3
Introduzione
Nella società di oggi, una società di consumatori, in cui i legami umani passano generalmente
per il mercato dei beni di consumo, il senso di appartenenza si ottiene con l‟identificazione con
le “mode del branco”: emblemi di appartenenza con cui oggi ci identifichiamo andranno fuori
mercato, per essere rimpiazzati da emblemi più nuovi
1
.
Quando il senso di appartenenza viene offerto dal mercato, il rischio è di perdersi per strada e di
perdersi in un senso di rifiuto, di esclusione, di abbandono e di solitudine, in ultima analisi di
inadeguatezza personale.
Le abilità per conversare e per comprendersi con gli altri sono una merce rara, le normali
tensioni che nascono nelle quotidiane relazioni con l‟altro, sono spesso un pretesto per
interrompere la comunicazione, per fuggire e bruciare i legami.
La reciproca empatia viene sostituita da una sorta di materializzazione delle relazioni affettive
all‟interno di una cultura contemporanea, di cui la libertà individuale ne è l‟essenza, porta voce
di un‟immensa fragilità individuale che non può più appoggiarsi sulla protezione e su una rete
sociale.
La fase storica che stiamo vivendo è lo specchio di un modello assistenziale in crisi, di massima
dipendenza della nostra economia e di rapida organizzazione e ristrutturazione del sistema
produttivo a seguire l‟andamento del mercato (e questo non significa aumento
dell‟occupazione): parlare dell‟inserimento lavorativo di una persona disabile può sembrare a
tratti anacronistico
2
.
È indiscutibile che per le fasce deboli ed in particolare per i portatori di handicap, l‟inserimento
lavorativo rappresenti non solo la possibilità economica di autosufficienza, ma soprattutto un
momento essenziale di integrazione con una realtà esclusiva e di socializzazione, di crescita
personale e di realizzazione di sé che avviene attraverso l‟identificazione e il confronto con il
ruolo socialmente riconosciuto.
In una società civile l‟inserimento lavorativo è la soluzione più naturale del processo di
integrazione dei cittadini, ancora di più di quelli socialmente deboli.
Il setting lavorativo, oltre ad essere luogo produttivo, è vita di gruppo, che fin dagli esordi della
vita si configura come una necessità per l‟essere umano, piuttosto che una scelta, anche se
1
Z. Bauman (2007), Homo consumens, Trento, Erickson, p. 17.
2
A. Chiodini, M.G. Pedretti (1986), Handicap e integrazione professionale e sociale, Bologna, Editrice Compositori, p.
157.
4
paradossalmente la propensione biologica alla vita di gruppo non implica un‟abilità naturale a
interagire facilmente con tutti i membri della nostra specie, ma include lo sviluppo di una serie
di competenze che facilitano l‟integrazione sociale, che mirano al consolidamento dei rapporti
con gli altri e che portano alla capacità di effettuare scelte di campo
3
.
Non ci si può illudere però, date le attuali tendenze del mercato del lavoro, che l‟inserimento
professionale di un disabile, possa avvenire senza un adeguato intervento pubblico di norme,
finanziamenti e servizi, mirato ed integrato con tutte le forze produttive e sociali interessate
4
.
Un‟azione in questo senso deve avere come presupposto la concezione della diversità e del
diverso in grado di mettere in luce le capacità personali e produttive del soggetto prima del
deficit, perché è solo sulla base di queste risorse così individuate che può avvenire un
avvicinamento positivo fra l‟handicap ed il mondo del lavoro.
In particolare per l‟apprendimento delle competenze sociali, riconducibili al “saper lavorare”
non esperibili con la sola didattica, è fondamentale il piano esperienziale, basato sull‟apprendere
operando in situazione reale di lavoro, all‟interno di un contesto adeguato e inclusivo, ricco di
mediatori.
Sono competenze definite trasversali che consentono alla persona di percepire, prestare
attenzione e saper analizzare il contesto, relazionarsi adeguatamente con l‟ambiente e con gli
altri, quindi sviluppare capacità relazioni, comunicative ed interattive, affrontare situazioni,
assumendosi varie responsabilità, potersi esprimere socialmente
5
.
Questa la premessa della mia esperienza in qualità di tutor aziendale presso l‟Istituzione dei
Servizi Sociali ed Educativi del Comune di Granarolo dell‟Emilia, l‟Ente presso il quale lavoro
da più di cinque anni.
Ho voluto approfondire con riflessioni personali e grazie ad un‟esperienza molto costruttiva, che
mi ha vista soggetto attivo in un progetto di inserimento lavorativo di una persona disabile in
collaborazione con la Dr.ssa Leoni, referente dell‟Ufficio di Igiene Mentale di Distretto Pianura
Est di Bologna.
3
G. Speltini (2002), Stare in gruppo, Bologna, Il Mulino, p. 17.
4
A. Chiodini, M.G. Pedretti (1986), Handicap e integrazione professionale e sociale, Bologna, Editrice Compositori, p.
158.
5
A. Goussot (2009), Il disabile adulto, Santarcangelo di Romagna (RN), Maggioli Editore, p. 167.
5
Il Welfare State oggi
Lo sviluppo del welfare nel corso del novecento, che ha visto il suo culmine fra gli anni settanta
e ottanta, si basava sul presupposto che il benessere individuale fosse strettamente dipendente da
quello collettivo, nell‟attuale era planetaria, invece, si diffonde l‟idea che il benessere
individuale sia concorrenziale verso quello altrui e, ancor più, che esso vada sacrificato al
godimento di beni posizionali, tanto materiali quanto simbolici
6
.
In altre parole, mentre nella fase di sviluppo del capitalismo occidentale il senso comune
considerava fisiologico che una quota della ricchezza prodotta e della remunerazione del
capitale servisse a garantire lo status di umanità dei lavoratori prima e dei cittadini poi, ora ci si
muove verso una prospettiva opposta.
Il mondo è uno, uno è il mercato, unica può essere o diventare la condizione delle persone nella
libera competizione. E siccome alla competizione giova tutto ciò che aumenta il profitto,
conviene intervenire sui fattori che in qualsiasi ambito lo deprimono o lo limitano. Lavoro
flessibile, occupazione meno garantita, pensioni ridotte, dilazionate o privatizzate, salute affidata
il più possibile alla “libera scelta” (e alle risorse) dei singoli, assistenza affidata alle coalizioni
dei volonterosi: sono questi i tratti essenziali del nuovo corso, nel quale cambia l‟impianto
concettuale di sicurezza e benessere, che non sono più sociali nel senso classico del termine,
come compito della società organizzata, ma sono rimessi alle capacità ed alle iniziative degli
individui
7
.
Si può parlare quindi di scomparsa del benessere sociale dal momento in cui la crisi del welfare
state sta portando non verso una welfare society, ma verso una “società del rischio”, l‟Altro
assume le caratteristiche del concorrente nel campo del lavoro, in quello dei consumi, in quello
delle conoscenze e non più un alleato verso il benessere condiviso.
La tradizionale concezione del welfare si basava su concetti di condivisione, protezione,
prevenzione attraverso cui garantire diritti di uguaglianza, inclusione e maggior sicurezza.
Oggi le nuove condizioni di vita sono più complesse, dinamiche, orientate verso uno spiccato
individualismo che minaccia il benessere sociale collettivo; lo scenario che si manifesta oggi fa
da specchio ad una realtà economica globalizzata caratterizzata da un clima iperprestativo e
6
M.Ingrosso (2008), Senza benessere sociale. Nuovi rischi e attesa di qualità della vita nell’era planetaria, Milano,
Franco Angeli, pag 11.
7
Caritas Italiana Fondazione E. Zancan (2004), Vuoti a perdere – Rapporto su esclusione sociale e cittadinanza
incompiuta, Milano, Feltrinelli, p. 19
6
competitivo che trova giustificazione nei presunti benefici economici e organizzativi generati a
livello personale
8
.
Nel complesso ruolo della globalizzazione e della mondializzazione, dei mercati e della cultura,
la sfida si gioca intorno all‟altare del profitto, che sembra spegnere definitivamente l‟illusione di
un capitalismo sostenibile e orientato a una parziale ridistribuzione dei propri guadagni a favore
della crescita sociale
9
.
Il miraggio della prosperità ora e per sempre ha creato l‟illusione che il capitalismo fosse la
soluzione dei problemi, ma contemporaneamente il capitalismo stesso nell‟essere coerente con i
suoi principi ed i suoi presupposti ha fatto emergere condizioni sociali di vita altamente
problematiche a cui non è stato in grado di dare soluzione
10
.
La separazione e la distanza sono diventate la strategia più comune nella lotta urbana per la
sopravvivenza.
I poveri, i deboli, coloro che non sono competitivi, che non hanno le risorse per mantenere lo
status materiale sociale e adeguato, vengono considerati una minaccia dai loro vicini e vengono
quindi allontanati, ghettizzati; anche i ricchi, chi occupa uno stato sociale elevato tende ad unirsi
fisicamente in aree privilegiate da cui escludere tutti gli altri.
In questo modo si creano aree reciprocamente esclusive, zone di extraterritorialità.
Le iniquità prodotte dalla globalizzazione esacerbano le differenze sociali
11
.
Le nuove aree sociali di debolezza sarebbero dunque caratterizzate sia dall‟inedita presenza di
soggetti che non sono individuabili attraverso un concetto di “fasce deboli” tradizionalmente
inteso, sia dal fatto che esse sono in progressiva e preoccupante espansione.
All‟illusione del beneficio economico a livello personale, sottostà una forma di malessere
diffusa, per cui, piuttosto che parlare di povertà, si parla di impoverimento generalizzato, non
perché siano scomparsi i poveri “tradizionali”, ma perché è dominante, a livello di massa, la
preoccupazione per il presente e per il futuro di ciascuno.
Il fenomeno è pressoché paradossale: più un avvenimento interessa un numero maggiore di
persone meno se ne avverte la portata sociale. Mentre alcuni fenomeni circoscritti ad un numero
particolarmente ristretto di soggetti vengono avvertiti come notevolmente preoccupanti (per
8
M.Ingrosso (2008), Senza benessere sociale. Nuovi rischi e attesa di qulaità della vita nell’era planetaria, Milano,
Franco Angeli, p .14
9
F. Frabboni (2005), Società della conoscenza e scuola, Trento, Erickson, p. 53.
10
Z. Bauman (2009), Capitalismo parassitario, Roma – Bari, Gius. Laterza & Figli, p. 11.
11
Z. Bauman (2007), Homo consumens, Trento, Erickson, p. 61
7
esempio: gli infanticidi, le nuove dipendenze, ecc..), altri fenomeni, che sono invece comuni ad
ampie fasce di popolazione, non vengono avvertiti fino in fondo come espressioni del disagio
sociale. I sociologi riconducono questa peculiarità alla trasformazione dei concetti di rischio,
esclusione e povertà.
Mentre fino agli settanta ottanta i fenomeni di patologia sociale erano circoscritti a determinati e
particolari connotazioni di rischio (famiglie con storie croniche di analfabetismo, dipendenza
dall‟aiuto statale, continuità intergenerazionale della devianza, residenza in quartieri-ghetto,
ecc..), attualmente sono enucleabili delle situazioni di disagio che colpiscono la maggioranza e
non la minoranza della popolazione
12
.
I soggetti che vivono questa forma di debolezza non legata necessariamente a handicap e/o deficit
personali, sono il prodotto delle nuove esigenze della iper-competitività accompagnata dalla
riduzione di sicurezze lavorative e posti di lavoro che li rendono “inutili” e non
“immediatamente” funzionali allo sviluppo economico del sistema
13
.
Nel nostro paese ci sono oltre nove milioni di persone che vivono in condizioni di povertà, senza
contare le situazioni di nuove marginalità che comprendono fenomeni di disagio sociale quali la
tossicodipendenza, la ghettizzazione dello straniero e dell‟anziano, la devianza di giovani e non,
caratterizzati da problematiche psicotiche.
La presenza di una maggioranza patologica è, in un certo senso, rassicurante per tutti i soggetti
protagonisti. Si tratta di una forma di razionalizzazione del tipo “mal comune mezzo gaudio”,
che impedisce ai soggetti di vivere la loro condizione in termini negativi, ma che porta a vivere
il proprio status passivamente. Anche le istituzioni pubbliche tendono a considerare determinati
fenomeni come cronici, come appartenenti al modus vivendi corrente, quindi, come
difficilmente affrontabili in termini di politiche pubbliche generalizzate.
Nella nostra realtà sociale, la condizione descritta come “malessere” deriva dalla struttura e dalla
dinamica della società in cui ha luogo, ogni tentativo di sconfiggere il malessere agendo su
fattori interni , cioè su ciò che le persone coinvolte dovrebbero o potrebbero fare, senza
considerare la globalità dei fattori sociali in cui si sviluppa, non può portare ad alcun risultato.
I due fattori esterni principali del malessere sono: il cambiamento del sistema sociale sotto
l‟impatto della società dei consumi ed il mutamento delle condizioni di vita nelle città a causa
12
Caritas Italiana Fondazione E. Zancan (2004), Vuoti a perdere – Rapporto su esclusione sociale e cittadinanza
incompiuta, Milano, Feltrinelli, p. 11
13
Pubblicazione promossa dalla Provincia di Bologna – Settore Servizi alla Persona e alla Comunità, (2007), Progetto
attori, Bologna, Aster.
8
della globalizzazione.
14
La società dei consumatori aspira alla gratificazione dei desideri più di qualsiasi altro tipo di
società del passato, ma tale tipo di gratificazione deve rimanere una promessa per generare altro
desiderio di consumo.
Tale meccanismo si fonda su una dimensione di insoddisfazione permanente, alimentata da varie
strategie di mercato, tra cui denigrare la merce appena messa sul mercato dopo averla promessa
come la migliore possibile o riuscire a trasformare il desiderio in esigenza compulsiva e in
dipendenza, come dimostra il bisogno di fare shopping per trovare sollievo contro l‟angoscia e il
dolore.
Oltre alle frustrazioni che l‟attuale società innesca, esistono delle regole del gioco del mercato
che altro non fanno che aumentare inesorabilmente il divario tra chi partecipa al gioco e chi ne
resta escluso e coloro che ne restano fuori, rimangono anche privi di una qualsiasi funzione che
possa apparire, se non indispensabile, almeno “utile” all‟interno di un sistema economico
flessibile e in continuo divenire.
Questa categoria di individui che delude le aspettative di coloro che gli chiedono di essere
potenziali produttori, non risponde neppure alla richiesta di essere consumatori economici, in
una sistema sociale in cui i consumatori sono rappresentanti come motore dello sviluppo
economico
15
.
La cultura di oggi è fatta di offerte e non di norme, di nuovi bisogni, desideri ed esigenze e non
di regolamentazione e coercizione. È una società di consumatori e anche la cultura, come tutto il
resto del mondo visto e vissuto dai consumatori, diventa un emporio di prodotti destinati al
consumo
16
.
La conseguenza sociale di questo “malessere sociale” generalizzato, condiviso ed emergente
comporta una proliferazione strutturale di insicurezze, ansie, paure, paradossi, rischi a cui ampi
strati di popolazione sono sottoposti e che incidono sulla loro quotidianità, per cui è logico
aspettarsi la crescita di una serie di malesseri e patologie di origine sociale che tuttavia si
manifestano prevalentemente in termini individuali o interpersonali
17
.
14
Z. Bauman (2007), Homo consumens, Trento, Erickson, p. 53
15
Z. Bauman (2007), Homo consumens, Trento, Erickson, pp. 53-54.
16
Z. Bauman (2009), Capitalismo parassitario, Roma – Bari, Gius Laterza & Figli, p. 31.
17
M.Ingrosso (2008), Senza benessere sociale. Nuovi rischi e attesa di qulaità della vita nell’era planetaria, Milano,
Franco Angeli, p.23
9
Quando il mercato globale diventa il riferimento che detta le condizioni di vita di tutti gli
individui, la capacità di posizionarsi e muoversi sul mercato del lavoro e quella di riempire la vita
di beni, consumi, esperienze costituiscono gli elementi basilari e comuni che definiscono le
condizioni di vita delle persone.
Cito l‟autore de “Senza benessere sociale”, Marco Ingrosso, nell‟osservazione e nell‟esame di
due indicatori: il Prodotto Interno Lordo, valore complessivo di beni e servizi prodotti
all‟interno di un paese, e l‟Indice di Salute Mentale, che si rifà alle risorse disponibili in un
paese in educazione, salute, sicurezza, in realizzazione professionale e cultura, sottolineandone il
rapporto inversamente proporzionale che sta emergendo negli ultimi anni.
Mentre negli anni precedenti i due indicatori procedevano parallelamente, per cui all‟aumentare
della ricchezza del paese, aumentava la qualità della vita, negli ultimi dieci anni la forbice si è
invertita: il Pil è raddoppiato e l‟Iss si è dimezzato
18
.
Anche il rapporto CENSIS sulla situazione sociale del paese sottolinea in particolare, la
contrapposizione tra crescita continua del benessere ed aumento dei livelli e delle forme di
disagio.
L‟analisi dei dati rilevati a partire da fattori materiali e immateriali riferiti a diversi ambiti della
vita sociale, evidenzia che negli ultimi trent‟anni il livello di benessere del paese è quasi
quadruplicato. Contemporaneamente, però, si registra un parallelo aumento del disagio sociale,
misurato attraverso dati occupazionali, sanitari, economici e di convivenza civile
19
.
I processi relativi al disagio ed al benessere mettono in luce una mancata coerenza tra domanda e
offerta, tra evoluzione sociale ed evoluzione delle politiche sociali, con un restringimento dei
livelli strutturali e di spesa da parte dell‟offerta.
Sul fronte della domanda i livelli sono sempre più sofisticati e diversi, dettati dalla nascita di
bisogni di tipo immateriali e psichici, mentre sul fronte dell‟offerta, si registra una crescente
contrazione dell‟intervento pubblico
20
.
Le realtà della povertà appare molto eterogenea: comprende infatti situazioni di vera e propria
indigenza e situazioni di “non povertà”, di povertà soggettiva, non strettamente legata a fattori
economici.
18
L. Callegari (2010), Aziende solidali e lavoratori disabili. Quando le strutture organizzative sono prossime alle
persone, Bologna, A.I.L.e S., p. 13
19
L. Callegari (2010), Aziende solidali e lavoratori disabili .Quando le strutture organizzative sono prossime alle
persone, Bologna, A.I.L.e S., p. 19.
20
J. Habermas (2008), L’inclusione dell’altro, Milano, Feltrinelli, p. 78.