questo ricco materiale ho potuto sviluppare o anche solo accennare
molte considerazioni. Innanzi tutto in merito ad una cultura
geografica che non si contenta del puro segno sulla carta ma che è
insieme descrizione dei caratteri nazionali, resoconto di viaggio
erudito, resoconto di condizioni sociali, registrazione di luoghi
comuni e insieme anche esplicito programma di governo
riformatore. Il viaggio, per Pietro Leopoldo, è anche uno strumento
di governo che affonda le sue radici nel modello dell’inchiesta di
Colbert, ma anche nella nuova elaborazione della figura del sovrano
responsabile della pubblica felicità (di cui sono esempi Francesco
Stefano e Maria Teresa d’Austria, genitori di Pietro Leopoldo).
Sulla base di queste “Relazioni” ho posto infine un ultimo tema:
l’esistenza o meno di un’immagine dinastica della Toscana, da
Pietro Leopoldo a Leopoldo II. Ho infatti, seppur brevemente,
messo a confronto le “Relazioni sul governo della Toscana” del
1790 con le memorie del granduca Leopoldo II. Da questo
confronto, emergono le linee di una tradizione dinastica dell’
immagine della Toscana, tema che sarebbe indubbiamente utile
approfondire sulle tracce, ad esempio, del formarsi dell’archivio
praghese del ramo toscano degli Asburgo Lorena.
1
Capitolo primo
Il dibattito settecentesco sui caratteri nazionali
1. Le origini dell’idea di nazione nei pensatori svizzeri
A partire dal ‘700 i caratteri e l’identità di un popolo divengono
definibili secondo nuovi e più moderni principi. Le formule
cinquecentesche che portavano a considerare i caratteri di un
popolo fortemente dipendenti dal clima, iniziano ad essere
abbandonate
L’uomo del ‘700 può affidarsi a nuovi e più
complessi fattori per definire le identità collettive, ovvero i
fattori spirituali e quelli morali. Ma cosa è accaduto per
giustificare tale sviluppo e interesse nel dibattito sull’identità?
Alcuni filosofi svizzeri e tedeschi cominciano, con le loro opere,
ad esternare forti sentimenti di rivendicazione delle proprie
origini, facendosi interpreti di quella “francofobia” presente
ormai da tempo tra i loro concittadini. L’invadenza culturale
d’oltralpe, pareva proprio anticipare un probabile e temuto
predominio politico francese, minaccia che i filosofi cercarono di
scongiurare ed esorcizzare con opere intrise di richiami alle
origini dei loro popoli. La produzione maggiore arrivava da aree
2
dove forte è l’elemento della memoria storica, l’epos, ovvero “il
ricordo dei membri di un popolo di comuni eventi passati”
quegli
eventi elevati dalla storia e dalla coscienza popolare a veri e
propri simboli, e in nome dei quali un popolo si difende dalle
invadenze dall’esterno, siano esse culturali o militari. Per
definirne i caratteri si attinge così dal patrimonio culturale,
morale, storico, linguistico di un popolo, e non più solo da freddi
dati meteorologici. Inizia a prendere forma l’idea di nazione. Le
prime manifestazioni dell’idea di nazione (ad eccezione degli
illuministi francesi) le ritroviamo quindi come riaffermazione e
riappropriazione di uno spirito locale minacciato dalle invadenze
generalizzanti.
L’idea di nazione dei pensatori svizzeri è teorizzata volgendo lo
sguardo al passato, e poggia su di un sentimento d’appartenenza
ferito, che non vuole soccombere sotto i colpi di una cultura
diversa. Ecco allora il recupero di eventi, temi e miti che la storia
di un popolo ha trasformato in valori simbolici capaci di
costruire l’identità di quel popolo. Lo storico inglese Anthony
Smith
con i suoi studi sul fenomeno dell’identità ci dice che
questa nasce dalla “trasfigurazione simbolica in valori di alcune
realtà costitutive della formazione storico sociale” (epos, ethos,
logos, genos, topos) e che più forte e sentito è il nucleo
3
aggregante e motivante di valori simbolici, maggiore è il senso
di un’identità comune tra tutti coloro che condividono
quest’universo di valori. E più forte ne risulterà anche il
conseguente sentimento di difesa e di rivendicazione di
quest’identità, quando essa appare in pericolo. Ed è proprio
questo, ciò che accade nel Settecento nel mondo germanico ed
elvetico (nella Francia illuminista, come si vedrà più avanti, le
cose sono molto diverse).
L’odio verso “l’invasore” francese spinge ad esempio i filosofi
svizzeri come van Muralt e von Haller a ribellarsi contro coloro
che corrompono i semplici e puri costumi elvetici, e a
identificare nella natura (e in particolare nella montagna) i
motivi principali per proclamare le virtù del montanaro svizzero:
uomo semplice, probo e felice perché lontano dalla città
corruttrice, isolato e protetto dalla maestosità e bellezza delle
Alpi. “Ma l’esaltazione delle Alpi non è interessante solo perché
preannunzia un tipico atteggiamento del Romanticismo. Essa va
notata, invece, perché significa la valorizzazione dei fattori
naturali, il riconoscimento del loro influsso nella formazione del
carattere delle nazioni”, afferma Federico Chabod ne “L’idea di
nazione”.
4
Il poema “Die Alpen
1
” (1729), esprime così tutto l’amore per un
mondo perduto oltre alla piena fiducia nelle virtù terapeutiche
della natura, unica cura per la sofferente anima dell’uomo
moderno e civilizzato. Il viaggio del poeta attraverso le Alpi
centrali è infatti una fuga guaritrice dal modo artificiale e
corrotto della città. Tuttavia, dalle parole di Haller si comprende
come per lui la natura è ancora il faro e la guida della ragione
morale
e non un’entità indipendente, come avverrà invece per gli
illuministi francesi: “Hiere herrscht die Vernunft, von der Natur
geleitet”
2
.
Il poema, pur rappresentando un’opera significativa, troppo
spesso però risulta eccessivamente didattico e carico di
annotazioni aridamente scientifiche. Per Haller gli alpigiani sono
saggi perché seguendo le leggi della natura, lavorano molto e
alternano le loro fatiche con svaghi onesti, non desiderando la
ricchezza ma solo una vita tranquilla.
Anche il sentimento amoroso, fra uomo e donna, viene descritto
da Haller come semplice e schietto: ”Die sehnsucht wird hier
nicht mit eitler Prach belastigt; Er liebt sie, sie ihn, das macht
den Heiratschluss”.
3
1
A. von Haller, Die Alpen, Berna, 1729.
2
“Qui (nelle Alpi) regna la ragione, guidata dalla natura”.
3
“Il desiderio non soffre del peso di vani orpelli; egli ama lei, lei ama lui; questo basta
per concludere il matrimonio”.
5
In Svizzera, l’amore per la propria terra, il topos (per rifarsi
ancora alle tesi dello Smith) riveste quindi un ruolo centrale nella
creazione dell’identità, forse perché numerose sono state le
battaglie che gli svizzeri hanno dovuto combattere per difendere
quel loro piccolo stato dagli invasori. Con il “naturalismo” di
Haller, siamo comunque sempre molto vicini alle vecchie teorie
dei fattori climatici. Ma la riprova che nel ‘700, non ci si limiti ai
soli elementi naturali per definire i caratteri nazionali, ci viene
offerta dallo zurighese Bodmer,
fondatore della “Helvetische
Gesellschaft”. Se gli svizzeri sono così come sono, è anche e
principalmente per cause morali, per educazione e per una
concreta tradizione di libertà (tutti elementi che portano il
Bodmer su posizioni molto vicine a quelle del filosofo David
Hume, colui che più di ogni altro filosofo ha insistito sul
concetto di cause morali).
Una libertà, non da conquistare ma da difendere. Libertà, come
esperienza effettivamente vissuta da un popolo, visto che nel
settecento, la Svizzera ha già alle sue spalle più di due secoli di
indipendenza, ottenuta con la pace di Basilea del 1499 (questo
trattato concesse ai tredici cantoni riuniti la completa libertà e
autonomia dal Sacro Romano Impero). Ma il mito unificante
della libertà non arriverebbe alla giusta valutazione se si
6
tralasciasse il rilievo avuto dalla Svizzera nelle lotte per la libertà
di religione. La Svizzera, grazie alla sua ancestrale tradizione
libertaria e all’apporto di personalità di grande rilievo come
Zwingli e Calvino, diviene una delle principali roccaforti della
Riforma protestante (e la terra d’approdo per numerosi degli
ugonotti francesi scampati alle persecuzioni dei cattolici).
Quanto al van Muralt, in lui ricompaiono predominanti gli
elementi naturali, ma con l’introduzione dell’elemento spirituale.
Le sue “Lettres sur les Anglois et les Francois et sur les
voiages
4
”, pubblicate dopo trent’anni di continui
rimaneggiamenti, suscitarono una vasta eco. Questo perché il
libro andò a soddisfare le ambizioni di conoscenza di una
borghesia arrivata alla grande cultura, e quindi desiderosa di
conoscere anche gli usi, i costumi e in particolare i caratteri degli
altri popoli. Ciò che appassionò i lettori fu il fatto che Muralt
raccontasse i costumi di un popolo da vari punti di osservazione,
non limitandosi al solo approccio scientifico e letterario. Muralt,
guardò con attenzione alle istituzioni, alla religione, al costume
morale, all’indole, ai vizi e alle virtù. Fu quindi un attento
osservatore e divulgatore di tutti quegli aspetti che, di li a poco,
saranno riuniti sotto l’espressione “spirito di nazione”.
4
B.L. van Murat, Lettres sur les Anglais et les François et sur les voyages, Berna, 1725
7
Anche con Muralt, il filosofo si trasforma in viaggiatore,
viandante pronto a cogliere l’estetica ma sopratutto la sostanza
delle cose e a raccontarla con toni ora severi ora ironici, non
disdegnando mai le affilate e taglienti lame della satira. Una
nuova letteratura, che vede lo scrittore riandare, per confrontare
il suo mondo con quello che sta visitando, al fine di ricavarne poi
osservazioni utili al progresso civile e alla realizzazione di
un’ideale di civiltà da raggiungere. Per alcuni aspetti, quindi,
l’opera del Muralt è collocabile nella grande letteratura di
viaggio settecentesca. Ma nel Muralt, vi è qualcosa di diverso.
Nelle sue Lettres Muralt arriva a conclusioni quasi paradossali.
Osservando gli inglesi, il Muralt vi trova caratteri molto simili al
suo buon svizzero primitivo, lontano dalla corruzione della
modernità. Al contrario degli immorali francesi, gli inglesi
appaiono agli occhi del filosofo elvetico gente appassionata,
forte, semplice e onesta. Insomma, l’apprezzamento per i
caratteri britannici diventa un vero e proprio elogio dell’uomo
naturale svizzero. Con il Muralt siamo quindi sul nascere della
moderna coscienza nazionale svizzera, anche perché l’elogio
delle qualità naturali dell’uomo svizzero, non sono solo il frutto
di una reazione intellettuale alla minaccia francese. In lui vi è un
sentimento sincero, appassionato, commovente, quasi
8
“romantico” per questo suo popolo di contadini e pastori. Il suo
spirito di nazione è così vivo, che porta il Muralt, addirittura a
negare il valore educativo del viaggiare, dell’apprendere le
lingue straniere, esortando il suo popolo a perpetuare le proprie
leggi e i propri costumi. Ed ecco quindi l’evidente “paradosso”
che colloca il Muralt già vicinissimo al movimento
preromantico.
2. L’idea di nazione nei filosofi tedeschi del Settecento
Nazione dal forte “epos identitario”, la Germania non poteva non
offrire al mondo intellettuale europeo importanti contributi al
dibattito sui caratteri nazionali.
Il mito identitario da cui attingono i filosofi tedeschi del
settecento, è da rintracciare negli ordini militari che agiscono nel
nord-est dell’Europa nel corso del tredicesimo e quattordicesimo
secolo. “Questi ordini associavano il valore del coraggio
militare, tipico delle antiche tribù germaniche, allo spirito di
proselitismo armato che fu proprio dei partecipanti alle Crociate,
alle quali i cavalieri teutonici avevano preso attivamente parte.
La loro azione mirava a stabilire la supremazia politico-militare
9
dell’etnia germanica sulla popolazione contadina autoctona,
mediante l’uso delle armi e il processo di evangelizzazione, nei
territori che sarebbero diventati quelli della Prussia orientale”
5
.
Queste parole dell’antropologo Carlo Tullio Altan, ci aiutano a
comprendere il ruolo importante, ai fini dell’identità tedesca, di
ordini come quello dei Cavalieri portaspada o quello Teutonico.
Tutti questi dati storici, uniti alle leggende medievali dei
cavalieri del Graal, vennero recuperati dagli studiosi del
Diciottesimo secolo per teorizzare la loro “nostalgia del passato”
e quell’insopprimibile sentimento di patria che da esso ne
scaturiva. Tuttavia, se all’inizio del Settecento, la Germania era
una società etnicamente omogenea, era anche estremamente
frammentata politicamente. Grazie all’azione degli Hoenzollern
e alla costituzione dello Stato assoluto della Prussia, grazie alla
Riforma Luterana e al contributo filosofico-scientifico
dell’Accademia delle Scienze di Halle, e grazie all’azione di un
sovrano come Federico II il Grande, il mondo germanico riuscì a
esprimere un quadro normativo e istituzionale così saldo da
divenire collettivamente vissuto come valore. Quell’ethos
identitario, che per molti secoli gli era mancato e che da lì in poi
sarà fattore determinante dell’identità tedesca. I precari equilibri
5
C.Tullio-Altan, Gli Italiani in Europa, Bologna, 1999
10
europei del Settecento e l’invadenza della Francia, furono i
detonatori in grado di far esplodere i sentimenti di rivendicazioni
delle proprie e assolutamente uniche origini, di autori come
Herder, Möser, Winkellmann.
Ciò che andava difeso dalle tendenze generalizzanti, oltre al
“mito identitario” degli Ordini (vera matrice della identità dei
popoli germanici) era la teorizzata superiorità dell’ethos tedesco,
delle norme di convivenza, e in particolare del diritto germanico.
Autore della“Osnabrückische Geschichte” del 1768, Möser,
elabora le sue teorie sui carattere dei popoli riprendendo i motivi
della libertà e della superiorità del diritto tedesco, espressi dai
pensatori tedeschi del cinquecento.
Il tema della libertà germanica, era infatti già emerso nell’epoca
della Riforma, quando lo scontro con la Chiesa romana spinse i
luterani a contrapporre all’odiata Roma dei Papi l’antica libertà
germanica, resistente nei secoli ad ogni tirannia. Ullrico di
Hutten, Tommaso Munzer, Martino Butzer si scagliarono contro
il diritto romano in favore delle libertà concesse dall’antico
diritto tedesco.
Il pensiero del Möser, fa perno sulla tesi della originaria libertà
di costumi degli antichi popoli germanici, i Sassoni, la cui
purezza venne intaccata dall’invasione dei franchi guidati da
11
Carlo Magno. L’elogio del passato è per il Möser nostalgia per
quella remota civiltà dominata dai ricchi proprietari terrieri. Una
società forte e veramente libera, proprio perché rigidamente
organizzata in ceti.
6
Ma il principale teorizzatore della nazione tedesca, fu Johan
Gottfried Herder.
In lui, così come Johann Georg Hamann
7
, l’elemento centrale
del processo di formazione dell’identità è il “logos”. La lingua
tedesca è per Herder un fortissimo valore identitario, in quanto
espressione del carattere e della mentalità del suo popolo. La
lingua come valore in sé, un patrimonio che rende unica la
nazione tedesca. Attraverso le sue teorie, Herder arriverà a
teorizzare la diversità originale e naturale delle nazioni:
“Processo naturale: realmente, le nazioni appaiono ora come
delle possenti individualità naturali, dotate di propria anima, che
nascono, si sviluppano, decadono; e la storia dell’umanità è la
storia di uno sviluppo continuo attraverso cui, da nazione a
nazione, le une succedendo alle altre nel reggere la fiaccola
dell’umana civiltà, nell’additare le vie nuove, “arte, scienze,
cultura, e lingua si sono affinate in una grande progressione ”.
8
Herder, con il suo nazionalismo spirituale non sembra in realtà
6
F. Chabod, L’idea di nazione, Bari, 1993.
7
L. Bianchi, Hamann e Herder, Bologna, 1930.
8
F. Chabod, op. cit., pp. 47-48.
12
distaccarsi molto dai pensatori dei secoli precedenti, coloro che
per definire l’identità dei popoli si affidavano unicamente alle
leggi della natura. Inoltre, le invocate e improbabili “leggi
naturali”, consentono sì ad Herder di dar vita alla sua apologia
dell’uomo germanico, alto, biondo, forte, buono e coraggioso,
ma certamente non gli permettono di sottrarsi allo scomodo
ruolo di ispiratore delle semplicistiche ed aberranti deduzioni a
cui arriverà due secoli più tardi il pensiero nazista.
Ma per comprendere la novità dell’insegnamento storico politico
di Herder dobbiamo soffermarci sulla sua idea di popolo. Mentre
l’illuminismo fonda la sua concezione politica sull’individuo e
vede nello stato un meccanismo costruito per il bene degli
individui, per Herder l’individuo è una unicità organica, capace
di svilupparsi secondo leggi proprie, determinate in parte dalle
condizioni del clima e del terreno, in parte da forze più profonde
che ne determinano la vera essenza
9
. Per Herder la spinta al
progresso non viene dall’uomo ma dalla natura, e un popolo
progredisce, modifica i suoi caratteri in quanto è lui stesso
natura. La sua filosofia della storia è quindi prettamente
naturalistica. Le conseguenze di questa sua filosofia sono
decisamente gravi. Herder in questo processo di sviluppo di un
9
L. Mittner, Storia della Letteratura Tedesca, Torino, 1971
13
popolo ammira quelle nazioni in grado di imporre il loro
carattere, anche con la forza, pur di raggiungere la loro
“missione”. Herder è convinto quindi che ogni popolo abbia un
proprio compito stabilito dalla Provvidenza e che per svolgere
questo compito debba essere cieco ed insensibile.
Ma al tempo stesso anche quelle che sanno armonizzarsi con le
altre. Quanto al suo “pangermanesimo”, l’amore di Herder per il
popolo tedesco è addirittura smisurato. Quando Herder elogia la
poesia, ciò che elogia in realtà è la poesia germanica.
(l’architettura gotica è ribattezzata da Herder come tedesca)
Persino Shakespeare con Herder diventa un tedesco e l’inglese è
una lingua “tre volte tedesca”. In tutto questo non è difficile
scorgere già le base dei nazionalismi ottocenteschi. E non è certo
un caso, che il termine stesso “nazionalismo”, tanto in voga
nell’Ottocento e nel Novecento, fu coniato proprio da Gottfiried
Herder.
3. Il contributo degli illuministi francesi
Non è certo facile estrarre dalla complessità dell’opera di un
filosofo ciò che egli ha pensato e scritto su un argomento