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PRESENTAZIONE
La vittimizzazione tra pari è un fenomeno presente da sempre; fin
dall’antichità sono presenti episodi di prevaricazione tra bambini e ragazzi.
Solo negli ultimi decenni, però, il fenomeno ha ricevuto un nome, bullismo, e
una crescente attenzione da parte di figure di diverso tipo: genitori, insegnanti,
psicologi, sociologi, pedagogisti, ecc.
La psicologia, in particolare, ha un ruolo importante nello studio del bullismo,
in quanto in esso le implicazioni e le conseguenze psicologiche sono notevoli
e lo psicologo può dare un fondamentale contributo sia nella ricerca che
nell’intervento sul fenomeno. La violenza a scuola può essere fonte di grande
stress sia per gli alunni sia per il personale scolastico e può arrecare danni sia
all’ambiente scolastico nel suo insieme, che alla qualità dell’istruzione
(Debarbieux, 1999). Oggi, poi, si assiste alla nascita e crescita di un nuovo
fenomeno, il cyberbullismo, che si insua, dal virtuale al reale, nella vita dei
ragazzi abbattendo ogni barriera e protezione a aumentando i disagi già creati
dal nullismo.
Il desiderio in questa tesi è di comprendere le dinamiche sottostanti al
cyberbullismo, i vissuti e le reazioni dei ragazzi coinvolti; la prevaricazione tra
pari, infatti, avviene per lo più tra compagni di classe o di scuola, ovvero tra
persone che, volontariamente o meno, condividono tempo, ambiente ed
esperienze. Persone che hanno dei sentimenti che vengono feriti nel momento
in cui ci si sente rifiutati, minacciati, offesi. Vittime giovani, adolescenti e
preadolescenti, che spesso si vergognano a parlarne con qualcuno, per il
timore di un giudizio negativo o per la paura di ricevere, da parte dell’altro,
un’ulteriore conferma del proprio essere debole. E, dall’altra parte, che dire
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del bullo? Viene etichettato e, in questo modo, un ruolo assunto in un contesto
finisce per essere considerato, dagli altri, un tratto della sua personalità; invece
bullo non è una persona, è un ruolo.
Del bullismo si parla già molto, mentre il cyberbullismo è una forma nuova e,
a mio parere, forse più occulta perché meno eclatante (soprattutto se
confrontata col bullismo fisico). E’ una manifestazione sottile del bullismo,
ma, a mio parere, non meno importante ed è per questa ragione che ho scelto
di occuparmene. Trovo che sia importante studiare il fenomeno perché questo
è fonte di malessere per i ragazzi che ne sono coinvolti; una sua conoscenza
approfondita può aiutare chi interviene sia per prevenire il cyberbullismo che
per ridurlo. La ricerca, infatti, è inevitabilmente connessa all’intervento;
quest’ultimo non può prescindere da essa se vuole essere veramente efficace e
risolutivo.
Scopo della mia tesi è cercare di fornire una panoramica completa delle
conoscenze presenti finora in letteratura sul bullismo e soprattutto
sull’emergente fenomeno del cyberbullismo. Ho inoltre svolto una piccola
ricerca in alcune scuole del Veronese, somministrando un apposito
questionario a studenti della scuola media inferiore, con il proposito di vedere
come si presenta il cyberbullismo nelle scuole italiane e, nello specifico, in
quelle della più ristretta comunità della zona di Verona.
Nel Primo capitolo ho presentato in generale le conoscenze presenti sul
bullismo, dal quale prende origine e viene definito il cyberbullismo.
Il Secondo Capitolo descrive, in linea con il fine della tesi, il fenomeno del
cyberbullismo, la sua incidenza, i soggetti coinvolti e i diversi fattori implicati.
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Nel Terzo capitolo, invece, ho esposto la mia ricerca e i risultati ottenuti dai
questionari compilati dai ragazzi, analizzando la presenza del bullismo e del
cyberbullismo all’interno del campione in esame e confrontandoli con quanto
emerso nelle maggiori ricerche internazionali.
Infine, nelle Conclusioni ho sintetizzato gli aspetti più rilevanti emersi dal mio
lavoro.
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CAP. 1 - INTRODUZIONE AL BULLISMO
La letteratura scientifica ha cominciato ad occuparsi del bullismo intorno agli
anni’70, periodo in cui in Norvegia si verificarono una serie di suicidi di
bambini e ragazzi; questo loro gesto estremo era dovuto alla sofferenza
provocata dalle continue prepotenze ricevute da parte dei compagni di scuola.
L’eco che questi fatti di cronaca ebbero su giornali e televisione costrinsero il
governo a stanziare dei fondi nazionali per coordinare una ricerca nelle scuole
norvegesi (Berdondini, 2001). Attraverso l’utilizzo di un questionario
appositamente predisposto ed applicato ad un campione di 150.000 studenti
norvegesi e svedesi, Olweus riscontrò che il bullismo coinvolgeva circa il 16%
degli studenti della scuola primaria e secondaria (Olweus, 1996). Verso la fine
degli anni’80, poi, il problema ha cominciato ad avere grande risonanza, anche
grazie ai mass media, e di conseguenza a ricevere l’attenzione di altri studiosi
in Europa, Giappone, Canada, Stati Uniti e Australia. Inoltre, in Inghilterra,
avvenne un fenomeno molto simile a quello scandinavo: un bambino di scuola
elementare si suicidò dopo aver subito violenze e soprusi da parte di coetanei
in classe; così come fece il governo norvegese, anche quello inglese finanziò
la ricerca sull’argomento. Tutt’oggi i ricercatori sono impegnati nello studio
del bullismo, che assume forme sempre nuove come quella del cyberbullismo,
e nella progettazione di programmi di prevenzione e di intervento.
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1.1 Definizione di bullismo
“Il bullismo è un’azione che mira deliberatamente a fare del male o a
danneggiare. Spesso è persistente ed è difficile difendersi per coloro che ne
sono vittima” (Sharp e Smith, 1995).
Il bullismo è una “categoria specifica di comportamenti caratterizzati da
Ripetizione e continuità del comportamento aggressivi (sistematicità);
Squilibrio di potere, la vittima non è in gradi di difendersi.” (Olweus,
1996).
“Abuso sistematico di potere” (Sharp e Smith, 1995).
Il termine che Olweus ha originariamente usato per definire questo fenomeno,
nel 1973, è skolmobbing, ovvero mobbing scolastico: in questo modo il
bullismo veniva considerato da una parte riconducibile all’ambiente scolastico
e dall’altra connesso a forme di prevaricazione continua presente anche fra gli
adulti. Mobbing, però, ha un significato inadeguato ad indicare la
prevaricazione tra giovani studenti, in quanto si riferisce a una vittimizzazione
messa in atto tra persone adulte nell’ambiente di lavoro; così lo stesso Olweus,
nel 1978, ha coniato il termine bully per indicare il ruolo del prevaricatore, da
cui derivò la parola bullying (Olweus, 1981), ovvero “tiranneggiare,
spadroneggiare, intimidire” per indicare in modo appropriato questo specifico
fenomeno.
Il bullismo si caratterizza per la ripetizione delle prepotenze: un singolo
comportamento aggressivo non è bullismo; solitamente tali aggressioni sono
quotidiane e invadono la realtà della vittima, rendendo difficili le relazioni
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sociali di questa con i compagni e con i docenti. Altro aspetto necessario nella
definizione di un fenomeno come bullismo è la presenza di una disparità di
potere tra il bullo e la vittima, che può essere legata alla maggiore forza fisica
del primo o ad una sua supremazia psicologica. Di solito, infatti, i bulli
scelgono come vittime quei compagni che mostrano qualche diversità fisica
(es. l’essere grasso o avere un diverso colore della pelle) o debolezza
psicologica (es. timidezza, introversione). Altro fattore che contribuisce a
rendere il bullo più potente della vittima, poi, è il fatto che molte volte egli è
affiancato da un gruppo di suoi sostenitori o aiutanti, mentre la vittima viene
frequentemente colpita quando è sola o, comunque, ha pochi amici disposti a
difenderla. Il divario numerico tra il gruppo dei bulli e la vittima, dunque,
rafforza il potere dei prepotenti e aumenta la paura della vittima e la sua
sensazione di impotenza. Terzo elemento fondamentale nel bullismo è
l’intenzionalità di far male all’altro, di procurargli un danno; infatti, il caso di
un gioco reciproco in cui per sbaglio uno degli interagenti viene colpito è
lontano dall’essere bullismo. Bisogna quindi distinguere il bullismo dai giochi
di lotta o giochi turbolenti, nei quali l’aggressività ha natura ludica e non c’è
intenzione di danneggiare né far male all’altro; i partecipanti qui si divertono e
si scambiano i ruoli, mentre tutto ciò nel bullismo non accade. I giochi
turbolenti e le lotte o le prese in giro tra maschi non sono atti prevaricatori in
quanto esiste tra loro una parità di forza (Gini, 2005). Il bullo, invece, compie
le prepotenze con l’intenzione di arrecare dolore fisico o psicologico alla
vittima.
Il bullismo è presente già nei più piccoli, alla scuola dell’infanzia; capita
infatti che alcuni bambini possono gestiscano le conflittualità con i compagni
attraverso la violenza. Calci, spinte, morsi sono un modo per dominare
sull’altro, per vincere la contesa utilizzando un’arma, quella della violenza,
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socialmente inadeguata. Con il tempo, man mano che il bambino cresce, egli
impara a sopraffare l’altro in maniera differente, sostituendo la violenza fisica
con l’aggressione verbale o l’esclusione; il problema non si risolve, si esprime
soltanto in una forma diversa. E’ già a partire dai primi anni di vita che gli
adulti, genitori e insegnanti, devono cercare di educare il bambino al controllo
della propria aggressività e alla gestione dei litigi attraverso modalità efficaci
quali il dialogo e la negoziazione (Gini, 2005).
1.2 Tipologie di bullismo
Le prepotenze possono essere agite e subite in modo sia diretto che indiretto;
nel primo caso il prevaricatore attacca faccia a faccia la vittima, usando il
corpo o le parole per ferirla; il bullismo diretto può essere di tipo fisico, che
consiste nel picchiare, prendere a calci e pugni, spingere, dare pizzicotti,
graffiare, mordere, tirare i capelli, appropriarsi o rovinare gli oggetti dell’altro;
oppure può essere di tipo verbale, il quale si caratterizza per la presenza di
minacce, offese, insulti, prese in giro, pensieri razzisti, estorsione di soldi o di
beni di possesso della vittima.
Nel bullismo indiretto, invece, l’attacco alla vittima è relazionale: obiettivo
del bullo è di danneggiare la reputazione della vittima e le sue relazioni
sociali, escludendola dal gruppo, isolandola oppure diffondendo falsità,
pettegolezzi o calunnie sul suo conto.
Una distinzione che si può fare tra le prepotenze mediate, indirette, è quella fra
gli attacchi strumentali, diretti a danneggiare un oggetto, un bene della vittima
(es. zaino, abbigliamento), e attacchi sociali, mirati invece ad arrecare alla
vittima problemi e difficoltà nei rapporti con gli amici e compagni di classe.
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Una forma di bullismo indiretto è il cyberbullismo, in cui il bullo usa Internet
e il cellulare per minacciare la vittima o screditarla agli occhi dei suoi amici e
compagni.
Tab. 1.1 Tipologie di prepotenze (Gini, 2005, pag. 20)
Tra gli alunni delle scuole elementari e medie è presente soprattutto il
bullismo diretto, mentre man mano che i ragazzi crescono tendono in generale
ad usare modalità di aggressione meno dirette ed evidenti, ma altrettanto
dolorose per chi le subisce (Gini, 2005).
Bruno (2009) riassume il comportamento prepotente in queste 5 categorie:
PSICOLOGICO O INDIRETTO (maledicenze, esclusione dal gruppo,
risolini alle spalle)
VERBALE (prese in giro, minacce, insulti, denigrazioni ad alta voce)
FISICO (percosse, costrizione ad azioni umilianti, danneggiamento di
indumenti o oggetti personali)