INTRODUZIONE
Parlare oggi di rischio in ambito sanitario, vuol dire addentrarsi in un
settore che è parte di una “mission” che tutti i professionisti sanitari devono
affrontare in ogni momento, in ogni atto assistenziale, in ogni pensiero o gesto che
essi adempiono nei confronti dei pazienti di cui devono prendersi cura. In ogni
libro di testo, in ogni corso didattico, in tutte le attuali leggi inerenti i temi
infermieristici, i temi della salute, del Nursing e delle sue fasi di processo, si assiste
oggi ad una rivoluzione del ruolo del professionista sanitario - e in particolare
dell’infermiere: la figura principale ed essenziale nel processo di assistenza. Il
ruolo infermieristico non è più una semplice mansione, ma una funzione
complessa: proprio questa è la ratio alla base del traguardo verso cui tende la
formazione universitaria, che oggi orienta il neoinfermiere ad apprendere una
crescente consapevolezza della propria professione e professionalità, attraverso
l’acquisizione di quella forma mentis che lo spingerà ad agire e a pensare
nell’ottica degli obiettivi della propria mission.
Pur non essendo un corso universitario di infermieristica – a mio avviso –
sufficiente a favorire tale acquisizione (data la necessità di altre componenti quali
esperienza, personalità, cultura, background del proprio vissuto, predisposizione
al lavoro sociosanitario, ecc.), ritengo comunque che esso rappresenti uno
strumento di avvio valido ed efficace, una sorta di “trampolino di lancio” per
rafforzare, nello “studente-infermiere”, l’ottica di cambiamento e la coscienza di
una professione che andrà a ricoprire nella società. In tal senso, i concetti di
“Sapere – Saper fare – Saper essere” rappresentano appunto quella scala
formativa e di orientamento nella professione infermieristica.
Il tema “Risk Management”, ha risvegliato nella mia coscienza di essere
umano e di futuro infermiere un interesse di particolare enfasi, soprattutto se si
pensa che la prima regola di approccio verso una persona in difficoltà nel
soddisfare un proprio bisogno fondamentale, è quella di “NON NUOCERE”: si
cerca di aiutarla ad esprimersi, di comprenderla, di portarla verso il massimo
grado di autonomia possibile (compatibilmente con la sua patologia), con la
costante consapevolezza di lenire le sue pene nello spirito e nel corpo, secondo il
modello dei bisogni di Maslow.
IV
La scelta di questo argomento parte dunque dal presupposto che ogni
attività e competenza infermieristica deve avere nelle sue radici umane, etiche e
deontologiche, i principi-doveri di prevenzione, qualità e umanizzazione delle cure,
che mi accingerò a sviluppare in questo mio lavoro, correlandoli all’attuale tema
della qualità e umanizzazione dei servizi sanitari: obiettivi specifici del Governo
Clinico Assistenziale.
In seno a questo tipo di “Governo sanitario” spicca lo strumento del Processo di
Gestione del Rischio: tale è il motivo per cui si parla molto spesso di Clinical Risk
Management, e in tal contesto, restringerò lo studio e l’analisi al particolare ambito
della GESTIONE DEL RISCHIO FARMACOLOGICO.
La MOTIVAZIONE dello studio:
È basata su una riflessione personale: la prevenzione e la gestione del rischio
farmacologico rivelano, oggi, quanto e come la Politica Sanitaria sia sempre più
improntata verso la centralità del paziente, approntando linee guida e protocolli per
una “somministrazione e prescrizione farmacologica sempre più sicura”.
L’OBIETTIVO dello studio è quello di verificare
quanto l’orientamento e le competenze infermieristiche - a tutti i livelli - siano pronte ad
utilizzare sistemi di ausilio più sofisticati per la gestione delle prescrizioni terapeutiche
farmacologiche, a garanzia della loro corretta applicazione
Partendo dalla presentazione di un’iniziativa sperimentale di un sistema di
prescrizione farmacologica informatizzato, associato all’uso del Foglio Unico di
Terapia, presso l’U.O. di Oncologia Medica Sperimentale (O.M.S.) dell’I.R.C.C.S
Oncologico Giovanni Paolo II di Bari (sede del mio tirocinio formativo), e
attraverso la distribuzione di questionari anonimi agli infermieri sia dell’Istituto
stesso che di altre strutture oncologiche della Puglia, cercherò di valutare la
percezione del rischio nell’ambito dell’intero processo di gestione delle terapie
farmacologiche, evidenziando particolarmente il grado di coscienza e
consapevolezza del rischio da parte del personale infermieristico dell’I.R.C.C.S
Oncologico Giovanni Paolo II di Bari.
Ho volutamente indicato nell’obiettivo, che le competenze infermieristiche
sono a tutti il livelli coinvolte, perché grazie al merito di una efficace leadership è
possibile l’attuazione di programmi di gestione dei rischi in campo clinico; ma è
soprattutto grazie anche ad una partnership di tutte le figure professionali
sanitarie coinvolte nel processo di gestione farmacologica, che sarà possibile
muoversi nella logica del Governo Clinico Assistenziale: esso infatti promuove il
lavoro in team, i concetti di multidisciplinarità e multiprofessionalità, con l’unico e
comune obiettivo di mettere al centro il paziente, la soddisfazione dei suoi bisogni
e la sua sicurezza nel percorso di cura.
Questa tesi sarà strutturata in QUATTRO CAPITOLI, nei quali si illustrerà
una panoramica aggiornata sulle tematiche di Qualità dell’assistenza, di Risk
Management e di Sicurezza nella prescrizione e somministrazione farmacologica;
la parte finale del lavoro, sarà dedicato allo studio sperimentale di indagine
statistica e alle relative conclusioni inerenti la ricerca dell’oggetto di studio.
V
Nel CAPITOLO PRIMO si introdurrà il concetto di qualità, spiegando con
semplicità cos’è il Clinical Governance, i suoi aspetti generali, i suoi strumenti e i
suoi obiettivi, interfacciandoli alla specifica dimensione dell’assistenza
infermieristica; si passeranno in rassegna le modalità di misurazione della qualità
dell’assistenza e si concluderà, sottolineando l’importanza di uno degli strumenti
più importanti del Clinical Governance: il Clinic Risk Management.
Nel SECONDO CAPITOLO, che rappresenterà la parte generale
dell’argomento, verrà sviluppata e approfondita la tematica del Risk Management
o in particolare del Clinical Risk Management.
- In generale, si parlerà delle origini, del modello teorico di base, delle
caratteristiche generiche e dei processi in tema di Gestione del Rischio Clinico,
attingendo dalla legislazione e dalle fonti più recenti.
Nel TERZO CAPITOLO, che sarà invece la parte specifica dell’argomento, si
darà dato un taglio prettamente infermieristico al tema del rischio clinico.
- Nello specifico, si introdurrà un’area importante del Clinical Risk Management:
la Gestione del Rischio Farmacologico, in relazione al tema di sicurezza delle
prescrizioni e somministrazioni terapeutiche.
Il QUARTO CAPITOLO sarà completamente dedicato alla mia ricerca
sperimentale e si muoverà su due direttive principali che poi convergeranno verso
un unico obiettivo*:
- PRIMA DIRETTIVA: somministrazione di un questionario anonimo agli infermieri
di strutture oncologiche (Centri, UU.OO. o Ambulatori), dislocati nella Puglia,
tesa a valutare i rischi e la loro percezione nel processo di gestione e
somministrazione delle terapie farmacologiche;
- SECONDA DIRETTIVA: somministrazione di un questionario anonimo agli
infermieri dell’ I.R.C.C.S Oncologico Giovanni Paolo II di Bari, con l’obiettivo
di valutare sia la percezione del rischio, sia – attraverso un’analisi comparativa
con i “dati Puglia” - di mettere in risalto lo sviluppo, nel personale
infermieristico dell’Istituto, di una “cultura dell’errore e della prevenzione”,
nell’ambito della gestione del farmaco.
(*)RISULTATI E OBIETTIVI:
Senza pretesa o presunzione, attraverso l’analisi comparata dei risultati si rileverà
- nell’ambito dell’I.R.C.C.S Oncologico di Bari – il livello di coscienza,
consapevolezza e percezione, in tema di rischi farmacologici, all’interno di un
team professionale infermieristico che - in un’ottica di multidisciplinarità e
multiprofessionalità – si è già facilmente e rapidamente adattato all’introduzione e
all’uso di strumenti sperimentali semplici e a basso costo per la prevenzione dei
rischi nelle prescrizioni terapeutiche (Sistema di Prescrizione Informatizzato e Foglio
Unico di Terapia).
Se i risultati risultassero positivi, si sarà raggiunto l’obiettivo prefissato in
precedenza: dimostrando che l’orientamento e le competenze infermieristiche -
nell’Istituto – sono adeguate e pronte per implementare strumenti più avanzati di
gestione delle prescrizioni terapeutiche, finalizzati a garantirne la corretta
applicazione e la riduzione degli errori.
VI
Capitolo Primo
GOVERNO CLINICO ASSISTENZIALE E
QUALITÀ DELLE CURE INFERMIERISTICHE
Premessa al capitolo
In questo capitolo, saranno introdotti i concetti di Qualità, Governo Clinico
e Miglioramento Continuo in Sanità, con uno sguardo attento e particolare verso
l’assistenza e le cure infermieristiche.
Partendo dalla descrizione delle principali normative che oggi disciplinano
il miglioramento continuo della qualità in tutti gli ambiti delle attività sanitarie, si
vedrà come il Clinical Governance fornisca gli strumenti capaci di fondere in un
unico obiettivo la riduzione dei costi - secondo un principio di economicità
aziendale - e di non trascurare il cittadino (visto come utente/paziente), a scapito di
tale principio: così il rapporto costo/beneficio assumerà un valore di equilibrio,
con ampi vantaggi qualitativi e quantitativi sia per l’azienda sanitaria sia
soprattutto il cittadino.
1.1 Definizione di Qualità e introduzione al Governo Clinico
1.1.1 Origini ed evoluzione di un servizio infermieristico di qualità
Si è voluto iniziare questo lavoro dalla tematica della Qualità e del Clinical
Governance, perché non si può parlare di prevenzione e gestione dei rischi in
ambito sanitario se non si parla dell’obiettivo verso cui essa tende: il
miglioramento continuo.
Oggi fornire assistenza, cure e servizi ai cittadini (è in tal senso che essi vengono
1
definiti come “pazienti e utenti”), non significa solo mettere in atto tutte quelle
procedure finalizzate a rispondere alla richiesta degli stessi, ma anche fare in
modo che queste rispettino quegli standard di qualità che l’azienda stessa si
impegna a rispettare nei confronti degli stessi.
La dimensione attraverso cui ogni infermiere deve agire (nel rispetto delle
sue competenze/funzioni e della sua professionalità), è quella umana, nel rispetto
1
Per una mia scelta personale, preferisco non usare la parola “utente” nei confronti di una persona che vive
l’esperienza di un suo disagio.
1
di quei principi basilari che la Costituzione stessa sancisce come inviolabili: sono i
Diritti Fondamentali della Persona che, non a caso, vengono parimenti contemplati
2
nel nuovo Codice di Deontologia Infermieristica, che all’art. 5 recita: «Il rispetto dei
diritti fondamentale dell’uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale
per l’esercizio della professione infermieristica»; inoltre nell’art. 3 si sottolinea che: «La
responsabilità dellʹinfermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della
persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dellʹindividuo»;
infine nell’art. 6 si afferma che: «Lʹinfermiere riconosce la salute come bene
fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività
di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.»
In una sorta di graduale crescita, sviluppo e rinnovamento, la
giurisprudenza in materia sanitaria, sembra essere arrivata ad un connubio tra
dimensione legislativa, economica, etico-deontologica e umana: l’equilibrio di tali
dimensioni è evidente proprio nell’evoluzione che la professione infermieristica ha
avuto a partire dal 1994 col D.M. n. 739 del 04 settembre (Regolamento concernente
l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere), che ha
fissato le competenze della professione, e che culminerà con Legge n. 42 del 26
febbraio 1999 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie), con l’eliminazione del
termine “ausiliario” associato al ruolo infermieristico e l’abrogazione definitiva
del cosiddetto “mansionario” (D.L. 225 del 14 marzo 1974). La svolta, dunque, per
la professione infermieristica, sta nel rapporto che si crea tra l’infermiere e la
persona/assistito (persona in quanto portatore di diritti inviolabili, assistito in
quanto soggetto che vive una particolare situazione di disagio che turba il suo
stato di equilibrio socio-psico-fisico): questi due soggetti, pur nella loro
3
autonomia, sono legati e interdipendenti da un patto assistenziale, di cui solo
4
l’infermiere è il responsabile.
L’infermiere non è più visto come semplice “operatore sanitario”, dotato di un
diploma abilitante, ma un professionista sanitario, responsabile dell’assistenza
5
infermieristica.
Per capire meglio l’essenza di questo “rapporto assistenziale”, dobbiamo
rifarci all’ art. 2 del Codice Deontologico, in cui si ribadisce che «l’assistenza
6
infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività … »; sia sotto
l’aspetto medico-legale che giurisprudenziale, il ruolo infermieristico è infatti
messo in risalto (per etica e deontologia), quale garante della salute dell’assistito:
l’art. 40 c.p. ribadisce che «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di
7
impedire, equivale a cagionarlo», mentre la la Cassazione ha affermato più volte che
2
V. artt. 3, 5 e 6 Codice Deontologico dell’Infermiere, approvato con deliberazione n. 1/09 del 10/01/2009 e
dal Consiglio nazionale della Federazione nazionale dei Collegi IPASVI nella seduta del 17/01/2009 – Roma,
in Commentario al Codice Deontologico 2009, a cura di A. Silvestro, McGraw-Hill , Milano, , 2009, p. 4.
3
Cfr. Silvestro A., Il nuovo codice deontologico degli infermieri italiani, in Commentario al Codice
deontologico 2009, McGraw-Hill , Milano, 2009, p. 16
4
V. art. 1 del D.M. 14 settembre 1994 n. 739, in G.U. del 9 gennaio 1995 n. 6
5
Cfr. Silvestro A., Il nuovo codice deontologico degli infermieri italiani, in op. cit. , p. 15. e V. nota 3
6
V. art. 2 Codice Deontologico dell’Infermiere…, in op. cit., p. 3
7
Cfr. Spagnolo A. G., Professione infermieristica e valori etici, in Commentario al Codice Deontologico
2009, op. cit., pp. 68
2
«gli operatori di una struttura sanitaria, medici e infermieri, sono tutti “ ex lege” portatori
di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente
imposto ex artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro
qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità; l’obbligo di protezione perdura per l’intero
tempo del turno di lavoro e, laddove si tratti di un compito facilmente eseguibile, nel giro di
8
pochi secondi, non è delegabile ad altri» In questa ottica, il cittadino, nel momento in
cui è preso in carico dalla struttura ospedaliera a cui si rivolge, deve aspettarsi - e
da questa stessa e dagli infermieri - “il meglio per sè”, nel trattamento, nel confort e
in termini di sicurezza e approccio di ogni figura professionale: tutto deve essere
armonizzato dal principio della Qualità dei Servizi, che ogni professionista sanitario,
per quanto di competenza, può e deve garantire “al meglio”.
Non è un caso se la “prima legge di riforma sanitaria”, la Legge n. 833 del 23
dicembre 1978 (istituzione del Servizio Sanitario Nazionale), si fondava sui
9
principi di:
♦ Universalità garanzia di prestazioni sanitarie per tutti, senza distinzione di
condizioni individuali, sociali e di reddito.
♦ Uguaglianza diritto alle medesime prestazioni a parità di bisogno.
♦ Globalità considerando la la persona (e non più la malattia), si garantisce un
collegamento tra tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura e riabilitazione.
Tra le diverse innovazioni che la legge ha introdotto, un aspetto particolare
assume quella riguardate il decentramento dei poteri decisionali dal livello
centrale a livello regionale.
Nelle prime due riforme sanitarie (tra loro in continuità), si parlava di decentramento dei
poteri dello Stato alle Regioni – in materia sanitaria - prima ancora dell’approvazione di
una legge che lo regolamentasse (solo infatti il 18 ottobre 2001 venne approvata la Leg.
Cost. n. 3, che modificando il Titolo V della Costituzione, lo rendeva concretizzabile).
Questa separazione di competenze appare una contraddizione: si lascia ai vari sistemi
regionali il potere di regolare l’assetto di un Servizio Sanitario che è istituzionalmente
definito “Nazionale” (cioè unico); questa ambiguità del corpus legislativo, in cui nasce il
SSN italiano, ne indicava già una frammentazione, rischiosa per l’omogeneità di quegli
obiettivi e criteri atti a garantire dei livelli standard assistenziali.
La prima riforma ha il merito di aver avvicinato il mondo dei servizi
sanitari ai cittadini, e introdotto in sanità un principio di economicità, tipico di un
azienda vera e propria; ma di certo non era priva di lacune e problematiche,
soprattutto per ciò che riguardava:
Programmazione/Pianificazione (il primo piano sanitario nazionale che
avrebbe dovuto già essere approvato nel 1979 venne emanato solo nel 1993).
Previsione finanziaria (con l’ Impossibilità a determinare una spesa)
8
Cfr. Cass. Pen. Sez. IV, n. 9638 del 13 settembre 2000 in Professione infermieristica e valori etici, op. cit ,
p. 69
9
Cfr. Dallolio L., (2006), Breve storia del Sistema sanitario, nazionale, in http://137.204.249.140, fonte:
http://137.204.249.140/RegistraEsami/didattica_file/storia%20del%20SSN.doc, agg. 22 novembre 2009 ,
Motore di Ricerca: Google
3
Indici Standard Minimi di Assistenza (a garanzia di una migliore qualità ed
economicità aziendale)
Valutazione della Qualità(indicatori di qualità).
Cercare di risolvere tali questioni fu l’obiettivo della “seconda riforma
sanitaria”, sancita col D. lgs. n. 502 del 30 dicembre 1992 (Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dellʹarticolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),
successivamente modificato dal D. lgs. n. 517 del 07 dicembre 1993 (Modificazioni al
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dellʹarticolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421); con questa, si
concretizzarono i seguenti punti:
♦ Principio di aziendalizzazione: istituzione delle Aziende Sanitarie (Aziende
USL e Aziende ospedaliere), con personalità giuridica pubblica, autonomia
organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica
♦ Riduzione del numero delle USL: da 600 passa a 200
♦ Finanziamento derivato dal pagamento delle prestazioni erogate, in base a
tariffe definite dalle singole Regioni, sostituendo il metodo di pagamento
definito “a piè di lista”: tutto le spese erano rifuse
♦ Libera scelta del cittadino: sul luogo e l’ambito delle cure, pagate in base al
tariffario nazionale
♦ Istituzione delle figure del Direttore Sanitario Aziendale e del Direttore
Amministrativo, nominati direttamente dal direttore generale.
♦ Introduzione del sistema dell’accreditamento con apertura del mercato
sanitario alla libera concorrenza tra strutture pubbliche e private, dal
momento che le prestazioni potevano essere erogate da entrambi gli ambiti
♦ Adozione del metodo di verifica e revisione della qualità e della quantità delle
prestazioni
Nel 1996, il Ministro Bindi avviò la “terza riforma sanitaria”, con il D. lgs. n.
229 del 19 giugno 1999 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale,
a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419, e successivi); gli obiettivi
principali, stavolta furono di:
♦ Consolidare l’importanza del SSN, quale strumento di tutela della salute, in
conformità alle precedenti riforme
♦ Completare il programma di aziendalizzazione e “regionalizzazione” delle
strutture sanitarie
Le tre leggi di riforma, hanno orientato gradualmente il SSN italiano verso
il cittadino: la sua centralità, sicurezza e qualità dei servizi di assistenza e cura,
continuo monitoraggio degli standard qualitativi, attraverso “indicatori di
qualità”, sono state e sono a tuttora tematiche di importanza cruciale.
Accanto ai già citati D.M. 739/94 e la legge 42/99, la legge n. 251 del 10
agosto 2000 ( Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica), va a completare una
“triade” fondamentale per la professione infermieristica, composta da
4
10
AUTONOMIA-RESPONSABILITÀ-COMPETENZA: l’art. 1 comma 1, dispone
che: «gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche e della
professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla
prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le
funzioni individuate dalle norme istituite dei relativi profili professionali nonché dagli
specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi
dell’assistenza»; al comma 2 dello stesso articolo si precisa che: «lo Stato e le regioni
promuovono…la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle
professioni infermieristico-ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del diritto alla
salute, al processo di aziendalizzazione nel Servizio Sanitario Nazionale…»; nel comma
3, si afferma ancora: «il Ministero della sanità…emana linee guida per: a)
l’attribuzione…della diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza
infermieristica e delle connessi funzioni; b) la revisione dell’organizzazione del lavoro,
incentivando modelli di assistenza personalizzata.»
Quest’ultima legge, dunque, recepisce tutti i principi delle riforme sanitarie
(aziendalizzazione, programmazione, tutela, salvaguardia e attenzione per
l’individuo), configurandoli come presupposti realizzabili attraverso il ruolo
dell’infermiere e della sua autonomia: quest’ultima non esiste “senza competenza e
11
non esiste competenza senza responsabilità”.
Nell’ottica di principi, comuni sia all’intero SSN che all professione infermieristica,
quali aziendalizzazione, economicità, beneficio, centralità e attenzione per il
cittadino, prevenzione, responsabilità/autonomia, valutazione, pianificazione e
monitoraggio), si analizzeranno i concetti di Qualità e Governo clinico.
1.1.2 La Qualità: un percorso d’équipe per il miglioramento continuo
Esisto in letteratura diversi concetti di Qualità, ma in riferimento alle attuali
norme ISO 9000 (International Organization for Standardization – Organizzazione
Internazionale per la Standardizzazione), ritroviamo la seguente definizione:
«la qualità di un prodotto, di un servizio, di un processo o di una
organizzazione è data dalla sua capacità di soddisfare le esigenze e le aspettative,
12
implicite ed esplicite, di tutte le parti interessate»
Dobbiamo capire innanzitutto quali siano, in sanità, «le parti interessate»: oltre ai
pazienti, avremo le loro famiglie, le associazioni e tutti i professionisti sanitari
coinvolti nel percorso assistenziale/terapeutico; inoltre, tutto il personale
manageriale medico, infermieristico e amministrativo, i professionisti sanitari (a
tutti i livelli) della rete dei servizi sociali, le organizzazioni scientifiche e l’intera
10
v. art. 1 della Legge 10 agosto 2000 n. 251, in G.U. n. 208 Serie Generale del 06 settembre 2000
11
Cfr. Del Poeta G., Mazzufero F., Canepa M., Il Risk Management nella logica del Governo Clinico,
McGraw Hill, Milano, 2006, p. 152
12
Cfr. ivi, p. 1
5
13
comunità di cui tali soggetti fanno parte. La qualità, quindi, comporta una
interrelazione tra numerosi gruppi di professionisti sanitari e la collettività stessa;
la figura 1 mostra con semplicità tali rapporti, alquanto complessi al loro interno.
Figura 1
In tal senso, il citato “rapporto o patto assistenziale” tra persona/assistito e
infermiere, si estende ad ogni professionista sanitario ed è per questo che la
qualità assume una importanza multifattoriale, espressa in termini di
interdisciplinarità, e interprofessionalità: diventa un percorso d’équipe, svolto
attraverso il lavoro in team, dove ognuno, nell’ambito delle proprie competenze,
ha precisi ruoli e responsabilità professionali.
14
Gli articoli dal 41 al 46 del Codice di Deontologia Infermieristica, contegono un
esplicito riferimento al lavoro d’équipe; essi sanciscono “l’assetto in team” della
professione, stabilendo (art. 41) che: «L’infermiere collabora con i colleghi ed altri
operatori di cui riconosce e valorizza lo specifico apporto all’interno dell’équipe»; in
particolare, si delineano le modalità di tale collaborazione: tutela della dignità,
rispetto e solidarietà (art. 42); segnalando abusi dei colleghi che vanno contro la
deontologia (art. 43); tutela del decoro personale e prestigio professionale, onestà (art. 44);
lealtà verso i colleghi, vedicità e trasparenza (artt. 45 e 46). Inoltre, anche il profilo
15
professionale afferma chiaramente che l’infermiere «…agisce sia individualmente
sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali».
L’art. 51 del Codice Deontologico 1999 fa riferimento al concetto di qualità,
laddove sottolinea che l’ambito di espressione dell’esercizio della professione deve
avere un clima tale da non turbare o limitare la qualità delle cure e
16
dell’assistenza.
In sintesi, la qualità è il focus centrale dell’attenzione dei professionisti
sanitari, degli amministratori e dei cittadini, dai cui reciproci rapporti, influenzati
dalla società cui appartengono, dipende il livello della qualità dell’assistenza
∗
infermieristica, che si potrebbe definire come:
13
Cfr. ibidem
14
V. artt. 41-46 Codice Deontologico dell’Infermiere, in op. cit. , pp. 10
15
V. art. 1 lett. e) del D.M. 14 settembre 1994 n. 739, in G.U. 9 gennaio 1995 n.6, p.2, fonte:
http://www.vicenzaipasvi.it/home/normativa/legislazione/xdm739.htm, (agg. 06/03/2008), Motore di
Ricerca: Google
16
V. art. 51 Codice Deontologico dell’Infermiere, in op. cit. , pp. 12
∗
La definizione riportata è stata elaborata un modo personale, in base ai concetti approfonditi in tale studio
6