Il dibattito ontologico
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sulla struttura della mente vede tre opposte
tendenze:
1) comportamentismo - la mente è un insieme di disposizioni al
comportamento;
2) materialismo - mente e cervello sono la stessa cosa;
3) funzionalismo - la mente è assimilabile a un programma di calcolatore.
Il funzionalismo computazionale ritiene che la mente sia uno strumento
adatto a manipolare forme simboliche (A.Newell e H.Simon, 1958, 1976).
Sua tesi centrale è che il livello computazionale dovrebbe servire a dare una
descrizione dei processi cognitivi, i quali sarebbero perciò indipendenti dalla
loro realizzazione fisica. All'interno di questa corrente ci sono diverse
impostazioni: il cognitivismo, secondo il quale la mente opera con algoritmi,
manipola i simboli che hanno un'interpretazione semantica e che sono una
rappresentazione del mondo esterno; il connessionismo propone invece
un'architettura alternativa del sistema, attraverso un modello biologico del
cervello, composto da "reti neurali" e "sistemi locali" che agiscono in
parallelo, negando il livello rappresentativo.
La metodologia cognitiva si colloca nel quadro del funzionalismo,
perché ritiene che il cervello umano sia in grado di produrre la struttura
stabile di un sistema operativo universale, ed assume pertanto che le attività
mentali consistano o siano descrivibili in un linguaggio computazionale di
rappresentazioni. G.Lolli (1996) ritiene però che non ci sarebbe bisogno di
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A partire almeno dagli anni '60 le discussioni sullo statuto ontologico hanno lasciato spazio all'elaborazione di diversi modelli di
funzionamento
della mente, grazie anche al grande sviluppo delle scienze cognitive e delle neuroscienze.
individuare un certo numero di algoritmi per spiegare le competenze dei
soggetti, come fa l'intelligenza artificiale forte, ma ci si potrebbe benissimo
ispirare anche solo all'analisi dei comportamenti reali per avere lo stesso una
sua plausibilità psicologica. La domanda cruciale è: come vengono prodotti
dall'attività chimica ed elettrica, ossia dall'hardware, delle strutture stabili che
fungono da simboli? Su questo punto sembra non riesca a far luce neanche il
"darwinismo neurale" di G.Edelman, che muove delle obiezioni al modello
computazionale basandosi sull'approccio neurobiologico. Gli altri approcci si
limitano in generale a studiare il software, il programma, rifacendosi
all'algebra booleana. G.Edelman ritiene che il cervello non possa essere
considerato una macchina (1992, p.352), per comprendere il suo
funzionamento bisognerebbe dunque far riferimento alla sua specificità
intrinsecamente biologica: i segnali sensoriali, che sono ambigui e
virtualmente infiniti, processati in termini analogici e non digitali, i caratteri
di flessibilità, complessità e costanti relazioni con il mondo esterno diventano
così dei fattori di primaria importanza.
E' stato il logico G.Boole (1815-1884) ad ipotizzare per primo una
concordanza tra le leggi del pensiero e quelle dell'algebra
Non soltanto esiste una stretta analogia fra le operazioni
che la mente esegue quando fa ragionamenti generali, e quelle
che esegue nella scienza particolare dell'algebra: c'è anche, in
misura considerevole, un'esatta concordanza fra le leggi in virtù
delle quali si eseguono le due classi di operazioni.
[G.Boole, 1854, p.15]
Quale sia l'"esatta corrispondenza" rimane purtroppo inespresso.
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In The Mathematical Analysis of Logic (1847) scrive che ciò che rende
possibile la logica è l'esistenza di nozioni generali nelle nostre menti, come la
capacità di concepire una classe, e di designarne i membri individuali con un
nome comune. Le leggi della logica, come anche quelle del linguaggio,
dipendono dalle leggi del pensiero che rappresentano, perciò la sua indagine
vuole istituire un calcolo logico da inserire nelle forme istituzionali dell'
analisi matematica. Dirà infatti nell' opera An investigation of the laws of
thought (1854): "Lo scopo di questo trattato è l'indagare le leggi fondamentali
di quelle operazioni della mente per mezzo delle quali si attua il
ragionamento". I simboli e le operazioni effettuate sono sottoposti a delle
"leggi particolari" che esprimono verità generali riassumibili, secondo lui, nei
"pochi e semplici assiomi" delle leggi logiche, come ad esempio il principio
di non contraddizione. I simboli vengono subito interpretati, ossia viene loro
assegnato un significato: ad ogni "1" o insieme universo viene associato il
valore di verità "vero", e ad ogni "0" o insieme vuoto il valore di verità
"falso". Questa idea verrà in seguito ripresa ed approfondita ulteriormente nel
calcolo proposizionale. La validità delle proposizioni non dipende
dall'interpretazione arbitraria che se ne dà, bensì dalla "possibilità" delle leggi
combinatorie
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E' Duncan Faraquaharson Gregory, amico di G.Boole, a qualificare l'algebra simbolica come la scienza delle operazioni definite non
dalla loro natura ma dalle leggi di combinazione (On the Real Nature of Symbolical Algebra, in "Transactions of the Royal Society of
Edimburgh", XIV, 1839, pp.208-216).
Coloro che hanno familiarità con lo stato attuale della
teoria dell'algebra simbolica sanno bene che la validità dei
procedimenti dell'analisi non dipende dall'interpretazione dei
simboli ma soltanto dalle leggi della loro combinazione. Ogni
sistema d'interpretazione che non modifica la verità delle
relazioni è ugualmente ammissibile.
[G.Boole, 1847, pp.51-52]
Il sistema di G.Boole costituisce un primo e meritevole tentativo di
esprimere le "leggi del pensiero" mediante regole di operazioni su simboli, le
stesse valevoli in un'algebra dei numeri "1" e "0". Le OPERAZIONI su
simboli derivano da quelle mentali, che si attuano attraverso il linguaggio
logico, combinando o scomponendo certe concezioni e trasformandole in
nuove. Anche
le operazioni del linguaggio, in quanto strumenti del
ragionamento, possono essere condotte per mezzo di un sistema
di segni composto dai seguenti elementi;
1) simboli letterali, come x, y, ecc., che rappresentano cose in
quanto oggetti dei nostri atti di concezione.
2) Segni di operazioni, come +, -, °, che stanno per quelle
operazioni della mente per mezzo delle quali le concezioni delle
cose vengono combinate o scomposte in modo da formare nuove
concezioni, che contengono gli stessi elementi.
3) Il segno di identità: = .
[G.Boole, 1854, p.45]
Da due simboli "x" e "y" e un'operazione di "=" possiamo ottenere anche la
seguente combinazione:
(1) xy = yx (legge commutativa)
la quale può essere trasformata in
(2) xy = x.
La combinazione dei due simboli letterali esprime per G.Boole l'intera classe,
dunque i due simboli hanno lo stesso significato, e non esprimono niente di
più di quello che esprimerebbe uno solo dei due simboli: con la singola lettera
"x" si rappresenta la classe degli individui a cui essa appartiene, e con "xy" la
combinazione della classe di cose a cui sono applicabili, simultaneamente, i
nomi o le descrizioni che rappresentano. Se ad esempio x= cose bianche e y=
animali, allora il loro prodotto sarà xy=animali bianchi. Dalla (1) si passa alla
(2) perché è valida l'uguaglianza x=y, e da (2) avremo anche xx=x, ossia
algebricamente x
2
=x, ma solo nel caso in cui ci sia un'identità assoluta di
significato, così nel linguaggio naturale un oggetto "buono buono" si può allo
stesso modo dire "buono" (G.Boole, 1854, p.52). La legge peculiare di
quest'algebra logica è dunque xx=x, e in questo si differenzia dall'algebra
numerica. X
2
= x oppure x
n
= x (ossia "x(1-x) = 0") è la cosiddetta legge-
indice, o legge di dualità nelle Laws, con la quale vengono eliminate le
iterazioni simboliche: xyxxy = x
2
y
2
= xy (esempio tratto da G.Boole, 1954,
p.115), ciò significa che due operazioni equivalenti compiute sopra oggetti
equivalenti producono risultati a loro volta equivalenti. Questa legge è
importante perché permette di ridurre i risultati di un'operazione in forme "più
facilmente interpretabili": "L'ufficio a cui adempie x in questo caso è analogo
a quello del simbolo "+", e la legge-indice ci dà +
n
= +, che è la nota proprietà
di quel simbolo" (G.Boole, 1847, p.80 e nota).
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La congiunzione "e", considerata l'equivalente del segno "+", e la
disgiunzione "o", equivalente del segno "-", sono utilizzate in modo da
raccogliere le parti in un tutto capace anche di essere scomposto nei suoi
elementi parziali. Se ad esempio x = uomini, y = donne e z = europeo allora
avremo: z(x+y) = =zx + zy (legge distributiva). Questa legge ci dice che la
frase "Uomini e donne europei" equivale alla frase "Uomini europei e donne
europee". Se invece abbiamo x = uomini e y = abitanti dell'Asia "Tutti gli
uomini eccettuati gli abitanti dell'Asia" si può esprimere con x - y = - y + x.
Altri esempi di formalizzazione sono: se x=duro, y=elastico, z=metallo, allora
z(1-y)= metalli non elastici, oppure y+z(1-y)= sostanze elastiche e metalli non
elastici, o anche x-z= sostanze dure eccettuati i metalli (G.Boole, 1854, p.86).
Per quanto riguarda la negazione G.Boole la chiama "nome contrario":
se "x" rappresenta una qualsiasi classe di oggetti, allora (1 - x) rappresenterà
la classe che comprende tutti gli oggetti che non sono contenuti nella classe
"x" (dove 1 è la classe universale, e allo stesso tempo il valore di verità vero).
Ad esempio: se x = classe degli uomini allora (1 - x) è la classe dei non-
uomini (1854, p.75). Bisogna osservare che "x" dovrebbe avere come
contrario "- x" nella logica proposizionale, altrimenti dovremmo specificare
che (1 - x) = - x. Per quanto riguarda le singole proposizioni si passa da
un'interpretazione di classe universale o nulla ad un'interpretazione di
proposizione vera o falsa, ossia x=0 o x=1. L'interpretazione di una classe o di
una singola proposizione sono sostanzialmente differenti, e conducono a tipi
di operazioni che acquistano significati molto diversi. Ciascun simbolo di
classe è il segno del risultato di un'operazione di selezione di tutti i suoi
membri possibili ed esistenti, della classe del mondo delle cose e delle qualità
esistenti.
In G.Boole si possono trovare già i prodromi delle forme normali
disgiuntive,
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i casi "x" e la sua negazione (1-x) presi assieme esauriscono
infatti l'universo delle proposizioni. L'associazione di 2 proposizioni "x" e "y"
dà 4 casi che sommati danno l'unità "1" di significato vero:
1) x vera y vera xy
2) x vera y falsa x(1-y)
3) x falsa y vera (1-x)y
4) x falsa y falsa (1-x) (1-y)
sommando tutte e quattro queste espressioni "elettive", che rappresentano un
caso concepibile, avremo la classe "1":
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Sono delle formule ben formate costituite dalla disgiunzione di congiunzione, dove ogni elemento di ciascuna congiunzione è una
proposizione o la sua negazione.
xy + x(1-y) + (1-x)y + (1-x)(1-y) = 1
in simboli della logica proposizionale
(p&q) v (p& - q) v ( - p&q) v ( - p& - q).
Questa è una tautologia, o proposizione logica sempre vera, e allo stesso
tempo anche una forma normale disgiuntiva sempre vera se almeno uno dei
suoi termini è vero.
Tradizionalmente la teoria del sillogismo veniva considerata l'unico
processo essenziale di ragionamento logico valido, ma G.Boole dimostra che
le cose non stanno in questi termini, grazie all'aiuto di equazioni algebriche.
La Scolastica e la maggioranza dei logici erano concordi nell'affermare che
la logica, che costituisce, per dir così, la grammatica del
ragionamento, non ci presenta il sillogismo canonico come un
modo distinto di ragionamento destinato ad essere sostituito da
un altro modo di ragionamento qualsiasi, ma come la forma alla
quale in ultima analisi, possono essere ridotti tutti i ragionamenti
corretti.
[Whately, Elements of Logic, IX ed., p.13]
Per G.Boole il sillogismo è invece una sorta di "eliminazione", spesso
forzata e innaturale, ed il ragionamentoin senso lato non può essere confinato
al solo processo di eliminazione. Le leggi del pensiero possono formare un
sistema coerente ed armonioso anche al di fuori di tale prospettiva,
avvicinandosi ad un modello di tipo algebrico. Da ay + b = 0, forma generale
del sillogismo, con "a" e "b" costanti, e da a
I
y + b
I
= 0 otterremo aa
I
- bb
I
= 0
risolvendo la I equazione rispetto alla y. Così si algebrizza questo tipo di
ragionamento. Ad esempio il sillogismo Barbara risulterà in questa scrittura:
Ogni X è Y
Ogni Y è Z
_________
Ogni X è Z
che nel sistema booleano si scriverà
x(1-y) = 0
y(1-z) = 0.
Riducendo le due equazioni ad una sola si ottiene
x(1-y) + y(1-z) = 0
ed eliminando y da quest'ultima si avrà
x(1-z) = 0
che è appunto la conclusione del sillogismo in esame tradotta nel linguaggio
booleano.
Per quanto riguarda l'esperienza "(essa) ci insegna a sufficienza che,
per progredire nella conoscenza della verità, occorre procedere dal noto
all'ignoto" (1854, p.40). G.Boole studia la logica come se fosse uno strumento
del ragionamento, applicando a delle frasi del linguaggio comune delle
proposizioni logiche. In conclusione possiamo dire che per G.Boole la logica,
fino ad allora coincidente con il ragionamento sillogistico, non si identifica
pienamente con il pensiero.
Un logico che si è avvicinato di più a considerazioni di tipo filosofico è
G.Frege (1848-1925). Egli distingue il pensiero (der Gedanke) dall'atto del
pensare (das Denken). Il pensiero è un mondo a sé, oggettivamente ed
universalmente valido, eterno, mentre le rappresentazioni sono soggettive o
psicologiche, hanno bisogno di una coscienza che ne sia portatrice, anche se
non sono percepibili coi sensi come le cose: le rappresentazioni si hanno, le
cose si sentono e i pensieri si concepiscono. Il pensiero è contenuto in un
"enunciato dichiarativo", che si traduce in un nome, ha valore di verità vero o
falso, ed è il possesso comune di molti.
L'atto del pensiero è per la psicologia un accadimento della natura,
mentre le leggi logiche si situano su un piano diverso che ricerca il "vero",
ossia le ragioni per cui é vero ciò che è vero (prescrizioni del pensiero),
perché la verità non è una proprietà del pensiero ma il suo stesso essere.
G.Frege distingue allora fra 1) l'atto di costituzione del pensiero, cioè il
pensare 2) il riconoscimento della verità di un pensiero, cioè il giudicare 3) la
notificazione di questo giudizio, cioè l'affermare (Ricerche logiche, 1918,
p.9). Il giudizio equivale alla relazione tra il pensiero e il suo valore di verità
Il giudicare può essere considerato come il progredire da
un pensiero al suo valore di verità (...) Si potrebbe anche dire che
il giudicare è un distinguere le parti entro il valore di verità.
Questa distinzione avviene ritornando al pensiero. Ogni senso
che appartiene a un valore di verità corrisponderebbe a un modo
particolare della scomposizione. La parola "parte" è usata qui in
modo del tutto speciale: ho cioè trasferito il rapporto fra intero e
parte dell'enunciato alla sua denotazione in quanto ho chiamato
"parte della denotazione di un enunciato" la denotazione di una
parola, qualora la parola stessa faccia parte di questo enunciato.
[G.Frege, Senso e denotazione in La struttura logica del
linguaggio, a cura di A.Bonomi, Bompiani, Milano, 1973, p.18]
G.Frege continua dicendo che il suo modo di esprimersi sulla questione
è discutibile per due ragioni:
1) nel caso della denotazione l'intero e la parte non determinano il resto;
2) nel caso di corpi la parola "parte" ha un altro significato;
dunque bisognerebbe secondo lui coniare un'altra espressione.
Egli suppone che possano esserci due modi differenti di giudicare: nel
primo caso avremo bisogno di
1) forza assertoria, nel caso dell'affermazione;
2) forza assertoria, nel caso della negazione, in unione indissolubile con la
parola "falso";
3) termine negativo "non" nella proposizione senza forza assertoria.
Nel secondo caso avremo bisogno di
1) forza assertoria;
2) termine negativo.
Secondo G.Frege (1918, trad.it. p.55) nel secondo caso vi è un
risparmio evidente, e perciò un avanzamento nell'analisi che permette di
vedere più chiaramente le cose.
Il pensiero è pertanto ciò che può essere detto vero o falso per
eccellenza, indipendentemente dalle nostre sensazioni e intenzioni, mentre
l'enunciato può dirsi tale solo in senso derivato, perché il suo riferimento è il
suo valore di verità, e non è un flusso di coscienza come la rappresentazione
(Vorstellung). Dice G.Frege a proposito della percezione
Col chiamare "bianca" la neve intendiamo esprimere un
modo di essere oggettivo, che alla normale luce del sole
riconosciamo da una certa sensazione. Se la neve è illuminata da
una luce colorata, nel giudicare si tiene conto di questo fatto.
Forse si dirà: ora appare rossa, ma è bianca. (...) Quindi il
termine di colore spesso non designa una nostra sensazione
soggettiva, di cui non possiamo sapere se concorda con quella
altrui - ovviamente l'uguale denominazione non ce lo garantisce
affatto - bensì un modo di essere oggettivo.
[G.Frege, I principi dell'aritmetica, 1893, 26]
e in un saggio successivo che
In nessun caso due uomini hanno la medesima
impressione, anche se possono avere impressioni simili. Queste
da sole non ci dischiudono il mondo esterno.
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(...) Il possesso di
impressioni visive è indubbiamente necessario per la vista delle
cose, ma non è sufficiente. Quello che deve ancora aggiungersi
non è qualcosa di sensibile. E questo è proprio ciò che ci
dischiude il mondo esterno; infatti senza questo qualcosa di
sensibile, ognuno resterebbe rinchiuso nel suo mondo interno.
[G.Frege, Ricerche logiche, Il pensiero, 1918, p.70-71]
Egli ritiene inoltre che il sistema formale si occupi della "struttura"
della conoscenza, e le sue leggi non controllerebbero i meccanismi dei
processi fattuali, bensì determinerebbero le condizioni ideali a priori di
validità fra i pensieri. Riconosce dal punto di vista del contenuto due funzioni
specifiche: il senso (Sinn), relativo al modo in cui un oggetto viene pensato,
descritto, ecc..., e la denotazione (Bedeutung), che è l'oggetto stesso cui la
frase o la parola si riferisce. La nostra comprensione del senso non consiste
nell'abilità di determinare il valore di verità degli enunciati, o nel riconoscerli
come aventi uno dei due valori di verità, ma nella conoscenza di quello che li
rende veri o falsi. Punto essenziale è che mentre un concetto è predicativo, un
oggetto non può esserlo, anche se nel linguaggio naturale un nome viene
apparentemente usato come predicato: la proposizione "Venere è la stella del
mattino" contiene due nomi "Venere" e "stella"? G.Frege risolve il problema
dicendo che l'ambiguità sta nella copula, la quale non esplicita due funzioni
diverse egualmente presenti: "la stella del mattino è Venere" che è una
proposizione reversibile e simmetrica, e "la stella del mattino è un pianeta",
che non lo è, anche se sostituendo "Venere" con "un pianeta" non si dovrebbe
alterare il valore di verità della proposizione, ma "Venere" non è l'unico
pianeta esistente. "La stella del mattino è un pianeta" ci dice qualcosa di
diverso da "un pianeta è la stella del mattino".
In sede logica la distinzione tra concetto e oggetto si collega alla "teoria
delle funzioni proposizionali", introdotta da G.Frege e poi sviluppata, tra gli
altri, da B.Russell. G.Frege definisce una funzione come un'espressione non
satura, ossia contenente almeno una variabile libera, ad esempio "x è mortale"
o "x<3". Il suo valore è la denotazione di un segno. I nomi saturano le
funzioni proposizionali sostituendosi alle variabili libere ( se le variabili sono
vincolate vuol dire che valgono per tutti o che esiste almeno un...): "Paolo è
mortale" o "2<3". La logica tradizionale, che utilizzava molto i sillogismi,
dava molta importanza in passato ad espressioni in cui lo stesso nome era sia
predicato che soggetto, ossia sulla capacità ambivalente del termine medio.
Alla famosa quaestio de universalibus G.Frege risponde dicendo che la