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PROFILO DEL PENSIERO POLITICO DI G.D.ROMAGNOSI (1761-1835)
ATTRAVERSO LA SUA COLLABORAZIONE AI PERIODICI
DELL’ETA’ DELLA RESTAURAZIONE
INTRODUZIONE
Il passaggio dalla vecchia Italia regionale e municipale alla nuova società che
nasce e prende forma agli inizi dell’Ottocento rappresenta un delicato
momento di transizione della storia nazionale: la Restaurazione.
Questo termine, con il quale viene convenzionalmente indicato il periodo
1815-1848, non deve essere semplicisticamente interpretato nel senso di un
puro ritorno all’antico, ai regimi assoluti e al legittimismo settecentesco,
poiché le trasformazioni in atto proseguono il loro costante processo
evolutivo, le antiche abitudini e le tradizioni mutano radicalmente, e molte
altre cose saranno destinate a cambiare, attratte da una situazione nuova e
stimolante.
Gli eventi che si susseguono durante il venticinquennio rivoluzionario,
lasciano tracce profonde, con conseguenti ripercussioni nell’Europa intera.
L’effettiva realtà storica del periodo consente di rilevare che, dopo il 1815,
quasi dappertutto rimangono in vigore nel campo legislativo, amministrativo e
militare, numerose leggi, abitudini, metodi e usanze di chiara matrice
rivoluzionaria o napoleonica.
In effetti, il periodo della rivoluzione e del dominio napoleonico non era
passato invano, e lo sviluppo sociale e culturale dell’Italia, sotto la spinta
propulsiva delle dottrine illuministe della seconda metà del ‘700, aveva
instaurato radici troppo profonde e stabilito un’estensione davvero vasta per
potere essere arrestato in modo definitivo da forze esterne, per quanto
potenti potessero essere.
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Il clima di reazione, caratteristico della Restaurazione, risulta particolarmente
pesante e oppressivo in Italia, e deriva da circostanze generali, quali il
ristabilimento del frazionamento politico dopo la relativa unificazione
napoleonica; il predominio austriaco imposto dalle potenze in aperto
contrasto con le loro promesse di libertà e di indipendenza; le legittime
aspirazioni di autonomia sollevate dalle popolazioni sottoposte alla
dominazione straniera.
Nei primi anni della Restaurazione è riscontrabile una accentuata tendenza
alla cristallizzazione della situazione sociale esistente, nella quale
prevalgono piuttosto spiccatamente gli obiettivi della nobiltà e della grande
borghesia terriera, retrive di fronte a cambiamenti radicali dell’ordine sociale
e assai timorose nei confronti di possibili prospettive rivoluzionarie.
Con la normalizzazione austriaca cessano i conflitti, ma nel contempo si
ravvivano le idee, le speranze, la lotta di pensiero.
L’eccezionalità del periodo storico suscita aspirazioni e problemi che non
possono essere accantonati o dimenticati, ma che hanno invece bisogno di
soluzioni immediate.
Le uniche armi a disposizione dell’opposizione liberale erano costituite da
una critica efficace, che a lungo andare avrebbe sicuramente raccolto i giusti
risultati e scosso l’Italia da quel preoccupante e prolungato decadimento
della vita civile, intellettuale e letteraria.
I primi sintomi di ripresa operati dalla ristrutturazione generale in atto nel
Paese si riflettono e si manifestano in maniera evidente nel campo della
stampa periodica.
Come ogni altro aspetto della vita italiana, la stampa si scuote dal secolare
torpore che la avvolge, per risorgere e acquistare un’importanza e un
entusiasmo civile che non trovano precedenti riscontri nella nostra storia.
La situazione cambia radicalmente: la stampa si evolve, si determina, è
finalizzata verso obiettivi ben definiti, grazie alla concomitanza di molti fattori.
Innanzitutto la necessità di rispondere alle esigenze della pubblica opinione,
soprattutto in merito alle richieste di maggiori informazioni.
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Nei primi anni della Restaurazione gli intellettuali cominciano a rivolgersi
verso un pubblico più vasto, più composito e omogeneo: un pubblico non più
spettatore passivo degli eventi tempestosi che hanno travolto il Paese, bensì
più partecipe della nuova situazione storica e politica italiana, della quale si
considera finalmente parte integrante.
Un altro fattore qualificante è la diversa concezione dell’uso e della funzione
strumentale della stampa.
Il giornale diviene un mezzo di propaganda, di comunicazione diretta ed
efficace con il pubblico.
Naturalmente di ciò approfittano i governi di vari Stati italiani, che privilegiano
alcune riviste alle quali vengono riservati i “notiziari ufficiali” e gli scarni
commenti politici. Si tratta di un tentativo di fare breccia nella classe colta per
raccogliere consensi e popolarità intorno alle scelte di governo.
Ma il giornale diventa anche una preziosa arma di lotta e di propaganda per i
sempre più numerosi oppositori del regime, i quali, attraverso un’opera attiva,
continua e capillare, tentano di far filtrare le loro idee per orientare e
influenzare positivamente la pubblica opinione. L’attività pubblicistica viene
dunque concepita come una vera e propria missione di addottrinamento,
indispensabile per un risveglio culturale, morale, civile e soprattutto politico
della nazione.
Durante la Restaurazione, il rimpianto della libertà di stampa, goduta e poi
soffocata nell’età napoleonica era rimasto nell’aria, come un’esigenza molto
stimolante ma insoddisfatta.
Nasce dunque la nuova categoria sociale dei giornalisti: direttori, compilatori,
redattori, corrispondenti.
In particolare si tratta di intellettuali, “uomini di genio”, i quali, attraverso i loro
articoli, si propongono come classe dirigente tecnicamente preparata,
portavoce reale e profonda conoscitrice dei bisogni della nazione.
Il giornalismo attecchisce soprattutto in Lombardia, dove comincia a
svilupparsi un fiorente mercato editoriale e librario.
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In realtà, la nascita della pubblicistica lombarda e milanese dell’epoca deve
essere considerata in relazione ad una serie di circostanze concomitanti: un
faticoso e contrastato emergere di nuovi ceti e di forze produttive, la nutrita
disoccupazione di molti funzionari del passato regime, un’economia
stagnante e perennemente in crisi. Uno sfondo tormentato, ma anche ricco di
energie culturali e pratiche.
Complessivamente il giornalismo lombardo della Restaurazione raggiungerà,
nel volgere di pochi decenni, alti livelli qualitativi e di diffusione.
A ciò contribuisce il fatto che all’inizio della Restaurazione il ruolo degli
intellettuali è profondamente mutato; essi si sono trovati coinvolti in un
processo che li aveva costretti a compiere scelte politiche decisive.
Gli intellettuali costituiscono l’avanguardia politica di un movimento che offe
loro nuove prospettive e inconsueti spazi di autonomia, sicuramente difficili
da immaginare solo qualche anno prima.
Tra gli intellettuali, comunque, l’apporto principale viene fornito da uomini ai
quali è inibita la vita pubblica, con conseguente preclusione all’accesso alle
relative cariche.
Le vibrate proteste contro questa esclusione, la consapevolezza di svolgere
un compito utile, la coscienza di essere i veri e unici educatori della nazione,
danno origine ad un movimento d’opinione non più circoscritto ad un’area
particolare e limitata, ma esteso a tutta l’Italia.
Questo fenomeno di politicizzazione degli intellettuali, li colloca quindi come
validi antagonisti al potere: quasi tutti i migliori giornalisti si schierano infatti
all’opposizione.
In questo periodo, uno dei sentimenti più comuni tra gli intellettuali riguarda la
consapevolezza dell’inferiorità italiana, sul piano civile e culturale, nei
confronti dei Paesi europei più progrediti.
Si faceva chiaramente sentire la mancanza di un centro politico unico, che
potesse concorrere a catalizzare l’interesse e l’attenzione dei migliori uomini
di cultura del tempo, sparsi nelle numerose università, accademie, società
letterarie, della penisola.
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In questo periodo, il maggiore richiamo di interesse culturale lo esercita
indubbiamente Milano, che in precedenza aveva svolto questa funzione con
una certa discontinuità e senza prospettive egemoniche.
In effetti, il primato di principale centro di informazione culturale nazionale era
stato detenuto per molto tempo da Venezia.
Non erano tuttavia mancate iniziative interessanti anche a Milano, basti
ricordare l’esperienza del periodico “Il Caffè”, di Verri e Beccaria, ma era
sempre venuto a mancare l’elemento propulsivo in grado di fornire continuità
a questo tipo di iniziative e capace altresì di elaborare e concretizzare
proposte realmente nuove e valide.
Dal 1814-15 in poi, Milano si propone come capitale culturale italiana, tanto
da divenire la meta privilegiata di pensatori, uomini di lettere, intellettuali.
La ragione di tale qualificato afflusso va ricercata nel fatto che a Milano la
gente di cultura può contare in generale di un prestigio e di un benessere
economico difficilmente riscontrabili nelle altre regioni.
Inoltre, come affermato in precedenza, Milano è la città italiana con il
maggior numero di librai e stampatori, i quali, approfittando della completa
disponibilità di una manodopera intellettuale particolarmente qualificata, ma
priva di altri sbocchi, hanno l’opportunità di offrire lavoro a dotti, letterati e
intellettuali, un lavoro che consiste solitamente nella stesura di opere originali
o nelle traduzione di testi stranieri.
Secondo Marino Berengo, il fattore risolutivo che fa assurgere Milano a
nuova capitale culturale italiana, è il rapido sviluppo del mercato librario
1
.
Molti editori contribuisco a fare del capoluogo lombardo uno dei più vivaci
centri di vita culturale, una città che, attraverso la fioritura di iniziative culturali
e soprattutto editoriali, irradia in tutta l’Italia i riflessi di una rielaborazione
sollecita e intelligente del dibattito culturale europeo.
1
Cfr. M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino, Einaudi,
1980, p. 6.
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E’ il caso di Ferrario, Stella, Silvestri, i quali si propongono di mettere a
profitto, di sfruttare al meglio, l’immenso patrimonio culturale di cui può
disporre Milano in questo particolare momento.
Il capoluogo lombardo assume una crescente importanza politica e diviene
sensibilissimo agli influssi culturali provenienti dall’estero, in particolare dalla
Francia e dall’Inghilterra.
Di fronte a queste tendenze e concezioni del giornalismo lombardo a
costituirsi come fonte autonoma e indipendente, anche la figura dell’editore
assume connotati del tutto differenti.
Le motivazioni imprenditoriali ed economiche non rappresentano più
l’interesse preminente degli editori: alla base delle loro prospettive vi è ora
una fortissima spinta ideologica e politica.
A questo proposito appare emblematica la figura di Lampato, editore degli
“Annali Universali di Statistica”, che, grazie ad una serie di pubblicazioni
periodiche, farà di Milano una città civile al passo con i tempi, diffondendo in
tutta la penisola il modello di un giornalismo del tutto nuovo che, ponendo in
secondo piano le controversie letterarie, il gusto sterile delle discussioni
erudite e filologiche, affronta le grandi questioni dello sviluppo sociale e civile
delle popolazioni italiane e straniere, tessendo un elogio quotidiano della
scienza e della sua funzione civilizzatrice.
Un’ulteriore interpretazione della ricchezza di intellettuali nella Milano della
Restaurazione proviene da Giuseppe Acerbi, direttore della “Biblioteca
Italiana, periodico finanziato dall’Austria e dunque di tendenze apertamente
filogovernative
2
.
2
Giuseppe Acerbi (Castelgoffredo 1773-Milano 1846), viaggiatore e geografo. Uomo di
vasta cultura e profondo conoscitore delle lingue straniere, durante il periodo napoleonico
Acerbi si trova a Parigi, dove subisce perquisizioni e arresti per alcuni giudizi contrari alla
Francia contenuti in una sua opera pubblicata a Londra nel 1802, i Travels through Sweden,
Finland and Lapland, to the North Cape in the years 1798 and 1799. L’episodio genera una
sorta di indifferenza e di astio nei confronti della Francia. Le simpatie di Acerbi sono rivolte
all’Inghilterra e all’Austria, ritenute un modello di civiltà. Egli non ha quindi esitazioni ad
accettare la proposta del funzionario austriaco Bellegarde di assumere la direzione della
“Biblioteca Italiana”, anche se l’incarico lo priverà della stima degli intellettuali milanesi, tutti
schierati all’opposizione. Su Acerbi si veda soprattutto il Dizionario biografico degli italiani,
Milano, vol. 1, pp.134-136.
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Secondo Acerbi, l’affluenza degli intellettuali dipendeva dal fatto che a fare di
Milano il maggiore centro culturale italiano concorrevano elementi eterogenei
ed efficaci, quali l’iniziale indulgenza censoria dei governanti austriaci nei
confronti dei nuovi periodici, un nuovo e più spiccato interesse verso le
discipline scientifiche e artistiche, e, appunto, lo sviluppo dell’industria
libraria.
Nonostante un diffuso tasso di analfabetismo, peraltro meno accentuato in
Lombardia rispetto ad altre regioni, la stampa periodica può registrare un
discreto aumento del numero dei lettori.
Vengono create e pubblicate nuove riviste, naturalmente con alterna fortuna
e soprattutto alle condizioni imposte dal governo asburgico, preoccupato di
questo inusuale e intenso fervore che pervadeva i ceti emergenti,
segnatamente la piccola e media borghesia, quindi attentissimi che i giornali
non diffondessero scritti di natura politica rivolti ad influenzare l’opinione
pubblica.
Col tempo tendono dunque ad aumentare i rigori della censura, che, insieme
alla cronica mancanza di finanziamenti, rappresentano l’ostacolo più arduo
da superare per una libera e definitiva espansione della stampa periodica.
In quasi tutti gli Stati italiani la censura comincia ad operare con grande
severità.
Una lieve e temporanea eccezione è costituita dalla censura del Lombardo-
Veneto, probabilmente a causa del margine di discrezionalità che i
regolamenti interni dell’Imperial Regio Governo lasciano ai funzionari.
Allo stesso modo, la censura del Granducato di Toscana lascia ampio respiro
alle iniziative di carattere letterario, almeno fino all’avvento dell’”Antologia” di
Pietro Vieusseux
3
.
Ben presto, comunque, col sorgere di una stampa di opposizione, gli
interventi della censura divengono più frequenti e intollerabili, costringendo i
giornalisti a pubblicare articoli privi di allusioni politiche e ad evitare dunque
3
Si veda A. De Rubertis, Studi sulla censura in Toscana con documenti inediti, Pisa, Nistri-
Lischi, 1036, p. 249.
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travestimenti del pensiero politico sotto le sembianze letterarie, accorgimento
adottato con continuità dagli intellettuali lombardi.
Le possibilità di sottrarsi al vaglio della censura divengono praticamente
nulle, col tempo appare quindi utopistico parlare di libertà di stampa.
A queste già gravissime e insostenibili difficoltà occorre aggiungere che in
questo periodo il giornale riveste il carattere di un’impresa difficile da
realizzare, al cui buon esito non è più sufficiente l’ingegno e il lavoro degli
intellettuali.
Necessitano soprattutto capitali, finanziamenti, impegno; all’epoca soltanto
l’aristocrazia possedeva ingenti ricchezze, che venivano peraltro rivolte alla
pubblicazione di giornali religiosi.
Gli industriali che sovvenzionano le iniziative giornalistiche ed editoriali non
riescono a sostenere a lungo imprese che si presentano organicamente e
continuamente in passivo.
Non bisogna nemmeno trascurare le problematiche di ordine tecnico e
pratico.
Le difficoltà dovute alle strutture e alle attrezzature ancora rudimentali delle
quali gli stampatori e i tipografi sono costretti a servirsi, non consentono un
elevato numero di tirature. Gli antiquati torchi di legno o di ferro richiedono
infatti un grande impiego di tempo e di energie.
Le innovazioni tecniche, già applicate nei Paesi più industrializzati, si
diffondono con estrema lentezza in Italia.
E’ sufficiente considerare che il primo torchio a cilindro verrà introdotto solo
nel 1840 per opera di Lampato, mentre l’uso del primo torchio meccanico
avverrà nel 1847 per merito dell’editore Pomba.
Ad ogni buon conto, nonostante le difficoltà, la stampa periodica italiana
durante la Restaurazione offre un panorama ricco di spunti fondamentali nel
processo rivolto alla formazione di un pensiero liberale e alla rivitalizzazione
di una forte coscienza nazionale.
Come si vedrà più avanti, numerosi talenti del tempo presteranno la propria
preziosa collaborazione alle varie riviste.
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Fra tutti, un contributo di eccezionale entità è apportato da Gian Domenico
Romagnosi.
E’ dunque in questo contesto storico, politico e culturale che il suo pensiero
prende forma e giunge a piena maturità.
L’approccio milanese del pensatore piacentino risale al 1806, quando viene
chiamato a Milano dai funzionari napoleonici con il delicato incarico di
rivedere ed eventualmente modificare il codice di procedura penale allora in
vigore.
L’impresa richiede uno sforzo durissimo, ma Romagnosi lo porta a
compimento in maniera soddisfacente, non solo, tutto questo concorre alla
consacrazione della sua fama negli ambienti accademici, scientifici e letterari
della Lombardia.
Inoltre Romagnosi si inserisce e partecipa attivamente alla vita civile,
culturale e amministrativa del capoluogo lombardo, incarnando la figura
dell’intellettuale fattivamente impegnato nella cura della cosa pubblica, senza
limitarsi ad attività meramente accademiche e scientifiche.
Romagnosi vivrà a Milano gli anni più fervidi e fecondi del suo magistero; la
su produzione letteraria sarà prodigiosa e mai dispersiva, poiché sarà
sempre ricondotta a coerenza e unicità proprio dal connotato politico, che
costituisce un elemento inconfondibile in ogni scritto e in ogni ricerca.
Il suo pensiero di allinea a quello di altri eminenti dottrinari europei del tempo:
Say e Saint-Simon.
Gian Domenico Romagnosi comprende perfettamente che gli avvenimenti
succedutisi tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento avevano
sollevato o riproposto drammatici problemi rimasti irrisolti dall’epoca dei lumi:
i diritti e doveri del singolo individuo, i rapporti tra Stato e società civile, la
necessità, ritenuta fondamentale, di elaborare una carta costituzionale.
Per Romagnosi si apre un periodo molto difficile quando la caduta del Regno
d’Italia lo esclude dagli incarichi pubblici e amministrativi e lo priva della
carica di insegnante nelle scuole speciali di diritto. Ne derivano conseguenti
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difficoltà economiche che, aggiunte ai vari acciacchi fisici, angustiano l’ultima
parte della sua vita.
Come se ciò non bastasse, con il restringimento della libertà di azione e di
pensiero introdotti dalla Restaurazione austriaca, Romagnosi viene collocato
nelle liste degli intellettuali da controllare, essendo un noto esponente di idee
liberali e a contatto con gruppi progressisti.
Dal 1818, Romagnosi inizia a collaborare, più o meno assiduamente, ad
alcune riviste. Egli comprende l’importanza del momento storico e politico
che la Lombardia e l’Italia attraversano, e il difficile compito che lo attende in
qualità di compilatore di un giornale, ovvero un impegno che va oltre la
semplice divulgazione di informazioni erudite.
Il fine primario di Romagnosi, all’inizio della sua carriera di giornalista, è
quello di operare per cercare di penetrare all’interno dell’opinione pubblica, di
addottrinare i singoli individui, di renderli attivi e partecipi del delicato
momento storico, politico, sociale ed economico.
Romagnosi abbraccia gli ideali e le aspirazioni del pensiero liberale, che
trova sempre più sostenitori e proseliti sia tra i giornalisti, sia tra i lettori.
La pubblicistica romagnosiana prende avvio nel settembre del 1818 sulle
pagine del “Conciliatore”, un periodico di ispirazione letteraria, oppositore
deciso del regime asburgico, e precursore riconosciuto di una stampa
liberale che troverà numerosi consensi e approvazioni.
Contemporaneamente Romagnosi presta la sua collaborazione alla filo-
governativa “Biblioteca Italiana”.
Si tratta di una situazione chiaramente anomala, considerando che gli ideali
politici di Romagnosi discordano profondamente con le linee e i fini perseguiti
dalla rivista di Giuseppe Acerbi; è tuttavia vero che in tutti gli articoli scritti da
Romagnosi per la “Biblioteca” non traspare mai un accenno politico, in
quanto egli offre in prevalenza saggi e dissertazioni sul diritto pubblico,
penale e naturale, e sulla filosofia, astenendosi dunque dal diffondere
commenti e opinioni contrari all’ordine prestabilito.