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difficilmente perdeva la calma. La sua storia lo ha però consacrato come
uno dei grandi, per la pazienza, la risolutezza e il coraggio con cui ha
affrontato gli anni più duri della sua vita. E le sue poesie palesano con
sempre maggiore chiarezza il senso della sua critica, una critica intelligente e
costruttiva, che lascia alla metafora il compito di esprimere la ricchezza della
dialettica tra il bene e il male e al verso il compito di criptare un messaggio
che se espresso chiaramente avrebbe perso incisività.
La forza della poesia di Zabolockij sta quindi nella capacità
comunicativa dei suoi accostamenti semantici alogici e delle sue soluzioni
poetiche irreali, come quella di far parlare gli animali umanizzandoli e di far
sprofondare nell’abisso della città gli uomini, dopo averli trasformati in
bestie. Il fascino di questo autore sta nella grande convinzione con cui
affermava le sue idee, con cui dipingeva il mondo come forse sarebbe stato
e come mai avrebbe potuto essere. In questo l’arte lo aiutò molto.
Questa figura così silenziosa si è allora imposta agli occhi del
pubblico russo, che l’ha rivalutata, l’ha apprezzata e ha chiesto di saperne di
più. Improvvisamente questo personaggio così lontano e difficile è
diventato un poeta famoso, un autore la cui modernità ancora ci stupisce.
Ecco allora uscire negli ultimi cinque anni una edizione completa e aggiornata
di tutte le sue opere (1995), le numerose edizioni tascabili che godono di
larga diffusione, una biografia completa (1998) scritta dal figlio del poeta e
già tradotta in inglese. Molti studiosi si sono poi occupati di lui proprio negli
ultimi anni, proponendo delle nuove chiavi di lettura della sua opera.
Alla ricostruzione della vita di Zabolockij, compiuta soprattutto
attraverso questo materiale, ho dedicato il primo capitolo del mio lavoro. Nel
novembre del 1998 sono andato a Mosca per cercare il materiale attinente
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l’autore e la sua opera; là ho avuto modo di contattare Nikita Zabolockij, il
figlio ora sessantenne del poeta. Chiusi nella stanza dove non moltissimi anni
prima il poeta Zabolockij ancora scriveva le sue poesie, abbiamo letto, riletto
molte opere, fino a scoprire cose nuove, significanti e significati che forse il
poeta aveva pensato. Nikita mi ha parlato molto di suo padre, descrivendolo
sotto tutti gli aspetti, e tracciando quel ritratto di uomo che si può ricostruire
anche attraverso i ricordi pubblicati dagli amici del poeta. Nikita mi ha
spiegato il senso di molte poesie che avevano stimolato la mia curiosità sin
dalla prima lettura. In questo lavoro ho cercato di portare alla luce proprio le
idee nate dalle mie conversazioni con il figlio del poeta Zabolockij.
Si è imposta su tutto come imprescindibile la necessità di
approfondire il significato delle difficili poesie che fanno parte della prima
raccolta del poeta, Stolbcy (1929). Prendendo spunto dalle osservazioni
dello studioso finlandese I. Loscilov, che ha trovato importante la presenza
in Stolbcy di elementi che si riferiscono ad un’immagine sferica o rotonda,
ho voluto ricostruire nel secondo capitolo il significato di questa immagine
dal punto di vista storico, associandola a quella dello zero e ai significati che
essa aveva nelle scienze occulte.
Il risultato è la dimostrazione, nel terzo capitolo, che questa immagine
si trova alla base delle poesie della raccolta e che si può costruire una
retorica dello zero, della pienezza sferica e della mancanza fisica con artifici
linguistici, tematici, metaforici. La semiotica dello zero, intesa come l’insieme
dei significati che possono essere dati ai segni che hanno come referente
questa immagine, è stata assunta come punto di partenza per interpretare
Futbol, una delle poesie più enigmatiche di Zabolockij, e l’intera raccolta di
Stolbcy.
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Nota: i testi in lingua russa qui di seguito riportati, per la maggior parte non ancora tradotti e
pubblicati in Italia, se non altrimenti indicato si intendono tradotti da me e sono da considerare
delle traduzioni di servizio ai fini pratici della tesi.
Capitolo primo:
NIKOLAJ ZABOLOCKIJ (1903 -1955)
L’uomo vede la salvezza nel proprio
lavoro, e perciò deve occuparsi
continuamente del proprio lavoro,
per essere felice. Solo la fede nel
fatto che il proprio lavoro sarà
coronato dal successo porta la
felicità. Adesso deve essere felice
Zabolockij.
Daniil Charms
1.1 Dalla città alla campagna
Ur um, un villaggio immerso nei boschi non lontano dalla città di
Kazan’, è il luogo dove la famiglia di Zabolockij affonda le proprie radici.
Agafon, il nonno che il poeta non conobbe mai se non attraverso i racconti
della nonna, una silenzionsa donna di campagna che non si separava mai dal
suo scialle (cfr. D’jakonov,1984:26), era a Ur um uno dei guardiani dei
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boschi che circondavano il paese. Diede al figlio Aleksej, padre del poeta,
nato nel 1864 proprio a Ur um, l’istruzione necessaria per poter diventare
agronomo e poter dirigere le fattorie del governatorato di Kazan’, un lavoro
che lo costrinse più volte a cambiare casa con la sua famiglia. Sposò nel
1902 Lidija, una donna molto diversa da lui (cfr. Zabolockij,1998:11), ma
con una grande inclinazione artistica; aveva dovuto lasciare il posto di
maestra a Nolinsk per una malattia alla gola (cfr. D’jakonov,1984:27), amava
leggere, cantare e recitare a bassa voce i versi proibiti che sua sorella aveva
composto dietro le sbarre, durante la sua vita ai limiti della legalità
(N.N.Zabolockij,1998:22). Lidija, invece, era una donna dal carattere più
fragile e consenziente, e ben presto dovette dimenticare il suo sogno di una
vita culturale nel centro mondano per dedicarsi col marito, uomo intelligente
ma dispotico, alla famiglia. Nikolaj Alekseevi© Zabolockij, il loro primo
figlio, nacque a Kazan’ nel 1903, ma il padre, cambiando lavoro, da Kazan’
dovette spostarsi dal centro al paese di Kukmor, poi a Sernur, nel 1910,
quando il futuro poeta cominciò ad andare a scuola.
Contornato dai boschi selvaggi, il villaggio di Sernur si trovava tra
Kazan’ e Vjatka, nella zona dell’attuale Repubblica Marijskaja, ed era abitato
da russi, tartari, marizi e zingari (cfr. N.N.Zabolockij,1998:13). La natura
selvaggia dei boschi attorno al paese e i riti pagani che si diceva venivano
compiuti in questi boschi dagli sciamani marizi (cfr.
N.N.Zabolockij,1998:16), appassionavano il piccolo Nikolaj, che non
perdeva occasione per accompagnare il padre attraverso i boschi alla ricerca
dei segreti della natura e dei riti arcani raccontati dai contadini. Fu questa una
importante esperienza formativa per Zabolockij.
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I genitori di Nikolaj, nonostante i litigi che animavano la loro vita
matrimoniale, amavano la musica e spesso cantavano insieme in famiglia o
venivano invitati dagli amici che volevano sentire canzoni popolari. Dal
padre, Nikolaj imparò a suonare la chitarra e la balalajka, ereditò la passione
per la musica e la seppe manifestare con grande ammirazione dei compagni
di classe quando da ragazzo studiava al liceo di Ur um, dopo che la famiglia
vi si era trasferita definitivamente nel 1917 (cfr. N.N.Zabolockij,1998:31).
Oltre alla musica il padre amava i libri e possedeva una buona biblioteca che
incuriosì subito il piccolo Nikolaj. Fu la madre che spinse il figlio alla lettura
di quei libri così speciali e preziosi, che lo aiutarono sin da giovanissimo a
sviluppare la sua disposizione alla letteratura, disposizione che d’altronde si
manifestava con le numerose prove poetiche giovanili, colme di fantasia e
spirito di osservazione. Ecco come la sua immaginazione percepì un tuono
durante un temporale a Sernur:
Zmej - Gorynyh priletaet,
ostal;nyx vsex doedaet -
ugo]aet sam sebq.
I ostalsq tol;ko q !
Il drago Goryny© passa volando,
e si mangia tutti gli altri -
si serve da solo.
E io sono rimasto solo!
(citato da N.N.Zabolockij,1998:19)
Nel 1914, l’inizio della guerra non coinvolse direttente il villaggio di
Sernur, ma il pianto delle madri dei ragazzi chiamati alle armi preoccupava
molto il giovane Kolja; il cadavere della prima vittima di Sernur tornò in
paese l’anno dopo e a soli dodici anni Zabolockij scrisse la sua prima elegia,
Na smert’ Ko kina (In morte di Ko kin) (cfr. N.N.Zabolockij,1998:28). Nel
1917 la famiglia è a Ur um e nella nuova casa Nikolaj ha una stanzetta tutta
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sua in una mansarda: si tratta di uno spazio angusto (cfr.
Kas’janov,1984:33), ma ideale per fumare il tabacco forte di nascosto (cfr.
N.N.Zabolockij,1998:37) e programmare gli incontri con gli amici che come
lui si interessavano alla letteratura e scrivevano dei versi. Tra questi amici vi
era già quel Kas’janov che studiò con lui a Mosca e vi restò anche dopo la
fuga di Nikolaj, terminando la facoltà di medicina che avevano iniziato
insieme e diventando uno stimato dottore. Proprio al “paladino” Kas’janov
Zabolockij dedicò dei versi scritti durante una giornata che passò
ingiustamente in prigione, per non aver informato subito i gendarmi di
Ur um del passaggio di una irriconoscibile banda di rapinatori in paese (cfr.
N.N.Zabolockij,1998:38-39). Di questa giornata in prigione ricorderà i
messaggi della madre e il colore dorato delle sbarre della cella al tramonto:
V temnice zakat zolotit
rewetki.
Wumit priboj i kto-to
stonet,
I gde-to kto-to kogo-to
xoronit,
I ustalyj sapo'nik nabivaet
kolodki.
A helovek - paladin,
Tohno, tohno tiran
Sirakuzskij,
S ulybkoj prezritel;noj,
ironiheski uzkoj,
Soverwenno odin, soverwenno
odin...
Nell’oscurità il tramonto rende dorate le
sbarre.
La risacca rumoreggia e qualcuno si
lamenta,
E da qualche parte qualcuno sotterra
qualcuno,
e lo stanco calzolaio fa
le scarpe.
Ma l’uomo - paladino,
quasi come il tiranno di Siracusa,
Con sorriso sprezzante, ironico e
stretto,
Tutto solo, tutto
solo...
(citato da N.N.Zabolockij,1998:38)
Tutti i ricordi di quegli anni così spensierati per il futuro poeta,
vissuti tra la bellezza della campagna e la compagnia di quei pochi amici che
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non trascurerà mai furono da lui descritti in un poema satirico, la
Ur umiada (epopea di Ur um), di cui però non si è conservato niente (cfr.
Kas’janov,1984:33). Nella memoria dei suoi contemporanei che avevano
ascoltato le letture di questa prova poetica che l’autore poi rinnegò rivivono
ancora le figure del severo decano del liceo di Ur um che verificava di
persona la pulizia della biancheria intima (cfr. N.N.Zabolockij,1998:27), o del
saggio professore che osava affermare la superiorità della legge sul potere
dello zar; rivive l’attività del teatro Auditorija (L’aula), annesso al liceo, in cui
venivano messe in scena le opere di Gogol’, Ostrovskij e Fonvizin (cfr.
N.N.Zabolockij,1998:25); rivivono i libri che arrivavano a Ur um da Mosca,
attraverso cui Zabolockij poté leggere per la prima volta Majakovskij, Blok e
Belyj; rivive infine la passione per l’opera di Goethe:
Bo'estvennyj Gete matovym kupolom skryvaet ot
menq nebo, i q ne vi'u herez nego Boga1 (citato da
N.N.Zabolockij,1998:62)
Ma a Ur um lavoravano molte persone che venivano dalla capitale e
le loro esperienze in città affascinarono sicuramente il ragazzo che stava
ormai finendo le scuole superiori. Così, nel 1920, Zabolockij con l’amico
Kas’janov decise di continuare gli studi a Mosca, influenzato anche dalla
madre che lo spingeva ad approfittare delle possibilità che lei non aveva
avuto di frequentare il centro. I due vi arrivarono in estate e si stabilirono in
un piccolo appartamento che avevano trovato con l’aiuto di due
professoresse di Ur um. Decisero di iscriversi alla facoltà di Medicina e a
quella di Lettere perché essendo iscritti alla prima si poteva ricevere una
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“Il divino Goethe con la sua opaca cupola mi nasconde la vista del cielo, e io attraverso essa non vedo
Dio”
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razione di cibo giornaliera molto consistente, che avrebbe risolto
sicuramente il problema del vitto (cfr. Kas’janov,1984:35). La frequenza
obbligatoria alla facoltà di Medicina imponeva un’attenzione particolare agli
studi scientifici, ma questo non distoglieva Zabolockij dal piacere della
letteratura: continuava a leggere e comporre versi, cercava di intrufolarsi2
con Kas’janov a teatro o andare al caffé Domino, sulla via Tverskaja, dove
leggevano Majakovskij3, Brjusov, Belyj, Marina Cvetaeva, Esenin e
Pasternak (cfr. N.N.Zabolockij,1998:48). Nonostante l’esito positivo dei
primi esami, ben presto l’esperienza universitaria a Medicina cominciò ad
essere troppo dispersiva per Zabolockij che, non vedendo più la necessità di
restare a Mosca a soffrire la fame e colto da una certo fastidio per la città4,
tornò a Ur um nel 1921, raggiungendo il padre che peraltro si era ammalato
gravemente in seguito ad una epidemia. L’amico Kas’janov invece restò e
continuò per la sua strada.
Nell’estate del 1921 Zabolockij arrivò a Pietrogrado: la madre, che
per lui desiderava una vita nel centro cittadino, aveva insistito tanto perché
Nikolaj riprendesse a frequentare la città e gli studi universitari e la malattia
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“V teatry udavalos; xodit; redko, finansy nawi `togo nam ne pozvolqli,
razve hto inogda poshastlivitsq proniknut; zajcami, no obyhno u'e na
vtoroe dejstvie. Nikola[ da i mne osobenno nravilsq teatr Mejerxol;da. ”
[Nei teatri potevamo andare raramente, le nostre finanze non ce lo permettevano, anche se a volte avevamo
la fortuna di non pagare il biglietto, ma entrando già al secondo atto. A Nikolaj e a me piaceva il teatro di
Mejerchold] (Kas’janov,1984:38).
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“Nikolaj ne ohen; l[bil Maqkovskogo, no ne mog protivit;sq ego
temperamentu, proqvlqvwemusq vo vremq hteniq i osobenno vo vremq
disputov s protivnikami. Togda Nikolaj vmeste so vsemi aplodiroval i
odobritel;no krihal” [Nikolaj non amava molto Majakovskij, ma non poteva disprezzare il suo
temperamento, che esplodeva durante le letture e soprattutto durante le dispute contro i suoi detrattori.
Allora Nikolaj, con tutti gli altri, applaudiva e gridava la sua approvazione] (Kas’janov,1984:39).
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del padre non rendeva certo facile una permanenza del figlio a Ur um (cfr.
N.N.Zabolockij,1998:55). Pietrogrado in quei mesi viveva un periodo di
povertà che le dava una certa aria di desolazione
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, ma le restituiva il fascino
della città immobile e calma. Il freddo e la fame non rendevano le cose facili,
ma questa atmosfera piacque al poeta che in quei giorni scriveva:
I mne ot goloda legko
I veselo ot vdoxnoven;q.
E la fame mi fa più leggero,
l’ispirazione più allegro.
(citato da N.N.Zabolockij,1998:57)
Gli studenti per guadagnarsi da vivere facevano dei lavori occasionali
per il comune, come la pulizia delle rotaie del tram, il taglio e il trasporto
della legna nelle case o lavori di contabilità minimale (cfr. Sboev,1984:44) ed
esistevano delle associazioni a cui ci si poteva iscrivere per poter fare questi
lavori: Zabolockij fece per qualche mese lo scaricatore al porto, un lavoro
molto faticoso che però veniva pagato anche in generi alimentari. Erano gli
anni della Nuova Politica Economica, ma le riforme non avevano ancora
avuto dei risultati importanti e Zabolockij andò a vivere con tre amici in una
mansarda, senza scoraggiarsi della vita di stenti e privazioni che si
conduceva. Si iscrisse all’Istituto letterario Gercen e iniziò i suoi studi. Con
alcuni studenti e professori dell’Istituto costituì il primo gruppo di poeti,
Masterskaja slova (Il laboratorio della parola). Il gruppo, di quasi quindici
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“Q ujdu iz goroda, q sovsem bol;noj. Gorod pridavil menq tq'est;[
stal;noj”, scriveva nel 1920 [Io me ne andrò dalla città, sono sempre malato. La città mi ha trasmesso
solo una statica pesantezza] (citato da N.N.Zabolockij,1998:68).
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Proprio nei giorni in cui arrivava Zabolockij si celebravano a Pietrogrado i funerali di Aleksandr Blok.
Zabolockij aveva letto Blok per la prima volta quando a Ur um era arrivato nei giorni della Rivoluzione
d’Ottobre “un certo libretto di un qualche giornale in cui c’era stampato il poema ‘I dodici’ di Aleksandr
Blok, le sue ‘Barche a remi’ e una poesia di Andrej Belyj” (Kas’janov,1984:32).
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elementi, si occupava soprattutto di poesia e la condizione per accedervi era
il sentimento “dell’amore per la parola” (N.N.Zabolockij,1998:64-65). I lavori
del gruppo venivano pubblicati sul giornale Mysl’(Il pensiero), un periodico
a bassa tiratura dove nel 1925 Zabolockij fece apparire il suo articolo, O
su ©nosti simvolisma (Sulla natura del simbolismo). In questo articolo, in
cui il poeta fa sfoggio di una profondissima conoscenza della letteratura
simbolista (cfr. N.N.Zabolockij,1998:68), viene esposta la teoria del poeta-
contemplatore, che non può limitarsi nella sua opera ad una rappresentazione
fotografica del mondo, ma deve filtrarla attraverso la sua persona,
assoggettando la poesia alla natura umana del suo autore:
Po`t, pre'de vsego, - sozercatel;. Sozercanie,
kak nekoe aktivnoe ob]enie sub=ekta s okrua[]im
ego mirom, vsegda stavit rqd voprosov o su]nosti
vsqkogo qvleniq. Ve]i sprawiva[t o svoem
su]estvovanii, i po`t sprawivaet o su]estvovanii
ve]ej. Voprosy teorii poznaniq dela[tsq logiheski
neumolimymi. Teoriq najvnogo realizma - teoriq
lenivogo obyvatelq, ne sklonnogo k kritiheskomu
analizu poznaniq, - ne mo'et byt; prinqta po`tom6
<...> (Zabolockij,1995:52-53).
Questa assunzione da parte del poeta dell’essenza dell’oggetto e
dell’esperienza del mondo come rappresentazione artistica era stata
osservata dai simbolisti, i quali:
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“Il poeta, prima di tutto, è un contemplatore. La contemplazione intesa come rapporto attivo del soggetto
con il mondo che lo circonda, pone sempre una serie di domande sulla natura di ogni fenomeno. Le cose
fanno domande sulla loro esistenza, e il poeta fa domande sull’esistenza delle cose. Le domande della teoria
della conoscenza si fanno logicamente implacabili. La teoria del semplice realismo, ovvero del pigro
qualunquista non avvezzo all’analisi critica della conoscenza, non può essere assunta da un poeta”.
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<...> ne xoteli otdelqt; pisatelq ot heloveka,
literaturnu[ biografi[ ot lihnosti7 <...> (citato da
N.N.Zabolockij,1998:67).
Il poeta non trovava però ideale la tendenza dei simbolisti a
nascondere gelosamente dietro al simbolo la conoscenza per costruire
mondi fantastici e inaccessibili al lettore (cfr. N.N.Zabolockij,1998:67). Il
poeta doveva essere più altruista e pensare a come aprire la propria arte al
mondo. L’articolo si concludeva proprio con un ammonimento a quei poeti,
tra cui Belyj e Sologub, che avevano peccato di individualità nel loro lavoro
di trasmissione della conoscenza:
Tainstvennyj mir, qvlq[[]ijsq simvolistam, byl
daleko ne ob=ektivnym, on nosil v sebe rezkij
otpehatok individual;nosti avtora8 (Zabolockij,1995:55).
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“non volevano separare lo scrittore dall’uomo, la biografia letteraria dalla personalità”.
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“Il mondo segreto che era presente ai simbolisti, non era in nessun modo oggettivo, portava in sé la
brusca impronta dell’individualità dell’autore.”