6
Se il diritto di sciopero è riconosciuto dalla Costituzione in quanto strumento
per realizzare l’obiettivo dell’art.3, co.2°, Cost., ciò che conta non è il dato
formale della possibilità di inquadrare o meno nell’art.2094 c.c. il rapporto
giuridico in forza del quale il lavoro viene erogato, ma la reale situazione di
sottoprotezione sociale (Scognamiglio, 1990)
3
. Infatti, registrando
l’evoluzione dei rapporti nella realtà sociale ed economica, in vari casi la
giurisprudenza ha considerato lo sciopero come strumento di pressione
legittimamente utilizzabile anche da categorie di lavoratori non subordinati.
Tale lettura estensiva della sfera di titolarità della garanzia costituzionale,
venne in particolare compiuta dalla Corte costituzionale nella decisione del 17
luglio 1975, n.222
4
, che dichiarò l’illegittimità della norma incriminatrice
della serrata, compiuta dagli esercenti di piccole industrie e commerci privi di
lavoratori alle proprie dipendenze, per contrasto con l’art.40 della
Costituzione.
2
Vedi per tutti Giugni, Diritto sindacale, Bari, 1998.
3
Sull’argomento vedi Giugni, in, Diritto Sindacale, 1997, p.233.
4
“E’ costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art.40 Cost., l’art.506 c.p., in
relazione all’art.505 stesso codice, nella parte in cui punisce la sospensione del lavoro
effettuata per protesta dagli esercenti di piccole aziende industriali o commerciali che non
hanno lavoratori alle loro dipendenze. Infatti deve ritenersi lecita la sospensione del lavoro
attuata da piccoli esercenti per protesta contro fatti o provvedimenti incidenti sul contenuto
economico della loro attività aziendale, poiché questa, nel caso di esercenti senza
lavoratori subordinati, si identifica e coincide interamente con l’attività soggettiva e
personale di questa speciale categoria di lavoratori autonomi i cui interessi trovano ampia
protezione nelle norme racchiuse nel titolo terzo, parte prima, della Costituzione”.
7
Successivamente, intervenne una decisione della Corte di cassazione
(sentenza 29 giugno 1978, n. 3278) che affermò la sussistenza della titolarità
del diritto di sciopero in capo a tutti i lavoratori autonomi in condizione di
parasubordinazione.
Al centro di una vivace polemica è stato lo “sciopero” degli avvocati,
consistente in astensioni collettive dalle udienze, che in alcune occasioni si
sono protratte così a lungo da bloccare per mesi l’ordinario svolgimento
dell’attività giudiziaria.
Quanto finora sostenuto porta ad escludere che l’astensione dalle udienze
degli avvocati possa qualificarsi come sciopero, stante la mancanza di una
controparte in grado di soddisfare le pretese dei lavoratori
5
.
Tale conclusione deve essere verificata alla luce dell’interpretazione estensiva
dell’art.40, data dalla Corte costituzionale, la quale ha notevolmente ampliato
in varie sentenze la nozione di diritto di sciopero,
avendo riconosciuto piena legittimità allo sciopero politico, diretto ad incidere
sull’indirizzo generale del Governo
6
.
5
In questo senso, Valcavi, Sulla presunta illegittimità dell’astensione dalle udienze degli
avvocati, in Dir. Lav., 1995, II.
6
Corte Cost. 14 Gennaio 1974 n.1, in Giur. It.1974, I, p.707 ed in Mass. Giur. Lav., 1974,
p.145, con nota di Mazzoni dal titolo Esercizio dello sciopero, carenza legislativa e
funzione della Corte Costituzionale.
8
La Corte si è però rifiutata di qualificare, come esercizio del diritto ex art.40,
lo “sciopero politico puro”, diretto a influire su scelte di natura
esclusivamente politica.
In dottrina, è divenuta col tempo prevalente, l’opinione
7
che estende la
titolarità del diritto di sciopero anche ai lavoratori autonomi che versino in
una condizione di debolezza contrattuale che si traduce in una condizione di
sottoprotezione sociale, spesso identificandosi tale condizione in presenza del
lavoro cosiddetto parasubordinato.
Si deve tuttavia osservare che non pare emergere un indirizzo nettamente
prevalente, potendosi scorgere vari filoni interpretativi.
Considerando le tendenze dottrinali e giurisprudenziali favorevoli
8
all’assimilazione suddetta, è innegabile che quando si ammette l’estensibilità
del diritto di sciopero ai lavoratori non subordinati, lo si fa non solo con
difficoltà e incertezze, ma anche con limiti e requisiti che finiscono per
vanificare sul piano concreto le affermazioni di principio. Questa situazione
non comporta solo l’onere, per chi ritiene che il diritto di sciopero sia
estensibile ai lavoratori autonomi di individuare gli elementi di debolezza in
7
Così espressamente Giugni, Diritto sindacale, Bari, 1998.
8
Vedi ad esempio, Trib, pen. Forlì 3 luglio 1984, in Riv.giur. lav., 1985, IV, p.257, che ha
escluso la punibilità dei tabaccai per il reato di interruzione di pubblico servizio in
considerazione della riconduzione della loro protesta all’esercizio del diritto di sciopero,
giusta la pronuncia della Corte Costituzionale del 1975.
9
ogni fattispecie concreta, ma determina anche un insormontabile ostacolo
all’estensibilità del diritto di sciopero a intere categorie di soggetti, qualora
all’interno di esse situazioni di forza convivano con situazioni di debolezza.
La tesi che nega
9
l’estensibilità del diritto di sciopero oltre la sfera del lavoro
subordinato, si fonda, essenzialmente, sulla considerazione per la quale
mancano i presupposti per un equiparazione del lavoro parasubordinato a
quello dipendente, ai fini della titolarità del diritto ex art.40 della
Costituzione
10
.
Bisogna inoltre verificare se la tesi che ammette l’estensione del diritto di
sciopero ai lavoratori parasubordinati non sia in contrasto con la legge 12
giugno 1990 n.146, la quale, mentre estende tutti i suoi disposti ai lavoratori
subordinati e ai loro sindacati, considera i lavoratori autonomi e
parasubordinati solo ai fini della precettazione. Questa separazione, disposta
dal legislatore, sembra trovare il suo presupposto proprio nella considerazione
che i lavoratori autonomi e parasubordinati non sono titolari del diritto di
9
Lo spunto concernente l’impossibilità di equiparazione sembra del tutto fondato qualora
si esamino gli elementi che per l’art.409, n.3, cod. proc. civ. caratterizzano il lavoro
parasubordinato; l’aspetto fondamentale è che anche quando nella fattispecie si riscontri la
debolezza economica, se si esamina come la situazione di debolezza si sia tradotta nei
requisiti richiesti per l’inclusione nell’area segnata dall’articolo appena menzionato, ne
risulta che la ricorrenza degli stessi fa poco allontanare dall’autonomia tout court e fa
rimanere lontanissimi dalla subordinazione.
10
Questa tesi è stata espressa da Assanti, in Corso di diritto del lavoro, Padova,1993,
p.151. Sembra condividere questa opinione Roccella, La precettazione “rivisitata”, in
Treu, Roccella, Garilli, Pascucci, Sciopero e servizi essenziali, Padova, 1991, p.87.
10
sciopero, ma pongono in essere azioni rivendicative di carattere collettivo,
spesso diverse dalla mera astensione dalla loro attività, che possono, come lo
sciopero, porre in pericolo diritti della persona di rango costituzionale, e che
di conseguenza vanno controllate e regolate con lo strumento della
precettazione di cui alla legge n.146/90.
Se le indicazioni della Consulta verranno accolte dalla giurisprudenza,
risulterà vincente la tesi che ritiene estensibile, senza alcuna eccezione, al
lavoro parasubordinato, solo le disposizioni ad esso espressamente estese
dalla legge, senza poter adottare lo strumento dell’interpretazione estensiva o
per analogia. In tal modo risulterà posto un netto limite a quelle tendenze
espansive del diritto del lavoro che hanno portato più privilegi ingiustificati
che giusta parità di trattamento
11
.
11
Vedi sull’argomento Menghini, L’astensione dalle udienze da parte degli avvocati e il problema
dell’estensibilità dello sciopero oltre il limite della subordinazione, in, Riv.giur.lav, 1997, n.1.
1
2. L’organizzazione sindacale dei professionisti
Le profonde trasformazioni in atto nel campo delle attività lavorative svolte
sotto forma di lavoro autonomo, ripropongono la questione dell’unionismo
professionale, da intendersi come organizzazioni di mestiere volte a tutelare gli
interessi collettivi inerenti allo svolgimento delle attività prestate dai lavoratori
intellettuali
1
.
Questa esigenza di tutela risulta avvertita in misura crescente a fronte della crisi
progressiva del lavoro dipendente, ed alla parallela espansione delle attività
autonome, le quali tendono a consolidarsi in un contesto organizzativo e
produttivo che presuppone servizi sempre più efficienti e cognitivamente fondati
su specifiche professionalità
2
.
Il lavoro autonomo tende sempre più a rappresentare un modo di occupazione
tipico della società terziaria avanzata, all’interno della quale le professioni
assolvono ad un ruolo fondamentale sia al servizio delle imprese sia nei
1
Sulla pluralità delle forme organizzative dei gruppi per la difesa dei propri interessi
professionali, vedi ampiamente Giugni, Diritto Sindacale, Bari,1996, p.31ss.
2
Sulla crescita del lavoro autonomo vedi per tutti, Perulli, Il diritto del lavoro tra crisi della
subordinazione e rinascita del lavoro autonomo, in Lav. e dir., 1997, p.173ss.
12
confronti dei consumatori, al fine di convivere meglio con una realtà sociale e
giuridica sempre più articolata e complessa
3
.
In tale contesto si riscontra la necessità, nelle attività professionali, di superare la
dimensione individualistica destinata al confronto con forme organizzative
sempre più innovative
4
. L’esigenza di protezione degli interessi individuali e
collettivi dei soggetti coinvolti, tende ad assumere un rilievo più marcato
rispetto al passato, riproponendosi la questione del fondamento di nuove forme
organizzative e di rappresentanza, tradizionalmente assorbite dagli ordini
professionali
5
. La rappresentanza degli interessi collettivi dei professionisti, non
può più essere affrontata all’interno della sola logica difensiva dei privilegi di
tipo corporativo che regolano l’esercizio professionale, quanto piuttosto nella
prospettiva di garantire un’efficiente svolgimento delle attività sul mercato,
anche mediante la presenza di soggetti esponenziali in grado di fissare nuove
regole e comportamenti e di dialogare con gli organi istituzionali, nazionali e
3
Sulle trasformazioni in atto nell’organizzazione del lavoro sulla loro incidenza nel sistema
delle tutele, vedi i rilievi di Simitis, Il diritto del lavoro ha ancora un futuro, in
Giorn.dir.lav.rel.ind.,1997, p.613ss.
4
Vedi Alpa, Dalle professioni liberali alle imprese di servizi. Le nuove professioni tra
libertà dei privati e interesse pubblico, in Ec. dir. terz., 1990, p.279ss.
5
Sul punto Vaccà, Concorrenza, modalità di organizzazione e forme di comunicazione delle
professioni economiche: lacune e modelli di sviluppo della disciplina giuridica, in Ec.dir.
terz., 1995, p.163ss.
13
sovranazionali, che costituiscono lo strumento regolatore delle stesse
organizzazioni professionali
6
.
Dopo la caduta dell’ordinamento corporativo, che ammetteva i sindacati dei
professionisti, la tesi prevalente è stata quella secondo cui, nella previsione
dell’art.39 della Costituzione possono rientrare solo l’organizzazione e l’azione
dei lavoratori dipendenti, ai quali viene riferita la tipicità della fattispecie
sindacale, pur affermandosi che anche al di fuori del lavoro subordinato possono
assumere rilievo ragioni e presupposti atti a dar luogo ad interessi di gruppo e
alla costituzione di associazioni di prestatori autonomi. Ma in tali casi, il
fondamento della tutela si ritrova nell’art.18 e non nell’art.39 della
Costituzione
7
.
Il riconoscimento della libertà di organizzazione viene oggi riferito a vaste
categorie di lavoratori autonomi e, in queste ipotesi, la riconosciuta libertà
sindacale presuppone una necessaria attitudine al conflitto, ritenuta strumentale
al miglioramento e alla promozione delle condizioni contrattuali di lavoro
8
. A
6
Sulle prospettive delle attività liberali fra monopolio professionale e pressioni competitive,
vedi Antoniolli Deflorian, La libera circolazione delle professioni liberali: il caso degli
avvocati, in Lav. e dir.,1997, p.403ss., spec.416ss.; con specifico riguardo alla disciplina
comunitaria, Zilioli, L’apertura delle frontiere comunitarie ai professionisti: la direttiva Cee
n.89/48,in Dir.com. scambi int.,1989,p.421ss.;Scordamaglia, La direttiva Cee sul
riconoscimento dei diplomi ,in Foro it.,1990, IV, p.391ss.
7
“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non
sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi
politici mediante organizzazioni di carattere militare”.
8
Vedi Santoni, Lo sciopero, Napoli, 1997, p.33ss.
14
tali soggetti si aggiungono i lavoratori autonomi che prestano attività di
collaborazione continuativa e coordinata, anche se non inerente all’esercizio
dell’impresa. A questi rapporti, l’ordinamento riconosce determinate garanzie
processuali e sostanziali comuni al lavoro dipendente, mentre per quanto
riguarda la loro organizzazione sindacale se ne ammette il riconoscimento al
fine di riequilibrare la disparità di forza contrattuale nei confronti della
controparte negoziale.
Tuttavia, pur volendo rappresentare il lavoro parasubordinato come una
particolare manifestazione di attività lavorative autonome, deve rilevarsi una sua
profonda diversità rispetto alle attività professionali in senso stretto, dal
momento che, gli interessi sindacali riferiti a queste ultime, non sono di solito
così rilevanti.
Non a caso, la titolarità del diritto di libertà e di organizzazione sindacale dei
liberi professionisti, è stata posta in dubbio anche sulla base dell’esistenza degli
ordini e dei collegi professionali, ai quali si riconosce una competenza esclusiva
sia nel controllo che nell’amministrazione degli interessi di quanti esercitano la
specifica attività. Tuttavia, la presenza di questi organi necessari, non sembra
precludere ai singoli appartenenti ai rispettivi ordini l’esercizio di poteri
organizzatori anche a fini sindacali
9
.
9
Cfr. Magrini, Il sindacato come soggetto, in ISLE, Indagine sul sindacato, Milano, 1970,
P.134, ivi alla nota 113.
15
Questo consente di rilevare, da un lato, il carattere neutrale dell’intervento
statale, regolatorio dell’accesso all’esercizio delle attività professionali e,
dall’altro, come la funzione garantistica degli ordini non possa sostituire né
assorbire la specifica funzione sindacale di tutela degli interessi dei propri
iscritti, essendo evidente che la loro organizzazione pubblicistica risponda a
funzioni diverse rispetto a quelle tipiche delle associazioni sindacali.
Le professioni intellettuali sono organizzate e protette secondo propri
ordinamenti, che ne regolano le condizioni di esercizio, i limiti, i rapporti interni
ed esterni. Il regime che ne deriva è quello di un’organizzazione autogovernata
rappresentativa della categoria, con prerogative di tutela dell’interesse collettivo
che se pur limitato agli iscritti, si collega ad interessi generali più vasti, in
quanto rivolto alla protezione della fede pubblica
10
.
Ma il ruolo degli ordini e dei collegi professionali deve confrontarsi,
attualmente, con i profondi mutamenti in atto nell’esercizio delle attività
professionali, dove, il progressivo allargamento degli interessi collettivi di
natura professionale, offre fondamento alla considerazione che gli interessi
comuni di questi professionisti non si esauriscono nell’aspetto pubblicistico
della propria attività, in quanto l’esercizio professionale costituisce attività
10
In generale, vedi Catelani, Gli ordini e i collegi professionali nel diritto pubblico, Milano,
1976; Lega, voce Ordinamenti professionali, in Nss .Dig. it., vol. XII, Torino, 1965, p.6ss.;
anche Gessa, voce Ordini e Collegi professionali, in Enc. Giur. Treccani, vol. XX, Roma,
1990.
16
lavorativa suscettibile di tutela allo stesso modo degli interessi collettivi di ogni
altra categoria produttiva: da ciò deriva che, accanto agli ordini e collegi
professionali, può aversi un’esigenza di manifestazione di assetti organizzativi
di natura sindacale per una più adeguata rappresentanza degli interessi di natura
strettamente privatistica, che gli ordini non sono in grado di assicurare.
Le categorie di lavoratori autonomi, proprio perché già organizzate in ordini e
collegi professionali, potrebbero avere scarso interesse ad associarsi
sindacalmente mancando la contrapposta organizzazione rappresentativa dei
clienti; tuttavia, non è possibile escludere in principio la coesistenza tra sindacati
e ordini professionali, sia perché gli uni presentano finalità e natura diverse
rispetto agli altri
11
, sia perché le leggi professionali hanno prevalente riguardo
agli interessi morali della professione e non a quelli particolari degli
appartenenti alla categoria.
Nei settori dove è stato sentito il problema delle condizioni economiche dei
prestatori d’opera, la questione della rappresentanza sindacale si è posta con
particolare intensità attraverso iniziative che hanno dato vita a soggetti
professionali diretti a tutelare gli interessi economici di natura collettiva.
Al riconoscimento della libertà di organizzazione sindacale dei lavoratori
autonomi, consegue quello dell’ammissibilità delle azioni di autotutela che si
11
Vedi Lyon-Caen, Le droit du travail non salariè, cit.,p.135ss.
17
ricollega al più ampio tema della configurabilità delle manifestazioni conflittuali
oltre il limite della subordinazione. La questione è stata affrontata, con
particolare riguardo all’estensione della titolarità del diritto di sciopero anche ai
lavoratori autonomi, che versino in una condizione di sottoprotezione sociale,
come nell’ipotesi del lavoro parasubordinato
12
.
Una volta stabilito che lo sciopero è un diritto pubblico di libertà, mediante il
quale si possono perseguire pure obiettivi politici, si ammette la sua estensibilità
a categorie di lavoratori non subordinati, come strumento di autotutela e di
pressione dei differenti gruppi professionali all’interno della società
pluralistica
13
.
In ogni caso, pur potendosi ammettere, in linea di principio, l’estensione della
garanzia costituzionale dello sciopero ai lavoratori non subordinati,
permangono al riguardo numerose incertezze, dal momento che il presupposto
socio- economico da cui muovono le precedenti interpretazioni è quello del
grado di sottoprotezione e incertezza dei promotori dell’azione sul piano sociale.
Nel campo della professione forense, vi è un’incerta presenza di vere e proprie
organizzazioni di rappresentanza; nell’attuale scenario sono tutt’al più
ravvisabili organismi rappresentativi dell’avvocatura (Consiglio Nazionale
Forense e Organismo Unitario dell’Avvocatura), i quali sembrano aver
12
Cfr. Sandulli, In tema di collaborazione autonoma continuativa e coordinata, in Il diritto
del lavoro, 1982, I, p.377ss.
18
conseguito la dignità di mero soggetto politico della cui opinione si potrà tenere
conto nelle scelte legislative, ma nient’altro
14
.
Una volta puntualizzato che al Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) è attribuita
una forma di rappresentanza prettamente istituzionale, bisogna soffermare
l’attenzione sull’Organismo Unitario dell’Avvocatura (O.U.A.).
Creato in occasione del 23° Congresso nazionale forense tenutosi a Maratea nel
1995, rappresenta l’Avvocatura italiana ed è composto dai 62 avvocati eletti
dalle Assemblee dei delegati congressuali appositamente convocate presso le
sedi dei 26 Ordini distrettuali forensi d’Italia
15
. L’elezione dei delegati, i quali a
loro volta eleggono i componenti dell’Organismo unitario, è effettuata non dai
soli Consigli dell’Ordine, che esercitano una rappresentanza istituzionale e
obbligatoria (essendo l’iscrizione all’Ordine forense di riferimento condizione
necessaria e imprescindibile), e che devono fare capo al Consiglio Nazionale
Forense, bensì dalle assemblee di tutti gli avvocati convocate dal Consiglio
dell’Ordine di appartenenza.
Ne deriva che, la rappresentanza dell’Organismo unitario, non può essere
ritenuta né di carattere istituzionale né di carattere sindacale, dato che
13
Sul punto vedi Galantino, Diritto sindacale, Torino, 1997, p.226ss.
14
Sull’argomento, vedi Raffi, Lo “sciopero” degli avvocati, in Lav. nella Giur.,1996,
p.993ss.
15
Cfr. Gualandi, L’organismo unitario dell’avvocatura italiana. Un neonato quasi
sconosciuto che sta crescendo, in Bologna forense, 1996, n.1, p.16ss.
19
l’assemblea degli elettori sarà caratterizzata da una composizione eterogenea in
parte riconducibile all’area sindacale, in parte all’area istituzionale.
L’O.U.A., è la rappresentanza politica e unitaria dell’Avvocatura italiana e ne
esprime gli orientamenti; opera in collaborazione con il Consiglio Nazionale
Forense e con la Cassa di Previdenza.
Ne deriva l’esaltazione del ruolo dell’Organismo unitario, il quale, essendo
espressione di tutti gli iscritti agli ordini forensi, risulta essere più democratico
del C.N.F., il quale, oltretutto, non può interferire nell’attività svolta
dall’O.U.A., sia perché la carica di componente dell’Organismo unitario è
incompatibile con quella di componente del Consiglio Nazionale, sia perché
l’O.U.A., pur mantenendo contatti con tutte le componenti istituzionali se ne
distanzia, costituendo un “quid autonomo” e a sé stante.
Non è dunque possibile parlare di vera e propria organizzazione sindacale per
quanto riguarda gli appartenenti alla categoria forense.