7
1. Poesie sulla Rosa: varietà di tipologie e di approcci
Se una delle rappresentazioni più diffuse del carpe diem oraziano è costituita dai fiori in genere,
tra essi solo la Rosa ha saputo coniugare il tema del tempo che scorre inesorabile con i temi della
passione, dell‘edonismo, di un ideale irraggiungibile e misterioso, se non addirittura divino. A
differenza di ogni altro fiore, la rosa travalica le categorie di significato, in modo tale che la sua
quintessenza sfugge all‘intelletto umano.
Rimandando al capitolo successivo per un esame e un confronto più puntuali tra le produzioni
poetiche delle varie epoche e aree culturali, possiamo comunque già abbozzare alcune distinzioni.
La maggior parte della produzione poetica che oggi viene definita classica si sviluppa lungo un
filone prettamente lirico ed è quella che ha forgiato il concetto di ―rosa‖ nell‘immaginario collettivo
occidentale. La rosa assurge a regina dei fiori, all‘ideale di bellezza assoluta ma effimera, e il colore
rosso la rende il fiore della passione per eccellenza.
Solitamente, l‘immagine floreale è usata come metafora dei grandi temi del tempo che passa ve-
loce e della caducità di ogni cosa fresca, bella e giovane. Sono molto emblematici i componimenti
dei poeti umanisti (Lorenzo de‘ Medici e Angelo Poliziano fra tutti), e più vastamente rinascimenta-
li, in particolare francesi, tra cui spicca Pierre de Ronsard.
Tuttavia, alcuni poeti, soprattutto spagnoli, hanno dedicato sotto altro aspetto interi componi-
menti al fiore Rosa e alle qualità che la rendono così unica nell‘universo floreale. Si vedano soprat-
tutto Alla rosa di Francisco de Rioja e Canzone alla rosa di Vicente Wenceslao Querol.
Negli ultimi due secoli, al contrario, si è andato sviluppando un nuovo filone a dominante simbo-
lica, in cui la rosa trascende la sua essenza di fiore e diventa simbolo dell‘intangibile, dello sfuggen-
te, fino a essere associata alle tenebre (in Mallarmé) e alla morte (in Rilke).
È altresì interessante notare come il trascorrere della storia letteraria e delle esperienze che vi so-
no connesse abbia comportato un‘evoluzione dell‘approccio al tema Rosa, coincidente in parte con
la contrapposizione fra lirismo e simbolismo. Assistiamo così al passaggio da liriche classiche di
una certa lunghezza, quando non palesemente prolisse, a certi testi simbolici contemporanei, carat-
terizzati da un ermetismo che, presumibilmente, deriva dalla presa d‘atto dell‘inutilità – o addirittu-
ra dell‘impossibilità – di trattare il fiore Rosa ricorrendo alle metafore e analogie di significato
tradizionali, tipiche dei secoli precedenti.
Manifesto di questa tipologia ermetico-simbolica di poesie sulla Rosa può essere considerata la
seguente poesia di Giorgio Caproni (1912-90):
8
Concessione
Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos‘è, nella sua essenza, una rosa.
2
Il poeta prende atto dell‘impossibilità di ―cogliere la rosa‖, che non è un fiore come tutti gli altri né
un oggetto del mondo tangibile. L‘atto di resa di Caproni, oltre a mettere la parola ―fine‖ a
un‘infruttuosa ricerca durata oltre duemila anni, al tentativo di afferrare il quid che fa di un fiore
rosso con le spine una Rosa, la innalza a Essere Superiore, quasi a divinità del mondo floristico, ma
non nel senso barocco e poi romantico di ―regina dei fiori‖ intesa come il fiore più bello e nobile,
bensì in senso più idealizzato, nell‘accezione platonica di idea.
Caproni non è, tuttavia, il solo a notare l‘eccezionalità della Rosa. Si prenda questa brevissima
poesia del belga Henri Falaise (1948-99):
Alla morte delle foglie
Ci sono l‘inverno e il viso delle rose
3
La rosa in inverno è un tema ricorrente nei testi di altri autori ed epoche, e sta a rappresentare
l‘unicità di questo fiore. Ma qui le rose hanno un viso, come le persone. Capiamo quindi che esse
non sono fisicamente presenti quando tutti gli altri vegetali muoiono, ma il loro «viso» sopravvive
alla pianta, forse per ricordarci che i fiori veri e propri ritorneranno in primavera. Così come l‘uomo
muore ma, in molte culture, la sua anima gli sopravvive, anche dopo che tutte le foglie sono morte
(comprese quelle della pianta-rosa), la rosa continua a vivere attraverso la sua immagine.
In questa rassegna di poesie ermetiche a dominante simbolista rientrano a pieno titolo quelle del
Premio Nobel spagnolo Juan Ramón Jiménez, come il seguente distico, che dà inizio al testo intito-
lato El poema, ovvero La poesia, il quale è, a sua volta, collocato al principio dell‘intera raccolta
Piedra y cielo (Pietra e cielo):
Tu non toccarla più!
Così è la rosa.
4
Non solo la Rosa apre un‘intera poesia avente per argomento l‘arte poetica stessa, ma fin da subito è
chiaro che, come la poesia, la rosa è intoccabile. Jiménez sembra quindi lanciare un monito al letto-
2
Giorgio Caproni, Res amissa, Garzanti, Milano 1991, p. 79.
3
Henri Falaise, Oeuvre poétique, tome I, L‘arbres à paroles, Amay (Belgio), s.i.d., p. 57, trad. di chi scrive.
4
Juan Ramón Jiménez, Pietra e cielo 1, in ID., Pietra e cielo, a cura di F. Tentori Montalto, Fabbri Editori, Milano
1997, p. 11.
9
re (ma forse, più che altro, ai suoi colleghi): non bisogna più toccare la rosa, come invitavano a fare
gli antichi greci e latini, e più tardi i rinascimentali (filone del carpe diem), ma prenderla per come
essa è, nella sua perfezione che va oltre il mondo reale, come la poesia.
In un altro testo, Jiménez si spinge più in là, arrivando a creare un mondo dominato dalla Rosa.
Canzone
Tutto l‘autunno, rosa,
è questo solo petalo
che cade.
Bimba, tutto il dolore
è questa sola goccia tua
di sangue.
5
La caduta di un solo petalo di rosa è in grado di sopraffare fino a cancellare tutti i colori e le mani-
festazioni dell‘intera stagione autunnale. Per analogia, una goccia di sangue, simile per forma e
colore a un petalo di rosa, riassume in sé tutto il dolore che può provare una bimba.
La visione che emerge da queste poesie è in forte contrasto con quella proposta dai testi poetici
appartenenti al filone del carpe diem: i poeti otto-novecenteschi cambiano, infatti, prospettiva,
passando da un approccio naturalistico a uno più allusivo.
5
ID., Pietra e cielo 2, in op.cit., p. 115.
11
2. Percorso storico-letterario
La Rosa è uno dei temi che hanno maggiormente unito, nelle diverse articolazioni, la produzione
letteraria universale attraverso lo spazio e attraverso il tempo. La sua importanza è precedente alla
nascita delle letterature scritte e si estende a una moltitudine di discipline che va dalla mitologia alla
botanica.
2.1 Le antiche civiltà del Mediterraneo
È un fatto noto che l‘area del Mare Mediterraneo – il mare nostrum dei Romani – ha consentito
lo sviluppo di alcune tra le più grandi civiltà del mondo antico e di tutti i tempi. Non altrettanto nota
è la posizione centrale di questa vasta regione nel contesto pluridisciplinare che ruota intorno alla
Rosa.
Secondo il mito riferito da Erodoto
6
, i primi giardini di rose a sessanta petali sarebbero sorti
nell‘VIII secolo a.C. nella regione dell‘Emazia (oggi provincia della Grecia settentrionale) a opera
del re Mida, che vi si era stabilito dopo aver abbandonato il regno paterno di Frigia.
In realtà, le prime testimonianze storiche riguardo la Rosa risalgono ai Sumeri, il cui re Sargon I
(vissuto tra il 2684 e il 2630 a.C.), di ritorno a Ur da una spedizione bellica oltre il Tauro, racconta
di aver visto viti, fichi e alberi di rosa. Della Rosa si parla, quindi, da quasi 5000 anni.
La storia della Rosa continua nella Grecia classica: già nel IV secolo a.C. Teofrasto descrisse le
rose come fiori aventi da cinque a cento petali. Nello stesso periodo, a Rodi furono coniate monete
raffiguranti rose.
Sulla base di tutte queste testimonianze, è pressoché certo che le rose arrivarono in Grecia
dall‘Oriente, poiché questo fiore era noto in Cina già nel VI secolo a.C. Confucio (551-479) ci
informa che l‘imperatore di allora possedeva centinaia di libri sulla coltura della Rosa.
La Rosa è rappresentata anche in affreschi e tessuti egiziani a partire dal V secolo a.C. e la regina
Cleopatra se ne innamorò al punto da sostituirla al loto asiatico.
7
2.2 La Bibbia
Volendo limitare il campo di indagine all‘area europea e mediterranea, le prime citazioni lettera-
rie della Rosa compaiono nell‘Antico Testamento. Il fiore assume già un significato metaforico che
sarà portato avanti soprattutto dai Greci e troverà nuova fortuna nel Rinascimento italiano ed euro-
6
Cfr. Erodoto, Histories VIII, 138.2, in ID., Storie, Newton & Compton, Roma 1997, p. 483.
7
Cfr. Fiori e giardino, vol. II, in L‟Universale. La Grande Enciclopedia Tematica, Edizione Speciale per Il Giornale,
Garzanti, Milano 2004.
12
peo: è necessario approfittare di ogni piacere che la vita ci offre, perché tutto passa prima che pos-
siamo accorgercene. Ovviamente, nella Bibbia questo messaggio è portato a esempio di stoltezza,
come vediamo nel Libro della Sapienza, capitolo 2, dove si condanna l‘atteggiamento degli empi:
1
Dicono fra loro sragionando:
―La nostra vita è breve e triste;
non c‘è rimedio, quando l‘uomo muore,
e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi.
[…]
5
La nostra esistenza è il passare di un‘ombra
e non c‘è ritorno alla nostra morte,
poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro.
6
Su, godiamoci i beni presenti,
facciamo uso delle creature con ardore giovanile!
7
Inebriamoci di vino squisito e di profumi,
non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera,
8
coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano;
9
nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza.
Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia
perché questo ci spetta, questa è la nostra parte.
Tale passo non deve però indurci a credere che la Bibbia presenti la Rosa come un fiore che porta al
peccato. Infatti, nel Libro del Siracide (l‘unico altro libro dove compare la parola ―rose‖), il signifi-
cato cambia diametralmente. Nel capitolo 24
1
La sapienza loda se stessa,
si vanta in mezzo al suo popolo.
[…]
3
―Io sono uscita dalla bocca dell‘Altissimo
e ho ricoperto come nube la terra.
[…]
14
Sono cresciuta come una palma in Engaddi,
come le piante di rose in Gerico,
come un ulivo maestoso nella pianura;
sono cresciuta come un platano.
La pianta di rose è qui simbolo di potenza e di maestosità, concetto che ritorna nel capitolo 39, dove
l‘autore esalta il saggio che si dedica allo studio della legge divina, e si rivolge ai lettori in questi
termini:
13
Ascoltatemi, figli santi, e crescete
come una pianta di rose su un torrente.
14
Come incenso spandete un buon profumo,
fate fiorire fiori come il giglio,
spargete profumo e intonate un canto di lode;
benedite il Signore per tutte le opere sue.
13
Infine, il capitolo 50 di questo libro esalta la figura del sommo sacerdote Simeone, figlio di Onia,
ricorrendo a una lunga serie di similitudini:
5
Come era stupendo quando si aggirava fra il popolo,
quando usciva dal santuario dietro il velo.
6
Come un astro mattutino fra le nubi,
[…]
8
come il fiore delle rose nella stagione di primavera,
come un giglio lungo un corso d‘acqua,
come un germoglio d‘albero d‘incenso nella stagione estiva
8
Le rose rappresentano qui una bellezza assoluta scevra da ogni aspetto edonistico. Si noti che, in
questi ultimi due passi, l‘autore opera un accostamento che ritornerà spesso nella storia letteraria:
quello tra la rosa e il giglio.
A posteriori, appare quindi erroneo pensare che i testi biblici, per via della loro peculiarità nella
storia mondiale, attribuiscano alla Rosa un significato particolare, diverso dai testi più propriamente
letterari.
2.3 L’antica Grecia
Si può dire che la poesia lirica sulla Rosa sia iniziata nel VII secolo a.C. con Archiloco, che Nie-
tzsche
9
ritiene il primo grande lirico greco. Quindi è significativo notare che, fin dagli albori, la
lirica occidentale si è occupata della Rosa.
Aveva un ramo di mirto e gioiva
e un fiore bello di rosa.
La chioma
copriva d‘ombra gli omeri, le spalle.
10
In questa poesia, la rosa viene solo menzionata accanto al mirto, ma Archiloco specifica che essa è
«un fiore bello»; inizia così a definirne gli attributi fondamentali che si svilupperanno nel corso dei
secoli. Ed essa, se non è ancora la regina dei fiori, ha comunque già un quid che la rende diversa nel
mondo floreale.
Pressoché coeva di Archiloco è la celebre poetessa Saffo di Mitilene che, oltre a essere la prima
poetessa greca e occidentale, svolge un ruolo importante nel filone della poesia amorosa. Saffo
8
Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia, edizione CEI pubblicata anche sul sito internet
http://www.vatican.va/ archive/bible/index_it.htm
9
Friedrich Wilhelm Nietzsche, La nascita della tragedia, 26
a
edizione, Adelphi, Milano 2007, p. 41.
10
In I lirici greci, a cura di F. M. Pontani, Einaudi, Torino 1969, p. 117, pure in Elogio della rosa. Da Archiloco ai
poeti d‟oggi, a cura di Carla Poma, Einaudi, Torino 2002, p. 3.
14
intende la Rosa in modo molto diverso da Archiloco e, precorrendo i tempi, la innalza a simbolo
della lussuria e dell‘erotismo. In entrambe le seguenti poesie, il nostro fiore è associato alla bellezza
di una fanciulla e ai sentimenti libidinosi che ne scaturiscono:
«Tu sei più bianca del latte»
Tu sei più bianca del latte
[…]
e più tenera sei di una rosa
e più morbida di una calda veste:
tu sei più oro dell‘oro.
11
«La memoria»
[…]
Quante corone di viole
e di rose e di salvia ti ponevi
sul capo (eri là, vicino a me);
che intrecci di ghirlande
al collo delicato – erano fatte
dei fiori della primavera! –
[…]
sfogavi, sopra morbidi
letti,
desidèri di tenere compagne.
[…]
12
Nella prima di queste poesie, la rosa è parte di una similitudine ma, fatto strano nella storia della
poesia, essa è solo il secondo termine di paragone, essendo superata in tenerezza (qualità che non
compare così di frequente nella produzione successiva) dalla fanciulla amata.
Il secondo componimento si inserisce meglio nella tradizione lirica avviata da Archiloco, ma an-
che in questo caso la rosa è associata a una scena voluttuosa come è il ricordo della donna amata. Il
lettore vi avrà probabilmente riscontrato un‘immagine familiare nelle saffiche «corone di viole / e di
rose», che si ritroveranno molti secoli più tardi ne Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi («un
mazzolin di rose e di viole»).
11
In Saffo, Archiloco e altri lirici greci, a cura di M. Valgimigli, Mondadori, Milano 1968, p. 35, pure in Elogio della
rosa cit., p. 4.
12
In I lirici greci cit., pp. 197-98, pure in Elogio della rosa cit., pp. 5-6.
15
2.4 L’Ellenismo tra la Grecia e Roma
L‘età classica della letteratura greca trascurò la lirica in favore di altri campi come la storiografia
o il teatro. Ritroviamo la Rosa nella produzione di età ellenistica, in particolar modo in molti poeti
dell‘Antologia Palatina che, sulla scia di Saffo, inseriscono la rosa in epigrammi amorosi, quando
non palesemente erotici. Il più famoso autore presente in questo florilegio è Meleagro (140 ca. – 70
a.C.), autore di una serie di poesie dedicate a Eliodora. Nel primo di questi epigrammi, la rosa viene
subordinata all‘avvenenza della fanciulla, come già in Saffo.
I
La ghirlanda sfiorisce in capo a Eliodora,
ma splende lei, ghirlanda della sua ghirlanda.
13
Nell‘epigramma immediatamente successivo, le rose, pur rimanendo elementi decorativi di una
beltà superiore e pur essendo accomunate ad altri fiori, ricevono un epiteto importante per i futuri
sviluppi letterari: ―amiche d‘amore‖.
II
Intreccerò il garofano, intreccerò col mirto il delicato
narciso, intreccerò anche i gigli ridenti,
intreccerò il dolce croco, e accanto il giacinto
purpureo, intreccerò anche le rose amiche d‘amore
perché sulla fronte d‘Eliodora dai capelli odorosi
la ghirlanda ben intrecciata inondi di fiori la chioma.
14
Ma la vera discepola di Saffo in età ellenistica è Nosside, vissuta due secoli prima di Meleagro a
Locri, una città in cui le donne occupavano una posizione importante. Va sottolineato che, proprio
in virtù di questa circostanza, Nosside non fu semplicemente una poetessa d‘amore, come avrà a
dire Meleagro, tant‘è vero che la sua città le commissionò un epigramma commemorativo di una
vittoria bellica. Per uno scherzo del destino, solo uno dei pochi epigrammi pervenuti a noi è di
carattere amatorio
15
, ma è sufficiente per consentire un paio di considerazioni importanti in questa
sede.
Non c‘è nulla più dolce dell‘amore.
Quale dolcezza lo supera? Sputo
anche il miele. Così Nosside dice.
Solo chi non è amata da Cipride
13
Giulio Guidorizzi, Il mondo letterario greco Ŕ vol. 3: Dall‟età ellenistica all‟età cristiana , Einaudi scuola, Milano
2001, pp. 340-341.
14
ibid.
15
op. cit., pp. 314-315.
16
non sa quali rose siano i suoi fiori.
16
È palese il riferimento alla poesia saffica, non solo per quanto riguarda il primo verso
17
, ma anche
per altri elementi: la supremazia dell‘amore su qualsiasi altra piacevole sensazione (cfr. «Tu sei più
dolce del latte») e il richiamo alla Rosa.
Il quinto verso – quello più interessante ai fini del presente studio – è oggetto di controversie tra i
grecisti. Secondo quanto riferisce Fantuzzi, non è chiaro se il possessivo ―suoi‖ si riferisca ad Afro-
dite oppure a Nosside: «nel secondo caso si avrebbe un riferimento o alle gioie d‘amore che Nossi-
de concedeva – e allora si dovrebbe vedere in lei un‘etera – oppure alle sue poesie [Tarditi]; per una
valida confutazione della tesi, piuttosto diffusa nel passato, per cui Nosside sarebbe stata un‘etera,
si veda Gigante); di fronte all‘isolamento di questo epigramma all‘interno dell‘opera di Nosside, si
è stati indotti a supporre che Nosside abbia scritto anche poesia specificamente lirico-erotica, per
noi del tutto perduta: in particolare Reizenstein, von Wilamowitz e Gow-Page hanno pensato ai
―canti cosiddetti locresi‖ di cui parla Clearco, definendoli carmi simili a quelli di Saffo e di Anacre-
onte (citato da Ateneo 14, 639a)»
18
.
Altri poeti dell‘Antologia ad aver composto epigrammi erotici in cui entra in gioco la rosa sono
Crinagora di Mitilene («Oh, se fossi una rosa porporina! / Fra due seni starei, rosa fra rose.»), Dio-
nisio Sofista («Tu, delle rose! Rosata la grazia che hai. Ma che vendi? / Te, le tue rose, o insieme
loro e te?»; l‘attribuzione di questo distico non è però certa) e un anonimo («Vince Dionisio la rosa
del serto, o la rosa ch‘è lui / al serto cede? Cede il serto, credo.»)
19
.
Contemporaneamente alla produzione epigrammatica più tarda contenuta nell‘Antologia Palati-
na, torna in voga la filosofia dell‘Epicureismo, che trova il suo massimo rappresentante di lingua
latina in Lucrezio (96/94 – 53/51 a.C.). Poeta e filosofo, Lucrezio è noto soprattutto per il poema
didascalico De rerum natura. Fra i diversi argomenti trattati, troviamo quello dell‘ontologia epicu-
rea: secondo questa filosofia, la sostanza è unica, predefinita ed eterna. Le diverse epifanie della
16
ibid. Trad. di Salvatore Quasimodo.
17
Guido Guidorizzi, op.cit., p. 314-315. Il riferimento è al Fr. 16 Voigt di Saffo: «Un esercito di cavalieri, dicono
alcuni, altri di fanti, altri di navi, sia sulla terra nera la cosa più bella: io dico ciò che si ama».
18
Marco Fantuzzi, «Nosside» in AA.VV., Nova. L‟enciclopedia multimediale (versione in DVD), UTET Cultura,
Torino 2008.
19
Tutti questi epigrammi sono tratti da Elogio della rosa cit., pp. 9-11.
17
natura non sono altro che meccaniche aggregazioni di atomi. Tutto si forma in un determinato
momento e anche la rosa non fa eccezione:
Ed inoltre perché di primavera la rosa, le messi al caldo estivo,
le viti vediamo maturare nel tiepido autunno
se non perché, una volta che i semi proprii ad ogni specie
si siano fusi, ogni essere creato appare,
quando il clima è propizio e la terra nel suo vigore
mostra, senza timore, questi teneri virgulti alla luce del creato?
Giacché, se sorgessero dal nulla, all‘improvviso si paleserebbero
in qualunque plaga ed in momenti dell‘anno loro estranei,
tanto più che a nessun principio primo si potrebbe impedire
di unirsi e fecondarsi anche in periodi poco opportuni.
20
La Rosa compare anche in un celebre brano delle Georgiche di Virgilio (70-19 a.C.). Vi è «come
un desiderio latente di cantare dei giardini verdeggianti, dopo d‘aver detto dei campi, dei frutteti,
dei vigneti, dei boschi; ma il desiderio è contenuto in limiti minimi. Il poeta non si ferma che ad un
modellino: il poderetto ricco di fiori d‘un vecchio di Corico
21
, che, con lavoro tenace, aveva mutato
in giardino olezzante alcuni iugeri di terreno paludoso in parte, petroso in altra, e prima della sua
fatica affatto deserto.»
22
Veramente se, giunto all‘estremo termine delle mie fatiche, non ammainassi ormai le vele e non mi affrettas-
si a volgere la prora verso terra, forse anche quale cura potrebbe abbellire i giardini fertili canterei e i roseti
di Paestum che fiorisce due volte.
23
[…] Infatti ricordo di aver visto presso le torri di Taranto
24
, là dove il cupo Galeso asperge i campi biondi di
messi, un vecchio di Corico che possedeva pochi iugeri di terra abbandonata, non buona per tenerla a prato
né a grano né a viti. Egli tuttavia, piantando sul terreno sassoso rari ortaggi e intorno bianchi gigli e verbene
e papaveri dell‘esile stelo, nell‘animo eguagliava le ricchezze dei re e rientrando a casa a tarda notte colmava
la mensa di cibi non comperati. Per primo in primavera coglieva la rosa e in autunno i pomi e, quando ancora
il triste inverno spaccava i sassi col gelo e arrestava i corsi d‘acqua, egli già tosava la chioma del molle
giacinto, schernendo la pigra estate e i zèfiri indugianti.
25
Altri poeti latini del I secolo a.C. portano avanti il filone lirico dedicato alla Rosa. Così fa Orazio
(65-8 a.C.), poeta per antonomasia
26
del carpe diem, in Carmina, I, 38:
20
Lucrezio, La natura, I, vv. 174-84, in Elogio della rosa cit., p. 8, trad. di Carla Poma.
21
Città della Cilicia, sulla costa meridionale dell‘Asia Minore.
22
Carlo del Grande, Vergiliana, Luigi Loffredo Editore, Napoli 1968, p. 117.
23
Virgilio, Georgiche, IV, 116-119, in op.cit., pp. 117-8, trad. di Clara Calori.
24
Letteralmente: ―della rocca Ebalia‖.
25
Virgilio, Georgiche, IV, 125-138, in op.cit., pp. 119-20, trad. di Clara Calori.
26
L‘espressione deriva infatti dal componimento sull‘ineffabilità del fato (Carmina, I, 11): «Tu ne quaesieris (scire
nefas) quem mihi, quem tibi / finem di dederint […] / […] / Dum loquimur, fugerit invida / aetas: carpe diem, quam
minimum credula postero.» («Non domandare quale destino gli dei / hanno assegnato a te […] / […] / Mentre parliamo,