1
Introduzione
Uno degli aspetti maggiormente interessati dalla riforma del diritto societario del
2003 è stato quello relativo all’amministrazione e controllo della società per azioni.
Il legislatore, non solo ha rinnovato il sistema c.d. tradizionale ma, ha anche
introdotto dei nuovi modelli di governance denominati sistema dualistico e sistema
monistico.
Mediante la previsione di una pluralità di modelli, il legislatore offre la possibilità
ai soci in sede di costituzione della società oppure all’assemblea straordinaria, in sede di
modifica dell’atto costitutivo, di individuare il sistema di amministrazione e controllo
più idoneo a regolare i loro interessi.
Questo lavoro si occupa del sistema monistico, il quale è stato disciplinato dal
legislatore tenendo conto da un lato dell’esperienza dei sistemi giuridici anglosassoni e,
dall’altro tenendo in considerazione lo statuto della Società europea, previsto dal
regolamento 2157/2001/Ce, ove tale modello è espressamente contemplato.
Disciplinando il sistema monistico, il legislatore compie una «vera piccola
rivoluzione», in quanto abbandona la tradizionale separazione tra la funzione
amministrativa e quella di controllo, tipica del modello tradizionale e, accentra invece
le suddette funzioni presso il consiglio di amministrazione, unico organo eletto
dall’assemblea.
In questo modo il legislatore riconduce all’interno del c.d.a. la dialettica tra
amministrazione e controllo, attuando un modello di governance semplificato e
flessibile, in cui vengono privilegiati e agevolati i flussi informativi tra componente
gestoria e componente di controllo.
Pertanto, principale caratteristica del sistema monistico è la mancanza di un
organo di controllo autonomo simile al collegio sindacale del modello tradizionale.
Quest’ultimo è, infatti, sostituito dal comitato per il controllo sulla gestione,
istituito all’interno del c.d.a. e composto da amministratori indipendenti non esecutivi, e
al quale sono affidati dalla legge compiti di vigilanza.
Tuttavia, i compiti di controllo solo parzialmente coincidono con quelli spettanti
al collegio sindacale nel modello tradizionale.
2
Proprio queste caratteristiche hanno esposto il sistema monistico a numerose
critiche, circa l’effettivo rigore del controllo.
In particolare, quest’ultimo sarebbe compromesso, ad esempio dalla commistione
tra le funzioni di amministrazione e controllo e dalla conseguente mancanza di
indipendenza del comitato per il controllo sulla gestione e dalla restrizione rispetto agli
altri sistemi dell’oggetto del controllo.
Con questo lavoro si cercherà di capire se le critiche rivolte al sistema monistico,
fin dalla sua apparizione nell’ordinamento italiano, siano frutto della diffidenza per
l’introduzione di istituti nuovi oppure fondate.
3
Capitolo Primo
STRUTTURA E FUNZIONAMENTO DEL CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE
Sommario: 1. Premessa 2. La nomina dei componenti del consiglio di
amministrazione 3. I requisiti soggettivi degli amministratori 3.1 Il requisito
di indipendenza ai sensi dell’art. 2409 septiesdecies c.c. 3.1.1 L’indipendenza
dei membri del comitato per il controllo nelle società quotate: un confronto
tra l’art. 2399 c.c. e l’art. 148 Tuf 3.1.2 Numero minimo di amministratori
indipendenti 3.2 Onorabilità e professionalità 4. Le cause di cessazione
dall’ufficio di amministratore e da membro del comitato per il controllo sulla
gestione 4.1 Morte e scadenza del termine 4.2 Revoca 4.3 Rinuncia 5.
Modalità di sostituzione degli amministratori 5.1 Sostituzione degli
amministratori ex art. 2386 c.c.: profili critici 5.2 Sostituzione di un membro
del comitato per il controllo ex art. 2409 octiedecies c.c. 5.3 Applicabilità
della clausola simul stabunt simul cadent 6. Articolazione del consiglio di
amministrazione: premessa introduttiva 6.1 Natura giuridica del comitato per
il controllo sulla gestione 6.1.1 Nomina e requisiti dei componenti del
comitato per il controllo sulla gestione 6.2 L’istituto della delega nell’ambito
del sistema monistico 6.3 I comitati interni al consiglio si amministrazione: i
comitati previsti dal Codice di autodisciplina 7. Funzionamento del consiglio
di amministrazione nel suo plenum e del comitato per il controllo sulla
gestione
1. Premessa
La riforma del diritto societario, (d.lgs. n. 6 del 2003), ha introdotto, in
attuazione dell’art. 4, comma 8, lett. d), della legge delega n. 366/2001, la possibilità
per le società per azioni di scegliere tra tre diversi sistemi di amministrazione e
controllo.
Di conseguenza, oramai da alcuni anni, oltre al sistema tradizionale (o latino), gli
operatori economici possono optare tra il sistema dualistico di ispirazione tedesca e
quello monistico di ispirazione anglosassone, disciplinati nella sezione VI bis, del capo
V del libro V del codice civile.
Ognuno di questi sistemi di governo societario presenta una peculiare
articolazione delle due funzioni1 che connotano l’attività sociale, ovvero della funzione
amministrativa e della funzione di controllo.
1
Dalla prassi e dalla storia del diritto societario emergono diverse modalità di organizzazione delle due
funzioni. Cfr. PIRAS, L’organizzazione dei controlli interni ed esterni, in Il diritto delle società per
azioni: problemi, esperienza, progetti, Milano, 1993, p. 312.
4
In particolare, se nel sistema tradizionale le due funzioni sono distinte da un punto
di vista organico, in quanto affidate a due organi differenti, in quello monistico, invece,
esse sono accentrate in un unico organo: il consiglio di amministrazione.
Tuttavia, la legge impone che l’esercizio della funzione di controllo sia affidato
inderogabilmente ad un comitato per il controllo, costituito all’interno del c.d.a., il quale
pertanto, si presenta come organo misto2 di amministrazione e controllo.
Come verrà ulteriormente approfondito, questo comporta che nel modello
monistico si verifica una sorta di «sdoppiamento del consiglio (…) in due suborgani»3,
affinché sia preservata sul piano funzionale, la distinzione tra amministrazione e
controllo.
Sarà, pertanto, interessante indagare la struttura del c.d.a. di una società per azioni
retta dal sistema monistico e, in particolare il rapporto sussistente tra il c.d.a. nel suo
plenum e il comitato per il controllo sulla gestione.
Questi aspetti possono essere osservati da due punti di vista differenti, uno c.d.
“strutturale” e l’altro c.d. “funzionale”.
Dal primo punto di vista, il comitato per il controllo sulla gestione risulta essere
espressione del potere auto organizzativo del c.d.a., avendo quest’ultimo, almeno
formalmente, il potere di nominarne i componenti4. Da qui l’esigenza di trattare
unitariamente la disciplina del c.d.a e quella del comitato.
Da un altro punto di vista, quella che può definirsi quale “dipendenza strutturale”
del comitato per il controllo sulla gestione dal c.d.a. non si accompagna, però, ad una
sua dipendenza “funzionale”5. Infatti, anche ammettendo che il c.d.a. sia il titolare della
funzione e di gestione e di controllo, tuttavia l’esercizio di quest’ultima è attribuita dalla
legge inderogabilmente al comitato6.
2
PIRAS, op. cit., p.315.
3
COTTINO, Diritto societario, Padova, 2006, p. 446.
4
MORELLO, Il comitato per il controllo sulla gestione tra dipendenza strutturale ed autonomia
funzionale, in Rivista del diritto commerciale, 2005, p. 760.
5
L’aspetto della autonomia funzionale del comitato del comitato per il controllo sulla gestione verrà
messa in evidenza trattando le funzioni del consiglio di amministrazione.
6
MORELLO, op. cit., p. 743, GHEZZI, Sub art. 2409 octiesdecies, in Sistemi di alternativi di
amministrazione e controllo in Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi,
Ghezzi, Notari, Milano, 2005, p. 248, ANGELICI La riforma delle società di capitali, Padova, 2006, p.
160, GUACCERO, Sub art. 2409/XVI-XIX , in Società di capitali. Commentario a cura di Niccolini,
Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, p. 913.
5
Un’ulteriore riflessione preliminare che è possibile fare è la seguente.
Comunemente si osserva7 che caratteristica dell’organo amministrativo sia la
flessibilità la quale consente il migliore adeguamento dello stesso alle concrete esigenze
operative dell’impresa sociale. Nel caso del sistema monistico, però, questa elasticità
viene sensibilmente ridotta al fine di consentire la riunione in capo allo stesso organo di
due funzioni che sono logicamente e giuridicamente distinte. La necessaria presenza di
un comitato per il controllo interno in seno al consiglio di amministrazione pare così
comportare una, come si diceva, sensibile attenuazione del potere di auto articolazione
interna.
2. La nomina dei componenti del consiglio di amministrazione
Al pari di quanto avviene nelle società che adottano il modello tradizionale di
amministrazione e controllo, anche in quello monistico il potere di nomina degli
amministratori spetta inderogabilmente all’assemblea (art. 2364, comma 1, n. 2, c.c.),
salvo alcune eccezioni8 le quali prevedono che: a) i primi amministratori siano indicati
dallo statuto (art. 2328, comma 2, n. 11, c.c.); b) i possessori di strumenti finanziari di
cui agli artt. 2346, comma 6 e 2349, comma 2, c.c. possano nominare un componente
indipendente del consiglio di amministrazione secondo le modalità stabilite dallo statuto
(art.2351 c.c.); c) lo Stato o gli enti pubblici possano nominare uno o più amministratori
se ciò è previsto dallo statuto o dalla legge, in società di cui hanno una partecipazione
azionaria (art.2449 c.c.) 9.
7
CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, Torino, 2009, p. 354
8
Si tratta di eccezioni alla regola generale che attribuisce il potere di nomina degli amministratori
all’organo assembleare, ognuna delle quali è sorretta da una propria e specifica ratio. Si può affermare
che, dopo la riforma, almeno in parte, è stata scalfita tale competenza generale che induceva a escludere
«la possibilità di attribuire la nomina a gruppi di soci, o a terzi, o agli stessi soci ma senza osservanza del
metodo collegiale». Cfr. CASELLI, Le vicende del rapporto di amministrazione in Trattato delle società
per azioni diretto da Colombo, Portale, Torino, 1991, p.4.
9
Ulteriori eccezioni, che si verificano in momenti particolari della vita della società, consistono nella
nomina degli amministratori: a) da parte dell’assemblea dei sottoscrittori, b) da parte del tribunale di
amministratori giudiziari (2409, comma 4, c.c.), c) da parte degli stessi amministratori, secondo il
meccanismo della cooptazione (art. 2386 c.c.).
6
In aggiunta a quanto detto, nelle società quotate, a prescindere dal modello di
amministrazione e controllo adottato, il T.u.f. attribuisce alla minoranza l’elezione di
almeno un amministratore10.
In particolare, l’art. 147 ter, comma 3, t.u.f., prevede che il consigliere di
minoranza sia «espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero
di voti e non sia collegata in nessun modo, neppure indirettamente, con soci che hanno
presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti11».
Inoltre, lo stesso articolo prosegue disponendo che tale amministratore debba
essere in possesso dei requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità, di cui
all’art. 148, commi 3 e 4, t.u.f.12
Nelle società quotate che adottano il sistema monistico, pertanto, il legislatore ha
introdotto obbligatoriamente la figura dell’amministratore di minoranza indipendente, il
quale, come si vedrà più avanti, di diritto è anche membro del comitato per il controllo
sulla gestione, ai sensi dell’art. 148, comma 4 ter, t.u.f.
Di regola il numero degli amministratori è determinato dall’atto costitutivo13 (art.
2328, comma 2, n. 9, c.c.), ma spetta all’assemblea qualora lo statuto abbia indicato solo
un numero minimo e massimo (art. 2380 bis, comma 4, c.c.) e in questo caso il numero
sarà determinato all’atto di nomina.
Nelle società quotate e non quotate che adottano il sistema monistico, tale facoltà
statutaria (o assembleare) deve coordinarsi con il divieto dell’amministrazione
unipersonale14, derivante dalla necessità di costituire all’interno del c.d.a. il comitato per
il controllo sulla gestione.
10
Si tratta di una novella introdotta di recente con la legge n. 262/2005, la quale ha aggiunto la nuova
sezione quarta bis al capo secondo del d.lgs. 58/98, rubricata “Organi amministrativi”. Con tale intervento
normativo, il legislatore ha inteso rafforzare la tutela della minoranza attribuendo ad essa l’elezione di un
suo rappresentate, non soltanto nell’organo di controllo ma anche in quello amministrativo. In passato,
non erano sorte ragioni ostative alla possibilità che l’autonomia statutaria riservasse la nomina anche di
un componente del c.d.a. alla minoranza, mediante introduzione, in via statutaria, «di sistemi di votazione
(voto di lista, voto scalare, voto limitato, ecc.) congegnati in modo da assicurare anche a gruppi di
minoranza propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione». Cfr. CAMPOBASSO, op. cit., p. 359.
11
Con l’ultima parte della disposizione, il legislatore ha imposto che debba trattarsi «di una vera lista dei
soci di minoranza e non una c.d. lista civetta dei soci di maggioranza». CAMPOBASSO, op. cit., p. 360.
12
Nel sistema tradizionale la legge non impone il possesso di particolari requisiti all’amministratore di
minoranza. Conviene sottolineare che la legge non ha imposto l’elezione di un membro della minoranza
nel consiglio di gestione.
13
La scelta del legislatore di non indicare un numero minimo di amministratori, così come avviene anche
negli altri due sistemi di governance, è coerente con il riconoscimento di una elevata autonomia statutaria.
14Tale divieto, con la legge n. 262/2005, è stato esteso a tutte le società quotate, a prescindere dal sistema
di governo societario prescelto. La legge c.d. sul risparmio, modificando l’art. 147 ter del t.u.f. e
7
Proprio per questa ragione, il numero di amministratori «dovrà essere sufficiente
ad assicurare (contemporaneamente) l’amministrazione della società ed il controllo
interno15».
Ciò premesso, in dottrina16 si discute sul numero minimo dei componenti del
c.d.a. di una società che ha adottato il sistema monistico, il quale varia in funzione sia
del numero minimo di componenti del comitato per il controllo sulla gestione, sia della
eventuale articolazione che si vuole far assumere al c.d.a.
In particolare, se si tratta di società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio, allora, si deve tener presente quanto stabilito dall’art. 2409 octiedecies, comma
2, c.c., secondo il quale il comitato per il controllo sulla gestione deve essere composto
da un numero di consiglieri non inferiore a tre. Di conseguenza, affinché il c.d.a. possa
esercitare il suo diritto alla nomina dei tre membri del comitato per il controllo,
l’assemblea dovrà aver eletto almeno quattro consiglieri indipendenti17.
Pertanto, il numero minimo dei consiglieri dovrà essere quattro.
Se poi si vuole che il c.d.a. comprenda più di un consigliere non indipendente,
cioè un numero di consiglieri tale da consentire l’istituzione di un comitato esecutivo (il
quale secondo lo stesso autore della tesi riportata dovrebbe essere composto di almeno
tre componenti), allora il numero minimo di amministratori dovrebbe essere sette.
Invece, nel caso in cui all’assemblea spetti, per espressa disposizione statutaria, la
nomina dei membri del comitato per il controllo, allora il numero di quest’ultimi potrà
coincidere con quello minimo stabilito dalla legge.
Un numero inferiore di consiglieri di amministrazione potrebbe caratterizzare le
società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio per le quali, invece, la
legge non prevede un numero minimo di amministratori di controllo18.
Possono essere nominati amministratori della società i soci e i non soci e, anche
dopo la riforma, continua a vigere il divieto di nomina ad amministratore delle persone
giuridiche. Tale divieto, che non si rintraccia ad esempio nell’ordinamento francese, è
imponendo l’elezione degli amministratori mediante liste di candidati, ha sancito definitivamente il
principio della pluripersonalità dell’organo amministrativo.
15
BUONOMO, Amministrazione e controlli interni: il sistema monistico in Scritti in onore di Vincenzo
Buonocore, Milano, 2005, p. 2001.
16
COLOMBO, L’amministrazione e il controllo in Il nuovo ordinamento delle società. Lezione sulla
riforma e modelli statutari, Milano, 2003, p. 200; GHEZZI, op. cit., p. 222.
17
In caso contrario, infatti, non vi sarebbe nomina da parte del c.d.a., la cui delibera sarebbe solo una
presa d’atto di una scelta compiuta dall’assemblea.
18
La questione del numero minimo di amministratori di controllo sarà affrontata più avanti.
8
generalmente argomentato muovendo dal rilievo per il quale, in tal modo, all’assemblea
dei soci sarebbe sottratta la competenza a nominare l’amministratore, che sarebbe
invece scelto dalla società eletta alla carica di amministratore19.
Prima di passare all’analisi della disciplina dei requisiti che devono essere
posseduti dagli amministratori per essere eletti, occorre soffermarsi sull’ultimo comma
dell’art. 2409 septiesdecies c.c. ai sensi del quale «Al momento della nomina dei
componenti del consiglio di amministrazione e prima dell’accettazione dell’incarico,
sono resi noti all’assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi
ricoperti presso altre società»20.
Si tratta di un obbligo di disclosure, analogo a quello previsto in capo ai sindaci
dall’articolo 2400, comma 4, c.c21 .
Scopo di entrambe le norme è quello informare l’assemblea dell’eventuale
esistenza di altri incarichi di amministrazione e controllo, che pur non comportando
incompatibilità legalmente tipizzate con il ruolo di amministratore o di sindaco, possano
comunque avere una influenza negativa sullo svolgimento dell’attività gestoria o di
controllo.
Detto questo, a prima vista, potrebbe apparire singolare che il legislatore estenda
una norma, prevista per l’organo di controllo tradizionale, all’organo di gestione
monistico. Del resto, negli altri sistemi di governo societario non sussiste un obbligo
analogo.
Tuttavia, tale scelta appare coerente con l’articolazione del c.d.a., al cui interno,
alcuni amministratori, in particolare quelli qualificati come indipendenti22, potranno
essere nominati amministratori di controllo.
In questo modo, la legge intende rafforzare l’efficacia dei controllo, sulla quale
finisce per influire anche il numero di incarichi che il soggetto, destinato alla funzione
di vigilanza, ricopre in altre società.
19
CAMPOBASSO, op. cit., , p. 360.
20
Questo comma è stato introdotto dalla legge 262/2005.
21
Questo comma afferma che «al momento della nomina dei sindaci e prima dell’accettazione
dell’incarico, sono resi noti all’assemblea gli incarichi di amministrazione e controllo da essi ricoperti
presso altre società».
22
Cfr. MAFFEI ALBERTI, Sub art. 2409 septiesdecies in Commentario breve al diritto delle società,
Padova, 2007, p. 696, per il quale il problema della molteplicità degli incarichi è particolarmente rilevante
quando si tratta di stabilire la sussistenza del requisito di indipendenza.
9
Si potrebbe, invece, revocare in dubbio l’efficacia e l’utilità di tale obbligo, posto
in un momento successivo a quello dell’elezione.
La legge prevede, infatti, che la dichiarazione debba avvenire prima
dell’accettazione della carica ed è indirizzata all’assemblea.
Si tratta, tuttavia, di una informazione potenzialmente utile in un momento23
diverso, ovvero quello dell’elezione.
Infine, per quanto riguarda le società quotate si deve prendere in considerazione la
disciplina del cumulo degli incarichi prevista per i membri degli organi di controllo di
tutti i sistemi.
In particolare, l’art. 148 bis attribuisce alla Consob il potere di fissare i limiti al
cumulo degli incarichi, «avendo riguardo all'onerosità e alla complessità di ciascun
tipo di incarico, anche in rapporto alla dimensione della società, al numero e alla
dimensione delle imprese incluse nel consolidamento, nonché all'estensione e
all'articolazione della sua struttura organizzativa».
Il secondo comma dello stesso articolo aggiunge che i membri degli organi di
controllo dovranno comunicare alla Consob, nei termini e nei modi da essa stabiliti,
degli incarichi ricoperti nelle altre società24.
3. Requisiti soggettivi degli amministratori
Nel sistema monistico, la disciplina dei requisiti soggettivi degli amministratori
delle società si ricava coordinando gli articoli 2409 septiesdcies comma 2 e 2409
octiesdecies, comma 2 c.c., con gli artt. 2382 e 2387 c.c., che, dettati per il modello
tradizionale, sono a loro volta espressamente richiamati dall’art. 2409 novesdecies c.c.
Per le società quotate trovano applicazione gli artt. 147 ter, comma 4, e 147 quinquies
t.u.f.
23
La questione del momento in cui deve essere resa la dichiarazione è controversa ed è stata affrontata in
relazione alla disposizione analoga contenuta all’art. 2400, comma 4. Infatti pare che i momenti utili al
compimento della dichiarazione siano due: il primo è quello in cui il sindaco sia presente in assemblea, il
secondo quello in cui la dichiarazione predisposta dai candidati sindaci prima dell’assemblea, sia
esaminata durante la stessa, prima di procedere alla nomina. L’obbligo invece non è rispettato nel caso in
cui i sindaci non possano essere presenti all’assemblea, o non possano fornire tale informazione prima. In
tal modo, presupposto della norma, pare effettivamente essere che l’eleggendo sindaco sia a conoscenza
della futura nomina o, quanto meno, della possibile nomina. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 572.
24
Sia i criteri per stabilire il limite al cumulo degli incarichi che le modalità di comunicazione degli
incarichi ricoperti sono stabiliti dal regolamento CONSOB n. 11971, allegato 5 bis.
10
La ratio, sottesa alla disciplina dei requisiti soggettivi, è quella di «garantire a soci
e mercato maggiore affidabilità nei soggetti chiamati a gestire la governance
dell’impresa» e, per le società quotate, di favorire l’afflusso di capitali anche esterni25.
Confrontando la disciplina dei requisiti prevista per l’organo amministrativo delle
società che adottano il sistema monistico con quella prevista per gli altri due sistemi di
amministrazione e controllo, si nota che la prima è caratterizzata dalla presenza di un
numero maggiore di norme inderogabili.
In tal modo il legislatore vuole limitare i rischi insiti nell’esercizio della funzione
di controllo da parte di alcuni membri dello stesso c.d.a.
Per ricostruire il quadro normativo dei requisiti normativi, conviene distinguere
tra società non quotate e società quotate.
Per quanto riguarda l’organo amministrativo delle società quotate che adottano il
sistema tradizionale o quello dualistico, a parte l’art. 2382 c.c. che prevede alcune cause
di ineleggibilità, non si segnala nessun’altra norma imperativa che imponga il possesso
di particolari requisiti.
Trova, infatti applicazione l’art. 2387 c.c., norma dispositiva, il quale riconosce
allo statuto solo una facoltà di subordinare l’assunzione della carica di amministratore al
possesso di speciali requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, anche di
quelli previsti dai codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da
società di gestione dei mercati regolamentati26.
Nel sistema monistico, invece la disciplina dei requisiti soggettivi degli
amministratori assume carattere imperativo.
Da un lato, infatti, il legislatore ha imposto che un terzo degli amministratori sia
in possesso dei requisiti di indipendenza27, ai sensi dell’art. 2409 septiesdecies c.c.
Dall’altro lato, i membri del comitato per il controllo28, oltre ad essere scelti tra gli
amministratori indipendenti, devono essere anche in possesso dei requisiti di onorabilità
25
SALINAS, Sub art. 2387, in Il nuovo diritto societario. Commentario diretto da Cottino, Bonfante,
Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, p. 717.
26
Requisiti particolari sono anche richiesti dalle leggi speciali, disciplinanti la materia bancaria,
finanziaria e assicurativa. Queste norme, anche dopo la riforma, continuano ad avere vigenza in virtù
della norma di salvezza, contenuta nell’ultimo comma dell’art. 2387 c.c.
27
VALENSISE, Sub art. 2409 septiesdecies in La riforma delle società. Commentario a cura di Sandulli,
Santoro, Torino, 2003, p. 730, che sottolinea il carattere cogente della norma, connesso «alla scelta del
sistema monistico che è caratterizzato dalla presenza dell’organo di controllo all’interno del medesimo
consiglio di amministrazione».
11
e professionalità previsti dallo statuto e, almeno uno di essi deve essere scelto fra gli
iscritti nel registro dei revisori contabili29.
La situazione muta parzialmente nell’ambito delle società quotate.
Infatti, il legislatore, modificando con la l. 262/2005 il testo dell’art. 147
quinquies t.u.f., ha imposto a tutti i membri dell’organo amministrativo di qualsiasi
sistema di amministrazione e controllo, il possesso degli stessi requisiti di onorabilità,
richiesti ai componenti degli organi di controllo, soggetti al regolamento emanato dal
Ministero della giustizia ai sensi dell’art. 148, comma 4 t.u.f.
Per le società quotate che adottano il sistema monistico, quanto al requisito di
indipendenza, il Tuf non modifica l’art. 2409 septiesdcies, ma, all’art. 147 ter t.u.f.
stabilisce che il requisito di indipendenza sia richiesto al rappresentante della
minoranza. Ai membri del comitato per il controllo non si applicano, inoltre, i requisiti
previsti dall’art. 2399 c.c., già richiamati dall’art. 2409 octiedecies c.c., bensì quelli
stabiliti per i sindaci dall’art. 148 t.u.f. 30.
Nelle società retta dal sistema tradizionale o dualistico, invece, il requisito di
indipendenza è richiesto ad alcuni amministratori31 soltanto nel caso in cui l’organo
amministrativo superi determinate dimensioni.
Da quanto è stato finora detto appare evidente che il legislatore abbia esteso
quegli elementi di rigidità caratterizzanti il collegio sindacale al c.d.a. delle società rette
dal sistema di amministrazione e controllo monistico.
28
A prescindere da quale soggetto abbia la competenza a nominare i membri del comitato di controllo
sulla gestione, l’assemblea dovrà tener conto dei requisiti che tali soggetti devono possedere per essere
idonei a ricoprire la carica.
29
GHEZZI, op. cit., p.268 nota come analogo requisito sia richiesto anche negli Stati Uniti.
30
REGOLI, Il nuovo diritto delle società : liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da
Abbadessa, Portale, Torino, 2006, p. 403.
31
Nel sistema tradizionale al consiglio di amministrazione si applica l’art. 147 ter, comma 4 Tuf che
impone la presenza di un amministratore o due amministratori indipendenti a seconda dell’ampiezza del
consiglio, mentre al sistema dualistico si applica l’art. 147 quater , che analogamente richiede il possesso
del requisito di indipendenza ad almeno un consigliere, superato un certo numero di componenti del
consiglio di gestione. Per quanto riguarda i requisiti di onorabilità, per tutte le società quotate si applica
l’art. 147 quinquies t.u.f.