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INTRODUZIONE
Gli atteggiamenti sono delle predisposizioni che spingono
le persone a reagire in un certo modo di fronte a determinati
oggetti-stimolo. Conoscerli, comprendere il modo in cui si
formano, come sono strutturati, le funzioni che svolgono, può
pertanto essere utile a chi si pone l’obiettivo di spiegare il
comportamento. Per questo motivo la psicologia sociale si è
occupata a lungo di tale argomento. Dei tanti studi dedicati
agli atteggiamenti, però, solo pochi, e solo di recente, hanno
preso in considerazione l’aspetto dell’ambivalenza. Con questo
termine si intende il fatto che la valutazione di un oggetto di
atteggiamento non è necessariamente unidimesionale, ma
può essere positiva e negativa allo stesso tempo.
L’ambivalenza, come le altre caratteristiche
dell’atteggiamento, ha influenza sull’elaborazione delle
informazioni, sulla persistenza degli atteggiamenti, sulla loro
resistenza al cambiamento e sulla previsione dei
comportamenti successivi.
Gli atteggiamenti tendono ad essere stabili nel tempo.
Questo non vuol dire che non possano essere cambiati
conseguentemente ad esperienze dirette con l’oggetto di
atteggiamento, oppure in seguito a dei tentativi di farceli
cambiare. Le nostre interazioni quotidiane sono piene di
intenti persuasivi, il linguaggio non è mai neutrale. Lo studio
dei metodi con cui si possono cambiare gli atteggiamenti
interessa in modo particolare i professionisti che lavorano nel
INTRODUZIONE
campo della comunicazione (pubblicità, pubbliche relazioni,
propaganda politica,…) e sono interessati a farci adottare certi
comportamenti. Convincere le persone a fare ciò che non
vogliono non è tuttavia semplice. È infatti raro che gli
atteggiamenti cambino radicalmente. Chi conosce i
meccanismi della persuasione può però sfruttarli a proprio
vantaggio, sfruttando le risposte automatiche che certi stimoli
sono in grado di indurre. Noi, a nostra volta, diventando
consapevoli di tali automatismi possiamo cercare di evitarli,
quando lo riteniamo necessario.
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GLI ATTEGGIAMENTI
Un famoso psicologo sociale degli anni Cinquanta
sosteneva che il concetto di atteggiamento era “probabilmente
il più caratteristico e necessario… della psicologia sociale
americana contemporanea” [Allport 1954]. Questo concetto è
tuttora molto popolare. Lo scopo della psicologia è infatti
quello di spiegare il comportamento, e si assume che gli
atteggiamenti lo influenzino. Possono quindi essere usati
come indicatori per prevedere le azioni degli individui. Per
modificare il comportamento della gente può inoltre essere
utile iniziare col cambiarne l’atteggiamento.
A seconda dell’orientamento dei singoli studiosi, gli
atteggiamenti sono stati considerati come un tipo particolare
di motivazione, un riflesso di valori e/o tratti di personalità,
reazioni a stimoli e/o variabili che intervengono tra uno
stimolo e una risposta, valutazioni soggettive, auto-
descrizioni, tratti predittivi del comportamento o strutture
cognitive durevoli. Gli atteggiamenti non vivono però isolati
nella mente di un individuo, si esprimono nell’azione e
interazione con le altre persone, e in una prospettiva più
ampia possono essere considerati in quanto prodotti sociali e
parte dell’azione sociale. Influenzano le nostre decisioni e
comportamenti, che però non sono mai svincolati
dall’ambiente in cui viviamo. Tempo, luogo e gruppi sociali
non influenzano solo quello che facciamo, ma anche ciò che
GLI ATTEGGIAMENTI
pensiamo, sentiamo e crediamo di poter fare. Gli
atteggiamenti non vanno quindi considerati come riflessioni
meditative sul mondo, ma come un modo di pianificare la
nostra interazione con esso.
Sebbene gli atteggiamenti siano stati molto studiati in
psicologia, l’aspetto dell’ambivalenza, la compresenza di
pensieri e sentimenti sia positivi che negativi, ha iniziato a
essere preso in considerazione solo di recente.
In questo capitolo vediamo cosa si intende quando si
parla di atteggiamenti, come nascono, a cosa servono, come
funzionano, infine ci concentriamo sull’aspetto su cui fino ad
oggi si soffermati ancora pochi autori, quello, appunto,
dell’ambivalenza.
GLI ATTEGGIAMENTI
1.1 CONCETTO DI ATTEGGIAMENTO
L’atteggiamento è un modo di rispondere a certi stimoli
esterni come situazioni, oggetti, persone, gruppi. Si tratta di
un tipo particolare di stato disposizionale [Jervis 1992] in
genere abbastanza stabile nel tempo. È un concetto che si
riferisce quindi a una caratteristica non direttamente
osservabile, la predisposizione dei soggetti a reagire in un
determinato modo di fronte a particolari circostanze o eventi.
Le persone esprimono i loro atteggiamenti attraverso vari tipi
di linguaggio, non solo verbale. Ci sono diversi segnali che
permettono di individuarli, come i movimenti del corpo e del
viso, il tono della voce, l’uso di particolari espressioni, parole
o pause nel discorso.
Le scienze sociali, in particolare la psicologia sociale,
hanno man mano definito e precisato questo concetto.
1.1.1 Nascita del concetto di atteggiamento sociale
“L’atteggiamento è un processo mentale individuale che
determina le risposte sia attuali sia potenziali di ogni
individuo al mondo sociale” [Thomas e Znaniecki 1918]. Ciò
vuol dire che si tratta di un processo individuale e sociale allo
stesso tempo. L’individuo, attraverso lo scambio con
l’ambiente in cui è inserito, elabora e interiorizza l’ideologia e i
valori dei gruppi per lui importanti. Questa è la definizione
proposta da Thomas e Znaniecki [1918]. I due autori hanno
introdotto in psicologia il termine atteggiamento sociale per
spiegare le differenze osservate nel comportamento quotidiano
dei contadini polacchi emigrati negli Stati Uniti rispetto a
GLI ATTEGGIAMENTI
quello dei loro connazionali rimasti in Polonia. Da allora il
concetto di atteggiamento è diventato sempre più popolare.
1.1.2 Dimensioni individuali e sociali
dell’atteggiamento
Il dibattito sul fatto che l’atteggiamento sia
essenzialmente individuale o sociale, o se sia composto da
entrambe queste dimensioni è rimasto aperto.
La psicologia sociale cognitivista americana ha focalizzato
l’attenzione sugli aspetti individuali dell’atteggiamento,
definendolo come un costrutto della mente che induce delle
predisposizioni nel modo di percepire e valutare la realtà
sociale e che guida il comportamento individuale [Allport, G.W.
1935]. Gli atteggiamenti rappresentano quindi la modalità
valutativa della struttura cognitiva, che consente
all’individualità del singolo di esprimersi e spiega la diversità
nei comportamenti di individui inseriti nella stessa realtà
sociale. Attraverso gli atteggiamenti, l’individuo valuta gli
stimoli provenienti dal mondo esterno, esprime la sua
posizione e risponde ad essi. Gli aspetti sociali e
interindividuali, quando emergono, sono limitati al fatto che
l’atteggiamento si riferisce a oggetti collocati nell’ambito
sociale.
Gli appartenenti alla scuola delle rappresentazioni sociali
[Moscovici 1961/84, Doise 1986, Jodelet 1989, Palmonari 1981-
89] usano invece una prospettiva meno centrata
sull’organizzazione psicologica individuale. Studiano gli
atteggiamenti nel contesto dei rapporti sociali che li
producono, il che equivale a studiarli come delle
GLI ATTEGGIAMENTI
rappresentazioni sociali, cioè modalità condivise di
rappresentarsi la realtà. I gruppi di riferimento dell’individuo
possono svolgere una funzione di ancoraggio degli
atteggiamenti, cioè far incorporare la nuova conoscenza in
una rete di conoscenze pregresse. La conoscenza così creata
diventa quindi uno strumento dell’azione. Il semplice
appartenere ad un gruppo non vuol dire necessariamente
condividere tutte le opinioni degli altri membri. Una persona
può far parte di più gruppi e aspirare ad appartenere ad altri.
I più significativi svolgono funzione di ancoraggio per le
proprie opinioni e credenze [Doise 1989]. Le persone sono
infatti motivate a essere valutate positivamente dagli altri e le
diverse culture dei gruppi di appartenenza prescrivono ciò che
si deve fare e gli atteggiamenti che è opportuno mostrare nelle
diverse situazioni. Le rappresentazioni sociali svolgono quindi
la funzione di punti di riferimento per l’individuo, per
interpretare e valutare il mondo e comunicare con gli altri.
Ci sono anche studiosi che si distaccano dalle posizioni
precedenti e considerano gli atteggiamenti composti da
entrambe le componenti, individuale e sociale. “Di certo gli atteggiamenti
sono un po’ l’una, un po’ l’altra cosa, e il problema reale
sembra risiedere nell’incapacità degli psicologi sociali di
concepire un modello adeguato, capace di collegare il livello
dell’elaborazione intraindividuale con quello dei processi
interindividuali” [Trentin 1991].
1.1.3 Concezioni pluridimensionali o monodimensionali
dell’atteggiamento
La concezione di atteggiamento può essere pluridimensionale
o monodimensionale.
GLI ATTEGGIAMENTI
Nel primo caso si ritiene che gli atteggiamenti
corrispondano a tre classi di risposte (affettive, cognitive e
comportamentali) a uno stimolo. Si tratta cioè di come ci
sentiamo, cosa pensiamo e cosa siamo inclini a fare riguardo
un oggetto di atteggiamento. Le teorie a tre componenti [Katz e
Stotland 1959, Rosemberg e Hovland 1960] assumono quindi,
per definizione, che esista una relazione tra atteggiamento e
comportamento. Alla comparsa dei primi studi che indicavano
che tale relazione poteva invece essere molto tenue, gli
psicologi si sono pertanto dimostrati scettici verso i modelli
pluridimensionali e verso il concetto di atteggiamento in
generale.
I modelli unidimensionali risolvono il problema del
rapporto atteggiamento-comportamento. Lo sforzo di ridurre
l’atteggiamento a una sola componente, di solito quella
affettiva, si riduce però generalmente a una semplificazione
eccessiva.
Alcuni autori [Fleming 1967, Zajonc e Markus 1982,
Bagozzi e Burnkrant 1979] hanno allora proposto dei modelli a
due componenti (affettive e cognitive). Altri [Breckler 1984]
hanno affermato che l’esistenza di tre categorie di risposta
non presuppone che esse siano internamente coerenti. Non
c’è quindi bisogno di ammettere a priori una congruenza fra
atteggiamento e comportamento.
1.1.4 Importanza del concetto di atteggiamento
Una concezione univoca di atteggiamento non è ancora
stata definita. Tutti gli psicologi sociali lo ritengono comunque
un concetto importante per capire il rapporto tra individuo e
GLI ATTEGGIAMENTI
società. Avere un atteggiamento vuol dire infatti avere una
tendenza a valutare sempre nello stesso modo, favorevole o
contrario, gli oggetti dell’ambiente sociale (eventi, gruppi,
ideologie, questioni sociali, fatti politici, …) che fungono da
stimoli. Conoscere gli atteggiamenti è utile per fare previsioni
sul comportamento sociale, anche se ci può essere incoerenza
tra atteggiamento dichiarato e comportamento. La condotta
sociale non dipende infatti solo da fattori psicologici come le
valutazioni personali. Gli atteggiamenti, comunque,
influenzano il comportamento, essendo predisposizioni ad
agire in favore o contro un oggetto sociale.
GLI ATTEGGIAMENTI
1.2 FORMAZIONE DEGLI ATTEGGIAMENTI
La formazione dell’atteggiamento è dovuta a fattori
psicologici e ambientali e deriva dallo scambio tra individuo e
contesto sociale a cui appartiene.
Un atteggiamento può essere frutto di diversi elementi.
Esperienza diretta. È difficile analizzarne l’azione
isolandola completamente da altri fattori. Per quanto
riguarda la realtà fisica è normale formarsi delle
convinzioni per contatto diretto, ma nel caso degli
stimoli di significato sociale rilevante è difficile farne
esperienza diretta con la mente completamente
sgombra dalle nozioni che, a riguardo, circolano nel
nostro ambiente sociale. Fazio e Zanna [1981] hanno
condotto degli esperimenti con cui dimostrano che
comunque l’esperienza diretta, rispetto a quella
indiretta, produce atteggiamenti più chiari e fortemente
radicati e le persone li difendono con più decisione
dalle controargomentazioni. Dall’esperienza diretta si
ottengono infatti più informazioni che dal contatto con
altre fonti, e queste sono quindi più accessibili in
memoria.
Mera esposizione. Si tratta della semplice
esposizione ad uno stimolo. Oggetti, luoghi e
persone sono infatti valutati positivamente, o
diventano più piacevoli con il passare del tempo,
per effetto della familiarità. Zajonc [1968] ha
condotto degli studi sperimentali concludendo che
GLI ATTEGGIAMENTI
sono sufficienti dei contatti ripetuti con uno
stimolo per aumentarne la piacevolezza, e questo
effetto non è basato su processi di elaborazione
cognitiva. Vi sono infatti delle condizioni in cui le
persone hanno delle reazioni affettive che sono
indipendenti dalla formazione di concetti relativi
all’oggetto valutato. In ogni caso la
sovraesposizione ad uno stimolo può portare alla
noia, condizione che limita la portata dell’effetto
[Bornstein, Kale e Cornell 1990]. Se poi la reazione
ad uno stimolo è stata spiacevole fin dall’inizio, i
ripetuti contatti aumentano il numero di
esperienze sgradevoli, intensificando pertanto la
risposta negativa verso l’oggetto di atteggiamento.
Condizionamento classico. Si ha quando uno
stimolo neutro arriva a evocare una risposta
positiva o negativa per il solo fatto di essere stato
ripetutamente associato a qualcosa che suscita
naturalmente una risposta positiva o negativa.
Condizionamento operante. Le persone agiscono
in modo da massimizzare le conseguenze positive
delle proprie azioni e minimizzare quelle negative
[Skinner 1938]. Se un comportamento è premiato
aumentano quindi le probabilità che venga
ripetuto, diminuiscono se è punito e le persone si
formano atteggiamenti congruenti con questi
comportamenti. Inoltre se manifestare il proprio
atteggiamento produce effetti positivi
l’atteggiamento ne risulta rafforzato. Se invece si è
ricompensati per sostenere una posizione contraria
al proprio atteggiamento, questo tenderà a
GLI ATTEGGIAMENTI
spostarsi verso la posizione inizialmente non
condivisa.
Esperienza socialmente mediata. Ogni piccolo gruppo
per conservarsi e mantenere una buona coesione
interna deve esercitare delle pressioni sui suoi membri
affinché questi si conformino alla maggioranza.
L’influenza esercitata dai gruppi può essere
informativa, quando la persona riconosce la validità del
gruppo come fonte di informazione, o normativa,
quando la persona si conforma a norme e valori per
corrispondere alle aspettative del gruppo nei suoi
confronti. Gli individui sviluppano i propri
atteggiamenti avendo presenti quelli dei loro gruppi di
riferimento. Kelman [1961] distingue i processi
individuali che rendono possibile l’influenza:
acquiescenza - l’individuo mantiene una sua
idea personale, ma manifesta quella altrui per
ricavarne qualche vantaggio. L’atteggiamento viene
manifestato solo se c’è controllo da parte
dell’agente influenzante.
identificazione - l’influenza è accettata in quanto
permette il mantenimento di una relazione
gratificante fra il soggetto e l’immagine che ha di
sé. Il soggetto ha comunque un’accettazione
convinta e non c’è bisogno del controllo dell’agente
influenzante affinché l’atteggiamento si manifesti.
interiorizzazione - la persona è pienamente
convinta della validità di valori e atteggiamenti
dell’agente influenzante e li ritiene congruenti con
le sue intime convinzioni. Gli atteggiamenti nuovi
GLI ATTEGGIAMENTI
si integrano quindi con i sistemi preesistenti e
diventano indipendenti dall’agente influenzante.