Diventare romanziere: un’ossessione
«Sono la donna…»
«Sono la donna che / fece ridere Khomeini. / Sono la donna che / […] fece piangere
Gheddafi e Kissinger. / Sono la donna che / fece togliere a Deng Xiao Ping / i gigante-
schi ritratti di Marx / ed Engels e Lenin e Stalin / da piazza Tien An Men. / Sono la
donna che / fece gridare Golda Meir: / «È un genio!» / e urlare il re di Etiopia: / «Getta-
tela fuori, nel giardino!» / (Lo fecero, e c’era / un leone enorme in giardino. / Siete mai
stati faccia a faccia / con un leone enorme in giardino?) […] / Sono la donna che / fuggì
alla propria esecuzione in Ungheria / e sopravvisse al massacro di Città del Messico /
dove rimase per ore / con tre pallottole nell’obitorio»
1
.
Con questa poesia Oriana si divertì a descriversi. Era l’aprile 1997: da Torino Oriana in-
viò un biglietto di ringraziamento a Michael W. Homer, sociologo statunitense delle re-
ligioni, che l’aveva aiutata a compiere delle ricerche sui mormoni, per il suo ultimo ro-
manzo. A Homer Oriana aveva promesso di procurare una copia di Storia di Casa Savoia
di Alexandre Dumas; ma non lo fece. Gl’inviò, invece, Apology (a ballad), una poesia che
si concludeva, appunto, con le proprie scuse: «E ancora. / E ancora, e ancora, amici miei
/ sono anche la donna che / non procurò il fottuto “Storia di Casa Savoia” / per Michael
Homer. / Chiedo scusa»
2
. Oriana si divertì a identificare, in questo caso, la sua carriera
innanzitutto con l’esperienza giornalistica
3
, con le interviste ai capi di stato e ai perso-
naggi importanti, ostentati come scalpi da un guerriero pellerossa.
Ha sempre ammesso, Oriana, di nutrire un profondo amore per il giornalismo. Si defini-
va «un tarlo»
4
, perché grazie al giornalismo aveva potuto vivere la Storia dall’interno:
non soltanto contemplandola passivamente, ma documentandola e, in un certo senso,
finanche preservandola. «Perché la storia d’oggi si scrive nell’attimo stesso del suo dive-
nire. La si può fotografare, filmare, incidere sul nastro […]. La si può diffondere subito
[…]. Io amo il giornalismo per questo. Temo il giornalismo per questo. Quale altro me-
stiere ti permette di scriver la storia nell’attimo stesso del suo divenire e anche d’esserne
il testimone diretto?»
5
.
Oriana, innanzitutto, individuava nella scrittura un impegno morale, una responsabilità
enorme. Perché la scrittura influenza, e lo fa meglio delle bombe, delle baionette. Le
bombe deflagrano, le baionette affondano, è vero; ma la scrittura rimane, dura. Indomita
4
1
? Cfr. ANDREA MORIGI, Oriana segreta. E la Fallaci raccontò se stessa in una poesia, in “Libero”, 2 agosto
2009, p. 1.
2
? Cfr. ibidem.
3
? Ecco come Oriana definiva il “giornalista”: «È uno che al mattino arriva in un luogo di cui non sa nulla
e la sera stessa sta già scrivendo su quel luogo un articolo piuttosto informato e preciso. Uno che fa do-
mande per strada, che squaderna gli archivi, guarda negli occhi le persone, si porta alla bocca i fatti come
un bambino fa con gli oggetti, per conoscerne sapore e consistenza. Uno che invitato a casa vostra non vi
lascia la biblioteca (e l’anima) così come l’ha trovata» (cfr. TOMMY CAPPELLINI, Dall’inviata fra Terra e
Luna con barbecue party e astronauti robot, in “Il Giornale”, 12 luglio 2009, p. 22).
4
? Cfr. ORIANA FALLACI, Oriana Fallaci intervista sé stessa – L’Apocalisse, New York, Rizzoli Internatio-
nal, 2004, p. 209.
5
? Cfr. EAD., Intervista con la storia, Milano, Rizzoli, 2008 [1974], p. 7.
e altera, sfida le ore, il tempo
6
. Aveva un modo tutto particolare, Oriana, per influenzare
i pensieri. Mai imponeva il suo punto di vista, in nessuna occasione obbligava il lettore a
condividere le proprie idee, le proprie verità; ma insinuava il dubbio, presentava sempre
anche l’altra possibilità, quella che solitamente non appare subito chiara e lampante, ma
che comunque c’è, esiste. Faceva, Oriana, quel che un altro grande reporter
7
del Nove-
cento, Kapuściński
8
, teorizzò con Andrea Semplici: «Il nostro dovere è essere insoddi-
sfatti, cambiare sempre punto di vista, ma avere rispetto per il mondo. Bisogna cammi-
nare, riscoprire la lentezza. Avere dubbi e timori. Ma continuare a viaggiare»
9
. E studia-
va, Oriana, si documentava su ogni particolare, ogni dettaglio
10
, con una precisione e una
cura maniacale: un merito che persino la sua collega-rivale Camilla Cederna le riconob-
be
11
. Visse un giornalismo eroico, Oriana, che non si distaccava molto da quello di Lon-
don, di Hemingway: «Senza computer, senza internet, senza cellulari, con i telefoni fissi
che non funzionavano. Alla perenne ricerca di un telex dal quale poter inviare il proprio
pezzo: era il primo rebus da risolvere ogni volta che arrivava in un Paese»
12
.
Concependo la propria professione in codesto modo, Oriana non nascose mai la sua
mancanza di obiettività: un atteggiamento religiosamente e strenuamente perseguito (e
mantenuto) nei suoi scritti. Proprio perché, rischiando sempre sulla propria pelle le vi-
cende raccontate, non si può pretendere che il giornalista mantenga il distacco – e la
freddezza – d’un “comunicatore” di fatti
13
, e basta. La notizia, il racconto d’un avveni-
mento, han senso solo se filtrati attraverso una coscienza, un punto di vista che, ovvia-
mente, è quello di chi codesto avvenimento, codesta notizia l’ha visti, vissuti, sperimen-
tati. «Su ogni esperienza professionale lascio brandelli d’anima, a quel che ascolto e che
vedo partecipo come se la cosa mi riguardasse personalmente o dovessi prender posizio-
ne, (infatti la prendo, sempre, in base a una precisa scelta morale)»
14
. Per questo è possibi-
le sostenere con estrema sicurezza che Oriana, nello scrivere le sue opere, ha finanche
5
6
? «Mi sono sempre resa conto che a scrivere si influenzano i pensieri e le azioni di chi legge più di quanto
si influenzino con le bombe o con le baionette, e la responsabilità che deriva da tale consapevolezza non
può essere esercitata pensando ai soldi o in cambio di soldi» (cfr. EAD., La rabbia e l’orgoglio, Milano,
Rizzoli, 2009 [2001], p. 34).
7
? Cfr. RYSZARD KAPUŚCIŃSKI, Autoritratto di un reporter, Milano, Feltrinelli, 2008.
8
? Cfr. STELLA PENDE, Professione reporter. Viaggiare per scrivere il Grande Romanzo, in «Panorama», n. 15,
13 aprile 2000, pp. 206–211
9
? Cfr. ANDREA SEMPLICI, In viaggio con Kapuściński, Milano, Terre di mezzo editore, 2010, p. 30.
10
? Cfr. PIERLUIGI BATTISTA, Scandalo Oriana, in “Corriere della sera”, 16 settembre 2006.
11
? Cfr. CAMILLA CEDERNA, Madame Veleno e i calzini di Panagulis, in «Wimbledon», 1 luglio 1990, pp. 1-
3. Per Agnese, l’articolo di Cederna è «un ingegnoso florilegio di tutti i veleni e le fantasie metropolitane
che si venivano accumulando contro la più giovane e ambiziosa collega» (cfr. MARIA LUISA AGNESE,
Prefazione a FALLACI, I sette peccati di Hollywood, Milano, Rizzoli, 2009 [Milano, Longanesi & Co.,
1958], p. VII).
12
? Cfr. SEMPLICI, In viaggio con Kapuściński, cit., p. 15.
13
? Per una divertente definizione del giornalista, cfr. CARLO COLLODI, Il giornalista. Fisiologia in punta di
penna, in «Almanacco del Fanfulla pel 1872», a. II, Roma, Tipografia dell’Italie, 1872, pp. 35–62.
14
? Cfr. FALLACI, Invervista con la storia, cit., p. 5.
scritto tutta la sua autobiografia
15
: «Poche creature, io temo, sono state perseguitate da
un ricordo o da un equivoco quanto lo son stata io»
16
. Le diceva Pasolini: «Panagulis
scrive le poesie col suo corpo, tu scrivi il romanzo con la tua vita»
17
. La sua esistenza, le
sue esperienze, sono ricostruibili leggendo i suoi scritti. Da I sette peccati di Hollywood a
Un cappello pieno di ciliege, senza dimenticare gli articoli delle riviste e dei quotidiani, la
scrittura di Oriana ci consegna frammenti, scampoli della sua vita. Sono i ricordi a in-
trecciarsi al presente: per significalo, ma anche per dare un senso al passato. E nel passato,
ricercare del presente le motivazioni, le giustificazioni più intime
18
.
Oriana fu, nel suo mestiere, una grande rivoluzionaria. «La Fallaci è stroncata da parec-
chi, ma secondo me ha creato la figura della reporter di guerra al femminile ed è stata una
grande intervistatrice»
19
, scrive Sabatini, mentre Lucia Annunziata: «Dopo di lei la tecni-
ca (meglio: l’arte) dell’intervista non sarà mai più la stessa. Con una piccola rivoluzione
copernicana, Oriana ha messo il giornalista al centro dell’intervista – rompendo con que-
sta sola mossa decenni di misurato, perbenista, e, alla fine, compiacente giornalismo do-
manda-e-risposta»
20
. Son soprattutto le sue interviste, dunque, a suscitare la maggiore
ammirazione negli addetti ai lavori; interviste che venivan realizzate grazie a un talento
che solo lei possedeva
21
. Interviste che, per altro, Oriana ha scritto d’aver sempre odiato,
sia quando era lei l’intervistatrice, sia quand’era l’intervistata
22
.
Recensendo Intervista con la storia, Prisco scrisse che «quando si sta con lei sia ha sempre
il sospetto che nasconda, non so, sotto il risvolto del tailleur o nella borsa […] uno di
6
15
? Cfr. EDOARDO PERAZZI, Mia zia Oriana, in FALLACI, Un cappello pieno di ciliege, Milano, Rizzoli, 2009
[2008], p. 829.
16
? Cfr. EAD., Se il sole muore, Milano, Rizzoli, 2000 [1965], p. 348.
17
? Cfr. PIERPAOLO PIERLEONI, Un fiume che ama la vita. Uomo, Dio, morte, guerra nelle opere e nella vita di
Oriana Fallaci, Acireale-Roma, Bonanno Editore, 2007, p. 117.
18
? Capitale, in questo senso, l’intervista di Oriana a Wernher von Braun, uno dei punti di più alta emozio-
ne e commozione di Se il sole muore (cfr. FALLACI, Se il sole muore, cit., pp. 287–303), durante la quale,
sollecitata da un proustiano «lieve odor di limone»
(ivi, p. 287), Oriana vive una regressione memoriale
nei detriti della propria infanzia e giovinezza, in una Firenze martoriata dalla guerra. Lo stesso procedi-
mento si attiva nell’intervista al dottor Stuhlinger, anche lui tedesco: «Poi rise. E fu come se udissi per la
prima volta un tedesco che ride. Fu come far pace, di colpo, con un nemico cui dai la caccia da oltre ven-
t’anni, che non perdoni, non vuoi perdonare. […] Sì, in fondo al cuore un rimorso ti buca, non buttare
via il tuo rancore, tu pensi, giurasti di non buttarlo mai via, di restar fedele al tuo odio, rispondere a ogni
colpo di frusta con un colpo di frusta, a ogni fucilata con una fucilata, di non essere debole, distratta,
cristiana» (cfr. ivi, pp. 307–321).
19
? Cfr. MONICA BOGLIARDI, È la gavetta, bellezza, in «Grazia», 25 maggio 2009, p. 80.
20
? Cfr. LUCIA ANNUNZIATA, in Oriana Fallaci. Fiorentina di razza. Catalogo della mostra (Firenze, 18 aprile
2008 – 11 maggio 2008), Milano, Rizzoli, 2008, p. 61.
21
? «Ma intervistare una persona è faticosissimo, è un esame reciproco, è uno sforzo di attenzione e di nervi:
non si possono intervistare otto persone una dopo l’altra!» (cfr. FALLACI, Se il sole muore, cit., p. 361).
22
? «Primo: detesto le interviste. Le ho sempre detestate […]. Per esser buona un’intervista deve infilarsi,
affondarsi, nel cuore dell’intervistato. E questo mi ha sempre incusso disagio. In questo ho sempre visto
un atto di violenza, di crudeltà. Secondo: in maniera particolare ho sempre detestato quelle che i giorna-
listi facevano a me, non di rado manipolando le mie parole, alterandole fino a rovesciarne il significato,
aggiungendo al testo scritto domande che non avevano avuto il coraggio di porre e quindi risposte che
non avevo mai dato» (cfr. EAD., Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, Milano, RCS Quotidiani, 2004,
p. 10).
quei diabolici aggeggi che diventano sotto la sua mano più o peggio (meglio) d’una lastra
radiografica, e ci consegnano del personaggio di cui parla il ritratto più schietto e veritie-
ro e spesso il più impietoso»
23
. E il diabolico aggeggio era il magnetofono, che Oriana fu
la prima a utilizzare durante le interviste
24
, e che così tanto – così spesso – metteva in
soggezione i suoi intervistati. Scrive Prisco: «Oriana Fallaci si fa essa stessa, per prima,
personaggio, e ogni volta porta nell’intervista il suo impegno, la sua indomabile curiosità
umana, aggiungerei la sua rabbia, e questo atteggiamento, alla fine, diventa la sinopia, il
filo rosso»
25
. È evidente, nelle interviste, l’intento demistificatorio: il tentativo, cioè, di
presentare gli intervistati col loro lato umano, di «fermare le loro parole, i loro desideri,
di aprirli alla confessione dei loro sogni e delle loro ambizioni, perché diventino umani,
nel senso più profondo del termine; ma anche perché tradotti nella parola, questa possa
un giorno ergersi a demistificarli, a condannarli, o ad assolverli nelle loro dubbiose veri-
tà»
26
. Oriana stessa, dunque, si rendeva personaggio, nelle sue interviste, «indomita a non
sostenere mai un ruolo passivo pur nell’apparente deferenza (non sempre) con cui si ac-
costa a questi mostri sacri»
27
; attitudine che, ovviamente, le ha procurato anche una serie
impressionante d’inevitabili critiche: imputata di sfrenato egotismo, d’ingombrante nar-
cisismo, d’incontenibile egocentrismo
28
. Nel suo romanzo L’immortalità Milan Kundera
critica il giornalismo moderno, scegliendo proprio Oriana come capro espiatorio, iden-
tificando la sua tecnica con una mutata concezione (e applicazione) del giornalismo: «Un
tempo la gloria del giornalista poteva essere simboleggiata dal grande nome di Ernest
Hemingway. […] Essere un giornalista allora significava avvicinarsi più di chiunque altro
alla realtà, penetrare in tutti i suoi angoli nascosti, sporcarcisi dentro le mani. […] Chi è
del resto il più memorabile giornalista degli ultimi tempi? […] Oriana Fallaci, che tra il
1969 e il 1972 pubblicò sul settimanale italiano L’Europeo una serie di conversazioni con i
più famosi politici dell’epoca. Quelle conversazioni erano più che semplici conversazio-
ni; erano dei duelli. I potenti politici, prima ancora di capire che si battevano in condi-
zioni impari – perché le domande poteva farle solo lei e non loro – già si contorcevano
K.O. sul pavimento del ring. Quei duelli erano un segno dei tempi: la situazione era mu-
tata. Il giornalista aveva capito che fare domande non era solo il metodo di lavoro del
reporter, che conduce modestamente le sue indagini munito di taccuino e matita, ma era
un modo di esercitare il potere»
29
. Del resto, che le sue interviste fossero degli scontri
7
23
? Cfr. MICHELE PRISCO, Diciotto mostri sacri con le spalle al muro, in «Oggi», n. 21, 22 maggio 1974,
pp. 140–141.
24
? «Era la prima intervista che facevo con questo sistema e l’idea di dipendere da un oggetto meccanico mi
smarriva nel nervosismo» (cfr. FALLACI, Gli antipatici, Milano, Rizzoli, 2009 [1963], p. 10).
25
? Cfr. PRISCO, Diciotto mostri sacri con le spalle al muro, cit.
26
? Cfr. GIANCARLO PANDINI, Uomini che fanno il mondo presente, in “Avvenire”, 29 agosto 1974, p.
8.
27
? Cfr. PRISCO, Diciotto mostri sacri con le spalle al muro, cit.
28
? «Le sue interviste mi sono sempre parse degli interrogatori. […] Mi chiedevo tuttavia, leggendo, se le
interviste di Oriana Fallaci non fossero in realtà la messa in scena di altrettanti duelli fra l’intervistatore e
l’intervistato. Stavo migliorando, grazie alla lettura, la mia conoscenza di un personaggio politico e delle
sue idee? O stavo assistendo a una sorta di corrida in cui ogni domanda era una banderilla conficcata sulla
credibilità dell’interlocutore? Lei stessa del resto concepiva l’intervista come un esercizio in cui le regole
erano scritte esclusivamente dall’intervistatore» (cfr. SERGIO ROMANO, Talento, ma contestabile, in Oria-
na. 1929–2006, «I documenti di Panorama – numero speciale», n. 19, 2006, p. 9).
29
? Cfr. MILAN KUNDERA, L’immortalità, Milano, Adelphi, 1993, pp. 124–125.
quasi boxistici, delle colluttazioni quasi fisiche, ne era consapevole anche lei. Scrisse, in-
troducendo l’intervista a William Colby: «Più che di un’intervista si trattò di una rissa,
esasperata ed esasperante, angosciosa e cattiva, invano vestita coi toni civili della discus-
sione»
30
.
«La sua opera ha sempre puntato su indignazione, commozione, testimonianza e lo ha
fatto con grande professionalità»
31
. Son questi i meriti che più di tutti vengon riconosciu-
ti a Oriana, donna «totalizzante, intransigente, incapace di mediazioni e sfumature: vive-
va di assoluti»
32
, come disse anche Marcello Pera
33
. Prima di tutto, codesti talenti si indi-
viduano nella sua attività giornalistica, in quei più di settecento servizi scritti per «L’Eu-
ropeo», nelle interviste pubblicate su quotidiani di tutto il mondo, nelle invettive – con-
dannabili, certo, ma pur sempre d’alto livello – che hanno contraddistinto gli ultimi suoi
anni pubblici. «Soggettività e passione sono qualità che non sempre portano a un giorna-
lismo di successo. Ma Oriana Fallaci le aveva trasformate nelle sue parole d’ordine, in-
sieme con una brutale onestà»
34
, scrisse il “Times” annunciandone la morte.
Furio Colombo, per il quale Oriana era «un’intervistatrice perfetta»
35
, ha perfino parlato
di un “fenomeno Oriana”: «Chi ha paura della Fallaci? Forse chi ha pensato che un simi-
le fenomeno poteva scappare di mano. Ha avuto ragione. È scappata di mano, va per il
mondo, per conto suo, e la gente la ascolta»
36
. Questo accade, secondo Colombo, perché
Oriana ha la rara e notevole capacità di «raggiungere anche chi non ha una costante abi-
tudine a leggere, raggiunge il pubblico di là dai limiti tradizionali delle case editrici e del-
le librerie, arriva a lambire il pubblico che Luciano De Crescenzo spiritosamente chiama
dei “non leggenti”, che la conoscono, la ricordano, e tornano a cercarla»
37
. Racconta
Oriana: «Sono diventata Fallaci quasi senza accorgermene. Me lo ha comunicato un
giorno mia madre raccontando che il fruttivendolo non le voleva far pagare le zucchine:
non alla mamma della Fallaci, che scrive così bene»
38
.
8
30
? Cfr. FALLACI, Intervista con la storia, cit., p. 587.
31
? Cfr. SARINA BIRAGHI, «Grazie Oriana, i tuoi libri devono essere studiati a scuola», in “Il Tempo”, 3 agosto
2008, p. 20.
32
? Cfr. BATTISTA, Scandalo Oriana, cit.
33
? «Donna di principi, dotata di una logica in bianco e nero, una logica duale, quindi con poche sfumature
politiche e tantomeno diplomatiche. Non parliamo poi del politically correct: lei se ne fregava» (cfr.
PIER MARIO FASANOTTI, Orgoglio da partigiana, in Oriana. 1929–2006, cit., p. 17).
34
? Cfr. Il “New York Times”: «Scrittrice provocatrice». I cinesi: «La femminista che fumava sempre», in “Cor-
riere della sera”, 16 settembre 2006, p. 6.
35
? «Con lei non potevi scampare una domanda o evitare una risposta, chiunque tu fossi. Come ha dovuto
imparare Khomeini, di fronte a tutta la sua corte di ayatollah» (cfr. DARIO FERTILIO, Trattava tutti allo
stesso modo; anche Khomeini, in “Corriere della sera”, 25 agosto 2010, p. 43).
36
? Cfr. FURIO COLOMBO, Chi ha paura di Oriana?, in «L’Europeo», n. 33, 18 agosto 1990, pp. 55-
58.
37
? Cfr. ibidem.
38
? Cfr. MARCO DE MARTINO, Seconda patria carissima, in Oriana. 1929–2006, cit., p. 66.
E non solo in Italia Oriana è stata cercata e letta, odiata e ammirata. Diversi premi Nobel
per la letteratura, come Pearl S. Buck
39
e Orhan Pamuk
40
, ma anche per la pace, come
l’iraniana Shirin Ebadi
41
, han manifestato la loro ammirazione per lei. Ray Bradbury,
che Oriana conobbe durante la stesura dei reportage dall’America che si preparava al-
l’avventura dello spazio, «la giudica una delle scrittrici più impegnate d’oggi»
42
; niente-
meno, «in un romanzo di Irving Wallace, la massima ambizione della protagonista è di
diventare “come la Fallaci”»
43
. Spesso, i suoi meriti son stati riconosciti soprattutto al-
l’estero. In Iran Oriana era diventata un mito dopo l’intervista allo Scià, del 1973, e aveva
rafforzato la sua immagine dopo l’intervista a Khomeini
44
. Dagli USA son arrivati i rico-
noscimenti più importanti: il 10 giugno 1977, assegnandole la laurea honoris causa in Let-
teratura al Columbia College di Chicago
45
, il rettore la definì uno degli autori più letti
del nostro secolo (i suoi libri han venduto oltre venti milioni di copie
46
). Negli Stati Uni-
ti, alla Library of Congress, accade anche che, nel volume The Italians, dedicato agli ita-
liani più famosi e conosciuti nel mondo, gli italiani illustri, «c’erano solo due fotografie
di donne: Eleonora Duse e Oriana Fallaci»
47
. La didascalia: «I suoi scritti hanno portato il
giornalismo politico a un nuovo livello. Le sue interviste con i leader e i potenti del
mondo sono stupefacenti quanto il loro coraggio [fearlessness] e la loro intelligenza inda-
gatrice [probing intelligence]»
48
. Nel 1981, addirittura, «gli studenti della Law School di
Harvard pretesero che a pronunciare il Commencement Speech dell’anno accademico
non fosse il Generale Haig allora Segretario di Stato e già designato dalla Università co-
9
39
? Cfr. FRANCO OCCHIUZZI, Oriana dottoressa (ad honorem) del best-seller, in “Corriere della sera”, 9 giu-
gno 1977, p. 3. Oriana intervistò la Buck: cfr. FALLACI, Madre romanzo, in «L’Europeo», n. 16 (1066), 14
aprile 1966, pp. 64–67.
40
? Cfr. MARA AMOREVOLI, Orhan Pamuk: «L’ultima Fallaci, imitazione di se stessa», in “La Repubblica –
Firenze”, 14 maggio 2009, p. 1); cfr. MARCO ANSALDO, Pamuk, la stanza italiana, in “La Repubblica”, 3
maggio 2009, pp. 27–29.
41
? «Oriana Fallaci? Mi piace moltissimo, è un modello d’autonomia di pensiero, una donna che non si pie-
ga mai, altro che “gentil sesso”. Ho letto tutti i suoi libri tradotti in farsi, è grande» (cfr. FRANCESCA
PACI, Shirin Ebadi: per le iraniane Oriana Fallaci è un modello, in “La Stampa”, 8 marzo 2006, p. 10).
42
? Cfr. OCCHIUZZI, Oriana dottoressa (ad honorem) del best-seller, cit.
43
? Cfr. ibidem.
44
? «Azzadeh Assaran vorrebbe essere una giornalista coraggiosa. […] Indovinate chi è il suo modello pro-
fessionale? “La Fallaci. Perché, voi giornaliste italiane avete altri idoli?”» (cfr. PACI, Leggere Oriana a Te-
heran. «È il nostro mito», in “La Stampa”, 29 settembre 2005, p. 8).
45
? Oriana racconta che, quando le arrivò la notizia, stava cucinando nella sua casa del Chianti, dove risie-
deva intenta a scrivere Un uomo. «Arrivò questa lettera del Columbia e la aprii quasi distrattamente. Mi
affacciai alla finestra e chiamai mio padre che stava sforbiciando le sue rose in giardino. Gli dissi: “Ehi,
pa’. Vogliono darmi una laurea in America, con tanto di toga e berrettino”. Mio padre alzò gli occhi e:
“Fanno bene”, poi tornò a potare le rose». (cfr. OCCHIUZZI, Oriana dottoressa (ad honorem) del best-seller,
cit.
46
? Cfr. Con i libri un successo mondiale, in “Corriere della sera”, 16 settembre 2006, p. 2; cfr. Venti milioni i
libri venduti, in “Corriere della sera”, 13 settembre 2007, p. 54.
47
? Cfr. MARIA GIOVANNA MAGLIE, Oriana. Incontri e passioni di una grande italiana, Milano, Mon-
dadori, 2002, p. 150.
48
? Cfr. LUCIA ANNUNZIATA – CARLO ROSSELLA, Oriana, in «Panorama», n. 1866, 10 gennaio 2002, p. 86.
me oratore ufficiale, bensì la Fallaci. Lei lo pronunciò, e a Harvard trovi ancora chi ne
parla»
49
. Oriana fu definita «l’Anna Magnani del giornalismo, geniale, esplosiva, impossi-
bile»
50
. Secondo “El País”: «Famosa, antipatica e geniale, era da molti anni la giornalista
più amata e più odiata del mondo, e probabilmente la più invidiata»
51
. Tanto successo,
però, Oriana l’ha sempre usato coscienziosamente, come un’inevitabile responsabilità: «Il
successo diviene cosa ben frivola e volgare se non lo usi per un impegno civile e politico.
Il successo non dev’essere un fiore all’occhiello, ma un’arma per agire, per disubbidire,
per denunciare ed opporsi al potere»
52
.
Fu sempre una donna in guerra, Oriana. Fu svezzata dalla guerra, e crebbe grazie alla pe-
dagogia della guerra. Rimase sempre fiera di ciò, Oriana, e soprattutto grata ai genitori
che l’avevan fatta crescere in tal modo, senza indulgere a debolezze inutili e sentimentali,
consegnandole gli strumenti per capire e comprendere la realtà in maniera penetrante,
senza fermarsi alla superficie. Sicché la sua guerra la fece innanzitutto «alla sua maniera:
con le parole. Era il suo talento, fu la sua libertà»
53
.
Il New journalism
Il new journalism
54
è stato fondamentale, anche se indirettamente, nell’esperienza
d’Oriana. Fu basilare soprattutto perché, grazie alla sua influenza, cambiò il modo stesso
di concepire, e di “fare”, giornalismo; sicché, inevitabilmente, cambiò anche il modo di
“scrivere” il giornalismo. Erano gli anni Sessanta, in America (anzi: in California). I
giornalisti non sentivano più la professione come uno sterile tentativo di «trasformare in
caratteri di piombo la realtà»
55
, tramite il ricorso alle famose “cinque W” (who, what,
when, where, why), punti cardini della penny press, la quale aveva avuto il grande merito
di «inglobare empiricamente nel concetto di notizia qualsiasi frammento del mondo visi-
bile»
56
. Codesti giornalisti non formarono mai una vera e propria scuola, e il new journa-
lism rimase «una vasta rete di influssi reciproci e fitti contatti»
57
tra quei giornalisti e
scrittori che sentivan l’urgenza di smarcarsi dalla rigida codifica giornalistica determinata,
appunto, dalla tirannìa delle “cinque W”, strumenti utili ma limitanti, soprattutto della
forma.
10
49
? Cfr. ibidem.
50
? Cfr. OCCHIUZZI, Oriana dottoressa (ad honorem) del best-seller, cit.
51
? Cfr. Il “New York Times”: «Scrittrice provocatrice». I cinesi: «La femminista che fumava sempre», cit.
52
? Cfr. OCCHIUZZI, Oriana dottoressa (ad honorem) del best-seller, cit.
53
? Cfr. CHRISTINE OCKRENT, in Oriana Fallaci. Fiorentina di razza, cit., p. 82.
54
? Cfr. RICCARDO BENOTTI, Viaggio nel New Journalism americano, Roma, Aracne editrice,
2009.
55
? Cfr. ALBERTO PAPUZZI, Letteratura e giornalismo, Roma-Bari, Laterza, 1998, 18.
56
? Cfr. ivi, p. 17.
57
? Cfr. CLOTILDE BERTONI, Letteratura e giornalismo, Roma, Carocci, 2009, p. 57.
Fu il saggio introduttivo di Wolfe all’antologia The New Journalism
58
a grammaticalizzare
i punti principali di codesto movimento: «Il resoconto scena per scena degli eventi, la
riproduzione integrale dei dialoghi, l’adesione alla prospettiva dei personaggi, l’attenzio-
ne a dettagli dallo spessore simbolico»
59
. Il new journalism, «infrazione iconoclasta dei
canoni»
60
, ebbe notevole successo soprattutto nelle modalità di presentazione della noti-
zia, nella capacità di manter viva l’attenzione del lettore, fondamentale per la buona riu-
scita del pezzo: sensibilità che, a parer di Kapuściński, già Erodoto possedeva
61
e che lo
zio Bruno Fallaci non mancò di far presente alla nipote, teorizzandolo e condensandolo
nell’ordine non-annoiare-chi-legge. Il new journalism puntava proprio su un coinvolgi-
mento, il più possibile estremo, del lettore all’interno della notizia, che non doveva ri-
manere inerte e fredda sulla pagina, ma doveva balzarne fuori, viva e pulsante.
Le strategie della letteratura furon inevitabilmente sollecitate e applicate anche nel gior-
nalismo; sicché, giornalismo e letteratura trovarono un forte punto di tangenza, influen-
zandosi reciprocamente. Si teorizzò, in particolare, quel che Capote aveva battezzato
come non-fiction novel
62
e che Wolfe preferiva chiamare journalistic novel
63
: ovvero, un
«genere giornalistico, che si sviluppa intrecciandosi con la capacità di scavare dentro i
fatti, arrivando a catturare la vera notizia, quella che tocca la sfera dell’invisibile che spes-
so circonda un avvenimento o una storia»
64
. (Come non accorgersi di quanto tale defini-
zione si modelli perfettamente a Un uomo, di Oriana?). Wolfe dichiarò d’esser disposto a
qualunque espediente pur di mantere vivo l’interesse del lettore: perfino inserendo nel-
l’articolo onomatopee, riproduzioni di suoni che, a quel tempo, avevan un sapore ecces-
sivamente cinematografico. Il journalistic novel consiste dunque in una «rielaborazione
narrativa di materiali autentici, raccolti con metodi giornalistici»
65
. Ovviamente, la defi-
nizione rimane molto vaga, non riesce a definire un genere in particolare; tanto che è sta-
ta di volta in volta applicata a esempi molto diversi, senza che si riuscisse a darne una co-
dificazione unica. E questo accade perché «l’intersezione fra l’approccio giornalistico e
quello letterario assume configurazioni diverse»
66
. Ma il journalistic novel è anche un ge-
11
58
? Nel 1973 è stato pubblicato, con prefazione di Tom Wolfe, un florilegio coi migliori esempi di new
journalism: TOM WOLFE – E. W. JOHNSON (a cura di), The New Journalism, New York, Harper & Row,
1973. L’antologia raccoglieva pezzi di Truman Capote, Barbara Goldsmith, Norman Mailer, Gay Talese,
e altri.
59
? Cfr. BERTONI, Letteratura e giornalismo, cit., p. 57.
60
? Cfr. ivi, p. 64.
61
? «Nell’opera di Erodoto ricorrono continuamente temi destinati a emozionare e sorprendere il pubblico
che, senza quel richiamo, si sarebbe rapidamente annoiato» (cfr. KAPUŚCIŃSKI, In viaggio con Erodoto,
Milano, Feltrinelli, 2007 [2005], p. 80. Podróze z Herodotem è del 2004).
62
? Capote ha scritto quello che può essere considerato come il primo esempio di non-fiction novel: In Cold
Blood (A sangue freddo, 1966). Per un’analisi del romanzo, cfr. BERTONI, Letteratura e giornalismo, cit.,
pp. 67–69.
63
? I romanzi di Wolfe più significativi, come journalistic novel, son The Bonfire of the Vanities (Il falò delle
vanità, 1987), ambientato nel mondo dell’alta finanza, e I Am Charlotte Simmons (Io sono Charlotte Sim-
mons, 2004), ambientato, invece, in un prestigioso college americano.
64
? Cfr. PAPUZZI, Letteratura e giornalismo, cit., p. 10.
65
? Cfr. BERTONI, Letteratura e giornalismo, cit., pp. 65–66.
66
? Cfr. ivi, p. 67.
nere molto difficile da percorrere, perché «il diritto di rielaborare la realtà per afferrarne
significati riposti non va confuso con la tentazione di manipolarla per adeguarla capzio-
samente a una logica precostituita»
67
.
Oriana ha compiuto, tuttavia, uno scarto ulteriore, distintivo e peculiare della sua gran-
dezza di scrittrice. In quella realtà, giornalisticamente presentata, in quella narrazione dei
fatti, romanzescamente ricostruita, inserì anche il suo prepotente “io”, in un’impennata
di individualismo che non è sfrenato egotismo né sterile personalismo, ma consapevole
riconoscimento del proprio valore. Un individualismo che parte però sempre, inderoga-
bilmente, dai fatti e dalle fonti. Da queste non si transige: «Ho sempre rivendicato il di-
ritto a non dare solo il fatto ma anche l’opinione: contro la regola americana del cosid-
detto “facts-no-opinions”. Ho sempre gridato, io: “Facts and opinions!”. Ma se non c’è il
fact, come fai a dare l’opinion?»
68
. Ricorrere all’“io”, inoltre, le permise d’abbattere la
barriera col lettore, portandolo «in prima linea, direttamente sui campi di battaglia»
69
,
tramite anche l’uso di dispositivi linguistici, come la deissi e l’apostrofe.
Oriana stessa ha parlato della scoperta d’esser diventata esponente d’un filone, quello del
non-fiction novel: «A un certo punto la formula che avevo scelto per amore divenne una
sfida. Perché era difficile e quindi mi affascinava, suppongo. Costruire un vero romanzo
usando la realtà accaduta: che impresa! Credevo addirittura di inventare qualcosa. Ma
poi, parlando col mio editore americano, scoprii che non avevo inventato un bel nulla:
ero rientrata in un filone ben preciso della letteratura. Fu quando mi disse, tutto conten-
to: “How mervellous! You have written a faction novel!”. E io: “Ho scritto cosa?”. “A
faction novel, un romanzo basato sui fatti, the facts!”. Poi mi spiegò che c’è il fiction no-
vel, il romanzo inventato, il non-fiction novel, il romanzo non inventato, lui preferiva
proprio il faction novel, il romanzo di fatti avvenuti»
70
. Faction – ibrido terminologico
tra fact e fiction – è la definizione che sceglie anche Buonanno
71
: «Un’esperienza, una si-
tuazione biografica di eccezionale rilievo che per vari motivi può trasformarsi in scrittu-
ra»
72
, dando vita, per altro, a quell’esempio di giornalismo, ma ancor più di genere lette-
rario, battezzato “reportage narrativo”
73
, il quale, ancor più del non-fiction novel, ha con-
fini e definizioni labili e volatili.
12
67
? Cfr. ivi, p. 86.
68
? Cfr. PATRIZIA CARRANO, Le signore «grandi firme», Firenze-Rimini, Guaraldi, 1978, p. 89.
69
? Cfr. PINO BUONGIORNO, Orrore con emozione, in Oriana. 1929–2006, cit., p. 64.
70
? Cfr. CLAUDIO SABELLI FIORETTI, Il ritorno di Oriana, in «Panorama», n. 683, 22 maggio 1979, pp. 216-
233.
71
? Cfr. MILLY BUONANNO, Faction. Soggetti mobili e generi ibridi nel giornalismo italiano degli anni novan-
ta, Napoli, Liguori Editore, 1999.
72
? Cfr. SILVIA ZANGRANDI, A servizio della realtà. Il reportage narrativo dalla Fallaci a Severgnini, Milano,
Edizioni Unicopli, 2003, p. 16.
73
? Per una definizione del reportage narrativo, cfr. NICOLA BOTTIGLIERI (a cura di), Camminare scrivendo.
Il reportage narrativo e dintorni, Atti del convegno sul reportage narrativo (Cassino, 9–10 dicembre
1999), Edizioni dell’Università degli studi di Cassino, 2001.
«Io non faccio letteratura se significa alchimia costruita in astratto, ma se letteratura è
vita»
74
. Paion dunque adattarsi perfettamente, a Oriana, alcuni versi de L’Acerba
75
di Ma-
stro Cecco, «uomo piccante e mordace, esperto in difficili Scienze»
76
, come l’astronomia
(e l’astrologia), che fu arso sul rogo, nel 1328 a Firenze, per aver scritto un polemico sag-
gio contro la Chiesa, e che Oriana citò anche nel Prologo de La forza della ragione come
esempio di uomo indipendente, che grida fino a spaccarsi le corde vocali anche quando è
additato, accusato, condannato, e infine arso sul rogo
77
: «Qui non si canta al modo delle
rane, / qui non si canta al modo del poeta / che finge immaginando cose vane; / ma qui
risplende e luce ogni natura / che a chi l’intende fa la mente lieta. / Qui non si sogna del-
la selva oscura. / […] / Lasso le ciancie e torno su nel vero: / le favole mi fûr sempre ne-
miche»
78
.
Una donna, una “maledetta toscana”
Un’accumulazione aggettivale, sfrontata e spregiudicata, fu usata da Guzzanti per descri-
vere codesta «toscanaccia faziosa»
79
, che proveniva da un giornalismo «all’ultimo san-
gue»
80
: «Tonante, aggressiva, patetica, moraleggiante, accusatrice, spavalda, talvolta pa-
dronale e sempre commossa»
81
. Pasionaria: di dantesca memoria
82
, di tosco animo.
Oriana non ha mai scordato la sua “toscanità”, in nessuna declinazione si possa presenta-
re. Nonostante il difficile legame con la sua città, rapporto che Firenze ha tributato ai
suoi migliori figli d’ogni epoca
83
, Oriana non dimenticò mai di provenire da una cultura,
quella toscana, dal passato tanto glorioso ma complesso, sfaccettato ma fondamentalmen-
te fiero, altero. Amò perdutamente il profilo di Firenze, quell’accavallarsi, quel sovrap-
porsi, quel superarsi di torri, campanili e tegole; quel lento scorrere dell’Arno che a così
tante nobili nascite aveva assistito; quella dolcezza sensoriale delle colline del Chianti. «È
la mia città. Qui sono nata, qui sono sepolti i miei affetti, la mia gente. Qui ho iniziato a
volere la libertà quando ancora non sapevo cosa fosse. C’è un legame indissolubile tra me
e Firenze, nonostante tutto»
84
. Anche dalla sua residenza a New York, continuò sempre
a combattere per la sua città e la sua terra: come, ad esempio, nella rivolta esplosa in
13
74
? Cfr. DAVIDE LAJOLO, Una donna, un uomo, in “Gazzetta del popolo”, 19 luglio 1979, p. 3.
75
? L’Acerba è un compendio enciclopedico, di cui è stata recentemente proposta un’edizione critica: cfr.
CECCO D’ASCOLI, L’Acerba (Acerbas etas), a cura di Marco Albertazzi, Lavis (TN), La Finestra editrice,
2005.
76
? Cfr. FALLACI, La forza della ragione, New York, Rizzoli International, 2004, p. 9.
77
? Cfr. ivi, pp. 9–16.
78
? Cfr. D’ASCOLI, L’Acerba (Acerbas etas), cit.
79
? Cfr. PAOLO GUZZANTI, Oriana penna feroce, in “La Repubblica – Mercurio”, 19 maggio 1990, p. 10.
80
? Cfr. ibidem.
81
? Cfr. ibidem.
82
? Cfr. FASANOTTI, Certo che come litigava lei…, in Oriana. 1929–2006, cit., p. 61.
83
? Scrisse Oriana: «Anche Dante dovette andarsene da Firenze per scrivere la Commedia» (cfr. FALLACI,
Lettera sulla cultura, in «L’Europeo», n. 19 (1420), 10 maggio 1973, pp. 34–39).
84
? Cfr. RICCARDO NENCINI, Oriana Fallaci. Morirò in piedi, Firenze, Polistampa, 2007, p. 11.
Chianti contro il progetto dell’Enel di realizzare «decine di tralicci alti quasi 70 metri»
85
;
oppure, quando si oppose strenuamente, nel 2002, alla realizzazione della pensilina per la
Galleria degli Uffizi progettata dal giapponese Arata Isozaki
86
.
«È stata la prima giornalista di un mondo globalizzato – di lingua italiana, profondamen-
te fiorentina e italiana»
87
. Non si dimenticava della sua lingua, Oriana, neppure quando
parlava in inglese, quell’inglese che non era certamente shakespeariano, ma che risentiva
profondamente della sua calata toscana, della sua parlata fiorentina; e che lei aveva co-
minciato a imparare in una Firenze in guerra. La toscanità di Oriana si sfoga anche nel
suo stile, soprattutto nel lessico, con l’utilizzo, mai abbandonato, di lessemi, ma anche di
costrutti, odoranti di fiorentinità e, più in generale, di toscanità: la “rena”, “sciupare”,
“tapino”, “bellina”, “ghiacce”, “fo”
88
, il pronome e aggettivo dimostrativo “cotesto”,
“babbo”. Riecheggiante l’uso toscano è anche la costruzione di particolari proposizioni
articolate: “pel”, “col” e simili, e la pratica diffusa di troncamento, non soltanto di parole
(“perfin”), ma soprattutto dei verbi, coniugati alla terza persona plurale (dell’indicativo e
congiuntivo) e all’infinito.
I più appassionati di storia hanno anche paragonato Oriana a illustri eroine della Toscana
medievale e rinascimentale: come Kinzica de’ Sismondi
89
(o Gismondi), eroina pisana
che, nel 1004 (o 1005) salvò la sua città, Pisa, dall’attacco dei saraceni di Mujāhid al-Āmirī
(italianizzato in Musetto)
90
; oppure, come Ippolita degli Azzi, di famiglia ghibellina, «in-
domita protagonista dell’assedio di Arezzo, nel 1289»
91
, dopo la vittoria della Firenze
guelfa a Campaldino. Paragone, quest’ultimo, avanzato dall’allora presidente del consi-
glio regionale della Toscana, Riccardo Nencini
92
, nel febbraio 2006 quando a New York
14
85
? Cfr. ANTONIO TROIANO, Chianti, la guerra dei tralicci, in “Corriere della sera”, 6 aprile 1998, p. 19.
Scrisse Oriana: «Stanno distruggendo paesaggi che dal ’700 ad oggi, è il caso di Greve in Chianti, sono
stati sempre tutelati. Hanno offeso aree protette, modellate con secoli di lavoro da una straordinaria cul-
tura contadina» (cfr. ibidem). La “rivolta” fu appoggiata, tra gli altri, da Carla Fracci, Leonardo Ferraga-
mo, Riccardo Muti, Gioia Falck, Swietlan Kraczyna e da importanti testate giornalistiche estere, dal
“New York Times” all’inglese “Sunday Telegraph” (cfr. La rivolta, dalla Falck a Bona Frescobaldi, in
“Corriere della sera”, 8 agosto 1998, p. 13).
86
? CLAUDIA RICONDA, Zeffirelli: «La Fallaci si incatenerà agli Uffizi», in “La Repubblica – Firenze”, 14 lu-
glio 2002, p. 1; cfr. BIANCA STANCANELLI, Oriana la Ghibellina, in Oriana. 1929–2006, cit., p. 72; cfr.
NENCINI, Oriana Fallaci. Morirò in piedi, cit., pp. 46–47.
87
? Cfr. ANNUNZIATA, in Oriana Fallaci. Fiorentina di razza, cit., p. 61.
88
? La forma verbale “fo” è usata persino in poesia, da Mario Luzi: «Lotto, fo che la mia vita non ne sia in-
degna» è l’ultimo verso della poesia Fumo, della silloge Dal fondo delle campagne (cfr. MARIO LUZI, Tutte
le poesie, Milano, Garzanti, 2005, vol. I, p. 274).
89
? Cfr. MATTIAS MAINIERO, Una Fallaci di mille anni fa, in “Libero”, 20 settembre 2008, p. 26.
90
? Cfr.
http://www.comune.pisa.it/prog-polis/Racconti_di_quartiere/S_Martino/S_Martino_Kinzica.htm.
91
? Cfr. STANCANELLI, Oriana la Ghibellina, cit., p. 72.
92
? Cfr. NENCINI, Oriana Fallaci. Morirò in piedi, cit., pp. 29–30.
consegnò a Oriana la medaglia d’oro del Consiglio regionale
93
, una delle poche onorifi-
cenze che la regione le conferì
94
.
Era una donna, Oriana, che credeva nel passato, nella sua utilità e indispensabilità. Ne
scrisse anche ne La rabbia e l’orgoglio. «Per me ogni oggetto del Passato è sacro. Un fossi-
le, una terracottina, una monetina, una qualsiasi testimonianza di ciò che fummo e di ciò
che facemmo. Il Passato mi incuriosisce più del Futuro»
95
. Probabilmente, non ci si po-
teva aspettare nulla di diverso da una toscana, da una donna vissuta in una delle contrade
al mondo più straripante di storia, affastellata di ricordi, di scavi, di reliquie, di tracce an-
che materiali
96
. Tralasciando il passato, sottovalutandolo, ignorandolo, «non si capisce il
Presente e non si può influenzare il Futuro coi sogni e le fantasie»
97
. Nell’ultima parte
della sua vita, ossessionata dal pensiero della Morte, ovviamente il passato aveva assunto
una sfumatura più estrema, radicale: quella che provocò e alimentò l’urgenza di scrivere
Un cappello pieno di ciliege. «E poi ogni oggetto sopravvissuto al Passato è prezioso per-
ché porta in sé un’illusione di eternità. Perché rappresenta una vittoria sul Tempo che
logora e appassisce e uccide, una sconfitta sulla Morte»
98
.
E contemporaneamente a questo suo sentirsi toscana, Oriana non trascurò mai nemme-
no il suo esser donna, nel suo intento di diventare un «Alessandro Dumas femmina»
99
.
Neanche in guerra si trascurò, neanche nei peggiori luoghi di conflitto; sicché, neanche
in guerra si dimenticò mai di mettersi l’eyeliner. «Due righe nere, spesse, decise, che si
applica da sola e che esagerano i suoi sorprendenti occhi orientali»
100
. Confessò finanche
d’esser diventata talmente esperta nel farlo, da metterci poco tempo, pochissimo: «Lo
faccio molto velocemente. Tac, tac, tac»
101
. La sua inequivocabile firma. Fece persino
moda, Oriana. A cominciare dalla guerra in Vietnam, dove si presentò con ai piedi mo-
cassini Gucci e i capelli raccolti in due trecce: così poco marziali, ma così tanto significa-
tive della sua personalità. Anche in seguito, tuttavia, riuscì a condizionare persino le scel-
15
93
? Cfr. PAOLO CONTI, Per Oriana la medaglia del socialista solitario, in “Corriere della sera”, 23 feb-
braio 2006, p. 6.
94
? Fu lunga la polemica sull’assegnazione del Fiorino d’oro a Oriana, massima onorificenza comunale: do-
po vari tentennamenti del sindaco Leonardo Domenici, si decise di non assegnarglielo (Domenici, tre
anni dopo la morte di Oriana, dirà che avrebbe voluto darle il riconoscimento: cfr. CRISTINA MANETTI,
Oriana, Domenici si converte, in “Il Giornale della Toscana”, 12 settembre 2009, pp. 2–3). L’amico regista
Franco Zeffirelli gettò il suo Fiorino d’oro nella tomba di Oriana, al momento della sepoltura nel set-
tembre 2006 (cfr. STANCANELLI, Oriana la Ghibellina, cit., p. 71; cfr. DAVID ALLEGRANTI, La sua nemi-
ca amatissima. Ma alla città donerà tutto, in “Corriere fiorentino”, 15 febbraio 2009, p. 1; cfr. GIUSEPPINA
MANIN, Alla Bohème la vidi piangere, in “Corriere della sera”, 18 agosto 2010, p. 38).
95
? Cfr. FALLACI, La rabbia e l’orgoglio, cit., p. 86.
96
? «Sono nata in un paesaggio di chiese, conventi, Cristi, Madonne, Santi» (cfr. ivi, p. 108).
97
? Cfr. ivi, p. 87.
98
? Cfr. ibidem.
99
? Cfr. ELISABETTA ROSASPINA, «La Fallaci? Voleva essere un Dumas femmina», in “Corriere della sera”, 11
ottobre 2008, p. 46.
100
? Cfr. ANNUNZIATA – ROSSELLA, Oriana, cit., p. 76.
101
? Cfr. ibidem.
te di stilisti e case di moda
102
. Portava i pantaloni, Oriana, quando le donne coi calzoni in
America venivan cacciate dai locali pubblici; «poi, quando i pantaloni divennero un in-
dumento femminile, lei (eterno bastian contrario) passò alla sottana e ai cappelli»
103
.
Scavullo la inserì nel suo libro Women, definendola, in un moderno sirventese dantesco,
una delle quarantasei donne più affascinanti e straordinarie del mondo.
Ricorda Nencini: «“Le due donne italiane più conosciute nel mondo sono fiorentine”, le
dico. “No. Eleonora Duse non era di qua” interloquisce. “Non parlo di lei ma di monna
Lisa di messer Giocondo. Grevigiana come te. Una Gherardini”. Incuriosita. Vanità»
104
.
Una “maschile” scrittura
Natalia Ginzburg fu una delle scrittrici più apprezzate da Oriana; magistrale è il ritratto
che della donna Oriana tratteggiò nell’intervista, pubblicata su «L’Europeo»
105
e poi rac-
colta in Gli antipatici. L’aspetto più interessante della scrittura della Ginzburg, già intui-
bile anche nel suo comportamento e nel portamento vagamente virile, asessuato, in quel
«volto maschile, doloroso, quasi scavato nel legno»
106
, era proprio questa scrittura “ma-
schile”. Il tentativo di mantenere «il distacco, la freddezza di un uomo»
107
, cercando di
dissimulare, nella scrittura, la sua femminilità, derivava, secondo la biografa Maja
Pflug
108
, dalla vita stessa della scrittrice, consumata tra i mille impegni e le incombenze di
moglie, madre (poi nonna), casalinga e redattrice all’Einaudi
109
. Lo zio Bruno, fin dal-
l’inizio, aveva rilevato, nella scrittura di Oriana, una caratteristica simile: «Puoi fare di
meglio ma hai già una caratteristica: scrivi come un uomo»
110
. Oriana stessa aveva da
sempre rifuggito, con orrore, l’idea che la sua scrittura potesse essere giudicata, prima di
tutto, come “scrittura femminile”, definizione d’un genere che troppo spesso era confuso
con una letteratura rosa di grande diffusione ma di secondo piano per valore e ricono-
scimento. Il peggior insulto per Oriana fu probabilmente la definizione di Ruggero Gua-
rini di Un uomo: «Un indecente miscuglio di Liala e del peggiore Hemingway»
111
(men-
tre Aldo Busi definì Oriana «una Liala scoppiata»
112
).
16
102
? Cfr. PAOLA POLLO, Gucci, l’avventuriera in tailleur, in “Corriere della sera”, 25 settembre 2008,
p. 31.
103
? Cfr. ANNUNZIATA – ROSSELLA, Oriana, cit., p. 76.
104
? Cfr. NENCINI, in Oriana Fallaci. Fiorentina di razza, cit., p. 80.
105
? Cfr. FALLACI, Parole in famiglia – L’Europeo interroga Natalia Ginzburg, in «L’Europeo», n. 28
(925), 14 luglio 1963, pp. 34–41.
106
? Cfr. EAD., Gli antipatici, cit., p. 309.
107
? Cfr. ivi, p. 321.
108
? Cfr. MAJA PFLUG, Natalia Ginzburg. Arditamente timida. Una biografia, Milano, La Tartaruga,
1997.
109
? «La Ginzburg si alzava alle quattro di mattina per poter scrivere fino alle otto, quando cominciava
la vita di famiglia» (cfr. ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI, Vita agra di Natalia, la signora coraggio, in “Corrie-
re della sera”, 8 giugno 1997, p. 27).
110
? Cfr. SANTO L. ARICÒ, Oriana Fallaci. The Woman and the Myth, Carbondale, Southern Illinois
University Press, 1998, p. 57.
111
? Cfr. RUGGERO GUARINI, Un uomo, una donna, un libro, in “Il Messaggero”, 24 giugno 1979, p. 3;
cfr. BRUNO CRIMI, Oriana Fallaci, in arte Liala, in «Panorama», 19 maggio 1980, p. 169.
112
? Cfr. Busi: «Regina d’irragionevole bellezza», in “Corriere della sera”, 16 aprile 1995, p. 19.
Lo stile di Oriana si plasma serio, duro, secco; virile, appunto. È, prevedibilmente, uno
stile influenzato ad alcune peculiarità dello stile giornalistico
113
, soprattutto nella conci-
sione delle proposizioni, nell’uso dello stile nominale, nell’incalzare martellante delle
azioni e nel dispiegarsi ossessivo delle reiterazioni, nell’abbondanza di costrutti deittici, e
nel ricorso insistente alle apostrofi verso il lettore, stabilendo un legame costante e in-
scindibile. È soprattutto uno stile unico, inimitabile, che non ha né modelli né stili di
riferimento
114
.
Ha sempre riconosciuto, Oriana, d’essere ossessionata dallo stile, dalla metrica del perio-
dare, dall’assenza di ripetizioni, quando fastidiose, anche a pagine di distanza
115
. «Sono
uno scrittore lento, uno scrittore cauto. Sono anche uno scrittore incontentabile. Non
assomiglio davvero a quelli che si compiacciono sempre del loro prodotto, manco urinas-
sero ambrosia. In più ho molte manie. Tengo alla metrica, al ritmo della frase, alla ca-
denza della pagina, al suono delle parole. E guai alle assonanze, alle rime, alle ripetizioni
non volute. La forma mi preme quanto la sostanza. […] gestire questa simbiosi a volte mi
blocca»
116
.
La sua modalità di lavoro era nota, conosciuta. Scrive Klun: «Lo sanno tutti: leggeva a
voce alta e se un sostantivo o un avverbio o un aggettivo, qualsiasi parola, non scorreva,
lo cambiava. Con cura certosina, chirurgica, maniacale. Sofferta»
117
. Era capace, Oriana,
soprattutto nei suoi ultimi tempi, di correggere e ricorreggere un testo all’infinito, persi-
no quando magari eran già cominciate le stampe. Così accadde, ad esempio, per la pub-
blicazione dell’articolone sul “Corriere della sera” del 29 settembre 2001: «Di quella “let-
tera”, ricorda De Bortoli, “facemmo ben 16 giri di bozze: lei interveniva, correggeva,
s’arrabbiava, verificava»
118
; tanto che, a un certo punto, l’unica soluzione che il direttore
trovò per far uscire il giornale, fu quella di rendersi irrintracciabile. Quando s’accorgeva
d’aver sbagliato, quando sospettava che qualcosa non andasse, non fosse perfetto, Oriana
ripartiva da capo, stendeva nuove versioni, ininterrottamente; il nipote, Edoardo Peraz-
zi, che dopo la morte di Oriana ha inventariato tutte le carte e gli scritti, racconta: «Del-
17
113
? Tra gli strumenti caratteristici usati da Oriana, c’è la pratica, incrementatasi negli ultimi anni, di
unire le parole tramite i trattini, per creare «uno slogan derisorio» (Cfr. ALESSANDRO CANNAVÒ, in
Oriana Fallaci. Fiorentina di razza, cit., p. 64); oppure, per ripresentare una frase già comparsa preceden-
temente nel testo.
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? «Nel mestiere di scrittore non esistono insegnamenti o consigli, bisogna scrivere soli, senza imita-
re nessuno, attingendo scoperte dai nostri errori e dalla nostra fatica che è la fatica più solitaria del mon-
do» (cfr. FALLACI, Gli antipatici, cit., p. 304). Michele Serra ha parodiato lo stile di Oriana in Un pulcino
mai nato, compreso nel suo 44 falsi (cfr. MICHELE SERRA, 44 falsi, Milano, Feltrinelli, 1991, pp. 103–104).
115
? «Io sono ossessionata dallo stile, dalla lingua, dalla forma. […] Non sopporto chi scrive sloppy,
cialtronescamente, senza curarsi delle ripetizioni, delle assonanze, dell’armonia anche fonetica che deve
avere una frase, una pagina» (cfr. SABELLI FIORETTI, Il ritorno di Oriana, cit).
116
? Cfr. FALLACI, La rabbia e l’orgoglio, cit., p. 15.
117
? Cfr. PAOLO KLUN, Fallaci segreta. «Oriana mi recitava il suo romanzo fra champagne, sigarette e
sfuriate», in “Libero”, 29 luglio 2008, p. 29.
118
? Cfr. FASANOTTI, Certo che come litigava lei…, cit.
l’intervista ad Ariel Sharon ho trovato 19 stesure, pressoché identiche»
119
. Riscriveva e
ricorreggeva, Oriana. Sempre tutto da capo
120
.
18
119
? Cfr. CARLA DE GIROLAMO, Ecco l’Oriana che non conoscete, in «Panorama», n. 13, 27 marzo
2008, pp. 138–139.
120
? Cfr. SABELLI FIORETTI, Il ritorno di Oriana, cit.