1.1.2. Analisi di format definiti
La ricerca verrà indirizzata in particolare su un modello o “format” di
programma, individuando un numero determinato di trasmissioni afferenti al
modello stesso. Il modello prescelto è quello che fa riferimento al genere
“fiction”. In particolare, verranno scelti un numero stabilito di programmi
trasmessi dalla RAI e altrettanti trasmessi da MEDIASET. A completamento
della nostra ricerca verranno analizzati, a titolo di paragone, anche alcuni
programmi appartenenti ad altri generi.
1.1.3. Altri generi televisivi
Come detto, la ricerca prenderà in considerazione anche altri generi televisivi
e tra questi l’intrattenimento e lo sport; per questo genere si concentrerà
l’attenzione su di un evento che sembrerebbe avere rappresentato una sorta
di “piccolo spartiacque” nella programmazione televisiva che veda impegnate
persone con disabilità: le Paralimpiadi Invernali di Torino 2006. Di questa
manifestazione verranno analizzati tempi e modi di programmazione ed
eventuali elementi innovativi.
1.2. IL DISABILE IN TELEVISIONE:
MODALITÀ DI RAPPRESENTAZIONE
1.2.1. Disabile in televisione: rifiutato, ignorato o strumentalizzato?
La televisione, mezzo di comunicazione di massa per eccellenza del XX°
secolo e medium ancora potente nel XXI°, nella sua programmazione ha
consentito e consente la “rappresentazione” della figura del disabile? E se sì,
come? Quanto si discosta l’eventuale rappresentazione del disabile dai
canoni propri degli altri soggetti rappresentati in televisione? Quanto rientra
invece nelle 3 tipologie che spesso contraddistinguono il rapporto della
2
società nei confronti del disabile (e, in genere, del “diverso” appartenente a
una minoranza etnica o sociale), ovvero: “rifiuto”–“indifferenza”–
1
“strumentalizzazione”? Se le rappresentazioni attraverso i mezzi di
comunicazione di massa e attraverso le varie forme artistiche sono lo
specchio della società, quale società si è rispecchiata nella televisione negli
anni che sono seguiti a quelli dell’ “infanzia” di questo mezzo di
comunicazione?
È noto che il rapporto fra televisione e disabilità è risultato storicamente
limitato da preclusioni e confini ben precisi, che si traducevano nella
tendenza a relegare “le differenze” in ruoli e ambiti circoscritti. Era la
televisione a non “rappresentare” adeguatamente il disabile, o era la società
ad escluderlo da ogni possibilità di integrazione e quindi di rappresentazione?
E quanto la televisione moderna è diversa da quegli eventuali “vizi di forma”?
L’elenco precedente sembrerebbe un susseguirsi di domande retoriche, in
quanto anche ad una rapida visione dei programmi televisivi degli ultimi
vent’anni, l’impressione che ne verrebbe rimandata sarebbe probabilmente
quella di una figura, quella del disabile in televisione, passata attraverso fasi
diverse. Ma per l’appunto: quali fasi e quanto diverse tra loro? E qual è la
fase che stiamo vivendo ora? Si tratta della migliore possibile? Cercheremo
di concretizzare elementi per valutare questo problema, con tutti i temi ad
esso connessi, attraverso la nostra ricerca.
1.2.2. Significato del concetto di “rappresentazione”
Per poter giudicare con sufficiente realismo l’efficacia della rappresentazione
in televisione di una figura come quella del disabile, occorre a questo punto
1
Considerazioni personali dell’autore basate sull’analisi delle fonti utilizzate (vedi: Besio S., Roncarolo F.
(a cura di), L’handicap dei media, Eri, Rai, Torino, 1996; Censis, “Media e disabili - l’immagine della
disabilità in tv”, in Note & Commenti, anno XL, n. 3, marzo 2004, pp. 1-29).
3
innanzitutto definire cosa intendiamo per “rappresentazione” in questo
contesto. Secondo il dizionario De Agostini della lingua italiana, per
“rappresentazione” si intende una “descrizione, illustrazione, raffigurazione”
e inoltre uno “spettacolo, teatrale o cinematografico, presentato al
pubblico”. Naturalmente quest’ultima definizione si adatta compiutamente
anche allo spettacolo diffuso attraverso il mezzo televisivo. Dunque la
rappresentazione non è altro che una “descrizione, una raffigurazione” di
qualcosa o qualcuno per scopi molteplici, tra i quali può esservi anche lo
spettacolo. Risulta pertanto evidente che il significato o l’essenza di questo
“qualcosa o qualcuno” risulterà tanto più fruibile quanto più fedele
all’originale risulterà la sua descrizione. In altre parole, quanto più “la copia”
risulterà sovrapponibile al “modello”, tanto più si avrà una rappresentazione
efficace. Questo da un punto di vista meramente oggettivo. Ovviamente,
non essendo misurabile in maniera strumentale il grado di rappresentazione
dell’elemento trattato in questo ambito, esso rimarrà soggetto a una serie di
fattori, che a seconda dei casi potranno orientarsi in chiave psicologica,
sociologica, estetica, emotiva ecc. Particolare importanza assumerà di
conseguenza l’interpretazione che verrà assegnata al concetto di
rappresentazione da ognuna delle parti chiamate in causa nella sua
produzione: l’autore, il pubblico, il soggetto rappresentato; ovvero, nel
nostro caso: il binomio regista-produttori, l’opinione pubblica, il disabile
(preso singolarmente o come associazione di categoria e quindi movimento
di opinione). Volendo assumere una posizione quanto più possibile neutra,
riportiamo le considerazioni svolte in merito al concetto di rappresentazione
2
da un teorico del cinema, Richard Dyer, che assegna alla rappresentazione 4
possibili significati: 1) rappresentazione come “ri-presentazione” del nostro
2
Harnett A., Escaping the 'Evil Avenger' and the 'Supercrip': Images of Disability in Popular Television,
in Irish Communications Review, Vol 8, 2000, p. 26
4
mondo a noi stessi; 2) rappresentazione come “essere rappresentativi di un
qualcosa o di una tipicità”; 3) rappresentazione come “discorso portato
avanti al posto di qualcuno”; 4) rappresentazione come “percezione
dell’immagine trasmessa” da parte di chi guarda la televisione (traduzione
nostra). Queste considerazioni, svolte da Dyer in senso assoluto, assumono
particolare rilevanza in caso di minoranze normalmente considerate come
sottorappresentate in televisione o in altro contesto assimilabile. Volendo
riferire queste considerazioni alla rappresentazione della disabilità in
televisione, possiamo sviluppare il seguente parallelismo: 1) la “ri-
presentazione” non avviene mai in maniera testuale: “la rappresentazione
presuppone che ci sia un mondo reale, ma che la nostra percezione di esso
sia sempre mediata dalla selezione, enfasi e uso fatti dalla televisione degli
3
strumenti tecnici/estetici utilizzati per riproporre quel mondo a noi”
(traduzione nostra). Esaminando questo primo assunto nei riguardi della
disabilità, possiamo notare come spesso l’enfasi messa nel ritratto del
disabile in tv sia indirizzata maggiormente sulla sua disabilità, piuttosto che
sulla personalità del personaggio; 2) In quale misura i ritratti di soggetti
appartenenti a gruppi sociali definiti (es.: donne, gay, disabili) sono
rappresentativi di come quei gruppi manifestano se stessi nella società? Dyer
sostiene che non possiamo comunicare l’individualità o l’unicità, ma
dobbiamo confrontarci sempre con la “tipicità”. Ne consegue che non tutti
gli stereotipi sono da considerarsi denigratori. 3) Di fronte alle immagini
televisive lo spettatore non deve essere costantemente costretto a
chiedersi “Chi sta parlando qui?”: troppo spesso i protagonisti di un discorso,
argomento o immagini vengono sostituiti da mediatori non richiesti; questo,
secondo Dyer riguarda principalmente i gruppi al di fuori della corrente
3
Dyer R., White, in Screen, vol. 29, n. 4, 1988, pp. 44-65
5
principale dell’informazione (il cosiddetto “mainstream”, termine con il quale
si identifica “una corrente conosciuta dalle masse”, di “tendenza”. È usato in
genere nelle arti, come la musica, il cinema, la letteratura e in molti altri
campi culturali). La televisione spesso parla “in nostra vece”, invece di
lasciare parlare noi stessi di noi e dei nostri problemi. E storicamente, anche
gettando lo sguardo all’esempio del cinema, si può rilevare come siano stati
registi, sceneggiatori o attori normodotati a dare corpo alle istanze delle
persone disabili. 4) Come viene interpretata l’immagine trasmessa, da chi sta
guardando la tv? Questa interpretazione non corrisponde sempre al
significato “ideale” o a quello voluto dagli artefici dell’immagine trasmessa.
L’esperienza riportata da diversi disabili-spettatori evidenzia come spesso il
più benintenzionato dei messaggi, studiato e trasmesso cercando di rendere
in maniera corretta la disabilità nella sua “normalità” o nella sua
“complessità”, non venga percepito come tale da chi vive il problema sulla
propria pelle.
1.3. UN POSSIBILE SCHEMA EVOLUTIVO
1.3.1. Disabilità in televisione: alcuni capisaldi
Al fine di analizzare i cambiamenti intervenuti negli ultimi vent’anni nella
rappresentazione del disabile in televisione, ci sembra utile riportare a questo
punto la descrizione di alcuni personaggi o accadimenti significativi, che
hanno preparato il cambiamento che sarebbe intervenuto in seguito o che,
successivamente, hanno rafforzato il processo in atto, rappresentando dei
punti di svolta nel rapporto della figura del disabile con il mezzo televisivo e
4
con la ribalta da esso simboleggiata.
4
Considerazioni dell’autore basate su informazioni reperite in tempi diversi attraverso fonti provenienti
da stampa, radio, televisione e internet.
6
1) 1961 - Luciano Tajoli al festival di Sanremo.
Il cantante milanese, claudicante a causa della poliomielite che lo aveva
colpito da piccolo, fu negli anni cinquanta uno dei più amati interpreti del
genere melodico sentimentale, proponendo il suo repertorio romantico anche
ai microfoni della radio in programmi di successo. In questo periodo, però,
con l'avvento della televisione, la RAI ed il Festival di Sanremo gli chiusero le
porte, per non farlo apparire, a causa del suo "essere poco telegenico".
Tuttavia, una volta superato questo scoglio, nel 1961 Tajoli vinse il Festival
di Sanremo con “Al di là”, pezzo melodico firmato da Mogol e Donida e
5
cantato in coppia con Betty Curtis. Mentre cantava, Luciano Tajoli a causa
della sua disabilità, doveva reggersi o appoggiarsi a qualcosa, ma il suo
bastone, sinonimo di malattia, veniva sistematicamente ignorato dalle
inquadrature televisive (anche durante la vittoriosa interpretazione al
Festival di Sanremo) o addirittura sostituito; come le registrazioni video delle
esibizioni di Tajoli tra gli anni ottanta e gli anni novanta dimostrano, il
cantante durante la sua performance si reggeva ad una sedia di legno
6
imbottita e ricoperta di stoffa gialla. Cionondimeno, la sua partecipazione e
la vittoria al Festival di Sanremo, uno dei primi e più seguiti spettacoli
televisivi (il primo collegamento televisivo con il Teatro Ariston è del 1955),
rappresentò uno dei passi iniziali sulla strada della conquista della visibilità
per la figura del disabile nella televisione italiana.
2) Anni ‘60/1987 – Enzo Aprea dentro e fuori la Rai.
Enzo Aprea, nato a Pola nel 1932 ma cresciuto e formatosi a Torre del
Greco, fu giornalista di razza, prima per la BBC e quindi per la Rai, per la
quale divenne inviato speciale, occupandosi con passione e competenza di
problemi sociali. Nel 1976 venne colpito da una rara e terribile malattia, il
5
Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Tajoli
6
Ibidem.
7
morbo di Buerger, che progressivamente lo portò a dover subire
l’amputazione delle gambe e delle braccia. Non si lasciò abbattere dalla
malattia e anzi divenne un portavoce delle battaglie per l’integrazione dei
portatori di handicap e delle lotte contro la discriminazione, che subì lui
7
stesso in prima persona ad opera della Rai, che lo licenziò nel 1987.
Evidentemente le sue apparizioni in video durante il suo personale e doloroso
calvario, con le progressive amputazioni degli arti, offendevano la presunta
sensibilità di qualcuno, più probabilmente schierato tra i dirigenti Rai
piuttosto che tra il pubblico. Eppure le sue partecipazioni a trasmissioni quali
Tg2 “Come noi” condotta da Gianni Vasino (prima e forse unica trasmissione
inserita in un Tg che si sia occupata dei problemi dei disabili) oppure, sul
versante Mediaset, al Maurizio Costanzo Show, hanno lasciato il segno e lo
hanno visto continuare a denunciare con forza i molti problemi dei portatori
di handicap. Suoi, nel lungo periodo che lo ha visto lavorare in Rai, sono
anche lavori come l’inchiesta televisiva “Una protesi non basta” e il
documentario “Il sole dentro” trasmesso da Tg2 Dossier il 24.12.1982 che,
a fronte di passaggi televisivi in giorni e orari disagiati, totalizzarono dati di
ascolto degni di nota (<La mia inchiesta televisiva intitolata “Una protesi non
basta” venne mandata in onda il 14 agosto alle 11 di sera, proprio per non
8
farlo vedere e invece abbiamo avuto quasi 7 milioni di spettatori>),
cominciando un’opera di sensibilizzazione importante nei confronti del
pubblico. Questo materiale peraltro, risulta oggi praticamente introvabile.
3) 1989 – Pierangelo Bertoli nello spot contro le barriere architettoniche.
Non vogliamo certo ridurre la figura del cantautore modenese, che a causa della
poliomielite fin da ragazzo si spostava con l’ausilio di una carrozzina, alla sola
7
Note biografiche tratte dalla rivista inform@ndo, “Villa Macrina: inaugurata la biblioteca Aprea”, anno
II, ottobre 2005, p. 5.
8
R a b b i N . ( a c u r a d i ) , L’emozione giusta, in Archivio HP n. 0, 1991. In Internet, URL:
http://www.mangoni.net/cdh-bo/informazione/hp/archivio/libro.asp?ID=407
8
interpretazione del famoso spot interpretato per la campagna di Pubblicità
Progresso contro le barriere architettoniche. Pierangelo Bertoli fu certamente
molto altro ancora, il suo impegno sociale e le sue canzoni di aperta denuncia
(in carriera ne scrisse ed incise più di 200) sono ancora un punto di riferimento
non solo nel mondo dell’handicap; non a caso, pochi anni dopo l’interpretazione
di quello spot, per il quale vinse anche un “Telegatto”, sorta di oscar televisivo,
Bertoli riuscì ad ottenere di partecipare al Festival di Sanremo (1991),
infrangendo molti di quei tabù che avevano agito all’epoca di Luciano Tajoli e
portando in primo piano un ausilio, la carrozzina, ben più evidente di un
semplice bastone. E ottenendo anche un buon successo, insieme al gruppo dei
9
Tazenda. Ma nell’immaginario collettivo lo spot di Pubblicità Progresso resta
impresso con maggiore peso e persistenza, in quanto il protagonista, un
disabile che si trova casualmente sul luogo di un incidente stradale e si attiva
per cercare di chiamare i soccorsi telefonicamente, ma viene impedito a causa
della inacessibilità dell’unica cabina telefonica presente nelle vicinanze (in
un’epoca ancora “povera” di cellulari), è portatore di un messaggio dirompente:
e cioè che le persone con disabilità oltre a essere fruitori di aiuto, l’aiuto
possono anche portarlo ad altri, se messi nelle condizioni per poterlo fare.
Anticipando di fatto l’enunciazione di uno dei punti fondativi di quella Cultura
dell’handicap che cominciava allora a formarsi e facendo in definitiva passare in
secondo piano anche la più tradizionale, e anzi storica, battaglia per
l’abbattimento delle barriere architettoniche.
4) 1994 - Aleandro Baldi e Andrea Bocelli al Festival di Sanremo.
Ancora cantanti e ancora il Festival della canzone italiana a fare da ribalta
televisiva. L’edizione è quella del 1994, che passerà alla storia per essere stata
vinta in entrambe le categorie, Campioni e Nuove Proposte, da altrettanti
9
Cfr. http://www.bielle.org/Pages/bertoli.htm
9
cantanti non vedenti. E se Aleandro Baldi va su tutte le furie quando giornali e
colleghi insinuano che la vittoria sia andata a lui in quanto non vedente, per
Bocelli l’apparizione televisiva e la vittoria tra le Nuove Proposte rappresentano
il trampolino di lancio verso il successo. Successo clamoroso e non solo a
Sanremo ma anche in hit-parade per il cantante, prodotto da Caterina Caselli,
che in pochi anni diventerà forse il più conosciuto interprete italiano nel
10
mondo. Ma è curioso notare come la disabilità dei due cantanti, che a
differenza del bastone di Tajoli, ma esattamente come la carrozzina di Bertoli,
non può essere dissimulata, crei polemiche, a metà degli anni ’90, non in
quanto possibile ostacolo ma addirittura come possibile “aiuto” all’esibizione e
all’affermazione dei due artisti con disabilità. Secondo alcuni giornalisti, ad
esempio, le giurie sarebbero state prese da un eccesso di pietismo,
prontamente sfruttato dal “voyeurismo” della televisione. Dinamiche
sicuramente condannabili se rispondenti al vero, ma in ogni caso distanti anni
luce dall’ostracismo televisivo dei tempi di Luciano Tajoli. E che almeno i
problemi legati alla vista, se non quelli connessi all’handicap “tout-court”, non
ostacolino la presenza in televisione (soprattutto sopra un palcoscenico) verrà
ribadito pochi anni più tardi, nel 1998, quando a vincere il Festival, imponendosi
nella stessa edizione prima tra le Nuove Proposte e poi anche nella classifica
assoluta, sarà Annalisa Minetti affetta da retinite pigmentosa, patologia che le
consente di vedere soltanto ombre.
5) 2000 - Papa Wojtyla al Giubileo dei disabili.
Non sembri fuori luogo l’accostamento della figura di Giovanni Paolo II alle
persone con disabilità che hanno lasciato traccia nella storia della televisione
italiana. Certo il Papa di Cracovia ha lasciato segni indelebili con innumerevoli
gesti e iniziative dirompenti, con viaggi, discorsi e presenze mediatiche per
10
Cfr. http://realityshow.blogosfere.it/2008/02/sanremobaudo-story-1994-vincono-aleandro-baldi-e-
andrea-bocelli-polemiche-sul-loro-successo-e-sugli.html
10
l’intera durata del suo pontificato. Ma proprio per questo ci sembra da
sottolineare l’importanza della sua presenza in questa specifica occasione. Nel
2000 Karol Wojtyla era già visibilmente segnato dalla malattia: il morbo di
Parkinson gli sarebbe stato ufficialmente diagnosticato solo l’anno successivo
ma già ne condizionava pesantemente i movimenti e la morte, sopraggiunta
dopo un cammino di grande e coraggiosa sofferenza, sarebbe arrivata di lì a
cinque anni (2 aprile 2005). Ebbene, il Papa che si mostra sofferente con
grande dignità e nessuna vergogna accogliendo, “disabile tra i disabili”, altri
uomini abituati a convivere e a confrontarsi con l’handicap, rappresenta un
“segnale forte” mostrato al mondo. E il fatto che il messaggio sia trasmesso in
mondovisione non sminuisce la circostanza che le riprese, e quindi l’evento,
siano effettuate e trasmesse dalla televisione italiana, nel caso specifico la Rai.
6) 2001 – Antonella Ferrari tra gli interpreti di Centovetrine.
L’attrice, affetta da sclerosi multipla, debutta nella soap opera italiana in
onda su Canale 5 ed è probabilmente il primo caso di “personaggio disabile
interpretato da attore disabile” nella televisione italiana. Antonella Ferrari,
che in seguito, nel 2002, reciterà anche in un episodio della popolare serie
Carabinieri, utilizza come “demo” da mandare ai produttori il video del
“corto” con il quale ha partecipato con risultati lusinghieri al festival cinema-
handicap di Bruxelles, senza fare menzione della sua disabilità e venendo
giudicata e scritturata per le sue capacità artistiche. E così riesce a ottenere
11
la parte che la vedrà impegnata in Centovetrine. In scena interpreta un
personaggio creato apposta per lei, Lorenza Giraldi, insegnante di recitazione
e disabile, per consentirle di recitare muovendosi con le sue stampelle. In
concomitanza con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute ha dovuto
allontanarsi dalla serie e in queste occasioni ha ricevuto attestati di stima da
11
Cfr. http://www.antonellaferrari.it/biografia.htm
11
parte di numerosi fans che ne reclamavano il ritorno, segno che la sua
12
presenza in tv “ha bucato lo schermo”, come si dice in gergo.
7) 2002 - Valentina Locchi a Sarabanda.
La ragazza, 18 anni compiuti da pochi mesi all’epoca della sua partecipazione al
quiz e non vedente dalla nascita, diviene famosa partecipando al programma
Sarabanda, trasmesso da Italia 1, fino ad aggiudicarsi il montepremi finale di
oltre 320.000 euro, indovinando grazie alla sua memoria non comune tutte e
sette le domande finali nei prescritti trenta secondi. La sua simpatia e carica
umana, oltre che la sua bravura, contribuiscono non poco alle fortune del
programma condotto da Enrico Papi, che ha fortemente voluto Valentina in
trasmissione nonostante le perplessità iniziali degli organizzatori della stessa.
Valentina, figlia del sindaco di Perugia, diviene un personaggio di cui si parla, e
resta tale fino al termine della sua partecipazione a Sarabanda, che avviene con
un autentico “coup de théâtre” degno della sua bravura e del seguito che ha
presso il pubblico: cioè decidendo di non fornire la risposta decisiva (pur
conoscendola) e auto-escludendosi, in pratica, dal programma. Motivo: la
stanchezza e la voglia di interrompere lo stress e tornare agli studi, come
dichiarato precedentemente ai familiari e al conduttore. Sul punteggio di sei a
sei con l'altro concorrente Valentina dunque, pur conoscendo la risposta,
rinuncia a premere il pulsante. Con la sua capacità di conquistarsi la scena con
le sue sole doti e di uscirne volontariamente per rientrare nella “normalità”, si
conferma un autentico, piccolo fenomeno nell’ambito della televisione e un
grande passo sul cammino della corretta rappresentazione delle persone
disabili, riuscendo a “dribblare” anche le insidie legate alla spettacolarizzazione,
13
che un programma come Sarabanda per sua natura era portato a creare.
12
Forno L., Se permettete ci sono anch’io, in Vincere, aprile 2004. In Internet, Url:
http://www.vinceremese.it/aprile2004/copertina.asp
13
Cfr. http://www.repubblica.it/online/spettacoli/scotti/valeperde/valeperde.html
12