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INTRODUZIONE
“Plus se généralise la domination du Marché, moins les marchés semblent dotés
d’une consistance propre susceptible d’en faire des objets d’étude.”
(De la Pradelle, 1996, p.11)
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L’idea di svolgere una tesi incentrata sul mercato, fisico, reale, composto di
bancarelle collocate nelle piazze e nelle strade della città o in edifici coperti, è il
risultato del fortunato incontro tra un percorso di studi orientato all’economia
declinata in senso territoriale e l’attività di un’associazione come la Conservatoria
delle Cucine Mediterranee del Piemonte, che di mercati si occupa da tempo.
Sembra, infatti, scontato che in un corso di laurea della Facoltà di Economia la
parola e il concetto di “mercato” ritornino spesso e costituiscano oggetto di studio
e riflessione. Forse, però, proprio nell’ambito di un corso di laurea prettamente
orientato alla dimensione territoriale e istituzionale dell’economia, l’ambiguità di
questo concetto poteva emergere e suscitare un interesse tale da spingere a una
riflessione più approfondita in proposito e da convincere a incentrare un’intera
tesi di laurea su questo tema.
Secondo il grande storico del Mediterraneo Fernand Braudel “fra vita materiale e
vita economica, la superficie di contatto, che non è continua, si materializza
attraverso migliaia di punti modesti: mercati, empori, botteghe” (1981, p. IXX). Il
nostro intento sarà dunque quello di analizzare questo elemento così singolare
dal punto di vista economico e umano e di comprenderne meglio la funzione, il
ruolo e le prospettive future. Nel capitolo 1 ci occuperemo di circoscrivere e
identificare con precisione il soggetto della nostra indagine, esaminando
innanzitutto l’aspetto linguistico e, in particolare, l’ambiguità semantica del
termine “mercato” (par. 1.1.). Una volta chiarito il significato, e quindi il soggetto,
del nostro studio, passeremo a indagarne brevemente le origini e l’evoluzione
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storica, a partire dalle prime tracce individuabili nell’antica Grecia e nel mondo
romano. Ci soffermeremo, inoltre, sulla dimensione fisica del mercato, fornendo
una breve panoramica delle diverse forme che questo ha assunto e può
assumere nel contesto urbano (1.2.). Infine, ci occuperemo di proporre al lettore
una rassegna dell’ampia e variegata letteratura riguardante i mercati, di matrice
storica, architettonica, antropologica e sociologica. Vedremo come, dal contributo
di queste numerose discipline emerga la multidimensionalità del nostro soggetto
d’indagine e la necessità di un approccio integrato a esso. Nel capitolo 2
cercheremo, poi, di chiarire le ragioni che ci hanno condotto ad associare il tema
del mercato a quello dello sviluppo locale. Innanzitutto, ripercorreremo a grandi
passi l’evoluzione del significato del termine “sviluppo” per mostrare la varietà di
visioni che sono state associate nel tempo a questa parola (par. 2.1.).
Giungeremo così a distinguere e a definire il significato dell’espressione “sviluppo
locale” come quella che più soddisfa la nostra associazione d’idee tra mercato e
sviluppo. In seguito, proveremo a rintracciare nel passato la conferma dello
stretto rapporto tra mercato e sviluppo urbano. A questo scopo, ci avvarremo
delle articolate analisi di alcuni importanti studiosi tedeschi vissuti a cavallo tra il
XIX e il XX secolo: Karl Bücher, Georg von Below, Werner Sombart e soprattutto
Max Weber. Se queste teorie della relazione tra sviluppo urbano e mercato
potranno confermare il ruolo e l’importanza del nostro soggetto di studio nel
passato, nel paragrafo successivo (par. 2.3.) ci proporremo, invece, di
comprendere se tale ruolo continua a essere svolto anche ai giorni nostri e sotto
quali forme. In particolare, analizzeremo i diversi elementi favorenti le dinamiche
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di sviluppo locale (quali l’institutional thickness, il ruolo dell’identità, della fiducia,
del capitale sociale…) con l’obiettivo di comprendere se il mercato può, in
qualche modo, rispondere a questi requisiti e rappresentare, quindi, un elemento
favorevole per un processo di sviluppo locale. Infine, nel par. 2.4., redatto in
francese, ci occuperemo d’individuare e di discutere le principali sfide che
s’impongono al mercato nell’ottica di un mantenimento del suo ruolo e della sua
importanza in un contesto contemporaneo in rapida evoluzione verso la
cosiddetta ipermodernità o surmodernità. Anticipiamo, fin d’ora, che i temi trattati
saranno quelli del confronto con le grandi superfici commerciali (nell’ottica
dell’antinomia tra luoghi e nonluoghi proposta da Augé), del mercato come luogo
consono al manifestarsi di un’economia dell’esperienza e del turismo (declinato
qui secondo la visione di Viard), dell’integrazione degli stranieri, della governance
dei mercati.
Nel capitolo 3, infine, il caso molto ricco e significativo della città di Barcellona ci
aiuterà a esemplificare alcune delle linee d’intervento teorizzate nei capitoli
precedenti. Già dai primi anni Novanta, infatti, Barcellona ha compreso
l’importanza di valorizzare i suoi mercati; attraverso la creazione di un vero e
proprio Istituto dei mercati, la città ha messo in atto tutta una serie di attività di
riqualificazione, innovazione, formazione, nonché numerose iniziative nel campo
del turismo, della cultura e dell’internazionalizzazione.
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1. MERCATO: DEFINIRE IL
SOGGETTO D’INDAGINE
“Un marché? Quel terme plat et mercantile pour désigner le territoire magique où
se déroule la plus fastueuse des cérémonies à la gloire des couleurs et des
parfums!”
(Fernandez, 1993, p.113)
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1.1. C’è mercato e Mercato
L’ambiguità fondamentale attorno alla parola “mercato” nasce proprio dal fatto
che una dimensione territoriale può esservi sottointesa oppure no. In italiano,
come del resto in molte altre lingue, la parola “mercato” può assumere due
significati apparentemente simili, ma potenzialmente molto diversi. Per “mercato”
si può intendere sia il meccanismo astratto degli scambi tra domanda e offerta,
sia il luogo fisico di ritrovo in cui esse si concretizzano nell’interazione materiale
tra offerente e compratore, caratterizzato da alcune peculiarità architettoniche e
urbanistiche. I due significati sembrano a prima vista piuttosto vicini; li separa la
sola dimensione fisico-spaziale. Questa differenza si ripercuote, però, in modo
rilevante sull’oggetto che essa contribuisce a definire: basti pensare alla
differenza evidente tra l’idea di un mercato ambulante e quella di un astratto
“mercato del lavoro”.
Spesso, almeno in ambito accademico, la parola “mercato” identifica appunto il
concetto astratto, la costruzione teorica, l’entità intangibile “Mercato”. Si parla, ad
esempio, di economia di mercato, di mercato del lavoro, dei beni e dei servizi per
indicare un sistema di scambi disciplinati da precise condizioni e regole; se ne
indagano le forme (la concorrenza perfetta, il monopolio etc.), le proprietà e i
meccanismi che conducono all’efficienza allocativa delle risorse. In tutti questi
casi si fa riferimento al luogo dei punti d’incontro tra domanda e offerta o al
complesso degli scambi economici e delle contrattazioni di un settore. Anche il
termine “luogo” è qui utilizzato in senso geometrico e non implica né una
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dimensione geografica, né una reale compresenza fisica degli operatori.
Nell’utilizzo del termine in quest’accezione impiegheremo in seguito l’iniziale
maiuscola, sia per distinguere i due significati della parola, sia per sottolineare la
natura astratta e ideale di questo particolare significato. Nell’uso comune la
lettera maiuscola è invece spesso sottointesa, quasi che il senso normale di
questa parola fosse appunto quello astratto.
La parola “mercato”, in realtà, richiama ancora alla mente di molti, soprattutto al
di fuori dell’ambiente universitario ed economico, in contesti quotidiani di “vita
materiale” come direbbe Braudel, un fenomeno concreto, un “luogo destinato, in
un agglomerato urbano, allo scambio delle merci” (Enciclopedia Europea
Garzanti, vol. VII, p.441). Si tratta, in questo caso, di un luogo fisico, inscritto
nello spazio urbano, entro il quale il meccanismo dell’incontro tra domanda e
offerta si concretizza. In questa seconda accezione la dimensione spaziale e
quella astratta del mercato sono perciò indissolubilmente intersecate. Il mercato
appare qui come un’entità al tempo stesso economica e territoriale, oltre che
culturale e sociale. Con le parole di Michèle de la Pradelle (1996, p.15 e p.28)
possiamo concludere, rispetto all’ambiguità del termine mercato, che “la vera
difficoltà sta appunto nel fatto che ci si impedisce, per un economismo spontaneo
o represso, di considerare che lo scambio commerciale è esso stesso, in quanto
tale, un rapporto sociale” e che “non si coglie l’avvenimento del mercato […] se
non si percepiscono le forme d’identificazione collettiva che sono al tempo stesso
la condizione e la posta in gioco dei comportamenti osservati.
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Quale relazione intercorre allora tra questi due significati del termine mercato?
L’omonimia rivela forse un rapporto di derivazione?1 È possibile riavvicinare in
qualche modo questi due significati, riconoscendo al mercato una funzione
economica di sviluppo e al Mercato un’implicazione sociale e territoriale? Sono
questi gli interrogativi fondamentali che hanno ispirato e guidato questa tesi e
che saranno affrontati in seguito.
1.2. Il mercato nel tempo e nello spazio:
origine e forme
Come suggerisce Aurélie Poyau nel suo articolo “Marchés au nord, marchés au
sud” (2005), è difficile stabilire a quando risalga esattamente l’origine dei mercati.
Si pensa spesso che in qualche modo essi esistano da sempre. Molti autori
accolgono questa tesi: i mercati sarebbero nati in una non meglio precisata
antichità e, sin da allora, farebbero inevitabilmente parte degli insediamenti
umani. Troviamo un sostenitore radicale di quest’ipotesi in Serge Latouche
(2002), che ci ricorda come la presenza dei mercati sia assodata in numerose
società, in tutti i continenti, sin dai tempi antichi. È curioso rilevare, viste le
premesse del paragrafo precedente, come Latouche utilizzi quest’affermazione
1 Si veda anche, a proposito della relazione di derivazione tra mercato e Mercato e
dell’influenza della matrice contadina sulla costruzione di una società di Mercato, il lavoro
di Bagnasco: “La costruzione sociale del mercato” (1988, p.50-63 e 88-94).
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per sostenere una netta contrapposizione tra mercato concreto e Mercato
astratto. La presenza pressoché universale e antichissima del mercato
confermerebbe, infatti, secondo l’autore, l’indipendenza del mercato dal sistema
economico di tipo capitalista, del quale il Mercato è il simbolo per eccellenza. Per
Latouche, lo scambio che ha luogo al mercato può incorporare una dimensione
di dono, a differenza di quanto avviene nel Mercato anonimo e astratto. Pur non
condividendo la posizione radicale di Latouche, che arriva a vedere nel mercato
l’ultimo avamposto di ribellione contro il capitalismo e il mito della crescita, le sue
riflessioni sull’importanza della reciprocità e della fiducia nel mercato reale
concordano con la nostra visione territorializzata dello stesso. Vedremo in
seguito, nel capitolo 2, come questi aspetti torneranno a interpellarci, nel nostro
tentativo di attribuire al mercato un ruolo economico di sviluppo locale.
Nonostante l’impossibilità di collocare temporalmente l’origine dei mercati, è
comunque possibile individuare la logica che ha portato al loro sviluppo: la
presenza di un mercato sembra rispondere a una necessità ricorrente e
consolidata di scambio di prodotti di vario genere. Braudel sostiene che
produzione, scambio e consumo, al livello al quale sono presenti nei mercati,
sono necessità elementari per tutti gli uomini e non dipendono né dalla civiltà, né
dall’ambiente circostante, né dalle strutture sociali e politiche. L’esigenza di
procurarsi beni utili per migliorare la qualità della vita è comune, infatti, a tutti gli
esseri umani, comunque organizzati sul nostro pianeta (Fumo, 2004, p.7). Un
tale meccanismo di scambio istituzionalizzato sottintende l’accumulazione di
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un’eccedenza nella produzione. In particolare, possiamo immaginare che i primi
mercati fossero animati da contadini provenienti dai villaggi circostanti al luogo di
mercato, che tentavano di vendere il surplus della loro attività agricola a
compratori che non disponevano di tali prodotti. L’interesse reciproco allo
scambio assume, quindi, una rilevanza notevole soprattutto nel quadro della
differenziazione socio-economica e territoriale tra città e campagna.
Evidentemente, con la nascita delle prime città, la necessità di uno scambio di
prodotti tra il mondo rurale e quello urbano divenne sempre più importante.
Proprio per questo motivo il concetto di mercato è da sempre strettamente
legato, tanto nell’immaginario collettivo quanto nelle indagini teoriche, a quello di
città e, in particolare, al rapporto tra città e campagna. Come ci ricorda Tangires
nella sua introduzione di carattere storico alla “VI International Public Market
Conference”, svoltasi nell’ottobre del 2005 a Washington a cura dell’associazione
Project for Public Spaces (PPS)2, si è spesso affermato che “grandi mercati
fanno grandi città e viceversa”; questo fenomeno avrebbe una lunga storia,
dimostrata dalla presenza di mercati nei centri abitati sin dall’antichità.
Analizzeremo questi aspetti in modo più approfondito nel secondo capitolo.
Quello che ci preme qui sottolineare è che questa relazione apparentemente
2 Tutti gli atti della conferenza sono disponibili sul sito ufficiale della PPS, così come gli
atti dell’edizione precedente (“Great markets, Great cities”, New York, 2002) e di quella
successiva (“Urban Markets as a Catalyst for Stimulating Regional Food Systems”, San
Francisco, 2009). La documentazione, che non è qui analizzata per motivi di tempo e
spazio, risulta molto ampia e assolutamente interessante.
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assodata tra città e mercato apre il campo, in realtà, a numerose questioni. Che
cosa intendiamo per città? Il rapporto tra città e mercato è un rapporto di causa-
effetto? E se sì, esiste prima il mercato o la città? Possiamo affermare fin d’ora
che una risposta univoca non esiste. Se i teorici del Marktrecht sostenevano il
primato del mercato sulla città, altri studiosi, come Von Below, criticavano
profondamente questa visione. È nell’analisi weberiana che la complessità e la
varietà delle questioni in gioco appaiono più chiaramente ed è proprio di
quest’analisi che ci serviremo nel capitolo successivo per comprendere meglio il
rapporto tra mercato, città e campagna.
Per il momento ci limiteremo a ripercorrere una brevissima storia dei mercati,
cercando di rintracciarne la presenza già nelle forme urbane antiche, anche se
Braudel ci ricorda che non esiste una storia semplice e lineare dello sviluppo dei
mercati, perché in questo campo il tradizionale, l’arcaico, il moderno e il
modernismo si affiancano (1981, p. 4), e che bisognerebbe estendere il campo
d’osservazione a tutti i mercati del mondo. Le prime strutture documentate che
possiamo associare al mercato sono l’agorà greca e il foro romano. Questi luoghi
sono spesso presentati come luoghi gemelli nelle due culture: la loro diffusione
risale all’VIII-VII secolo a.C. ed entrambi si configurano come una piazza,
circondata da edifici pubblici e commerciali, che svolge un ruolo di ritrovo,
d’incontro e di discussione per la popolazione della città. In questo ambiente
urbano il mercato e le funzioni politiche e civili s’intersecano e si confondono.
Proprio per questa ragione il termine utilizzato per identificare la piazza
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coincideva con quello che designava il mercato. Matvejevic (1993, p.266)
puntualizza che il termine mercatus era poco utilizzato dai romani e considerato
quasi volgare; esso indicava al tempo stesso l’attività di commercio e il luogo in
cui tale attività si svolgeva, proprio come l’attuale termine “mercato”.
Preferibilmente i mercati prendevano, quindi, il nome di agorà e di foro. Data
l’ampia diffusione del dominio greco e romano sulle sponde del Mediterraneo e
oltre, questa forma di mercato fu trasmessa e impiantata in numerosissimi
territori. Inoltre, anche il mondo arabo presentava, sin dall’antichità, forme di
mercato, i celebri bazar o suk. Si trattava addirittura di un intero quartiere della
città interamente dedicato all’attività commerciale in tutte le sue sfumature. Il
mercato rappresenta, poi, una forma caratteristica degli scambi nel mondo
africano, come ci ricorda Latouche (2002); forse proprio in questo continente più
che in altri il mercato ha mantenuto la sua rilevanza fino ad oggi. Con il passare
del tempo, il mercato localizzato nell’agorà incominciò a specializzarsi,
suddividendosi in settori merceologici e i fori romani si differenziarono sulla base
dei prodotti che vi erano venduti, assumendo il nome, di volta in volta, di forum
boarium, forum piscarium etc. Anche il suk arabo era organizzato secondo il tipo
di attività. Solo alcuni secoli più tardi nacque l’idea, nel mondo romano, di
collocare il mercato in un edificio specifico, coperto e riconoscibile dal punto di
vista architettonico. Nel medioevo, però, si ritornò alla concezione di mercato
come piazza, spazio aperto collocato al centro della città o vicino alle sue porte.
È proprio questo periodo storico a sancire, secondo molti, l’istituzione vera e
propria del mercato, la sua formalizzazione secondo norme e consuetudini