4INTRODUZIONE
L'assedio
Il lettore
Il lettore sceglie un libro. Lo legge, e se le pagine
rispondono ad alcune esigenze, il lettore se ne innamora. Dal
quel momento rende proprio quello specifico testo, ri-
disegnandolo attraverso modalità e modelli che gli
appartengono, proietta aspetti di sé, immagina nei particolari
più intimi i personaggi che vi incontra.
Infine, scopre che ne è stato tratto un film. È lecito
ipotizzare che vivrà l'attesa della proiezione con una serie
di aspettative che verranno facilmente deluse.
Infatti, quando ci si avvicina a un’opera cinematografica
tratta, ispirata a un testo letterario che è stata amata,
sviscerata, incisa sul cuore come fondamentale per la propria
educazione sentimentale, non è raro che la reazione rispetto
al prodotto visionato vari dallo sconforto all’ira.
Lo spettatore
Occorre tener presente un dato basilare, ovvero che si sceglie
un romanzo e si va al cinema con la speranza che il libro ci
piaccia, che il film corrisponda alle aspettative. In ogni
caso, si tratti dell’uno o dell’altro, si crea un legame molto
5forte con l'oggetto, il quale diventa un elemento su cui
riversare emozioni positive, sensazioni piacevoli. Gli vengono
attribuiti elementi emozionali molto forti. E si sviluppa il
timore che qualcosa possa turbare questo stato di grazia,
subentra insomma una sorta di delirio d'assedio nei confronti
del film adorato, considerato oggetto buono il quale viene
inserito in un ipotetico fortino a cui vengono serrate tutte
le vie d'accesso in forma protettiva perché non subisca
attacchi esterni.
Il più delle volte questo non è sufficiente, le aspettative
restano disattese, quando non deluse, interrompendo il
piacere, andando incontro al dispiacere filmico1.
Il regista
L’autore cinematografico ha dunque una grande responsabilità
quando affronta un testo letterario. Nei confronti del
lettore, trasformato in futuro spettatore e di chi si avvicina
al film per la prima volta.
Ipotizziamo che abbia scelto un libro e non un altro perché
colpito da uno o più elementi. A questo punto è facile che si
trovi di fronte al bivio: riprodurre quanto più fedelmente
possibile la struttura del romanzo scelto, eventualmente
tradendo la propria autonomia artistica, o tradire l’opera di
1 Cfr. Christian Metz, Cinema e Psicanalisi, Marsilio, Venezia 2002, pagg.
13-18
6riferimento, per cercare di cogliere ciò che di quello
specifico testo letterario lo ha colpito?
Tradire o essere fedele, dunque. Ma ha ancora senso parlare di
tradimento e fedeltà?
La questione appare come superata in molti testi, perché viene
privilegiata l'idea che si stiano affrontando materie
espressive differenti.
Non ci si trova di fronte a trame, personaggi, linguaggi
traditi: sarà quindi più corretto asserire che “A testi basati
su differenti materie dell'espressione vengono poste analoghe
domande”2.
Tuttavia è la percezione dello spettatore che, proprio per via
di quel lato irrazionale che attiene all’innamoramento,
avvertirà qualunque modifica come tradimento, appunto. Scopo
di questa ricerca sarà affrontare il distacco del film dal
testo di riferimento distinguendo l'ambito delle emozioni da
quello che le supera, cercando di comprendere quale sia la
motivazione per cui questi «tradimenti» sono avvenuti.
Cominciamo con l'affermare che, tra le varie possibili
definizioni atte a descrivere il passaggio da un codice
all'altro, adattamento risulta esser la più utilizzata, perché
“pare privilegiare l’adeguamento a un apparato consolidato, e
2 Giorgio Tinazzi, La scrittura e lo sguardo, Marsilio, Venezia 2007, pag.
70
7presuppone quindi un’idea di cinema come sistema, con regole,
se non con direttive sintattiche”3 prevede insomma uno
“scambio”4 reciproco e dinamico tra le materie espressive.
Avviene allora quella che Anna Masecchia definisce una
“fratellanza poetica”5 tra autore letterario e regista e che
consente la ri-creazione di temi e forme del romanzo per mano
e attraverso la creatività del regista, mostrando, allo stesso
tempo, una nuova interpretazione dell'opera.
Una parziale risposta alla domanda posta, tradire o essere
fedele, è dunque data. Il concetto di fedeltà intesa come
ricerca ansiosa di quel che resta (se resta), perde
consistenza. Non interessa analizzare la quantità delle
modifiche, ma la qualità di queste. Si può giungere ad
affermare con Sabouraud, che al cineasta è consentito
appropriarsi di idee esistenti all'interno di un testo, al
punto di trasformarle, invertirle, sostituirle, “con lo scopo
di ritrovare ciò che fosse l'esistenza del romanzo, sebbene
non necessariamente questo confermi l'idea dell'autore del
libro”6.
Esistono due possibili modalità di affrontare la questione;
tre protagonisti. Il lettore manterrà probabilmente un
3 Ibidem, pag. 70
4 Anna Masecchia, Al cinema con Proust, Marsilio, Venezia 2008, pag. 14
5 ibidem
6 Frederic Sabouraud, L'adattamento cinematografico, Lindau, Torino 2006,
pag 13
8approccio emotivo, restando legato al libro, per lui resterà
insoluto il conflitto tra la propria percezione, secondo cui
il testo è stato tradito, e il lavoro del regista, che prevede
e stimola un allontanamento dal testo di tipo creativo. È
probabile che nel primo caso non ci sia una soluzione, se non
provare a proporre al lettore di compiere anch'egli un
percorso personale, abbandonando il proprio status,
dimenticando parzialmente l'oggetto d'amore e diventando
spettatore di un nuovo prodotto. Nel secondo caso, si
acquisisce la consapevolezza che le singole arti hanno una
propria autonomia, e nonostante si compenetrino e influenzino
reciprocamente, ciascuna mantiene un proprio linguaggio.
Esiste, insomma “Un punto di vista in un testo letterario, un
modo di rappresentare una storia. Questo andrà confrontato con
quello cinematografico”7.
A tal proposito saranno analizzate le trasposizioni
cinematografiche delle opere di Giorgio Scerbanenco.
L'intenzione è di confrontare i testi di un unico autore con
le differenti traduzioni messe in atto. Comprendere dove il
testo sia riportato fedelmente e dove si attui un
allontanamento, e comprendere, dove possibile, se questo ha
matrice estetica o ideologica.
7 Giorgio Tinazzi, op. cit. pag. 70
9L'occasione è propizia perché l'autore fu prolifico, e il
cinema si appropriò di numerosi suoi romanzi e novelle nel
periodo che va dalla fine degli anni Sessanta fino al decennio
successivo.
Il principale adattatore dei testi del romanziere milanese di
origine ucraina è Fernando Di Leo, il quale ha anche
contribuito come sceneggiatore anche ad altri prodotti
ispirati alle opere dello scrittore.
Il principale ma non l’unico. Ci occuperemo, infatti, del
lavoro un gruppo apparentemente omogeneo di registi, sebbene
sarà nostro compito affrontarne le peculiarità differenti.
Generalmente italiani, contemporanei tra loro e dello
scrittore. In molti casi hanno avuto una formazione
cinematografica comune, il loro lavoro si è intersecato e
sviluppato spesso in parallelo, e sono noti per essere i
fautori della nascita di un filone conosciuto come poliziesco
all'italiana o poliziottesco.
Italiani, ma anche stranieri. In altri due casi, infatti, i
testi di Scerbanenco sono adattati per il pubblico francese da
Yvés Boisset e, più recentemente, per quello spagnolo da
Carlos Saura.
Infine film, ma non esclusivamente film. Sono state riprodotte
per il pubblico televisivo diverse novelle, su cui
concentreremo una breve parte dell’analisi.
10
Questi i punti che si intendono affrontare in questo lavoro.
Proviamo ad approfondirli.
L’indagine
Consideriamo ora il lavoro dei registi italiani.
Una fase storica importante, quella in cui operano.
L’Italia esce dalla Seconda Guerra Mondiale, dimentica del
passato, decisa ad aprirsi al futuro, pronta a immergersi in
quella atmosfera goliardica che preannuncia il periodo noto
come “Boom” Economico, in cui la ricchezza comincia a
diffondersi, sebbene in maniera disomogenea, e a trasformare
il Paese. Alle soglie degli Anni Sessanta questo processo è
avviato, gli italiani scorrazzano su e giù per la Penisola
inseguendo i miti del progresso, verso il Nord in cerca di
lavoro, e poi di nuovo al Sud, in utilitarie finalmente
accessibili ai più, con la diffusa illusione del lusso della
vacanza, del giusto riposo, o semplicemente del ritorno a
casa. Modugno canta spalancando le braccia durante il Festival
degli italiani, la libertà sembra una meta raggiungibile.
Questa parabola ascende, ma ha già in sé i limiti e le lunghe
ombre conseguenti alla grande luce.
Esiste un disagio collettivo e uno più individuale, figli
entrambi di quella delusione delle aspettative che produrrà
11
tensioni sociali, e uno svilimento dell'umanità sentiti come
motori alienanti della nuova società italiana.
In questo contesto si muovono i nostri registi e il nostro
scrittore. Giorgio Scerbanenco trova la propria maturità e
notorietà in questi anni, dopo aver scritto romanzi di ogni
genere e pubblicato su qualsiasi rivista con differenti
pseudonimi. Analoga sorte spetta al suo principale adattatore,
Fernando Di Leo.
Tra costoro esiste più di qualche punto in comune.
Innanzitutto c'è quell’identico sentire di cui parla il
regista pugliese quando spiega perché Giorgio Scerbanenco.
Ritrova la stessa dimensione della realtà, dice, una sorta di
pastura, la definisce8.
Esiste, nelle loro opere, una visione morale (non
moraleggiante) della malavita, del disagio, del negletto.
Sono, questi, elementi specificamente appartenenti al noir,
inteso come genere letterario e cinematografico, ma a cui si
unisce, in modo nuovo in Italia, una finestra aperta sulla
realtà circostante, una lettura attuale dei movimenti e
mutamenti del Paese. Ed è questa pastura, complice anche
l’assenza di una vera tradizione di genere nel Paese, che
consentirà loro di dar vita ad un filone nuovo, di matrice
8 Davide Pulici (a cura di), Intervista a Fernando di Leo in Secondo
Movimento: il tempo del nero, in «Nocturno Dossier» n.14, settembre 2003,
pag. 22
12
popolare, sia in campo letterario sia cinematografico. Sia il
giallo sociale nel primo caso, sia il poliziottesco al cinema
hanno caratteristiche simili, per via dell'ambientazione
urbana, l'humus caratteriale, e i connotati sociali e
implicitamente politici. Lo scrittore e i registi puntano
molto su questo spostamento di attenzione, istanze, atmosfere
sono realmente nostrane, con la precisa volontà di non
scimmiottare prodotti esteri. Avviene, in ambito
cinematografico, che in maniera discontinua e generosa costoro
riescano a raccogliere gli stimoli provenienti dall'esterno.
Probabilmente non in maniera del tutto consapevole, se, come
dice Roberto Curti, il poliziottesco: “È un filone che si
confronta con la pura e tremenda realtà italiana del tempo,
cogliendone – spesso in maniera confusa e istintiva –
contraddizioni e ansie, fotografando i cambiamenti sociali e
politici in atto, pescando dall’attualità per mettere in scena
episodi di cronaca nera […]”9.
Un dato è certo. Referente storico e contesto sono da tenere
in considerazione quando si affrontano i passaggi da codice a
codice, ed è un dato su cui pone l'attenzione anche Anna
Masecchia quando sostiene che per affrontare l'analisi di un
film tratto da un libro si devono tener presenti due campi
teorici, lo studio del rapporto tra cinema e letteratura,
9 Roberto Curti, Italia Odia. Il cinema poliziesco italiano, Lindau,
Torino 2006, pag. 9
13
innanzitutto, l'orizzonte culturale di appartenenza di
scrittore e registi presi in esame, in secondo luogo10.
“Il noir contemporaneo nasce quando la metropoli si impone
sulle esigenze del singolo” 11.
Questa disparità di forze è messa in campo e in maniera più
evidente dai nostri registi. La metropoli fin ora appariva un
fondale ottimale per le crime stories, quasi il correlativo
oggettivo di quelle emozioni a tinte forti che impregnano le
immagini di qualsiasi noir che si rispetti. Ma in Italia, alla
fine degli anni Sessanta, la Metropoli, le metropoli italiane,
compiono un ulteriore avanzamento, esse diventano un
personaggio muto e principale. Milano è identificata come la
metropoli italiana per eccellenza, elevata a simbolo dello
svilimento dell’individuo, della nuova crudeltà urbana, attore
principale e imponente. Molti i titoli che ne sottolineano il
ruolo importante, alcuni più espliciti come Milano trema: la
polizia vuole giustizia e Genova a mano armata, altri seguendo
il filone privo di speranza dei vari Roma violenta, Napoli
violenta, Genova violenta, fino ai generici Un uomo,una città
e La città è sconvolta: caccia spietata ai rapitori12.
10 Cfr. Anna Masecchia, op. cit., pag. 32-37
11 Daniele Brolli (a cura di), Introduzione a Italia Odia. Dieci volti del
noir italiano, Mondatori, Milano 2001, pag. 5
12 Milano trema, la Polizia vuole giustizia, Sergio Martino, Italia 1973;
Genova a mano armata, Mario Lanfranchi, Italia 1976; Un uomo, una città,
Romolo Guerrieri, Italia 1974, La città è sconvolta: caccia spietata ai
rapitori, Fernando di Leo, Italia 1975
14
Questa vicinanza che gli artisti hanno nel percepire,
intendere e restituire il mondo così come lo vedono diviene al
contempo il punto da cui le strade partono per divergere.
Esiste una componente determinata dall'arbitrio del regista,
il quale può utilizzare il romanzo come suggestione, “[…] come
estro iniziale”13 , per poi proseguire per conto proprio, si
prendano ad esempio gli adattamenti delle novelle, la cui
traccia diventa un input iniziale da cui allontanarsi, a
vantaggio della sottolineatura delle istanze proprie del
regista. I testi di Scerbanenco si prestano a questo scopo in
maniera ottimale. Proprio per la loro natura riescono ad
anticipare questioni che esploderanno di lì a breve, come nel
caso dei giovani e del loro disadattamento, e temi su cui
porre l'attenzione in maniera più netta, come l'evolversi
della società e della criminalità ai tempi della nascita del
consumismo e su cui i nostri registi concentreranno i loro
lavori.
Per questo motivo la biografia dello scrittore, dato
fondamentale per comprenderne le opere, e che ne impregna le
pagine dei romanzi e le storie dei singoli personaggi, verrà
modificata in due modi: alterata rispetto al testo letterario
per assurgere a emblema, o semplicemente relegata all'oblio,
essendo di difficile riproduzione cinematografica.
13 Davide Pulici, op. cit. pag. 22