnano altresì
affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di
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In riferimento all’adozione, possiamo fare un breve accenno ad un’importante legge che può
essere definita come l’apripista del grande periodo delle riforme: si tratta della legge del 5
giugno 1967, n. 431, denominata “ Modifiche al titolo VII del libro I del codice civile
dell’adozione ed inserimento del nuovo capo III con il titolo dell’adozione speciale”.
Attraverso l’istituzione dell’adozione speciale viene sovvertita la concezione tradizionale del
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concetto di interesse del minore. Si parlò in questo momento di rivoluzione copernicana, in
quanto cambiò il centro dell’interesse. Non era più l’adottante al fine di assicurare una
discendenza: il fulcro diventa l’adottato privo di assistenza e bisognoso di una famiglia.
L’adozione speciale ha dato alla fine degli anni sessanta attuazione ad un principio che oggi
nella nostra società sembra banale e scontato: il bambino ha bisogno di vivere in un contesto
famigliare per potersi sviluppare fisicamente, psichicamente, moralmente e socialmente. Se i
genitori d’origine non sono in grado di provvedere alla crescita sana del minore, è quindi
necessario cercare una famiglia in grado si sostituirsi a quella naturale a tutela del minore. Il
bambino adottabile non è inserito in una famiglia qualunque, ma in una famiglia con requisiti
ben definiti: stabilità del matrimonio, età valida e capacità educative, affettive, nonché
economiche.
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discriminazione da parte delle autorità amministrative o degli organi
legislativi.
Ogni stato deve impegnarsi ad assicurare al fanciullo la protezione e
le cure necessarie alla sua crescita e al suo benessere fisico e psichico.
Gli stati membri devono quindi adottare tutti i provvedimenti
necessari al fine di svolgere al meglio tali compiti.
Dall’articolo 7 della suddetta dichiarazione si evince il compito di
controllo che ha altresì ogni stato sull’operato degli organi, affinché i
diritti siano attuati in conformità con la legislazione nazionale e con gli
obblighi imposti dalla stessa.
Gli articoli 12, 13 e 14 trattano della libertà di espressione e pensiero
quali diritti del fanciullo, che deve essere appunto libero di poter
esprimersi su questioni a lui inerenti, in base alla propria capacità di
discernimento.
Libertà intesa anche come possibilità di poter manifestare la propria
religione o le proprie convinzioni, limitate solo nel rispetto della legge.
All’articolo 18 della dichiarazione si sostiene come sia dovere di
entrambi i genitori quello di educare e provvedere allo sviluppo del
figlio.
Nel caso i genitori siano impossibilitati nello svolgere tali funzioni, la
responsabilità è delegata ai legali rappresentanti.
All’articolo 19 si sostiene invece il diritto del fanciullo di essere
protetto da qualsiasi forma di violenza, oltraggio, o brutalità fisica o
mentale.
Fondamentale per l’argomento trattato in sede risulta l’articolo 20, il
quale cita testualmente: “Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o
definitivamente privato del suo ambiente familiare, oppure che non può
essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad
una protezione e ad aiuti speciali dello Stato”.
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Nei seguenti commi l’articolo prosegue prevedendo da parte dello
stato una protezione sostitutiva, in conformità con la legge nazionale, e si
precisa che tale protezione sostitutiva può concretizzarsi per mezzo di
una famiglia, della kafalsh di diritto islamico, nell’adozione o
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nell’inserimento del minore in un istituto.
Gli articoli 24 e 25 trattano della tutela alla salute, specie dei casi in
cui un fanciullo sia affetto da qualsiasi tipo di handicap.
In base all’articolo 28 si dichiara il diritto del minore all’educazione.
Gli stati si impegnano a garantire tale diritto rendendo
l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti, incoraggiando
le varie forme di insegnamento, e garantendo l’accesso ad ogni
insegnamento superiore con ogni mezzo appropriato e secondo le
capacità di ognuno.
Particolare attenzione è posta agli articoli 36, 37, 38 e 39, dove,
accanto al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e alla cura e
all’educazione della famiglia, si dichiara l’impegno, qualora questo sia
possibile, a permettere che sia la collettività ad assolvere tali compiti.
Nella seconda parte si ribadisce poi, con particolare enfasi, il ruolo di
controllo dei singoli stati, che devono vigilare affinché siano pienamente
rispettati i diritti di ogni fanciullo.
Come da articolo 43, vediamo la formazione di un Comitato dei diritti
del fanciullo, che adempie alle funzioni di controllo e attuazione della
normativa.
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Con il processo di deistituzionalizzazione, in particolare con la legge 28 Marzo 2001 n° 149,
denominata “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 denominata a sua volta “Disciplina
dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, tutti gli Istituti sono stati chiusi e i minori accolti
in strutture educative di tipo famigliare.
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