L‟organizzazione interna del P.e : i gruppi e lo status del parlamentare
Capitolo 1 Introduzione:
il concetto di parlamento secondo la visione storica,
filosofica e giuridica
1.1 Nomen iuris “Parlamento”
“La prima condizione perché un ordine politico sia stabile è la messa a punto delle
parole: le cose devono essere chiamate per quello che sono, non per quello che non
sono” . Da questa famosa massima di Confucio comprendiamo il valore non solo
formale, ma soprattutto ontologico dei termini in generale ed in particolare,
nell‟economia del nostro discorso, delle componenti di un sistema politico
istituzionale. I termini infatti rappresentano il predicato di processi storici, di
evoluzione di costumi e di acquisizioni scientifiche ed esprimono talora valori
1
simbolici, percepibili solo all‟interno di un determinato contesto etologico. Si
ricorda inoltre che le istituzioni umane non esistono veramente se non quando hanno
2
ricevuto un nome. Ragionando a contrario, le istituzioni che hanno ricevuto un
nome, esistono realmente e sono identificabili attraverso le proprie denominazioni. In
quest‟ottica la massima “nomina sunt consequentia rerum”, può essere rovesciata,
1
G. Scaccia, Il Parlamento nazionale. Sunt nomina consequrntia rerum?”, tratto dalla sez. dibattiti del
sito dell‟Associazione Italiana dei Costituzionalisti ,.
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nel senso che il nome non deriva solo da un processo storico, ma può esserne
anticipatore, assumendo dunque un significato finalistico, come è successo nel caso
del Parlamento europeo, in cui, l‟attribuzione all‟istituzione assembleare di tale
nome, ha giocato un importante ruolo evolutivo, come si vedrà nel corso di questo
lavoro.
Nel campo del diritto l‟attribuzione di un nomen, e quindi il nomen iuris ha
un‟importanza fondamentale, in quanto lo stesso si porta dietro non solo il significato
lessicale, ma anche tutto il contenuto che la sua storia e l‟elaborazione filosofica ha
prodotto intorno ad esso.
Per quanto riguarda il nome “Parlamento”, tale principio è stato stabilito dalla stessa
Corte Costituzionale italiana che si è preoccupata di delimitare il nomen
3
“parlamento” in alcune sentenze, nelle quali si sostiene, come osservato dalla
dottrina successiva, che “la questione della denominazione non è di carattere
meramente terminologico e formale , ma assume un significato oltre il dato
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testuale”. Pertanto il nome diviene portatore di “valori costituzionali”, quali la
democrazia, la rappresentanza e la sovranità nazionale. Il giudice costituzionale
innanzitutto ha sostenuto che il legame parlamento - sovranità popolare costituisce
un portato di principi democratici rappresentativi, ma non è da considerarsi quale
relazione di identità. Successivamente la Corte ha affermato che la peculiare forza
2
.A .Marongiu, Il parlamento in Italia nel medioevo e nell’età moderna, Milano, 1962, pa.69 e segg.
3
Le più recenti sono la sent. n.106/2002 e la n. 306/2002
4
B. Di Giacomo, L’esclusività del nomen iuris parlamento, alla luce delle sentenze della Corte
Costituzionale n. 106 e 306/2002, tratto dal Forum del sito di “ Quaderni Costituzionali”.
5
P. Barile ed altri autori, “La Costituzione italiana, i principi-la realtà” , F. Angeli, Milano, 1977,
pag. 3 e segg.
5
L‟organizzazione interna del P.e : i gruppi e lo status del parlamentare
connotativa del termine “parlamento” impedisce ogni sua declinazione, intesa a
circoscrivere in ambiti più ristretti quella funzione di rappresentanza nazionale, che
solo il Parlamento può esprimere e che è ineluttabilmente evocata dal relativo nomen.
Per capire l‟importanza del nomen iuris “parlamento” bisogna rifarsi pertanto
all‟argomento sistematico, cioè analizzare la portata del concetto, secondo le
osservazioni storiche e filosofiche e solo successivamente si dovrà considerare
l‟argomento lessicale, cioè le definizioni che l‟ordinamento giuridico attribuisce alle
istituzioni. Pertanto anche questo primo capitolo seguirà tale ordine espositivo.
1.2 Evoluzione storica del Parlamento
“Parlamento” è un termine che risale alla fine dell‟alto medioevo e designò
inizialmente la riunione di più persone che trattavano pubblici affari. Il nome subì
però vari significati sia nel Medioevo che nell‟età moderna. Generalmente nel
medioevo, fin dal sec. XIII, designò le assemblee di baroni, del clero ed anche le
assemblee generali del popolo dei comuni italiani. Si trattava di organismi che erano
dotati di una precisa configurazione, in quanto avevano la funzione di coadiuvare gli
organi di governo, il sovrano o i reggenti del comune, nell‟espletamento delle loro
funzioni legislative, amministrative o giudiziarie. Il termine quindi comprendeva una
pluralità di istituzioni notevolmente differenti tra loro, ma caratterizzate da
un‟origine genericamente comune, rappresentata da una pluralità di individui,
chiamati nel loro insieme, a contribuire alle varie attività. Su queste basi, in alcuni
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L‟organizzazione interna del P.e : i gruppi e lo status del parlamentare
casi, si svilupparono organismi di carattere rappresentativo, dotati di larga
competenza e di ampio potere in molti settori della vita civile e politica, in altri si
assistette all‟evoluzione verso assemblee rappresentative aventi rilievo più
propriamente pubblicistico, in altri ancora si andarono consolidando corpi collegiali
con funzioni esclusivamente o prevalentemente giudiziarie.
La loro tipologia quindi era molto varia e complessa e mutava secondo i tempi ed i
luoghi. In Italia, per esempio, durante gli ultimi secoli del Medioevo, in molte
località si assistette alla trasformazione delle assemblee cittadine feudali ( composte
da esponenti della bassa feudalità e da liberi concessionari di terre o proprietari di
immobili, divisi nelle due classi dei milites e pedites), in veri e propri organismi
politici, le cui competenze crebbero con lo sviluppo delle autonomie comunali.
L‟imposizione dei tributi, la pace e la guerra, le modifiche territoriali, i mutamenti
degli statuti fondamentali del Comune divennero così le principali competenze
assunte da ciascuna assemblea cittadina, chiamata Parlamentum, Arengum, Concio,
Colloquium, ecc., che si riuniva periodicamente o per particolari circostanze
eccezionali in località (arena, brolo, broletto, ecc.), quasi sempre vicino alla
Cattedrale. Più tardi però, con l‟affrancamento delle ultime classi servili, la crescita
della popolazione urbana e l‟assurgere a ruolo dirigente di nuovi ceti mercantili, per
evitare il caos dei continui e repentini cambiamenti nelle volontà assembleari ed
assicurare una stabilità di governo, si aggiunsero altri organismi, solitamente con il
nome di Maggior Consiglio. Anche se a questi ultimi vennero progressivamente
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trasferiti i principali poteri, i Parlamenti comunali rimasero comunque, formalmente,
gli unici organi sovrani nel Comune.
Quando, per un processo di progressivo allargamento, cominciarono a partecipare a
tali riunioni anche delegati di centri urbani in via di sviluppo e dotati di particolari
privilegi, si verificò, tra il sec.XIII ed il sec.XIV , la loro modifica da organi
prevalentemente di assistenza e di consiglio dell‟attività sovrana ad organi di
controllo e di freno alla stessa, attività che si traduceva essenzialmente nel controllo
dell‟impiego da parte del potere regio dei contributi finanziari. Le assemblee
parlamentari mantennero tale funzione nel corso di tutta l‟età moderna con esito
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diverso da paese a paese, in relazione all‟equilibrio esistente tra potere centrale,
potere periferici e tra quei cittadini, che erano disposti a dare la loro collaborazione
alla realizzazione di ogni programma politico in cambio della garanzia dei propri
privilegi di ceto.
Le moderne istituzioni parlamentari, che si sono costituite dopo la rivoluzione
americana e quella francese, a fine settecento, presentano trasformazioni strutturali
7
di rilievo. Basate sulla sovranità nazionale ed all‟interno di sistemi politici di
costituzioni scritte, i moderni Parlamenti risultano titolari del potere legislativo, al
6
In Inghilterra, per esempio, le assemblee parlamentari indicarono l‟insieme delle camere dei Lords e
dei Comuni, in Francia alcune corti di giustizia che avevano il diritto di registrare gli editti regi.
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Il consenso dei governanti e l‟uguaglianza politica di tutti i cittadini, quale unico fondamento dei
governi, vennero per la prima volta solennemente proclamati nella “Dichiarazione dei diritti
dell‟uomo” (1774), ispirata alle teorie contrattualistiche, durante la rivoluzione americana. Da allora
Parlamento e libertà politiche divennero un binomio inscindibile ed i Parlamenti furono i depositari
della rappresentanza e garanti dei diritti naturali e politici inviolabili di ogni singolo cittadino.
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cui specifico esercizio si connette una più ampia funzione di carattere politico. Tali
istituzioni parlamentari non sono più le assemblee di stati di un tempo, rappresentanti
cioè ciascuna di un gruppo, di una categoria di sudditi, che godevano di situazioni
giuridiche privilegiate, ma sono espressione di una società potenzialmente di uguali,
in cui al criterio cetuale si è sostituito nel sec. XIX il criterio della rappresentanza.
Nello stato moderno infatti la rappresentanza abolisce ogni privilegio e
disuguaglianza giuridica e cetuale ed ignora ogni mandato imperativo per
subordinare tutti gli interessi a quelli della collettività.
Il Parlamento, sede della rappresentanza politica, diviene centro del dibattito politico
nel corso del sec.XIX in Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Italia ed in tutti i paesi
europei che in quel periodo hanno instaurato la monarchia costituzional-
rappresentativa, in progressiva evoluzione verso il regime parlamentare, conquista
ormai comune a tutti i paesi europei agli inizi del sec. XX. Nel corso dei secc. XIX e
XX i Parlamenti diventano quindi delle assemblee politiche, depositarie della
sovranità popolare ed esercitano il potere legislativo, determinando l‟indirizzo
politico dello stato.
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In Italia le prime assemblee parlamentari moderne si svilupparono a partire dal 1796, come
conseguenza della Rivoluzione Francese anche nel nostro paese. Si ebbe così nell‟ottobre 1976
l‟Assemblea Costituente nelle città di Modena, Reggio Emilia, Bologna e Ferrara, la quale, tra l‟altro,
adottò il tricolore quale simbolo nazionale.
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1.3 Riflessione filosofica
Elementi costitutivi e caratterizzanti il Parlamento dell‟età contemporanea sono la
sovranità popolare, di cui esso è espressione, il popolo, che ne elegge i
rappresentanti, il principio di democrazia, centrale per un‟istituzione politica fondata
sul presupposto per cui la “sovranità appartiene al popolo”, dalla cui espressione
deriva anche il diritto di cittadinanza ed il diritto di uguaglianza di cui il Parlamento
è garante, in quanto, come si è detto, la rappresentanza politica abolisce ogni
privilegio e disuguaglianza.
La sovranità, intesa come imprescindibile componente giuridica, che afferma
categoricamente l‟indipendenza dello Stato da ogni altro potere, per cui “sovrano”
viene definito il potere supremo, “suprema potestas”, indipendente da autorità
superiori, “superiorem non recognoscens”, è un concetto relativamente moderno e
comunemente si fa risalire alla costruzione dello stato assoluto, fra il XVII ed il
XVIII secolo .
In realtà si può risalire, per le origini della teoria della personalità giuridicamente
sovrana dello stato, alla formula medioevale “rex in regno suo est imperator”, che
9
concentrava nella sola persona del principe la plenitudo potestatis. Sul piano della
teoria politica medievale questo potere sovrano veniva fatto discendere da Dio,
9
E' proprio utilizzando il concetto di imperium, cui veniva attribuita un'autorità dogmatica indiscussa,
che i giuristi medievali cercano di esprimere la plenitudo potestatis dei nuovi monarchi. Il fare del
nuovo princeps una figura sui generis di imperator era in effetti l'unica via per giustificare la
sovranità. Solo nella II metà del cinquecento Jean Bodin pose, con atteggiamento scientificamente
moderno, il problema di definire e di giustificare la sovranità, spostandone i termini fuori dal contesto
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secondo la formulazione di San Paolo, “omnis potestas a Deo”. E‟ proprio
nell‟ambito della scienza teologica e giuridica di quel periodo che cominciava a
prendere forma l‟idea di sovranità popolare, cioè il principio che rimette nelle mani
del popolo sovrano la giustificazione del potere. Ne è testimonianza la frase degli
autori medievali, “auctoritas est a Deo per populum”, già enunciata da Tommaso
D‟Aquino, secondo cui il potere al sovrano deriva da Dio attraverso il popolo,
rendendone necessario il consenso. Da qui poi si attuerà la svolta significativa
attraverso lo spostamento della sovranità da Dio al popolo, ponendo in questo modo
le basi per un‟ interpretazione laica dello Stato. Storicamente le teorie della sovranità
del potere assoluto hanno trovato un limite nel principio della “sovranità popolare”.
Anche ad essa comunque sono stati posti dei limiti positivi, prima, con
Montesquieu, attraverso la divisione dei poteri e poi con l‟organizzazione
costituzionale del potere, attraverso un sistema equilibrato di pesi e contrappesi, per
impedire la prevaricazione di un potere sull‟altro.
Dire che la sovranità appartiene al popolo non è di per sé un‟affermazione completa,
in quanto si deve definire chi è il popolo e si devono definire le procedure attraverso
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le quali anche le minoranze appartengono di fatto alla sovranità. Tocqueville
riconosce il pericolo di una “tirannia della maggioranza”, sia in senso politico, che
sociale, a causa di una omogeneità , che può ledere i diritti delle minoranze e portare
ad una omogeneità culturale che appiattisce la potenzialità dell‟individuo. Solo “in
ideologico medioevale. A riguardo v. anche A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa,
Giuffré, Milano, 1982, pag. 59
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L‟organizzazione interna del P.e : i gruppi e lo status del parlamentare
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senso normativo si può parlare “di unità” , per il filosofo giuridico Hans Kelsen, in
quanto l‟unità del popolo “risulta da un dato giuridico: la sottomissione di tutti i suoi
membri al medesimo ordinamento giuridico statale”, senza riconoscere l‟eterogeneità
dei suoi componenti. Nei sistemi di democrazia rappresentativa il problema del
pluralismo si pone allora nei termini di tutela delle minoranze. Le stesse forme di
elezione dei rappresentanti possono condurre ad una limitazione del popolo che
esercita la sovranità, facendolo coincidere con la maggioranza dei votanti.
Anche se oggi i diritti delle minoranze sono tutelate dalla Costituzione, che fissa una
serie di contenuti di cui il soggetto sovrano non può disporre, di fatto deve essere
potenziata una struttura pluralistica della società, in cui tutti i gruppi contribuiscano
parimenti, in un pluralismo effettivo, alla formazione delle decisioni comuni. Di
conseguenza il concetto di popolo come corpo politico, titolare della sovranità in uno
Stato democratico, va rivisto in base all‟osservazione di chi di fatto partecipa alle
scelte politiche in una democrazia rappresentativa.
Il principio per cui la “sovranità appartiene al popolo” pone perciò la questione più
ampia della democrazia.
Secondo il suo significato etimologico, dal greco demos: popolo, crateo: dominare, il
termine indica le forme di governo che postulano l‟esigenza di un fondamento
popolare del potere politico. Ha conosciuto una lunga evoluzione che ne ha
10
A.Tocqueville, La democrazia in America” in “Scritti politici”, vol .II, a cura di N.Matteucci, Utet,
Torino,1981, pag. 56
11
I fondamenti della democrazia ed altri saggi, Il Mulino, Bologna,1966, pag.19
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L‟organizzazione interna del P.e : i gruppi e lo status del parlamentare
determinato una grande varietà di atteggiamenti a seconda del contesto storico entro
12
il quale si è collocata.
La democrazia si è affermata in Europa tra l‟otto ed il novecento. In quel periodo
infatti la comparsa del pluralismo sociale e quella dei partiti di massa determinarono
una svolta costituzionale decisiva, che segnò l‟affermazione della democrazia. Nel
corso del Novecento essa diede luogo, nei regimi europei occidentali, alla
“democrazia costituzionale”, con la quale viene coniugata sia la dimensione formale
(chi e come decide) con quella sostanziale, in quanto la decisione di maggioranza
avviene nel rispetto dei diritti degli individui e nel rispetto dei principi fissati nella
Costituzione.
Alla teoria costituzionale della democrazia si oppone però la teoria dell‟elitismo
democratico, che, partendo da una visione realistica della realtà, vuole sottolineare il
comportamento oggettivo dei vari soggetti politici. Secondo tale teoria la volontà
politica che si esprime nelle democrazie è il risultato di un compromesso, mentre
nella realtà può accadere che la minoranza numerica domini la maggioranza
13
numerica. Così Joseph Schumpeter nega che nella democrazia il popolo possa
assumere un ruolo centrale, al contrario “il metodo democratico è lo strumento
istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui
ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto
12
Elementi di pensiero democratico furono presenti anche in quella trattatistica medievale che, nel
difendere, contro le pretese teocratiche del papato, i diritti dell‟impero prima e delle monarchie
nazionali poi, formulò una concezione dell‟autorità statale, la cui espressione più matura si trova nel
Defensor Pacis di Marsilio da Padova, che delegava ad essa, da parte del popolo, una sovranità di cui
questo sarebbe stato depositario.
13
In Capitalismo, socialismo, democrazia, Etas, Milano,1977, pag.257
13
L‟organizzazione interna del P.e : i gruppi e lo status del parlamentare
popolare”. Schumpeter arriva ad affermare che le collettività agiscono quasi
esclusivamente accettando una leadership e precisa che la “volontà manipolata” delle
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masse “non esula più dalla teoria…anzi vi si incasella”. Di conseguenza la
democrazia sarebbe un metodo per la scelta dei leaders e non l‟espressione delle idee
di un popolo ed in tal modo si giustifica la concorrenza e l‟alternarsi delle élites al
potere. La teoria delle élites parte però dall‟esistenza di una stretta analogia con i
fenomeni di concorrenza nella sfera economica, ma non considera gli aspetti
normativi della Costituzione nelle democrazie. Al contrario proprio nella giustizia
costituzionale Kelsen individua la garanzia più adeguata alle minoranze contro gli
eventuali arbitri della maggioranza ed identifica l‟omogeneità culturale, tra le diverse
componenti pluralistiche della democrazia, nella comune accettazione dei principi
costituzionali. Tali principi sono, per il giurista, la tolleranza, i diritti della
minoranza, la libertà di parola e di pensiero e su di essi si fonda la democrazia come
relativismo politico, in opposizione ad ogni sistema politico che si basa sulla
credenza nei valori assoluti.
Anche l‟affermazione della democrazia costituzionale però non è esente da problemi,
primo fra tutti quello dell‟uguaglianza sostanziale, che non a caso rappresenta un
tema centrale nell‟odierno dibattito sulle democrazie costituzionali. Già Hans
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Kelsen riconosce il principio di una “giustizia dell‟ineguaglianza”, quando afferma
che “ciascuno deve ricevere un trattamento diverso”. Da qui dovrebbe trarre origine
una politica del diritto, in grado di tener conto di tutte le diversità per realizzare
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J. Schumpeter, Capitalismo, socialismo, democrazia, op. cit., pag. 258
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