1. ASPETTI INTRODUTTIVI: PERCORSO NORMATIVO NELL’ULTIMO VENTENNIO E
NASCITA DEL NPM
1.1 LE RIFORME DEGLI ANNI90 IN ITALIA E IN EUROPA
Dare una definizione di “riforma del management pubblico” significa, come spesso
accade quando si tenta di definire un concetto, trovarsi di fronte ad una molteplicità di
risposte, tutte di assoluto rilievo.
Come prima approssimazione, prendendo come riferimento le parole di Pollit e
Bouckaert, si può asserire che “la riforma del management pubblico consiste in
cambiamenti delle strutture e dei processi delle organizzazioni del settore pubblico con
l’obiettivo di fare in modo che funzionino meglio”.
Possiamo alludere ad un cambiamento strutturale, riferendoci a fusioni o separazioni di
organizzazioni del settore pubblico, o ad un cambiamento di processo, includendo ad
esempio un ridisegno dei sistemi che gestiscono le richieste delle licenze, la fissazione di
standard qualitativi in determinati settori, fino ad arrivare all’ introduzione di nuove
procedure di budgeting che incoraggino i dipendenti pubblici ad essere più attento ai
costi e/o a controllare più strettamente i risultati che le spese generano. Infine,
riformare il management spesso richiama anche i cambiamenti dei sistemi con cui gli
stessi dipendenti pubblici sono assunti, addestrati, valutati, promossi e sottoposti a
regole disciplinari, anche se questo in realtà sarebbe un altro tipo di cambiamenti di
processo (Pollitt e Bouckaert, 2002).
Dire che le aziende pubbliche hanno vissuto un periodo di intensa trasformazione
sembra, per certi versi, abbastanza scontato. Ciò che in realtà è mutato in questo ultimo
ventennio sono le attese della società verso gli istituti pubblici. Quindi, tra le altre,
facciamo riferimento ai cambiamenti, in termini di qualità e quantità di servizi che la
collettività si attende siano messi a disposizione da parte del sistema pubblico, in
relazione alle risorse che questo utilizza. Si sono modificate anche le regole che fino a
quel momento erano funzionali alla formazione ed espressione della volontà collettiva,
quindi come diretta conseguenza di ciò sono cambiati gli assetti politico istituzionali e,
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con essi, le forme di legittimazione e responsabilizzazione degli organi politici e la
configurazione dei loro poteri nel governo degli enti pubblici.
È nata la c.d. figura del “cliente dei servizi pubblici”, la quale ha modificato il quadro di
attori e forze con le quali l’ azienda di servizi pubblici è chiamata a confrontarsi. Diretta
conseguenza di tale modificazione è stata la variazione delle relazioni e dei
comportamenti che l’azienda intrattiene con gli altri soggetti, istituzionali e non.
E’ avvenuta un’apertura fondamentale che ha reso comprensibile questo periodo di
grandi riforme in Italia e in buona parte dei paesi europei; si è avuto, infatti, un
passaggio da un sistema autoreferenziale, in cui l’azienda pubblica si collocava in una
posizione di naturale sovra ordinazione nei confronti della società, di cui era e si sentiva
chiamata a risolverne tutti i problemi, ad una situazione in cui l’azienda pubblica è un
soggetto che si pone come scopo ultimo quello di concorrere a migliorare il
funzionamento di un complesso sistema sociale, insieme o in competizione con altri
soggetti.
Di fronte a tali processi di trasformazione, sono cambiate anche le condizioni di
funzionamento interno delle aziende.
Si impone quindi una riflessione circa l’adeguatezza delle rappresentazioni concettuali
attraverso cui i problemi di funzionamento dei problemi vengono interpretati, e una
contestuale verifica della capacità di adattamento che le aziende e il sistema dimostrano,
per poi indicare quali possano essere eventualmente i punti di intervento più urgenti o,
perlomeno, le aree dove più fruttuosamente si potrebbero investire le sempre scarse
risorse che alimentano la tensione all’innovazione.
Ragionare in tali termini sullo stato delle aziende e del sistema pubblico non è semplice.
Un rischio sempre presente è quello segnalato da un osservatore attento come Hood, il
quale sottolinea i pericoli di una retorica dei processi di cambiamento e
modernizzazione della pubblica amministrazione, che assume, senza alcuna discussione
critica, l’idea che la modernizzazione della pubblica amministrazione sia un fenomeno
perfettamente identificabile, inevitabile, su cui convergono tutte le esperienze e
inequivocabilmente positivo (Hood, 1998).
L’approccio che, generalmente, è stato prescelto per indagare e descrivere alcune delle
trasformazioni in atto nelle aziende e nei sistemi pubblici, è quello economico
aziendale, mentre l’area specifica d’interesse è quella delle condizioni, forze e strumenti
che dovrebbero assicurare il perseguimento delle finalità.
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La costatazione di partenza, che muove buona parte letteratura per la trattazione del
presente tema, è il progressivo indebolimento dell’azione esercitata da un meccanismo
che ha per lungo tempo rappresentato l’unico strumento di orientamento dell’azienda
pubblica: il funzionamento dei processi politicodemocratici. La costruzione che ha
accompagnato le riflessioni sul funzionamento delle aziende pubbliche dal loro primo
sviluppo, è quella che vede il meccanismo democratico tenere sotto controllo la
responsabilità politica e quest’ultima esercitare le funzioni di governo nelle aziende
pubbliche.
E’ questa la catena di responsabilità, che avrebbe dovuto legare i cittadini in quanto
elettori, ai politici che competono per il consenso e governano gli istituti pubblici, e
questi ultimi all’amministrazione che esegue in maniera neutrale le decisioni di chi
legittimamente governa, che non funziona più. La questione che si pone, quindi, è quali
meccanismi possano e debbano orientare il comportamento delle aziende che
esprimono una collettività e che tale collettività devono servire.
In realtà non è che i meccanismi tradizionali non funzionano più, ma essi, in particolare
quelli politicoelettivi, sono stati affiancati da forze e pressioni con cui l’azienda pubblica
è chiamata a confrontarsi. Così il rapporto tra azienda e il suo ambiente, non è più
mediato esclusivamente dal sistema politico, ma è l’azienda nel suo complesso che nel
rapporto con il suo ambiente riceve stimoli espliciti e deve coerentemente aggiustare i
propri comportamenti.
Questi cambiamenti, avvenuti tra azienda pubblica e ambiente, si sono accompagnati ad
una riconfigurazione dei rapporti tra politica e amministrazione (management). Se il
mondo esterno, ed il suo apprezzamento nei confronti dell’azienda non si esprime più
esclusivamente tramite il voto, ciò significa che devono anche mutare i ruoli e le
responsabilità tra i due livelli che nell’azienda confluiscono e gli organi che tanti livelli
esprimono.
Si genera, così, una condizione in cui la trasformazione del modo di essere e di agire
delle aziende pubbliche viene affidato a tre spinte, che a prima vista potrebbero
sembrare contraddittorie e incompatibili tra di loro: l’aumento del potere e della
capacità di influenza del cittadino o dell’utente dei servizi messi a disposizione
dell’azienda pubblica, la maggiore responsabilizzazione e potere degli organi politico
esecutivi garantita da riforme istituzionali che hanno privilegiato le forme di investitura
diretta, l’autonomia della dirigenza cui si richiede un’assunzione di responsabilità che
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vada al di là delle logiche di neutralità e adempimento formale che caratterizzavano il
modello weberiano (Del Vecchio, 2001).
L’idealtipo weberiano ha rappresentato per molti anni il modello prevalente di
democrazia. I mezzi attraverso i quali l’elite burocratica esercita la sua autorità collettiva
sono disciplinati in modo stringente dal diritto pubblico e amministrativo (law). A
garanzia della sua realtà e della sua incorruttibilità, l’elite burocratica gode di uno status
privilegiato, che ne fa una casta chiusa, con prerogative sociali ed un linguaggio
esoterico. La legittimità del comando in tale contesto deriva proprio dal fatto che non si
travalichino tali regole.
Il modello weberiano di amministrazione ha costituito fin dall’origine del processo di
formazione degli stati un punto di riferimento indiscusso. Tuttavia la sua applicazione
ha condotto anche a bassi livelli di produttività ed economicità.
Come vedremo nei paragrafi successivi, le riforme degli anni ’90, che hanno visto come
protagoniste non solo le amministrazioni pubbliche italiane, ma anche quelle di molti
altri paesi dell’area euro, tra cui la Germania oggetto della nostra analisi, hanno portato
ad un profondo mutamento, soprattutto, nelle regole di governance che fino a quel
momento avevano caratterizzato la “vita” di queste aziende.
1.1.1 LERIFORMEITALIANE:DALLAL.142/1990ALPIANO“EGOV2012”
Nel nostro paese, il processo di riforma del settore della pubblica amministrazione
iniziato nei primi anni novanta, ha coinvolto inizialmente il livello locale, per poi
estendersi a livello statale e regionale.
Fenomeni analoghi di riforma hanno coinvolto sistemi istituzionali e amministrativi di
quasi tutto il mondo, seppure con logiche, metodologie e strumenti differenti, in
relazione ai contesti storici, culturali, sociali e soprattutto in relazione al diverso punto di
partenza.
Le tendenze emergenti dal processo di riforma del nostro paese, sono orientate ad
inserire la pubblica amministrazione in una dimensione aziendale in cui i sistemi di
programmazione e controllo assumono un ruolo decisivo. Il verificarsi di molti fattori,
legati sia al manifestarsi di shock macroeconomici, sia alla necessità di contenere la
spesa riguardante la crescita della spesa pubblica, ha condotto molti paesi alla necessità
di rivedere e talvolta di abbandonare il vecchio modello amministrativo per sostituirlo
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con uno nuovo, di tipo manageriale, orientato all’assunzione di criteri volti ad assicurare
un migliore impiego delle risorse ed una maggiore attenzione alla soddisfazione dei
bisogni dei cittadini.
In Italia abbiamo atteso sino agli inizi degli anni novanta per rinvenire, nella normativa
riguardante le amministrazioni, i concetti di efficienza, efficacia ed economicità.
L’idea di fondo, sulla base del quale si è poi sviluppato il processo di riforma, è quella di
trasferire al settore pubblico determinate conoscenze e pratiche, sviluppate con
successo nel settore privato. Un’operazione di trapianto di tecniche e criteri manageriali
che è comunemente definita aziendalizzazione (Cristiano,2006).
La grande riforma della pubblica amministrazione in Italia, è stata avviata con
l’emanazione della legge 142/90 sulle autonomie locali (successivamente modificata con
la legge 265/99) e con la legge 241/90 sui procedimenti amministrativi e sul diritto di
accesso, che pongono l’ accento sui cittadini e sui loro diritti ad avere servizi trasparenti,
efficienti e rapidi.L’art. 1 della legge n. 241, infatti, afferma il principio fondamentale che
la pubblica amministrazione è retta da criteri di economicità, efficacia e pubblicità.
La L. n.142 del 1990 è stata la prima legge generale che, recependo in larga misura il
disegno tracciato in sede europea, ha provveduto a tracciare i principi informatori
dell’ordinamento delle autonomie locali.
La disciplina recata dalla legge del ’90 ha attribuito una nuova fisionomia al modo di
essere dei comuni e delle provincie improntando su nuove basi il rapporto con lo stato,
con le regioni e con le comunità civiche.
Un altro momento fondamentale è stato l’approvazione del d.l. del 3 febbraio 1993 n.29,
che ha previsto l’introduzione dei sistemi informativi nelle pubbliche amministrazioni,
come strumento essenziale per accrescere l’efficienza, razionalizzare i costi e fornire
servizi efficaci.
La direttiva del Consiglio dei Ministri del 5 settembre del 1995 ha avviato la
realizzazione della rete unitaria delle pubbliche amministrazioni (R.U.P.A.) integrando e
facendo cooperare in rete tutte le varie articolazioni della pubblica amministrazione (nel
2005 con il d.lgs. 42 verrà sostituita dal “Sistema pubblico di Connettività).
Ma le modifiche più sostanziali, all’insieme delle normative della Pubblica
amministrazione, sono avvenute con l’approvazione delle leggi cosiddette “Bassanini” e
dai successivi provvedimenti attuativi.
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Le riforme “Bassanini” hanno introdotto la semplificazione delle procedure, meno
burocrazia, più trasparenza e risposte più rapide ed efficienti.
Sono state leggi molto vaste e complesse, che hanno riformato praticamente tutta la
legislazione previgente.
Già con la prima legge “Bassanini” (L. 59/97) si è attuato il massimo decentramento
possibile, compatibilmente con la Costituzione italiana, ed è stato compito del governo
individuare le poche leggi dello stato, delegando tutto il resto alle regioni e agli enti
locali. Quando la legge è stata attuata, sono state poche le materie rimaste di
competenza dello stato, tutto il resto, infatti, è passato alle regioni e agli enti locali,
iniziando dai comuni.
Il meccanismo della cessione di poteri statali verso le periferie è stato molteplice, anche
se riassunto nell’espressione atecnica di “conferimento”. A discrezione del legislatore
delegato esso può concretizzarsi in trasferimento, cioè in una definitiva dismissione di
competenze da parte dello stato; può tradursi in deleghe, quindi in cessioni a tempo
indeterminato; può, infine, consistere nell’ attribuzione di funzioni e compiti nuovi,
costituiti all’uopo in occasione del ridisegno delle strutture amministrative.
Ma la vera novità, di portata quasi rivoluzionaria, della legge Bassanini è rappresentata
piuttosto dalla quantità di funzioni e competenze trasferite a regioni ed enti locali.
Sempre nel 1997 è stata approvata un’altra legge di assoluto rilievo, che ha recato
fondamentali innovazioni alla struttura ed al funzionamento degli enti locali, la
L.127/97 (la c.d. Bassanini bis). Alcune di queste innovazioni hanno portata epocale,
come la riforma della dirigenza locale e dei segretari comunali (e provinciali). Lo scopo
della riforma è stato quello di adeguare la struttura degli enti alle nuove competenze
attribuite dallo stato agli enti locali, provvedendo ad un riparto generale delle funzioni
amministrative, nonché di perseguire la semplificazione dell’attività amministrativa
svolta dagli enti locali e la loro autonoma determinazione nell’organizzazione della
stessa.
Il lavoro di semplificazione, non solo dei procedimenti, ma anche dell’imputazione delle
responsabilità decisionali, è stato imponente ed ha comportato una radicale
riorganizzazione delle strutture amministrative degli enti, tanto da richiedere un
drastico mutamento di mentalità e di modus operandi da parte degli amministratori e
della burocrazia locale.
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Sull’assetto organizzativo dell’amministrazione così come delineato alla L.127/1997
sono poi intervenuti due ulteriori procedimenti legislativi: la L.191/1998 (la cd.
Bassanini ter) e la L.50/1999 (cd. Bassanini quater). In particolare la prima legge tra
l’altro ha ampliato i criteri di trasferimento di funzioni e compiti agli enti locali,
introdotto innovazioni in materia di stato civile, edilizia scolastica etc. nonché in materia
di formazione del personale e lavoro a distanza. La seconda legge ha dato un ulteriore
impulso al processo di semplificazione delle procedure amministrative.
Gradualmente la pubblica amministrazione si è trasformata da una struttura piramidale
a una costruzione orizzontale, con l’ente che ha un’ampia autonomia e responsabilità
primaria in tutti i vari aspetti del rapporto con i cittadini e con le imprese.
Il d.lgs. 80/98 ed il d.lgs. 387 dello stesso anno hanno introdotto una questione di
rilevante importanza, vale a dire la privatizzazione del pubblico impiego.
Ma il secolo scorso si è chiuso con l’approvazione della L. 265/1999 (la cd. Legge
Napolitanovigneri). Tale legge non si limita a riformare la L. 142/90, ma introduce
anche nuove disposizioni, tra le quali vale la pena citare il riconoscimento di una più
ampia autonomia degli enti locali, all’interno della quale assumono rilievo centrale
l’autonomia statutaria e regolamentare, l’allargamento degli spazi e degli istituti di
partecipazione all’attività e alle decisioni delle amministrazioni locali, il rafforzamento
del decentramento locale e l’atteggiamento di favore verso la gestione sovracomunale di
funzioni di competenza di più enti locali.
Il terzo millennio si è aperto con la L. 150/00 e con il successivo d.lgs. 267/00, i quali
hanno fortemente semplificato l’articolazione del sistema normativo vigente, mediante
l’abrogazione espressa di molteplici leggi.
Il d.lgs. 267/2000 codicizza la decennale opera del legislatore di promozione (e insieme
di recupero) del connotato di politicità degli enti locali le cui basi, come si diceva, erano
state gettate dalla L.142/1990. Viene così introdotto il Testo Unico degli Enti Locali
(T.U.E.L.).
Il testo unico deve riportare le disposizioni sull’ordinamento in senso proprio e sulla
struttura istituzionale, sul sistema elettorale, ivi comprese l’ineleggibilità e
l’incompatibilità, sullo stato giuridico degli amministratori, sul sistema finanziario e
contabile, sui controlli, nonché norme fondamentali sull’organizzazione degli uffici e del
personale, ivi compresi i segretari comunali.
19
‐
Dal 2000 ad oggi si sono susseguite una serie di normative che hanno proseguito nella
stessa direzione delle leggi “Bassanini” quindi verso un decentramento amministrativo e
verso una digitalizzazione sempre maggiore delle Pubbliche Amministrazioni.
Non ultima,infatti, è la L. cost. 3/2001 che, sulla base del riconoscimento della piena
autonomia agli enti locali e la conseguente attribuzione ad essi di funzioni
originariamente appartenenti solo allo stato, ha modificato pressoché integralmente il
Titolo V, Parte II della costituzione, dedicato appunto a Regioni, Provincie e Comuni (Del
Giudice, Minieri, Sangiuliano, 2005).
notizia di questi giorni che l’attuale ministro della funzione pubblica è intenzionato a
far scomparire la carta dall’amministrazione pubblica entro il 2012. Il piano si chiama E
GOV e intende dotare ogni italiano di una propria casella di posta elettronica cui
“dialogare” con le pubbliche amministrazioni.
Il processo di riforma iniziato nel 1990 con la legge n.142, passato attraverso
l’attuazione delle leggin. 59 e 127 del 1997, n. 191 del 1998 e n.50 del 1999 (le c.d. leggi
“Bassanini”), fino ad arrivare alle riforme attuate dall’attuale ministro della funzione
pubblica, ha inteso perseguire almeno quattro obiettivi generali:
I. Centralità del cittadino e delle imprese: il grado di soddisfazione del “cittadino” per la
tipologia, la quantità e la qualità dei servizi resi ed il valore aggiunto dei servizi
forniti alle imprese, diventano parametri fondamentali per misurare l’adeguatezza
dell’ operatività dei uffici pubblici; si stanno sviluppando nuove forme relazionali tra
PA e utenti, che garantiranno un’efficace partecipazione di questi ultimi ai processi
decisionali ed un rapido accesso alle informazioni;
II. Decentramento: sostituzione del modello a “piramide”, con una struttura
orizzontale, o a “rete”, che assegna un ruolo fondamentale alle autonomie locali,
senza rinunciare a perseguire livelli di uniformità nella qualità ed efficienza nei
servizi. Il presupposto di ciò è un’elevata interoperabilità fra i vari comparti delle
PA;
III. Efficienza: da ottenere con la semplificazione delle procedure, e l’introduzione dei
meccanismi tipici del mercato, per garantire efficacia, flessibilità ed aderenza alle
esigenze reali dei cittadini;
IV. Passaggio da un’amministrazione che crea, elabora e produce documenti cartacei, ad
una “teleamministrazione”, che cioè crea, elabora e produce documenti digitali e
dialoga, non più attraverso documenti cartacei, ma per via telematica”.
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È ‐
E’ evidente che questi obiettivi sono tra loro collegati. I diritti del cittadino e
dell’impresa possono diventare centrali solamente se le strutture locali hanno poteri
e responsabilità primarie.
A sua volta il decentramento sarà efficace solo se introdurrà procedure semplici,
efficienti e dai costi accettabili, che si potranno ottenere con la progressiva
introduzione delle tecnologie (Bucci, Lenci, Passaglia, 2009).
1.1.2L’ORIENTAMENTO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI EUROPEE
Molte persone, incluso un considerevole numero di esperti, credono che ci sia un
notevole grado di convergenza tra le riforme del settore pubblico che si sono susseguite
in questi ultimi anni in tutti i paesi avanzati mondiali.
Se ciò rappresenta la verità, siamo di fronte ad un esempio di “globalizzazione” degno di
nota, anche in relazione al fatto che solo fino a una generazione fa, le pubbliche
amministrazioni nei vari stati, erano normalmente osservate dai vari studiosi come
entità che differivano da un paese all’ altro. Si pensi al centralismo francese piuttosto che
al forte giuridicismo tedesco fino ad arrivare alla nota “British way”.
Da numerosi studi effettuati sulle varie traiettorie di riforma in numerosi paesi
industrializzati, si può affermare con ragionevole certezza che ci sono, come detto in
precedenza, molti punti di convergenza tra le varie riforme, cosa piuttosto curiosa
considerando le diversità (amministrative, politiche, culturali, etc.) che ci sono tra i vari
paesi che in questo periodo hanno dato vita a processi di riforma della Pubblica
Amministrazione.
Tutti i governi mondiali hanno individuato un’opportunità per il miglioramento della
qualità e dell’efficienza del settore pubblico. Privatizzazioni, aperture verso il mercato e
“private finance” sono state utilizzate in quasi tutti i paesi sviluppati, come via per uno
sviluppo della pubblica amministrazione.
Tutti coloro che credono in questa convergenza di cui abbiamo parlato fino ad ora, non
la pensano esattamente alla stessa maniera su tutti i punti della riforma, ma piuttosto si
può dire che essi condividono un orientamento generale. Quest’orientamento riguarda
principalmente le riforme nello stile di governance delle Pubbliche amministrazioni
(aspetto che riguarda marginalmente anche i principi su cui si fonda il “New Public
Management”), i cui elementi fondamentali sono stati enunciati nelle righe precedenti.
21
Dorrel, tra gli elementi ricordati, ha citato la privatizzazione e l’apertura al mercato
(market testing), mentre invece Hughes si è focalizzato sul risultato, sul miglioramento
della gestione finanziaria, su una maggior flessibilità nell’ assunzione e
nell’organizzazione del personale, e su un maggiore sforzo per una gestione del settore
pubblico sul modello di quello privato. La OECD (Organisation for Economic Co
operation and Development) ha concentrato le proprie attenzioni sulle performance,
sull’ orientamento al consumatore e sull’enfasi rivolta all’ efficienza.
Già da queste prime considerazioni si potrebbe sostenere che la “convergenza” di cui si è
parlato si muove verso un settore pubblico più “piccolo” e meno distintivo rispetto a
quello privato. Con ciò si intende dire che il “nuovo settore pubblico” vuole adottare in
maniera più intensa prassi (come ad esempio indagini sui consumatori o pagamenti
relativi alle performance etc.) e partecipazioni (come consulenti, partner, e nel caso in
cui ci siano numerose privatizzazioni e partnership pubblicoprivato, proprietari) del
settore privato.
Si può quindi affermare con ragionevole certezza, che il tentativo di questo vivace
periodo di riforme, che ha coinvolto buona parte, se non la totalità, dei paesi evoluti, è
stato quello di cercare di ridurre le differenze che c’erano fino a quel momento tra
settore pubblico e settore privato.
Da non trascurare sono anche le opinioni di studiosi che hanno un’idea opposta rispetto
a quella della “convergenza” delle riforme.
La Germania, oggetto del nostro studio, è stata più volte presa come paese di riferimento
per sostenere queste differenti teorie. Studiosi del calibro di Derlien, hanno sostenuto
che le riforme adottate nella pubblica amministrazione tedesca sono differenti rispetto a
quelle applicate nei paesi anglosassoni. Il modello di NPM che ha interessato gran parte
dei paesi anglosassoni, è stato invece adottato in maniera più sporadica in paesi con
sistemi amministrativi altamente decentralizzati come quello tedesco. L’applicazione
dell’NPM varia in funzione dei vari livelli amministrativi, e in Germania si è potuto
costatare che l’applicazione del modello del NPM, a livello federale, è stata piuttosto
scarsa ( Pollitt, Van Thiel e Homburg, 2007).
22
‐ ‐
1.1.3 LE RIFORME TEDESCHE DOPO L’UNIFICAZIONE
La fine del 1989 e l’inizio del 1990, vale a dire dal collasso della Germania socialista, ha
segnato l’inizio di un nuovo periodo per questo paese. La Germania torna ad essere unita
e se da un lato gravava il pesante compito di integrare i nuovi “Lnder” orientali,
dall’altro poteva contare sulla forza e sulla stabilità di un’economia che la distingueva da
molti altri paesi europei. ( Ferraris Franceschini, 2002).
La riforma della pubblica amministrazione in Germania ha seguito un percorso “bottom
up”, senza un chiaro coordinamento tra le autorità dei governi locali e centrali.
“Praticamente non ci sono iniziative di riforma a livello federale, alcuni Lnder tedeschi
si sono dimostrati pionieri della modernizzazione, ma i veri imprenditori in questo
campo sono i governi locali” (Klages e Loeffer, 1996).
Attraverso la serie di riforme realizzate nel corso degli anni 90 si è tentato di proiettare
le amministrazioni, soprattutto a livello locale, verso nuovi modelli di guida, volti a
definire in maniera più chiara gli output, mostrare una “customer orientation”
attraverso una maggiore flessibilità nell’allocazione delle risorse ed infine una maggior
fiducia posta nei confronti dell’ outsourcing, del conctractingout e nelle privatizzazioni.
Le grandi città, seguite dai Lnder, sono state le prime ad implementare questi nuovi
modelli di guida appena menzionati.
Dopo l’unificazione della Germania c’è stato un comune desiderio politico di ridurre il
numero degli impiegati pubblici a livello federale, così come il numero dei dipendenti
statali che erano impiegati nei vari Lnder.
Uno dei sistemi che è stato introdotto in quegli anni per incrementare l’efficienza da
parte degli impiegati pubblici e stato l’inserimento del “performancerelated pay” volto a
incentivare i dipendenti all’ottenimento di performance superiori rispetto a quelle
realizzate fino a quel momento. Questo sistema è stato introdotto ed usato nei servizi
postali e nei servizi legati alle telecomunicazioni, mentre invece a livelli federali e nei
vari Lnder l’utilizzo di questo sistema è avvenuto in maniera molto più sporadica.
L’applicazione dell’approccio del New Public Management in Germania ha creato una
vasta gamma di agenzie semiautonome, soprattutto nei Lnder e a livello
amministrativo locale, le quali sono divenute responsabili della fornitura dei servizi
pubblici.
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ä ‐ä ‐ ä ä ‐ä ä
Nei comuni tedeschi quest’approccio era già utilizzato in precedenza per favorire il
trasferimento di competenze all’interno delle imprese comunali, alle quali erano
delegati un ampio ventaglio servizi pubblici. I tipici servizi che erano (e sono tutt’ora) di
competenza delle imprese comunali sono la gestione dei parcheggi, dei musei e teatri,
l’energia ed il servizio idrico giusto per citarne alcuni.
Quest’azione riformatrice, che ha spinto il governo a delegare molti dei compiti a livello
locale, è stata il frutto della crisi fiscale che la Germania si è trovata ad affrontare
all’inizio degli anni 90 dopo l’unificazione. Questa crisi, infatti, ha incrementato la
portata dell’intervento governativo il quale appunto ha operato una decentralizzazione,
attraverso gli strumenti del contractingout e delle privatizzazioni dei più importanti
servizi pubblici (Loeffler, 2009).
Osservando le varie traiettorie di riforma nelle Pubbliche amministrazioni tedesche
negli ultimi 1015 anni, gli studiosi affermano con ragionevole certezza, che queste
possono essere rappresentate più come un rafforzamento amministrativo e una
modernizzazione, piuttosto che un’apertura al mercato o una minimizzazione.
Analizzando attentamente i caratteri della riforma è possibile aggiungere che questa è
stata contraddistinta più per il suo incrementalismo (cioè una flessibilità permanente
dei quadri di riferimento istituzionali) che per cambiamenti fondamentali e più per i
miglioramenti del sistema esistente piuttosto che per l’importazione di altri modelli
(Pollitt e Bouckaert, 2002).
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‐ ‐
1.2NASCITA E SVILUPPO DEL NPM E LAPUBLIC GOVERNANCE
Nel paragrafo precedente abbiamo introdotto il tema delle riforme della Pubblica
Amministrazione, che si sono susseguite nel corso dell’ultimo ventennio ponendo
l’accento sul fatto che, in quasi tutti paesi europei e non, c’è stato un forte cambiamento
di rotta per ciò che riguarda la filosofia di approccio ai problemi di miglioramento della
gestione dei servizi pubblici. Molti dei processi di modernizzazione amministrativa di
questi anni sono stati ricondotti, dagli studiosi, all’approccio del New Public
Management (NPM).
L’importanza di questo orientamento è largamente dovuta dal contributo fornito da
Osborne (giornalista americano) e Gaebler (ex city manager statunitense), i quali hanno
scritto un libro che si è poi rivelato fonte d’ispirazione per molti processi di riforma:
“Reinventing Governement”.
Osborne e Gaebler hanno francamente ammesso di non aver inventato i concetti che
descrivono. Riconoscono che il loro principale contributo consiste nel sintetizzare le
idee e le esperienze (di successo) altrui: dagli istituti scolastici, ai comuni, fino ad alcuni
stati federali degli Stati Uniti d’America.
Dall’esame di questi apparati statali di rango inferiore, i due studiosi, sono poi arrivati a
definire dieci principi fondamentali, sui quali, le organizzazioni pubbliche (a tutti i
livelli), si dovrebbero basare per un miglioramento della loro governance:
1) Assumere un ruolo di guida
2) Coinvolgere la comunità piuttosto che fornire semplicemente dei servizi
3) Incoraggiare la competizione piuttosto che il monopolio
4) Focalizzarsi sugli obiettivi e non sulle regole
5) Investire sugli outcomes piuttosto che sugli input
6) Andare incontro ai bisogni dei consumatori evitando inutili burocratizzazioni
7) Concentrarsi sui guadagni (earning) e non sulle spese (spending)
8) Prevenire exante piuttosto che dover rimediare expost
9) Decentralizzare
10) Aprirsi al mercato(Osborne, Gaebler, 1993).
25
“” ‐‐
Attualmente, per illustrare i principi base del NPM, si utilizza il “modello delle 5 R”
(Jones e Thompson). Attraverso questo modello si cerca di fornire degli spunti
applicativi per la sua implementazione a livello strategico.
La prima R Ristrutturazione significa eliminare ciò che non contribuisce al valore del
servizio/prodotto erogato al consumatore. La seconda R Riprogettazione si concentra
nel “partire da capo” piuttosto che affrontare problemi con soluzioni tampone e
marginali. La terza R Reinventare richiede di sviluppare nuove modalità di fornitura
dei servizi. La quarta R Riallineamento richiede di armonizzare la struttura
amministrativa alla strategia sviluppata. La quinta RRipensare richiede capacità di
accelerare l’analisi ed i feedback e da una valutazione migliore e più rapida della
performance dei servizi.
Queste idee hanno capovolto quella che fino a quel momento era una cultura burocratica
all’interno delle Pubbliche Amministrazioni. Non siamo di fronte a meri termini da
dizionario, ma davanti a concreti principi di azione (Meneguzzo, Cepiku e Di Filippo,
2006).
1.2.1.ILNEWPUBLICMANAGEMENTNELLAGOVERNANCEPUBBLICA
L’approccio del NPM imputa all’inefficienza della PA i maggiori ritardi per lo sviluppo
economico dei paesi industrializzati. La soluzione che viene proposta attraverso questo
approccio si concretizza nel ridimensionamento dell’intervento pubblico sul mercato e
nella progressiva aziendalizzazione nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici.
Quello che viene sostenuto dai fautori di questo approccio è che i sistemi di management
diffusi e sperimentati nel settore privato, possono essere facilmente importati,
ovviamente adottando opportuni adattamenti, da parte delle aziende pubbliche.
Quindi, alla base di questo modello c’è la convinzione che tra pubblico e privato non vi
sono sostanziali differenze per quanto riguarda gli strumenti di gestione da impiegare,
piuttosto, ciò che effettivamente cambia tra le due sfere, sono i fini da perseguire.
C’è un costante assottigliamento nelle differenze gestionali tra le aziende pubbliche e
private. Basti pensare che lo stesso concetto di azienda pubblica è basato sul principio
che anche la fornitura di servizi pubblici deve avvenire rispettando i principi di
efficienza, efficacia ed economicità, che vengono dettati dall’economia aziendale.
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I principi contenuti all’interno del concetto di NPM, ma soprattutto le applicazioni
concrete dello stesso, hanno facilitato notevolmente l’affermazione di molti elementi alla
base del modello di governance.
Il NPM, come già ricordato, si propone di riorganizzare il funzionamento
dell’amministrazione pubblica attraverso un cambiamento della cultura e dei
comportamenti delle persone poste ai livelli organizzativi più elevati.
I dirigenti pubblici non sono più visti come meri garanti del rispetto di regole e
procedure, ma diventano i principali responsabili del raggiungimento degli obiettivi che
sono prefissati dagli organi politici, ai quali invece spettano funzioni di indirizzo e
controllo.
Si delinea un nuovo profilo del manager pubblico, in cui si presuppone una maggiore
autonomia nell’acquisizione delle risorse, nello svolgimento del processo produttivo e
nella gestione del personale. Questa maggiore discrezionalità nella gestione deve
accompagnarsi ad un utilizzo di idonei strumenti operativi a supporto del processo
direzionale, quali gli indicatori di performance, le analisi e le elaborazione dei costi, le
tecniche di previsione e via dicendo.
Il New Public Management in sostanza si propone di ridurre i controlli formali per
orientarsi più su prestazioni e risultati della propria attività.
Se da un lato tale approccio fornisce ai manager pubblici maggiore autonomia, dall’altro
carica gli stessi di maggiori responsabilità, ed è quindi logico, ragionando in quest’ottica,
che il sistema retributivo dei dipendenti pubblici deve strutturasi in maniera tale da
differenziare le retribuzioni, non più solo in base alla qualifica e all’anzianità, ma anche
tenendo conto delle funzioni esercitate e soprattutto dal grado di raggiungimento degli
obiettivi.
Tra i vari principi tipici del NPM, rientra il ridimensionamento degli apparati pubblici,
caratterizzati da forti diseconomie dimensionali e dalla presenza di responsabilità
diffuse che non sono riconducibili ad alcun manager.
Il frazionamento delle funzioni di questi apparati in settori più ridotti, consente elevati
recuperi di efficienza.
Nei rapporti con le aziende private si intende privilegiare la logica dei contratti, in cui
vengono stabilite le condizioni economiche di erogazione dei servizi in sostituzione del
tradizionale conferimento di compiti e funzioni.
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