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CAPITOLO PRIMO
RITRATTI DEL CONTESTO NAZIONALE ED INTERNAZIONALE
1.1 ITALIA
Il 28 luglio 1976 la Corte costituzionale autorizza, con la sentenza n. 202, le trasmissioni via
etere in ambito locale. Inizia la storia della televisione privata in Italia. Una storia che vedrà
avvicendarsi nomi, personaggi e situazioni sotto l’ombra della deregulation
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. Questo termine
va ad etichettare un lungo periodo (fino al 1990, anno di introduzione della legge Mammì) in
cui la mancanza di norme precise permetterà lo svolgersi di avventure editoriali di ogni tipo,
spesso effimere nonostante la presenza di protagonisti importanti. Il 1976 segna un deciso
punto di rottura rispetto al panorama televisivo precedente. Con la comparsa di soggetti
privati, la RAI perde automaticamente il titolo di monopolista. Cambiano radicalmente le
connotazioni economiche del settore: compare la pubblicità, nuovo elemento propulsore che
traghetta la televisione italiana verso la trasformazione da servizio pubblico di stato a sistema
di mercato. Il carattere commerciale si manifesta inizialmente con le aste televisive, che
propongono al telespettatore ogni tipo di bene di consumo. Tacciate di scarsa legalità
dall’autorità competente, esse evolvono sdoppiandosi in televendite e telepromozioni. La
sottile differenza riguarda il rapporto con il pubblico acquirente: se nella televendita l’atto di
acquisto viene effettuato quasi in tempo reale tramite accordo telefonico, la telepromozione si
articola in più riprese, e deve funzionare da efficace invito a recarsi personalmente presso i
punti di vendita della merce proposta. Si tratta della fenomenologia dello sponsor, che
dilagherà rompendo gli argini delle reti private ed esonderà fino alle produzioni RAI. La
storia è testimone del fatto che l’esperimento di televisione commerciale di maggior successo
sia stato quello portato avanti da Silvio Berlusconi. Ma insieme ed oltre a lui sono stati diversi
i soggetti che hanno tentato di affrontare lo stesso tipo di percorso, con esiti sempre più o
meno fallimentari. PIN (Prima rete indipendente) è il network delle televisioni locali
appartenenti al gruppo Rizzoli. Nato nel 1980, offre film provenienti dalla casa
cinematografica interna, ma soprattutto propone Contatto, telegiornale guidato da Maurizio
Costanzo e trasmesso in diretta nazionale. Un esperimento d’avanguardia, quello della diretta,
che sancisce d’altro canto l’abuso dell’autorizzazione a trasmettere in ambito locale. La RAI
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Termine entrato in uso negli anni ’70-’80 con i governi conservatori di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e
di Ronald Reagan negli USA, per designare la politica economica neoliberista. In Italia il termine viene
utilizzato impropriamente per indicare la situazione di anarchia derivante dall’assenza di una precisa normativa
sullo sfruttamento dell’etere da parte delle emittenti, (Aldo Grasso (a cura di), Enciclopedia Garzanti della
Televisione, s.l., Garzanti libri, 2002, p.189).
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non resta a guardare e, dopo provvedimenti attuati a più riprese, Contatto chiude
definitivamente nel 1981 per effetto della sentenza n.148 della Corte costituzionale. Nel
frattempo la Rizzoli deve far fronte anche allo scandalo della loggia massonica P2, che la
travolge in pieno. In un’ottica di drastico ridimensionamento aziendale (che contempla anche
la vendita a Berlusconi del settimanale Tv, sorrisi e canzoni), l’attività televisiva di PIN viene
dismessa. Rusconi e Mondadori sono nomi che non avranno destino migliore. Il primo, nel
gennaio del 1982, riunisce 23 emittenti e genera il network Italia 1; a novembre dello stesso
anno la rete è già in forte crisi. La library dei programmi è insufficiente a coprire le ore di
emissione e i costi per acquistare nuovi contenuti diventano insostenibili. Dopo il vano
tentativo di un accordo di cartello con Mondadori e Fininvest, sarà proprio quest’ultima ad
acquistare Italia 1 sul finire dell’anno, impegnandosi ad assorbire i dipendenti della struttura e
soffiando l’affare alla casa editrice di Segrate. Dal canto suo Mondadori, con a capo Mario
Formenton, si troverà di lì a poco a fronteggiare le stesse problematiche che avevano minato
Italia 1: realizza il suo ingresso nel settore televisivo con la fondazione di due società,
Telemond nel 1979 (produzione di programmi) e Rete 4 nel 1981. La Rete 4 mondadoriana
ricorda l’oggetto di questo elaborato, La7, per ambizioni e risultati: si propone come una
televisione raffinata, dimora della parola e del ragionamento, che ospita importanti personalità
del panorama italiano, lancia programmi che segneranno la storia come il Maurizio Costanzo
Show e persegue ingenti campagne acquisti per produzioni internazionali, come ad esempio
Dynasty. A La7 accadrà quasi la stessa cosa soprattutto sotto la direzione di Antonio Campo
Dall’Orto, quando le scelte di contenuto porteranno il canale alla costruzione di un’identità
presso il pubblico sempre più forte e riconoscibile. Il problema che accomuna nel tempo la
prima Rete 4 e La7 sono i bilanci, segnati in entrambi i casi da gravi perdite che
condizioneranno il destino delle rispettive realtà editoriali. Se per La7 avremo modo nel corso
della trattazione di esaminare i correttivi posti a rimedio, osserviamo invece che la soluzione
adottata nel 1984 per Rete 4 è la vendita. Dopo Italia 1, è ancora una volta Silvio Berlusconi
ad aggiudicarsi l’acquisto. A questo punto Fininvest possiede tre reti esattamente come la RAI
e la sua concessionaria di pubblicità, Publitalia ’80, nello stesso 1984 supera per fatturato il
diretto concorrente che segue gli interessi della RAI, Sipra. E’ ufficialmente iniziato il
duopolio televisivo italiano. Eurotv, Nuova Emittenza Televisiva (Net), Telesecolo, sono
soltanto alcuni dei nomi delle emittenti private che si sono accese e spente nel corso dei
“selvaggi anni Ottanta”: in questo panorama così frastagliato e ricco di iniziative, fa la sua
comparsa anche la progenitrice di La7, Telemontecarlo (TMC). Da rete di stato del Principato
di Monaco, TMC diventa un canale italiano a tutti gli effetti dopo il 1974, quando soprattutto
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sotto il controllo della brasiliana Rede Globo (importante produttrice di telenovelas) si
propone come una valida alternativa alla tradizionale programmazione RAI. Nei primi anni
Novanta la proprietà viene acquisita da Raul Gardini con la sua Ferruzzi Finanziaria. Da qui
in poi la programmazione si sclerotizza su pochi appuntamenti forti, (Galagoal con Alba
Parietti e Tappeto Volante condotto da Luciano Rispoli), non esiste una vera e propria linea
editoriale che caratterizzi il palinsesto, permangono problemi cronici di illuminazione
(intensità della ricezione del segnale). La situazione non registra miglioramenti significativi
nemmeno a partire dal 1995, quando il gruppo Cecchi Gori acquista la rete insieme a
Videomusic. Di conseguenza TMC, seppure non scompaia dopo breve tempo come tante
realtà coeve, non riesce comunque a porsi come antagonista del duopolio RAI – Fininvest,
rimanendo sempre su una labile linea di confine che la imprigiona nel ruolo di grande
televisione locale o di piccola emittente nazionale (situazione confermata anche dalle
rilevazioni Auditel, iniziate per TMC nel 1996). Si proverà a rilanciare l’ambizione del “terzo
polo” a partire dal 2001, quando Telemontecarlo verrà venduta alla Seat - Telecom di Roberto
Colaninno e diventerà La7. Nuovi programmi, nuove strategie e nuove modalità di gestione di
cui analizzeremo dinamiche e risultati nel prossimo capitolo.
Fininvest si sviluppa seguendo impostazioni strategiche sia sul versante finanziario che su
quello strettamente editoriale. Da un lato Berlusconi organizza le sue attività suddividendole
per società dedicate: con Reteitalia, a partire dal 1979, ci si assicurano film, serie tv, cartoni
animati che vanno a garantire una programmazione forte e di richiamo; nello stesso anno la
creazione di Publitalia ’80 permette una gestione della raccolta pubblicitaria diretta e senza
intermediari, il che significa avere la possibilità di sperimentare nuovi importanti criteri di
attività. Publitalia agisce comprendendo che la televisione ha un pubblico di massa che può
essere facilmente compatibile con la commercializzazione di prodotti di largo consumo. Da
qui si aprono contatti con una grande fascia di investitori, fino ad ora inesplorata e non
considerata da Sipra per motivazioni di vario genere (censorie, politiche,…). Il risultato sarà
un notevole rientro economico, che potrà sostenere il potenziamento di Telemilano,
capogruppo di una rete di emittenti regionali sparse sul territorio nazionale che darà vita al
network Canale5.ksjdksjdksjdksjdkjdksjkdjsjdksjdksjdksjdksjdksjdjskdjskjdksjdksjddksjdjk
D’altra parte non basta avere dei contenuti forti. In Fininvest ci si rende conto che il contenuto
bisogna saperlo valorizzare. E’ così che si comincia ad operare su più fronti della
programmazione. Innanzitutto Canale 5 cerca di accaparrarsi pubblico nelle ore in cui la RAI
non trasmette. Buongiorno Italia, contenitore mattutino del 1981, è il frutto di questa prima
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impostazione. La RAI si adeguerà soltanto a partire dal 1986. La parola d’ordine è e deve
continuare ad essere “fidelizzazione”, per consolidare ed incrementare gli obiettivi
commerciali. Avere pubblico sintonizzato sulle proprie reti significa fornire agli inserzionisti
potenziali consumatori di prodotti. L’ottica di fidelizzazione prosegue con una serrata attività
di revisione del palinsesto: Fininvest si allontana dalla rigida assegnazione RAI di un genere
diverso ad ogni giorno della settimana. In quello che è il germoglio della televisione
generalista, il palinsesto si trasforma e da “verticale” diventa “orizzontale”: addio quindi ad
appuntamenti isolati e gerarchizzati nell’arco della settimana. Fininvest propone al
telespettatore un nuovo modello di fruizione: compaiono gli appuntamenti a striscia, i
programmi moltiplicano le puntate nel corso della settimana e scandiscono tempi ben definiti,
educando il pubblico ad essere sempre aggiornato sui contenuti in onda, e penetrando così nel
tessuto familiare delle ritualità e delle convenzioni. Il “caso Dallas” è emblematico: si rileva
l’importanza dell’organizzazione del palinsesto osservando che la prima stagione del serial,
programmata da Raiuno una sola volta alla settimana e senza curarsi della consequenzialità
degli episodi, non ha riscosso lo stesso travolgente successo del secondo ciclo, programmato
da Canale 5 due volte alla settimana, con precisione cronologica e con un’astuta cornice
promozionale. Nel 1984 si segna una nuova tappa della trasformazione del panorama
televisivo: viene costituita la società Auditel, che sostituisce le metodologie precedenti di
rilevazione degli ascolti (principalmente indagini telefoniche). Con l’ausilio di una specifica
apparecchiatura elettronica, che controlla i televisori dei telespettatori campione, Auditel
(controllata in maggioranza da RAI, emittenti private e utenti pubblicitari) garantisce dati
imparziali e veritieri, anche se l’attendibilità effettiva è periodicamente oggetto di critiche e
polemiche.
La storia dell’emittenza privata in Italia coincide per larga parte con quella dell’affermazione
delle reti Fininvest. Nel 1984 a Torino, Roma e Pescara l’autorità giudiziaria blocca
l’emissione di Canale 5, Italia 1 e Rete 4. Il motivo è lo stesso che stava alla base dei
provvedimenti presi a suo tempo contro PIN, la televisione della Rizzoli: la ripetizione del
segnale su tutto il territorio nazionale, attraverso l’interconnessione dei ponti radio, era ed è
proibita. Fininvest ferma la trasmissione dei programmi, il pubblico insorge. Un reimpasto
politico, che porta a una nuova distribuzione di benefici per i vari partiti in materia televisiva
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Tali benefici, in dettaglio, consistono nel ripristino del potere conferito al direttore generale della RAI,
generalmente di estrazione democristiana, nell’attribuzione di direzione della Rete 3 televisiva e del Tg3 al
Partito Comunista, e nella garanzia al Movimento Socialista Italiano della presenza di un sindaco revisore nel
nuovo consiglio di amministrazione RAI.