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INTRODUZIONE
Attualmente la scienza dei Beni Culturali, specialmente per quanto riguarda il settore della
conservazione e del restauro, ha raggiunto traguardi molto importanti nella tutela e nella
salvaguardia del patrimonio artistico, soprattutto grazie ai risultati ottenuti congiuntamente ad
altre discipline prettamente scientifiche.
Il binomio materie umanistiche/materie scientifiche può sembrare alquanto strano, una
dicotomia se si pensa che l’intero scibile culturale è stato sempre diviso, forse un po’ troppo
superficialmente, tra materie umanistiche e materie scientifiche, con lo scopo di settorializzare
e frammentare la cultura, producendo talvolta effetti deleteri.
Arte e scienza però, non sono due mondi completamente avulsi l’uno dall’altro come spesso si
crede, ma al contrario sono due discipline che possono presentare numerosissimi punti di
contatto e che quindi possono aiutarsi reciprocamente a progredire. Occorre allora ricordare
che molti grandi artisti furono anche scienziati (ad esempio Leonardo), o che un avanzamento
dell’arte nel corso dei vari secoli si è ottenuto solo con lo sviluppo di nuove tecnologie.
Molte espressioni artistiche, quali l’affresco o la pittura ad olio sono il prodotto di
trasformazioni chimico-fisiche della materia, e i procedimenti di estrazione della roccia per la
scultura o l’architettura sono basati su importanti nozioni geologico-petrologiche e chimico-
fisiche.
L’arte è dunque un immenso campo di sperimentazione per le materie scientifiche, ed è grazie
ad esse che ci si è riusciti a spiegare ad esempio, l’eccezionale durata della pittura ad affresco
che consiste nella trasformazione di Ca (OH)2 a contatto con la CO2 dell’aria in CaCO3 + H2O (il
carbonato di calcio seccandosi assume una consistenza rocciosa inglobando i pigmenti e
l’affresco appare perfettamente compatto); o a scegliere la roccia più idonea come materiale
costruttivo (graniti e rocce ignee intrusive, tufo, piperno), differenziandola in base a parametri
fisici, da quella usata come materiale da rivestimento (marmo, travertino, rocce carbonatiche).
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Le materie scientifiche aiutano dunque a ricordare che l’approccio con l’opera d’arte non deve
essere di tipo meramente estetico, filosofico o storico, ma anche materico; del resto è proprio
la materia dell’oggetto artistico che viene ripristinata in fase di restauro.
Tante sono le discipline scientifiche che supportano la scienza dei Beni Culturali, dalle
fondamentali e già citate chimica, fisica e geologia, all’ingegneria e all’urbanistica. Allo stato
attuale però stanno diventando sempre più preziose per il patrimonio artistico anche le scienze
che studiano gli esseri viventi sia animali che vegetali, i quali interagiscono direttamente sul
manufatto, diventando tra i principali agenti di degrado delle opere d’arte.
La ricerca dei punti di contatto tra arte e scienza e la loro sommaria conoscenza, convergono
nella figura del conservatore dei beni culturali che ha il ruolo di coordinatore tra le varie
figure professionali (restauratori, operatori, tecnici specializzati, archeologi, storici) che
operano nel settore. Al conservatore di beni culturali competono in senso generale la tutela e
la valorizzazione dei beni artistici e culturali. In particolare egli si occupa dell’organizzazione
degli interventi di restauro su beni librari, musicali, architettonici e storico-artistici.
E’ necessario dunque che questa figura professionale funga da tramite ed intermediario tra
arte e scienza al fine di una cooperazione stabile e proficua tra i vari settori scientifici e
culturali.
Un bene culturale è quindi composto essenzialmente da una materia che si aggrega attraverso
fenomeni fisico/chimici e che in quanto tale è soggetta anche a degrado, non solo ad opera di
questi fattori, ma soprattutto ad opera di fattori biologici. Molti dei danni inferti al patrimonio
culturale sono infatti causati da esseri viventi, sia essi macroscopici (muschi, piante superiori,
insetti, uccelli, topi), che microscopici (alghe, cianobatteri, muffe, licheni); questi possono
insediarsi sulla materia e colonizzarla direttamente, oppure attecchire ad essa a seguito di
precedenti danni di natura chimico-fisica; ciò accade in particolari condizioni climatico
ambientali, che variano in base alla tipologia di ambiente ed alla tipologia del materiale
colonizzato. Gli organismi stanziatisi sul supporto tendono a concentrarsi in colonie spesso
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anche di individui di più specie formando il cosiddetto biofilm; all’interno di questo ogni
specie con le proprie attività metaboliche contribuisce al degrado del manufatto, attraverso la
secrezione di EPS, e di pigmenti che possono alterare la cromia del manufatto o innescare a
loro volta processi di natura chimica che degradano la materia del supporto.
In quanto conservatrice dei beni culturali lo scopo, si spera non troppo ambizioso, di questo
lavoro di tesi è quindi proprio quello di tentare di “gettare un ponte” tra arte e scienza
attraverso lo studio storico-architettonico e urbanistico di alcuni importanti monumenti del
centro storico di Napoli ubicati nel “Quartiere Museo”, il quale è diventato un punto
nevralgico del sistema viario cittadino, a seguito di un intervento di ampliamento e sviluppo
urbano sette-ottocentesco.
In particolare i materiali selezionati per lo studio delle condizioni di biodeterioramento della
suddetta zona, sono Piperno e Tufo Giallo Napoletano, rocce vulcaniche appartenenti alla
famiglia dei Tufi, originatesi tra i 39.000 e i 15.000 anni fa, a seguito delle violente eruzioni
nell’area vulcanica dei Campi Flegrei; queste pur avendo origine ignea, si sono compattate
attraverso un processo litogenetico di sedimentazione che però non è stato lo stesso per tutti i
tipi di Tufo, difatti si differenziano i tufi ignimbritici da quelli zeolitici.
Questi prodotti vulcanici essendo molto abbondanti come risorsa edilizia nella zona, hanno fin
dall’antichità costituito le rocce tipiche della tradizione edilizia napoletana. Tali materiali
manifestano i fenomeni di biodeterioramento riscontrabili negli spazi urbani aperti,
caratterizzati da un elevato aumento delle temperature, una elevata diminuzione dell’umidità
relativa e della circolazione dei venti, un aumento della nuvolosità e delle precipitazioni e un
incremento dell’inquinamento atmosferico, fattori i quali comportano una selezione ed un
successivo acclimatamento di specie vegetali che ben si adattano a questo habitat; inoltre
essendo esposti in una zona fortemente trafficata, al degrado naturale dovuto all’usura ed alla
vetustà della roccia, si uniscono anche fattori di inquinamento, che accentuano i fenomeni di
degrado.
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Lo studio della microflora presente su questi materiali lapidei si è concretizzato attraverso una
serie di campioni ambientali effettuati in diversi periodi dell’anno, che hanno mirato
all’individuazione dei biodeteriogeni più frequenti, ed a una loro analisi morfologica e
molecolare finalizzata al riconoscimento del tipo di organismo e della sua azione di degrado
sul monumento.
Il biodeterioramento dei manufatti artistici in ambiente urbano è un fenomeno molto
ricorrente, che va studiato e controllato ai fini di una corretta conservazione e di un eventuale
recupero dell’opera d’arte considerata. Imparare a controllare il contesto ambientale in cui è
calato il monumento, significa anche imparare a controllare la presenza di esseri viventi, in
quanto questi avendo alcuni fattori limitanti di crescita (luce, acqua, ossigeno, etc), sono
portati a svilupparsi in maniera più lenta e difficoltosa, garantendo così la totale o parziale
integrità materica dell’opera d’arte, anche attraverso le metodiche di controllo del
biodeterioramento, espletate mediante processi meccanici (rimozione dei microrganismi con
bisturi, pennelli, spazzole, raschietti, microaspiratori), fisici (raggi UV, raggi gamma, laser,
corrente elettrica, controllo delle temperature) e chimici (utilizzo di biocidi e pesticidi per
azioni di disinfezione e disinfestazione), che mirano ad eliminare il degrado provocato dai
microrganismi ed eventualmente a ritardarne la ricomparsa.
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CAPITOLO I
LINEAMENTI DELLO SVILUPPO URBANO
DELL’AREA DI STUDIO
I.1 - LO SVILUPPO URBANO DI NAPOLI TRA XVII E XIX SECOLO
La disciplina urbanistica e lo studio della città - così come è intesa dalla storiografia
sull’argomento - nacque nell’ Ottocento; si determina a partire dalla meta del secolo in
conseguenza dei fenomeni crescenti di industrializzazione. Le origini vanno ricercate nel
tentativo di governare i processi di crescita delle aree urbane e nella definizione di un
equilibrio tra lo sviluppo edilizio e l’ambiente.
Per comprendere le enormi trasformazioni urbanistiche che hanno interessato la città
dell’Ottocento, è necessario accennare allo sviluppo urbano della città in età borbonica.
Occorre dunque, seppure sinteticamente, illustrare le vicissitudini storiche della Napoli1 dei
periodi interessati, per comprendere appieno le motivazioni che hanno interessato nuovi
progetti per adeguare la città partenopea al resto delle capitali europee più moderne e
all’avanguardia.
Nel 1734 con la fine del Viceregno spagnolo, Napoli divenne capitale di un regno
indipendente con il sovrano Carlo di Borbone (1734-1759) a cui successe nella seconda metà
del XVIII secolo Ferdinando IV (1759-1799).
1
Cfr. RUSSO G., La città di Napoli dalle origini al 1860, Napoli, 1960; ALISIO G.C., Sviluppo urbano e struttura della
città, in «Storia di Napoli», vol. VIII, Cava de’ Tirreni 1971, pp. 313 -334; DE FUSCO R., Architettura ed urbanistica dalla
seconda metà dell’ottocento ad oggi, in « Storia di Napoli », vol. X, Cava dei Tirreni 1971, pp. 278-279; DI STEFANO R.,
Storia, Architettura e Urbanistica, in « Storia di Napoli », vol. IX , Cava dei Tirreni 1972, pp. 647-743; DI STEFANO R.,
Edilizia e urbanistica napoletana dell’Ottocento, in «Napoli Nobilissima», s. III, 9, (1972), pp. 3-32; SICA P., Storia
dell’Urbanistica. L’Ottocento, vol. I, Bari 1977; ALISIO G.C., Urbanistica napoletana del ‘700', Bari 1979; ALISIO G.C.,
Napoli e il risanamento. Il recupero di una struttura urbana, Napoli 1980; GRAVAGNUOLO B., La progettazione urbana
in Europa 1750-1960, Bari 1991, pp. 5-33; Civiltà dell’Ottocento. Architettura e Urbanistica, a cura di ALISIO G.C.,
catalogo mostra, Napoli 1997, pp. 25-34; VILLARI S., Le trasformazioni urbanistiche del decennio francese (1806-1815), in
Civiltà dell’ottocento…op.cit; pp. 15-22; ROSSI P., Antonio e Pasquale Francesconi. Architetti e urbanisti nella Napoli
dell’Ottocento, Napoli 1998.
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Il volto della città mutò con l'apertura di grandi cantieri, la realizzazione di nuove arterie
stradali e la promozione di attività artistiche poste sotto il diretto controllo regio.
Per oltre due secoli, a partire dalla prima metà del Cinquecento, a Napoli si era assistito a un
massiccio insediamento di ordini monastici nel nucleo cittadino, in seguito alle tendenze
controriformiste. Lo strapotere ecclesiastico che determinava anche una conseguente carenza
di spazi abitativi nel centro urbano, era stato già oggetto di un tentativo di limitazione e
durante il Viceregno austriaco, ma venne attenuato con aspetti legislativi solo nel Settecento
grazie alla volontà di Carlo di qualificare la città con una serie di testimonianze
architettoniche che onorassero la magnificenza della dinastia borbonica; si tentò allo stesso
tempo di limitare la preponderanza di architettura sacra in città a favore di una veste più laica,
in sintonia con le idee politiche delle grandi capitali europee come Parigi, Vienna e Londra. In
tal senso fu promulgato il Trattato di Accomodamento (1741), esito anche delle con idee
illuministe2 sviluppate da teorici e storiografi del vecchio continente..
L’attuazione di questi interventi non fu quasi mai eseguita dagli architetti napoletani, tra i
quali spiccano Domenico Antonio Vaccaro e Ferdinando Sanfelice, forse ritenuti ancora
troppo legati al Viceregno austriaco, quindi incompatibili con i rinnovamenti illuministici dei
Borbone.
Le scelte del re si indirizzarono piuttosto su ingegneri militari ed architetti già attivi a Roma
nel periodo tardobarocco come Giovan Antonio Medrano (costruttore della Reggia di
Capodimonte) e Antonio Canevari (iniziatore della Reggia di Portici), entrambi di formazione
accademica.
Tuttavia essendo legati Vaccaro e Sanfelice ancora al secolo d’oro dell’arte a Napoli,alla
tradizione del rococò partenopeo, furono relegati soltanto alla condizione di “grandi
decoratori”, per questo la loro architettura si inserisce nella stratificazione irregolare
2
Cfr. BENEVOLO L., Storia dell’architettura moderna, Bari 1960, pp. 135-258; Civiltà del '700 a Napoli 1734-1799, vol. I,
a cura di CAUSA R., Napoli 1979; DE FUSCO R., Storia dell’architettura contemporanea, vol. I, Bari 1979, pp. 1-60; DE
FUSCO R., Mille anni di architettura in Europa, Bari 1993, pp. 486-489; VENDITTI A., Napoli neoclassica: architetti e
architettura, in Civiltà dell’Ottocento… op.cit., pp. 25-34.
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dell'edilizia napoletana, opponendosi alla corrente ufficiale che a metà secolo, con Ferdinando
Fuga e Luigi Vanvitelli, raggiunse uno stile adeguato ai valori che intendeva comunicare la
committenza regia, improntato ad un tipo di classicismo austero e magniloquente.
Uno tra gli interventi più incisivi promossi da Carlo di Borbone e poi da Ferdinando IV
nell’allora capitale del Regno delle Due Sicilie, fu la trasformazione, a partire dal 1735 in
Real Museo Borbonico dell'edificio già adibito a Palazzo degli Studi, mentre tra il 1757 e il
1765 Luigi Vanvitelli realizzò l'emiciclo del Foro Carolino. Successivamente ai grandi
cantieri carolini (Reggia di Caserta ed Albergo dei Poveri), Ferdinando IV affidò a
Ferdinando Fuga un'altra importante pubblica impresa: la costruzione dei Granili oltre il ponte
della Maddalena (1778), andati poi distrutti dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La nuova dimensione urbana cittadina3 venne colta in maniera precisa e dettagliata nella
mappa topografica di Giovanni Carafa duca di Noja, redatta nel 1750 e riedita con correzione
ed aggiunte nel 1775.
Se per l’architettura i Borbone preferirono chiamare gli architetti provenienti dall’ambiente
romano, per la scultura e ancora di più per la pittura, non esitarono invece a rivolgersi a
maestranze locali che si trovarono ben presto fianco a fianco dei “regi architetti” nella
decorazione delle nuove grandi opere.
Anche durante il Decennio Francese il volto della città si trasforma radicalmente, infatti
Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, decise di far realizzare una grande strada di
collegamento tra la Reggia di Capodimonte ed il Palazzo Reale, che andava ad innestarsi
sulla precedente Via Toledo; istituì inoltre il catasto urbano e iniziò anche la prima
soppressione degli ordini religiosi, adattando i conventi della città ad abitazioni o ad uffici
statali. Gioacchino Murat successivamente decise un programma riformatore della città che
prevedeva oltre al decentramento dei poteri, una sua suddivisione della città in dodici sezioni
3
Cfr. ALISIO G.C., Sviluppo urbano e struttura della città…op.cit.;
ALISIO G.C., Urbanistica napoletana del ‘700… op. cit.
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amministrative chiamate poi “quartieri”, basandosi su quanto Ferdinando IV aveva fatto in
precedenza.
Il Congresso di Vienna del 1815, proclamò i principi di sovranità e legittimità restituendo di
nuovo il trono di Napoli ai Borbone; il loro primo atto post-restaurazione fu il compimento
di Piazza del Plebiscito (già cominciata dai Francesi e conosciuta allora come Foro
Murattiano), con la costruzione della Basilica di San Francesco di Paola, che serviva in parte
anche a mascherare l'ingorgo urbanistico della retrostante collina di Pizzofalcone; inoltre,
persuasi della validità di molte delle idee murattiane, insisterono nella soppressione degli
ordini monastici.
Vista l’esigenza di portare a conclusione tutti i cantieri aperti per la riconfigurazione
urbanistica di Napoli4, nel 1839, durante il regno di Ferdinando II di Borbone (1830 - 1859) fu
istituito il Consiglio Edilizio che promosse lo sviluppo urbano: di esso facevano parte
importanti architetti come Antonio Niccolini, Stefano Gasse, Gaetano Genovese e Errico
Alvino, i quali progettarono per la città architetture neoclassiche ed eclettiche, tra cui forse
l’esempio più importante è la neorinascimentale Accademia di Belle Arti.
Fu ricostruito il Teatro San Carlo, realizzata la Villa Comunale, e completate arterie stradali
iniziate dai Francesi tra cui Via Posillipo e Corso Napoleone, che contribuirono allo sviluppo
della città verso la collina di Bagnoli e del Vomero.
Dopo l’Unità di Italia e la presa del potere da parte dei Savoia, si completarono i progetti
iniziati dai Borbone, primo tra tutti il progetto di Via Duomo, il completamento del Corso
Vittorio Emanuele e la realizzazione di quartieri dopo il Risanamento.
I nuovi quartieri5 avevano diverse destinazioni sociali: ad ovest vi erano quelli per la
borghesia e l’aristocrazia con minore densità abitativa, collocati in luoghi salubri e
4
Cfr. ALISIO G.C., Napoli e il risanamento… op. cit., passim.
5
Cfr. DI LIELLO S., Quartieri operai e quartieri borghesi, in Civiltà dell’ottocento Architettura e Urbanistica, a cura di
ALISIO G.C., catalogo mostra, Napoli 1997, pp. 95-106.