Introduzione
La diffusione, purtroppo sempre più estesa, dei Disturbi d‟Ansia e di
Panico anche in persone giovani sta assumendo le caratteristiche di fenomeno
sociale con notevoli costi individuali e collettivi.
Ciò nonostante la comunità non sembra aver ancora percepito
pienamente la complessità e la gravità del fenomeno. Non è facile infatti dar voce
ad un disagio interiore, e al tempo stesso così invasivo, le cui cause nella maggior
parte dei casi non sono comprese da chi ne soffre. Ciò anche per l‟ambiguità dei
sintomi, spesso confusi con quelli di altre patologie organiche.
Il disturbo di panico, approfondito nel presente lavoro, è quindi una
condizione psicologica invalidante, complessa e sempre più frequente, che
sollecita lo sviluppo di strategie d‟intervento mirate ed efficaci.
Tali strategie sono oggi studiate secondo diversi approcci terapeutici
(farmacologico, psicodinamico, cognitivo, ipnotico etc.). Quello che la ricerca
scientifica ha dimostrato essere più efficace, nel minor tempo possibile, è la
terapia cognitivo-comportamentale. Si tratta di una psicoterapia breve che,
facendo leva sul ruolo attivo del paziente sotto la guida del terapeuta, punta a
riorientarne le modalità di pensiero e di comportamento, rendendole più funzionali
a contrastare i circoli viziosi del panico. La terapia è quindi focalizzata sulla
riduzione dei sintomi più invalidanti (in particolare l‟ansia e la tendenza a sottrarsi
da situazioni normalmente non pericolose ma che il paziente vive come tali).
L‟elemento peculiare di questa terapia è l‟attenzione riservata ai comportamenti e
ai pensieri attuali, posti in primo piano rispetto ad eventuali cause remote.
La terapia cognitivo-comportamentale, nata come trattamento
individuale, si sta negli ultimi tempi sviluppando anche come esperienza di gruppo.
Il trattamento di gruppo sta guadagnandosi sul campo un crescente
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riconoscimento da parte della comunità scientifica, e rappresenta oggi una
concreta speranza per le persone che soffrono di Disturbo di Panico. Appare
ormai evidente come il gruppo e le sue dinamiche interne, ben lontani dal
rappresentare un semplice espediente economico, rivestano sempre più il ruolo di
specifico ed adeguato strumento terapeutico, come confermato da numerosi studi
(Smith et al., 1980; Budaman et al., 1988; Pilkonis et al.; 1984; Piper et al., 1984;
Tillitski, 1990) anche recenti, dai quali risulta che il formato di gruppo ha sempre
dato effetti positivi con diversi disturbi e modelli di trattamento (Lambert e Bergin,
1994; Fuhriman, Burlingame, 1994; Lambert, Ogles, 2004). La ricerca empirica ha
analizzato elementi di processo tipici del gruppo quali la coesione, il clima di
gruppo, l'alleanza terapeutica, l'empatia, generalmente associati ad un esito
positivo della terapia e a minori tassi di drop-out (Burlingame, Fuhriman, Johnson,
2002).
Il presente lavoro di tesi nasce dall‟interesse personale che mi ha spinto
a partecipare ad una esperienza di osservazione di un gruppo terapeutico
finalizzato proprio al trattamento del Disturbo di Panico presso il Dipartimento di
Psichiatria di Trento. Il presente lavoro è focalizzato quindi su un‟esperienza
concreta, che ho avuto modo di compiere in qualità di tirocinante e che mi ha
permesso di toccare con mano l‟efficacia della terapia cognitivo-comportamentale.
Scopo del presente lavoro è quello di fornire i primi dati descrittivi di
una ricerca ancora in corso atta ad indagare l‟efficacia di un trattamento cognitivo-
comportamentale di gruppo.
Il presente elaborato è suddiviso in tre parti.
La prima si propone di fornire un quadro dettagliato del Disturbo di
Panico, considerando le ipotesi eziologiche di diversi approcci psicologici.
La seconda propone una panoramica delle varie terapie esistenti, con
particolare riguardo alla terapia cognitivo-comportamentale, e delle relative
modalità procedurali di stampo terapeutico, soffermandosi in modo specifico sulla
terapia di gruppo a breve termine.
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La terza parte è dedicata al percorso effettuato dal gruppo che è stato
oggetto d‟osservazione, e all‟analisi dei dati ottenuti mediante l‟utilizzo di strumenti
standardizzati di auto-valutazione che hanno permesso di valutare l‟efficacia del
trattamento. Data la fase iniziale di analisi ed il numero ridotto di osservazione,
l‟analisi quantitativa effettuata è stata prevalentemente descrittiva. Lo studio è,
infatti, ancora in corso di svolgimento ed attualmente si sta estendendo il
campione ad un numero molto più ampio di pazienti.
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1. IL DISTURBO DI PANICO
«Tutto ciò che esiste, esiste dapprima nella nostra mente» recita l’incipit
del Dhammapada. Tradotto ai giorni nostri significa che è dalla mente che occorre
partire per comprendere la genesi delle emozioni e la capacità di padroneggiarle
senza esserne condizionati, travolti e resi schiavi. «Noi diventiamo ciò che
pensiamo, e la nostra mente è il mondo» prosegue l’antico testo del buddhismo.
Ad affrontare con minori difficoltà le nostre paure ci aiutano la scienza, la chimica,
la farmacologia. Eppure, la paura contiene in sé l’elemento della sfida ad
avventurarsi sulla strada del mistero, dell’Essere, sfida che, se colta nel suo
significato evolutivo, può consentirci di elevare il grado della nostra
consapevolezza sino a vivere in una condizione esistenziale più quieta, serena, e
improntata alla benevolenza.
Nicola Fangareggi, Presentazione di «Panico», Leonardo Alloro, Roma, 2010
1.1 Che cos’è l’ansia?
Forse nessun altro aspetto della psicologia clinica ci tocca così da
vicino come l‟ansia.
Questa spiacevole sensazione di paura e di apprensione appartiene a
molte psicopatologie ed è comune a una moltitudine di persone che pure non
presentano problematiche diagnosticabili in termini clinici.
L‟ansia non è altro che una reazione di paura di fronte a un evento che
normalmente non viene considerato spaventoso. Il soggetto che la sperimenta non
è in grado di darsene una spiegazione e la ritiene ingiustificata o perlomeno
eccessiva, e quindi indesiderata. Indagando in modo approfondito, è tuttavia
possibile far emergere il vero motivo che, di fronte ad un evento apparentemente
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innocuo, provoca in un individuo un senso di pericolo e una conseguente reazione
di paura.
L‟ansia dunque non è per nulla immotivata né priva di senso. È causata
da precise percezioni e valutazioni, pur esagerate, che spingono un soggetto a
vivere determinate situazioni, non preoccupanti per la maggior parte delle
persone, come eventi carichi di pericolo.
Benché si tratti di reazioni collegate, c‟è una fondamentale differenza
fra ansia e paura: mentre in quest‟ultima il pericolo è presente, vicino nello spazio
e nel tempo, nell‟ansia i pericoli sono ipotetici e lontani. Ne consegue che per
l‟ansioso non c‟è limite alle ipotesi negative, così che non di rado si instaura un
continuo rimuginìo (vedi 1.9) avente per oggetto tutto quanto di «pericoloso» può
capitare non soltanto in un prossimo futuro ma in una prospettiva temporale che
giunge fino alla fine dell‟esistenza, evento questo a sua volta motivo di grande
ansia.
Si distingue anche tra ansia normale (o reazione di allarme) e ansia
patologica. Solo di quest‟ultima si occupano la psicologia e la medicina. Per
distinguere l‟una dall‟altra si fa riferimento alle opposte conseguenze sulle
capacità operative del soggetto che ne è colpito: l‟ansia normale le potenzia
mentre quella patologica le disturba notevolmente.
1.2 Aspetti disadattavi dell’ansia
I pericoli futuri, responsabili del fenomeno ansioso, sono spesso
indipendenti dal comportamento individuale. La possibilità che si verifichino è
dunque in larga misura immodificabile: preoccuparsene non li scongiura, ma in
compenso insidia l‟equilibrio psichico e la qualità della vita presente del soggetto.
Esemplare il rimuginìo sull‟idea della propria morte imminente, che non allunga la
vita ma riesce indubbiamente a renderla peggiore.
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L‟elemento disadattivo consiste in un inopportuno dispendio di energie.
Infatti la prevenzione di eventi temuti – in sé positiva – spesso non implica
attivazione corporea e quindi utilizzo di energie fisiche (per stipulare una pensione
integrativa non c‟è bisogno di menare le mani e per evitare un infarto del
miocardio non c‟è bisogno di scappare); l‟attivazione corporea è invece una
componente essenziale nella paura e nel conseguente stato di allerta tipico del
comportamento di attacco o di fuga: di qui lo spreco di energie in reazioni
psicofisiologiche che tipicamente si verificano in situazioni di pericolo reale per la
persona.
Come osserva Leonardo Alloro, è il nostro stesso codice genetico a
proporci, nelle situazioni di emergenza, una delle due modalità reattive comuni a
ogni specie animale: la fuga o l‟attacco. Considerando che le abitudini radicate in
anni e anni di automatismi ripetitivi tendono ad autoalimentarsi, la natura umana
propende ad affezionarsi anche alle proprie catene. L‟autore, parlando della
«sindrome del canarino» sottolinea come anche all‟uomo capiti spesso quello che
accade a un volatile in attività: «Se gli aprissimo la gabbia, assisteremmo ad una
timida uscita esplorativa seguita da un probabile ritorno nella voliera. Perché solo
lì dentro, il canarino trovava le sue certezze: il miglio, l‟acqua, la tettoia di
protezione, il suo osso di seppia. L‟istinto di autodifesa e l‟abitudine lo riportano
malinconicamente dentro la gabbia» (Alloro, 2010).
Non è quindi facile liberarsi dell‟elemento disadattivo dell‟ansia, in
quanto legato alle nostre naturali reazioni di fronte al pericolo.
1.3 L’attacco di panico
L‟ansia può dunque avere un‟evoluzione patologica. Una delle più
frequenti è l‟attacco di panico, che come vedremo coinvolge un numero crescente
di persone.
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Secondo il DSM-IV TR (American Psychiatric Association, 2000) le
caratteristiche essenziali di un attacco di panico sono l‟intensa paura e il disagio,
accompagnati da sintomi quali: palpitazioni, sudorazione, tremori fini o a grandi
scosse, dispnea o sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o
fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, vertigini o sensazione di testa
vuota, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di perdere il controllo o di
impazzire, paura di morire, parestesie e brividi o vampate di calore.
L‟attacco ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l‟apice (di
solito in dieci minuti o meno) ed è accompagnato da un senso di pericolo o di
catastrofe imminente e dall‟urgenza di allontanarsi.
Gli attacchi caratterizzati da meno di quattro sintomi sono considerati
attacchi paucosintomatici.
I soggetti che ne sono coinvolti descrivono solitamente la paura come
intensa e riferiscono di avere pensato di essere in procinto di morire, di poter
perdere il controllo, di avere un infarto del miocardio o un ictus, o di impazzire.
Riferiscono di solito anche un desiderio urgente di fuggire dal luogo in cui si sta
manifestando l‟attacco.
1.4 Il Disturbo di Panico
Disturbo di panico e attacco di panico sono situazioni distinte, anche se
spesso confuse fra loro.
Molti disturbi psichiatrici (fobia sociale, fobia specifica, disturbo
ossessivo-compulsivo DOC, disturbo post-traumatico da stress, disturbo d‟ansia
da separazione, disturbo d‟ansia generalizzata, disturbi di personalità) possono
associarsi a manifestazioni ansiose acute; ma queste si presentano sempre in
risposta a situazioni o stimoli specifici. Ne sono esempi: la vista di un oggetto
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