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Introduzione
“….Era una forza che mi obbligava a rivedere i dettagli della mia
vita…Nessuno è capace di precisare quale sia la cosa peggiore del
carcere, dell’essere prigioniero di una dittatura,…, e nemmeno io
posso indicare se il peggio di tutto ciò che ho dovuto sopportare
sia stata la tortura, i lunghi mesi di isolamento in una fossa che mi
appestava, il non sapere se fosse giorno oppure notte…”1.
Quando si parla di tortura molto spesso si ha l‟impressione di
discutere di qualcosa di passato e lontano dalla nostra realtà di
popolazione civilizzata e democratica. Si pensa al periodo del
medioevo, dell‟inquisizione, ma mai e poi mai la tortura viene
considerata come un qualcosa a noi molto vicino.
In verità niente potrebbe essere più lontano dalla realtà come questa
idea.
Con questo elaborato si tenta di dimostrare come la tortura sia una
pratica ancora oggi molto utilizzata in tutto il mondo, anche nel
nostro paese, non solo, ma addirittura come sia una pratica
talmente comune da far risultare assolutamente necessaria una
disciplina specifica che la prevenga e la combatta.
Per dimostrare quanto qui sopra esposto è sembrato necessario
cominciare con un piccolo quadro storico. Ricercare le radici di
qualcosa che ancora oggi sembra essere all‟ordine del giorno è
l‟unico mezzo per avere un idea chiara della situazione. Bisogna
avere ben individuato il punto di partenza per poter intravedere il
punto di arrivo. A questo si aggiunga anche che solo attraverso
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Luis Sepùlveda prefazione all‟opera Non sopportiamo la tortura Libri illustrati
Rizzoli, 2000.
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l‟indagine storica si possono individuare i punti deboli, gli errori da
non ripetere. La società attraverso la conoscenza del suo passato fa
un‟autoanalisi, non per commiserarsi, ma per farne una lezione per
il futuro. In ultima analisi tutta la produzione normativa relativa alla
tortura, sia quella internazionale che quella europea, nonchè le
proposte per la normativa italiana, sono permeate di nozioni e di
sfumature interpretative che possono essere capite fino in fondo
soltanto attraverso la conoscenza della retrospettiva storica.
La storia è quindi, in questo elaborato, solo uno strumento per poter
analizzare con maggiore cognizione di causa la disciplina
attualmente vigente.
Per questa materia nello specifico tutti i riferimenti normativi sono,
allo stato attuale, solo ed esclusivamente a livello europeo e
internazionale. Si tratta di una disciplina ben consolidata anche se
dai contorni ancora sfumati.
A questo proposito parliamo ovviamente della Convenzione
internazionale contro la tortura, della Convenzione europea per la
prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o
degradanti e della Convenzione europea per i diritti dell‟uomo del
1950.
In tutto questo quadro normativo verrà evidenziato anche il grande
apporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura
(CPT) la cui funzione è quella di visitare qualunque luogo di
detenzione, allo scopo di controllare il trattamento riservato alle
persone private della libertà da una pubblica autorità. L'obiettivo
perseguito da questo Comitato non è tanto quello di condannare gli
Stati per violazioni, ma piuttosto di rafforzare la tutela dei detenuti
contro la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti. Dopo
ogni visita, il Comitato trasmette al governo degli Stati interessati i
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suoi rapporti ed eventuali raccomandazioni. Per quanto riguarda
nello specifico il nostro Paese sono numerose le raccomandazioni
ricevute da questo ente ,ed è questa la ragione per cui l‟attività del
CPT è stata qui considerata di particolare importanza.
Tutto questo però fa riferimento esclusivamente ad un quadro
normativo internazionale essendo, infatti, diversa la situazione
dell‟Italia.
Nel nostro Stato non esiste ancora una disciplina specifica che
preveda la tortura come reato. Questa è da molto tempo sentita
come una lacuna molto profonda e molto grave del nostro
ordinamento, non solo in quanto persistendo questa situazione si
violano importanti obblighi internazionali, ma soprattutto perchè
l‟inesistenza di una previsione normativa non è sinonimo
dell‟inesistenza della tortura. Allo stato attuale risultano
assolutamente insufficienti gli articoli del nostro codice penale con
i quali si è fino ad ora sopperito a questa mancanza.
Il 13 dicembre del 2006 sembrava che questa lacuna fosse
finalmente sull‟orlo di essere colmata, ma gli odierni sviluppi
sembrano invece smentire la possibilità di raggiungere questo
scopo (almeno nell‟immediato futuro).
Il fine di questa tesi, dunque, non vuol essere assolutamente quello
di formulare giudizi di merito ma semplicemente di sottolineare
l‟esistenza di un grave problema, nella speranza che si raggiunga al
più presto una soluzione così come auspicato anche dalle istituzioni
europee e internazionali di cui l‟Italia fa parte, passando attraverso
un quadro, che si spera appaia sufficientemente completo e che dia
un‟idea di come la tortura sia ancora una piaga della società e di
come la stessa società tenti costantemente di combatterla ma al
contempo la legalizzi.
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Capitolo I
Della tortura
§1 La tortura nell’antichità.
La tortura è una consuetudine antichissima, anche se nasce
con connotati molto diversi rispetto a quelli con cui si
manifesta oggi. Per meglio dire, la nascita della tortura è
tanto antica quanto antico è il sentimento dell‟uomo di
dominare sull‟altro, quindi indicare una precisa data sarebbe
inesatto.
Nel corso della storia è davvero difficile trovare un popolo
primitivo che non preveda la tortura. In diverse parti del
mondo torturare i prigionieri di guerra è stato a lungo
considerato e accettato come inevitabile. Questa accettazione
portò da un lato ad ampliare il codice penale e dall‟altro ha
fatto crescere la convinzione che la tortura fosse una pratica
inevitabile. Questa era la concezione degli Aztechi del
Messico e delle popolazioni del Perù. E‟ raro, inoltre, che la
tortura sia assente nei rituali teosofici di iniziazione o di altro
tipo delle tribù selvagge.
Sotto questo aspetto diverse sono le tecniche di iniziazione
che possono essere considerate come tortura per la crudeltà
della forma, come quelle praticate dalle tribù indiane della
Guiana o quelle delle popolazione di colore australiane.
Sicuramente però la forma più famosa di tortura nell‟antichità
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era quella punitiva per crimini e reati vari2. Per quanto
riguarda questa specifica tipologia le tecniche di attuazione
sono straordinariamente omogenee in diverse parti del mondo.
Carattere comune è sicuramente la crudeltà, particolarità
propria di civiltà che hanno una stretta familiarità con la
sofferenza e con la morte.
Questo non solo per quanto riguarda popolazioni selvagge, in
quanto il quadro non sembra essere stato molto diverso in
Grecia o a Roma. Per entrambi queste civiltà la quaestio era
utilizzata o come strumento inquisitorio o come sanzione
penale. Nel primo caso veniva applicata esclusivamente agli
schiavi, la cui testimonianza non avrebbe avuto valore nel
corso di un dibattimento se non estorta tramite essa3. Nel
secondo caso la tortura era il mezzo attraverso cui veniva
applicata una condanna a morte nei confronti sia degli
schiavi, sia dei cittadini stranieri (anche se gli stortici tendono
ad affermare che in quest‟ultima fattispecie fosse applicata
anche ai cittadini liberi).
Aristofane parla di tortura a scopo punitivo come faceva del
resto anche lo storico Polibio.
Ma anche altri illustri autori ci danno testimonianze dell‟uso
della tortura, come Erodoto, Duride di Samo, Plutarco4.
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A questo proposito è interessante riportare che l‟art 27 comma 3 del Codice penale
del Sudan (1991) prevede ancora la crocifissione per i reati di rapina a mano armata.
3
Questo è quanto accadeva secondo la concezione degli schiavi che non erano altro
che strumenti dotati di anima che utilizzano il corpo solo per rispondere all‟autorità.
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Erodoto (VII, 33) contro un nemico in guerra quando gli Ateniesi, alla conclusione
della seconda guerra persiana, si dedicano a consolidare il proprio controllo sull'Asia
Minore: "al comando dello stratego Santippo figlio di Arrifrone, catturarono il
governatore di Sesto, il persiano Artaucte, e lo inchiodarono vivo ad un palo".
Duride di Samo, ripreso da Plutarco, anche in questo caso in riferimento a scene di
guerra, in occasione della guerra tra Atene e Samo e dopo la sconfitta di questa nel
439 Pericle "fece portare nella piazza di Mileto i trierarchi e i marinai di Samo, li
fece legare a dei pali per dieci giorni e, quando erano ormai in condizioni
miserevoli, diede ordine di ammazzarli a bastonate in testa".
Aristofane nelle Tesmoforiazuse (vv. 930-1014) e poi nelle Rane (vv. 618-621):
"Crocifiggilo, appendilo, frustalo, scuoialo, torturalo, mettigli l'aceto nel naso, porta
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La tortura come punizione non veniva utilizzata solo nel corso
dei giudizi, ma era molto diffusa anche tra la popolazione. In
alcuni casi coincideva con la punizione stessa, in altri, ne
rappresentava solo una parte, a cui seguiva il bando o la pena
capitale.
Nella società romana, in età repubblicana, i reati punibili con
la morte venivano giudicati dai comitia centuriata, retti dai
quaestores parricidii e dai tribuni della plebe, mentre i reati
punibili con ammenda pecuniaria venivano lasciati alle tribù.
La procedura avveniva davanti al popolo, tranne per la
microcriminalità che prevedeva un processo più veloce e
veniva punita in genere con frustate o il carcere. L‟attesa del
giudizio era lunga e spesso gli accusati restavano in carcere,
tranne che nel caso di intercessione da parte di un tribuno
della plebe, oppure nel caso di preferenza per l‟esilio
volontario, con l‟interdizione dell‟acqua e del fuoco (aqua et
igni interdictio), cioè la privazione di ogni bene. Ma non
solo, in questo periodo i cittadini avevano il potere di torturare
i loro debitori.
Per espresso ordine di Giustiniano non solo si poteva
torturare, ma, in alcuni casi, si poteva anche prescrivere la
mutilazione. Secondo il codice Teodosiano, chi veniva
condannato perchè professava un culto diverso da quello
ufficiale poteva essere flagellato.
A partire dal II sec. a.C. alcuni crimini venivano affidati a
consoli o a pretori, e il processo si portava davanti al Senato:
tali corti di giustizia erano chiamate quaestiones perpetuae.
Le XII tavole prevedevano pene come:
i mattoni ...". Lisia nel Contro Agorato (XIII, 56) parla della pratica della
bastonatura, mantre Plutarco in Pericle (XXVI) parla della marchiatura utilizzata
come strumento di fregio per il nemico vinto.
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• La caduta in schiavitù per il reo furto colto in flagrante
(manifestum);
• restituzione della somma pari al doppio di quella rubata per
chi non era colto in flagrante (nec manifestum);
• In caso di omicidio, secondo il diritto arcaico, la famiglia
poteva arrogarsi il diritto di decidere della morte del reo, in
seguito alle XII tavole la decisione veniva affidata ai
quaestores parricidii;
• non veniva punito il marito che uccide la moglie adultera;
• i magistrati avevano l’imperium militiae (i poteri in guerra),
cioè la facoltà di decidere della sorte degli sciavi di guerra:
questi ultimi potevano essere precipitati dalla Rupe Tarpea,
essere condannati alla forca, alla croce, all‟esposizione alle
belve ecc.
Ancora, sempre per quanto riguarda la sorte degli schiavi, la
legge romana ammetteva che il modo migliore e, nella
maggior parte dei casi, unico, per arrivare alla verità fosse
torturarli. La sofferenza, in questi casi, non era procurata solo
per estorcere confessioni, in quanto il padrone dello schiavo
era investito di un potere pressoché assoluto, la vita di
quest‟ultimo era costellata da parentesi di crudeli castighi.
Tutto ciò, comunque, non vuol dire che non esistesse una
regolamentazione statale sulla tortura, anzi, le regole
proliferavano, ma erano inerenti solo alle misure punitive che
si aggiungevano ai supplizi privati che il padrone infliggeva
per qualsiasi reato. Le regole statali si occupavano solo dei
reati che rientravano nella giurisdizione dei tribunali, quindi
sia che lo schiavo fosse accusato di un crimine, sia che fosse
un semplice testimone, lo si poteva comunque torturare per
avere una confessione. La natura e il grado della tortura
venivano, però, decisi dal giudice. Si poteva ricorrere a essa