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INTRODUZIONE
La scelta di uno specifico caso giudiziario come oggetto di un elaborato di tesi in
materie giuridiche è sicuramente una scelta atipica: non riguarda un particolare
istituto o una singola materia e può portare addirittura a travalicare l’ambito del
diritto strictu sensu inteso.
Se questi possono apparire a qualcuno come insuperabili limiti alla purezza
scientifica di questo lavoro, ai nostri occhi invece hanno costituito i motivi
principali che ci hanno condotto ad eleggere come campo d’indagine il caso di
Cesare Battisti.
Ogni istituto giuridico è infatti inevitabilmente connesso con altri e può
potenzialmente interessare in modo trasversale diversi settori del diritto, cosa che
si manifesta in particolare quando le fredde disposizioni di legge, le dissertazioni
dottrinali e le elaborazioni giurisprudenziali incontrano la realtà, i fatti.
Al di la di tutto ciò esiste poi la politica, nel senso più ampio ( e nobile ) del
termine, la quale in apparenza sembra muoversi nei fermi paletti imposti dal
diritto, ma che troppo spesso dimentichiamo essere anche il motore essenziale di
quest’ultimo; il diritto non è un entità trascendente ma pur sempre un prodotto
storico, umano e sociale.
Nel particolare caso che andiamo a trattare ovviamente il connotato politico è
particolarmente evidente: nel nostro lavoro abbiamo tenuto conto di questo
elemento in relazione alle inevitabili interazioni con le vicende giuridiche in
senso stretto, ma allo stesso tempo abbiamo cercato di mantenere una posizione
quanto più equilibrata ed obiettiva possibile per non alterare l’approccio
scientifico che vuole caratterizzare quest’elaborato.
La scelta di Cesare Battisti è stata dettata, inevitabilmente, dal frastuono
mediatico che è stato generato negli ultimi tre anni dalla diatriba politico-
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giudiziaria tra Italia e Brasile in relazione alla sua estradizione, dopo quasi trenta
anni di latitanza o, come Battisti stesso usa dire, di esilio.
Cesare Battisti è infatti solo l’ennesimo ex militante dell’eversione “rossa” ad
essere fuggito all’estero per sfuggire ai processi ed alle condanne che li
attendevano in Italia e di certo non è l’unico la cui vicenda giudiziaria,
globalmente intesa, è degna di attenzione.
Il caso di Battisti presenta però una complessità che effettivamente non è comune
a molti suoi analoghi: alle vicende della militanza armata, ai tanto discussi
processi ed alle condanne, fondate prevalentemente sulle dichiarazioni dei pentiti
e dei dissociati e pronunciate in contumacia, infatti, sono seguite le dispute
estradizionali con due diversi paesi, la Francia ed il Brasile, la seconda tra
l’altro ancora oggi aperta.
In relazione alla prima, inoltre, Battisti è stato il secondo latitante degli anni di
piombo del quale è stata accettata l’estradizione, dopo venti anni in cui gli
“exilée” italiani avevano vissuto oltralpe, alla luce del sole, protetti dalla c.d.
dottrina Mitterrand.
Il nostro lavoro, ovviamente, non punta a risolvere tutte le ambiguità o i dubbi
sollevati dalla vicenda, ne tanto meno a mettere in discussione le decisioni di
vario tipo che hanno condotto Battisti fino al Brasile: il suo caso è un volano per
uno sguardo complessivo ( ma non certo esaustivo ) di ciò che sono stati e sono gli
anni di piombo, non solo quindi in relazione al tormentato quindicennio che ha
insanguinato tanti marciapiedi e tante coscienze italiane, ma anche in
considerazione di ciò che è venuto dopo, cioè le condanne e le latitanze, le
estradizioni e le grazie, e di ciò che verrà in futuro.
A tal fine l’elaborato è stato suddiviso in modo tale da rispettare tanto la
consecutio temporum degli eventi relativi a Cesare Battisti, quanto la coerenza
tematica degli argomenti trattati.
Il primo capitolo offre una panoramica su ciò che furono gli anni di piombo e
soprattutto su come si intervenne in quegli anni contro il terrorismo, in modo tale
da fornire un quadro generale di quella legislazione c.d. “d’emergenza” tanto
contestata anche da chi, in Italia o all’estero ( vedi il Ministro brasiliano Tarso
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Genro), ha difeso la posizione di Battisti, dipingendolo quale vittima di un sistema
repressivo illiberale e fascista.
A tal proposito, in realtà, abbiamo sia esaminato le disposizioni di diritto penale
sostanziale e processuale maggiormente caratterizzate da fini preventivi o
repressivi, sia quelle particolari norme introdotte a favore dei c.d. pentiti, tanto
utili quanto criticate per alcune conseguenze applicative in sede processuale, sia
infine le leggi in favore della c.d. dissociazione, finalizzate in parte anche alla
collaborazione processuale ma soprattutto a debellare dall’interno il fenomeno
eversivo, favorendo un allontanamento, più o meno sincero e spontaneo purché
comunque effettivo, di determinati soggetti dalla militanza armata.
Il secondo capitolo invece è incentrato sulla figura di Cesare Battisti, del quale se
ne dà una prima e generale introduzione, e dei P.A.C., il gruppo armato di
estrema sinistra di cui fece parte e dei cui crimini più efferati è stato accusato.
Oltre a descriverne composizione e funzionamento, in particolare tramite un
dettagliato parallelo con gli elementi idonei a qualificare un simile gruppo come
“banda armata” ai sensi dell’art. 306 c.p., abbiamo fornito una ricostruzione
cronologica degli eventi relativi all’organizzazione, nonché delle indagini e dei
processi che seguirono e che riguardarono, ovviamente, anche Cesare Battisti.
In questo stesso capitolo abbiamo poi riservato alcuni paragrafi alle denuncie di
alcuni episodi di tortura avvenuti nel corso delle primissime indagini relative ai
P.A.C., precedute da un breve excursus sulla questione “tortura” negli anni di
piombo, ad evidenziare quali pericoli potessero celarsi dietro a determinate
disposizioni relative ai poteri di indagine delle forze di Polizia, in particolare in
un periodo di altissima tensione sociale.
Il terzo capitolo riguarda invece nello specifico le condanne comminate a Cesare
Battisti.
Come indispensabile premessa all’esame delle statuizioni delle sentenze di
condanna a suo carico, abbiamo analizzato nel dettaglio uno degli istituti più
rilevanti nei processi di terrorismo di quegli anni, la chiamata in correità,
preziosa ma infida fonte di conoscenza e, a determinate condizioni, di prova, della
quale è stato fatto ampio uso nelle indagini e nei processi ai P.A.C.: al termine
9
della disamina generale dell’istituto, quindi, abbiamo esaminato il modo in cui
quest’ultimo è stato utilizzato in detti processi, con particolare attenzione al ruolo
svolto da Pietro Mutti, principale pentito dell’organizzazione ed accusatore di
Cesare Battisti.
Successivamente, quindi, abbiamo ricostruito l’iter decisionale dei giudici,
limitatamente ai quattro omicidi compiuti dai P.A.C. ed imputati a diverso titolo
anche a Battisti, dando conto delle eventuali differenze intercorse tra le sentenze
nei diversi gradi di giudizio ( addirittura otto, in relazione al concorso morale di
Battisti al delitto Torregiani, al quale è stato dedicato maggior spazio ).
Il quarto capitolo è stato riservato al resoconto di ciò che è avvenuto dal momento
dell’evasione di Battisti dal carcere di Frosinone, nel 1981, al suo arresto in
Brasile, dov’è ancor oggi detenuto, passando per il Messico e soprattutto per la
Francia, una patria per Battisti e per la sua famiglia per ben 14 anni.
In relazione al periodo francese, che va dal 1990 al 2004, abbiamo cercato di
ricostruire e riassumere le vicende giudiziarie relative alla seconda domanda di
estradizione indirizzata dall’Italia al Governo di Parigi, accolta definitivamente
solo nel 2005, quando Battisti era ormai già in fuga verso il Brasile.
In questa stessa fase abbiamo anche effettuato una indispensabile ricognizione
dell’istituto della contumacia, richiamato spesso dai legali di Battisti a difesa del
proprio assistito, non avendo quest’ultimo mai partecipato personalmente ad
alcuno dei processi che ne hanno decretato al condanna all’ergastolo: la scelta di
discutere dell’argomento in questo capitolo deriva dalla volontà di operare,
seppur brevemente, una comparazione con la disciplina francese del processo
contumaciale e di evidenziare le implicazioni dell’istituto in relazione
all’estradizione.
Nei paragrafi dedicati alle vicende brasiliane, invece, abbiamo esaminato
prevalentemente la decisione del Ministro della Giustizia Tarso Genro, che nel
2008 ha concesso a Cesare Battisti lo status di rifugiato politico, impedendone
l’estradizione, e la sentenza del Suprèmo Tribunàl Federàl di Brasilia, la massima
istanza giurisdizionale brasiliana che accorpa poteri tipici delle Corti Supreme e
dei Tribunali Costituzionali, la quale nell’aprile 2010 ha sconfessato l’operato
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del Ministro e ha dichiarato estradabile Cesare Battisti, rimettendo però la
decisione al Presidente brasiliano Luis Inàcio Lula da Silva, il quale, come è noto,
non ha ancora assunto la sua decisione.
L’ultimo capitolo del nostro lavoro è stato riservato alle prospettive del caso
Battisti, con particolare attenzione verso le possibili soluzioni politiche della
vicenda.
In primis, abbiamo valutato la possibilità di una grazia presidenziale parziale a
suo favore, che commuti la pena dell’ergastolo nella detenzione temporanea, ed a
tal fine abbiamo cercato di individuare la ratio politica che potrebbe sostenere un
tale provvedimento.
In secondo luogo, invece, abbiamo ipotizzato il sopraggiungere di un
provvedimento di clemenza generale a favore dei condannati per delitti di
terrorismo o eversione dell’ordine democratico compiuti negli anni di piombo,
nell’ottica di una pacificazione sociale tanto attesa quanto, ancora oggi, di
difficile realizzazione.
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CAPITOLO I
GLI “ANNI DI PIOMBO” – TRA STORIA E
LEGISLAZIONE.
1. Cesare Battisti ed il terrorismo in Italia – 2. la
legislazione d’emergenza, profili generali – 3. Le misure di
diritto penale sostanziale. – 4. L’ampliamento dei poteri di
polizia. – 5. Le misure di diritto penale processuale. – 6.
La legislazione premiale.
Figura 1: Milano, via De Amicis, 14 maggio 1977, un dimostrante punta una pistola contro la Polizia:
risulterà essere Giuseppe Memeo, all'epoca militante di Autonomia Operaia e futuro membro dei P.A.C.
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1. Cesare Battisti ed il terrorismo in Italia
Per comprendere le vicenda giuridica e personale di Cesare Battisti non
basterebbe esaminare le sentenze e gli atti dei processi a cui ha preso parte, o
raccogliere tutte le informazioni possibili, più o meno affidabili, utili per
ricostruire la sua vita.
Per affrontare il “caso Battisti”, infatti, non ci si può esimere dall’analizzare il
contesto storico e giuridico in cui nasce e si muove Cesare Battisti il terrorista,
come è meglio conosciuto in Italia, prima di diventare l’ écrivain, lo scrittore,
come è stato conosciuto in Francia per 14 anni, e l’esiliato, come si definisce lui
stesso.
Fornire un ritratto completo e veritiero dell’Italia degli anni ’70-’80 non può però
essere tra i nostri obiettivi, non solo per motivi di spazio e di coerenza tematica
del nostro lavoro ma perché chiunque avrebbe difficoltà a farlo, anche chi ha
vissuto dall’interno gli anni più turbolenti dal dopoguerra.
D’altronde sono stati versati fiumi d’inchiostro durante e dopo i c.d. “anni di
piombo”,
1
per individuarne le cause, descriverne gli avvenimenti o trovare delle
soluzioni, ma la complessità dei fenomeni manifestatisi, assieme alla molteplicità
dei punti di vista adottati, spesso inconciliabili, hanno spesso reso insoddisfacente
ogni tentativo di sintesi.
Il primo passo, nell’analisi di un periodo storico, di regola è fissarne l’inizio e la
fine: gli anni di piombo sono convenzionalmente quelli che vanno dal 1969 al
1988.
Venti anni nei quali, secondo alcune fonti, gli attentati con echi nazionali furono
più di 7000, con alcune migliaia di feriti e oltre 400 caduti: 176 vittime di attentati
individuali compiuti da gruppi di estrema sinistra ( 128 ) ed estrema destra ( 49 ),
1
Il lemma “anni di piombo” è stato utilizzato solo a partire dai secondi anni ’80,
inspirandosi al titolo di un film del 1981 della regista tedesca Margarethe Von Trotta.
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135 vittime di stragi, 41 vittime di violenza politica ( scontri di piazza, faide tra
gruppi ), 68 i militanti deceduti nel corso di azioni terroristiche.
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La fase storica della violenza politica in Italia viene di solito fatta cominciare nel
tardo pomeriggio del 12 dicembre 1969, con l’esplosione di una bomba nella sede
della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano.
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A fare da preludio a tale grave avvenimento, nella fragilità di un quadro politico
generante incertezza, troviamo prima le contestazioni studentesche del
sessantotto, poi il cosiddetto “autunno caldo”.
Tra il settembre e il dicembre 1969, con l’emergere della figura dell’operaio-
massa, la contestazione studentesca si legò rapidamente all’esplosione della
questione operaia
4
: le polemiche interne alla fabbrica investivano il modo stesso
di essere operai e si fecero fondamentalmente politiche; il conflitto, crescendo,
“stava uscendo dai normali canali sindacali e si stava progressivamente
politicizzando”.
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L’Italia si trovò quindi ad avere una società in fermento, ed all’interno di essa si
alzava il livello di tensione: la violenza era pronta ad esplodere, catalizzata dal
conflitto tra i c.d. “opposti estremismi”, cioè i gruppi ideologicamente
appartenenti rispettivamente alla destra ed alla sinistra extraparlamentare.
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Già nei primi mesi del 1969 l’Italia aveva dovuto assistere a diversi attentati:
nello studio del rettore dell’Università di Padova Opocher, alla Fiera e alla
2
Dati tratti dal libro La mappa perduta, della collana Progetto memoria, edita dalla
Cooperativa Sensibili alle foglie, Dogliani (CN), 2009.
3
Quel giorno gli attentati, probabilmente coordinati tra loro, furono anche altri: alle ore
16,45, nel sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, esplode un ordigno
che ferisce 14 persone. Alle 17,16, una seconda bomba deflagra sotto un pennone portabandiera
all’Altare della patria. Alle 17,24 un terzo ordigno esplode, sempre all’Altare della patria, davanti
all’ingresso del Museo del Risorgimento, provocando 3 feriti.
4
S. ZA V O L I , La notte della Repubblica, Roma, 1992, p. 33.35.
5
CI P R I A N I ., Intervento in Commissione 5 dicembre 1989 (seduta sulla strage di Piazza
Fontana), in Stenografici, vol.V.
6
La teoria degli “opposti estremismi” pare fu formulata per la prima volta dal Prefetto di
Milano, Libero Mazza, il 22 dicembre 1970, all’interno di un rapporto indirizzato al Ministro
dell’Interno Franco Restivo, dove si paventava il rischio che dietro la contestazione sociale
stessero maturando organizzazioni eversive, di destra ma soprattutto di sinistra, pronte
all’insurrezione armata contro lo Stato. Il documento finì in qualche modo per essere pubblicato
sul quotidiano di destra La Notte, sollevando grande scandalo ed anche un’interrogazione
parlamentare sull’autenticità del testo.
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Stazione centrale di Milano, sui treni, e contro i palazzi di giustizia di Milano e
Torino.
Ma la strage compiuta in Piazza Fontana alla Banca Nazionale dell’Agricoltura,
con i suoi 17 morti e 84 feriti, rappresenta l’episodio culminante
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di una
escalation di violenza ricondotta di solito ad un preciso disegno politico, quello
della “strategia della tensione”, tradizionalmente attribuito alla destra eversiva e
ad apparati deviati dello Stato, nel quale gli attentati sono visti come uno
strumento per creare le condizioni necessarie ad una svolta politica e sociale.
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Da quel 12 dicembre, definito anche il “giorno dell’innocenza perduta”,
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fino al
1984, altri cinque attentati esplosivi sono stati ricondotti a questa medesima
strategia, e sono entrati nella storia italiana come le stragi della Questura di
Milano
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, di Piazza della Loggia, a Brescia
11
, del treno Italicus,
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la strage di
Bologna,
13
la strage del treno rapido 904.
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7
Secondo Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse “la strage
rappresenta un evento fondamentale in quanto, da un punto di vista psicologico,determina un
cambiamento del clima. Generando la convinzione che si trattasse di un’operazione dello Stato,
come tale dava la misura della profondità dello scontro sociale a cui poi loro sarebbero andati
incontro.” ; così nell’intervista ad Alberto Franceschini, trasmissione Blu Notte, La storia delle
Brigate rosse, 1°parte.
8
L'espressione è stata ripresa dalla traduzione letterale dell'inglese strategy of tension,
utilizzata dal settimanale The Observer in un articolo del dicembre 1969, per definire la politica
degli Stati Uniti, con il fattivo appoggio del regime militare greco, tesa a destabilizzare i governi
democratici delle nazioni con particolare valenza strategica nell'area mediterranea, nella
fattispecie Italia e Turchia, attraverso una serie di atti terroristici, allo scopo di favorire
l'instaurazione di dittature militari, v. FRANCESCO BI S C I O N E , L’Italia repubblicana nella crisi
degli anni settanta, Roma, 2003, p. 242.
9
V. BOATTI G.., Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta,
Milano, 1993.
10
Il 17 maggio 1973, in cui morirono 4 persone e 88 furono ferite.
11
Il 28 maggio 1974, e si contarono 8 morti e 102 feriti.
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Il 4 agosto 1974, vicino San Benedetto Val di Sambro, nel Bolognese, ci furono 12
morti e 105 feriti.
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Il 2 agosto 1980, presso la stazione centrale di Bologna, affollata di turisti in partenza
per le vacanze, in cui morirono 85 persone ed i feriti furono 200.
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Il 23 dicembre 1984, ancora a San Benedetto Val di Sambro, in cui 17 persone persero
la vita ed oltre 250 rimasero ferite.