Capitolo 1 : STORYTELLING
“C’era una volta, …” parole magiche che promettono
mondi fantastici e avventure entusiasmanti. La
tradizione orale, delle storie raccontate e tramandate
di generazione in generazione da sapienti narratori ,
si è fusa con la scrittura e la stampa, che hanno
diffuso ed amplificato le parole magiche “Once upon
a time, …”. Lo storytelling, il raccontare storie, è una
tradizione tipica che accomuna molte culture, antiche
e moderne.
L’amore per il libro e la creazione di generazioni di
buoni lettori, nonché affabulatori, sono sue logiche
conseguenze.
1. COME NASCE IL RACCONTO
C‟era una volta il racconto, poi è nata l‟arte del raccontare.
La storia del racconto coincide con quella dell‟umanità, e ancora oggi, con le dovute differenze, si
raccontano e si ascoltano storie in ogni fase della vita quotidiana: si scambiano racconti in famiglia,
a lavoro, tra amici, si ascoltano storie per strada, si scrivono lettere, e-mail, si leggono libri e
giornali, si guarda la tv e si naviga su internet. Siamo immersi nella narrazione.
Dal tempo dei faraoni dell‟antico Egitto, con le storie degli scribi che li decantavano, alle saghe
scandinave, dalle eziologie alle vite dei santi, fino ai giorni nostri con lo sviluppo del digital
storytelling, il potere dell‟immaginazione ha permesso all‟uomo di inventare storie e trasmetterle
agli altri attraverso diverse modalità di trasmissione, dalla semplice oralità, ai testi scritti, fino agli
strumenti multimediali.
Narrare infatti è un‟attività molto antica adoperata dall‟uomo per comunicare ai suoi simili la
propria conoscenza e consapevolezza di eventi, cose e persone.
Narrare vuol dire “far conoscere”. Lo suggerisce anche l‟etimologia1 presente nel lessico latino, il
verbo “narrare” deriva dalla radice indoeuropea gnâ (accorgersi, sapere), da cui deriva anche il
verbo latino conoscere (cfr. POGGIO 2004).
Un narratore quindi, attraverso informazioni note solo a lui, può rendere partecipi della propria
personale esperienza altre persone. La narrazione è uno degli strumenti più utili alla condivisione
dell‟esperienza del singolo con una più ampia comunità.
Mediante la narrazione si viene a costruire una parte rilevante di quel patrimonio di memorie e di
esperienze che definiscono un‟intera tradizione culturale (miti, leggende, racconti).
In passato infatti la trasmissione delle conoscenze veniva esclusivamente per forma orale, dato che
la scrittura non si era ancora sviluppata o era privilegio per poche persone, e quindi l‟unico modo
per preservare la cultura e la memoria storica della società era quello di ripetere costantemente i
racconti in modo che divenissero delle tradizioni.
Il più importante autore che si è interessato allo studio delle narrazioni è stato sicuramente Jerome
Bruner2 (1990, 1996).
Nel corso dei suoi studi egli è giunto a definire quelle che ritiene essere le caratteristiche fondanti
del testo narrativo. Oltre che di sequenzialità l‟autore parla di opacità referenziale.
L‟idea di base è che la storia non debba essere necessariamente vera, ma verosimile e che non si
debba tenere conto nell‟analisi della sua coerenza e credibilità della corrispondenza tra ciò che è
raccontato e la realtà.
Inoltre i racconti sono guidati dal principio dell‟intenzionalità: i personaggi sono sempre descritti
nelle loro dimensioni psichiche e manifestano atteggiamenti, opinioni e intenzioni. Per questo
motivo per la comprensione delle storie è richiesta la capacità di cogliere gli stati mentali altrui.
La narrazione, poi, prevede sempre la rottura della canonicità a causa di eventi inattesi e una serie
di sforzi per ripristinare l‟originale stabilità.
Infine una storia non può essere “priva di voce”, ma porta sempre con sé la prospettiva del
narratore. Ciò che caratterizza la narrazione, inoltre, è la dialettica che si crea tra due piani
fondamentali: quello della realtà o mondo esterno, e quello della coscienza o mondo interno.
1
Narrarare fr. narrer : lat. NARRÀRE contratto dell’antiquato GNARIGÀRE (come Purgàre = lat.purigare) che
trova suo fondamento nella sua rad. GNÀ- conoscere, rendere noto, onde il sscr. gnânam cognizione, caduta la G come
nel lat. nòscere=gnòscere (v. Conoscere); e IGÀRE per ÀGERE fare, che indica azione. Far conoscere raccontando .
2
Psicologo statunitense che ha contribuito allo sviluppo della psicologia cognitiva e la psicologia culturale nel
campo della psicologia dell’educazione.
Bruner (1990) parla di due diversi scenari: lo scenario dell’azione e quello della coscienza.
Mentre il primo riguarda ciò che accade e a chi,lo scenario della coscienza riguarda ciò che i
personaggi e il narratore pensano, provano, percepiscono.
“Attraverso la narrazione, intesa come contesto privilegiato di rielaborazione di dati e
informazioni, è possibile attivare veri e proprio processi di costruzione di nuova conoscenza e
apprendimento. Ciò attiverebbe la capacità di mettere in relazione gli stati interiori con la realtà
esterna, di ricollegare il passato con il presente in un’ottica di proiezione nel futuro e, infine, di
rendere possibile la percezione degli individui come soggettività dotate di scopi, valori e legami. ”3
La narrazione, o storytelling, è considerata uno dei meccanismi più interessanti non solo come
strumento di rielaborazione cognitiva dei contenuti, valori, pratiche culturali, ma anche come
dispositivo per socializzare la conoscenza, condividerla e rielaborarla collettivamente.
Attraverso racconti, piccoli miti e “storielle”, infatti, sia nelle piccole imprese sia nella grandi
organizzazioni, circola gran parte dei saperi, formali ed informali, delle istituzioni (Salmon, 2007).
Essa è da tempo oggetto sconfinato di studi da parte di diverse discipline: ha svolto un ruolo
centrale nella riflessione filosofico - semiologica (Barthes, 1973; Greimas, 1983; Eco, 1979); gli
psicologi ne hanno indagato le potenzialità come strumento cognitivo e mnemonico (Bruner, 1986);
in ambito più specificamente sociologico è stato esplorato il ruolo delle storie nel collocare
socialmente i frame dell‟esperienza individuale (Bateson, 1979); altre scuole si sono soffermate
nello specifico sulle storie mediali, evidenziando il ruolo della fiction televisiva nel raccontare, ma
soprattutto nel modellare, la realtà (Gerbner, 1985)
Sul fronte pedagogico, lo storytelling è stato interpretato come strumento essenziale nei processi di
riflessività, e la sperimentazione di metodologie narrative è da tempo impiegata sia nell‟educazione
dell‟infanzia, sia nei processi di lifelong learning, cioè in tutte le attività intraprese nel corso della
vita, con lo scopo di migliorare conoscenze, abilità e competenze, in una prospettiva personale,
civica, sociale e lavorativa.
La narrazione è stata indagata per il suo potere emozionale, utile a costruire una rete di valori,
sottostanti ai fatti, che progressivamente alimentano l‟ossatura identitaria ed emozionale
dell‟individuo, riuscendo a veicolare un insieme di credo e valori professionali, politici e identitari
spesso più forti di quelli basati sulla razionalità (Salmon, 2007).
Narrare con emozione sta a significare che raccontiamo esperienze soggettive con elevata intensità,
3
C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore,
2009
cit. p.25
di breve durata, caratterizzata da un basso controllo sul comportamento e da immediatezza.
Le emozioni determinano modificazioni nella fisiologia (cardiaco o del ritmo come ad esempio
aumento del battito cardiaco o del ritmo respiratorio).
Oggi, si tende a valutare in una persona oltre il suo Q.I. intellettivo anche il suo Q.I. emozionale o
"intelligenza emotiva". Entrambe le intelligenze (razionale ed emotiva) hanno pari importanza e
sono necessarie per la nostra vita. Tuttavia per molti secoli si è erroneamente ritenuto che l'unica
intelligenza "vera" fosse quella razionale.
Tra narrazione ed emozione deve costruirsi un giusto equilibrio: conoscendo le proprie (ed altrui)
emozioni si racconteranno storie di vita con una capacità comunicativa molto efficace e passionale.
Quindi possiamo dire che quando si parla di intelligenza, non si tiene solo conto delle abilità
cognitive ma anche delle abilità nell'esprimere il vissuto emozionale.
Il concetto di intelligenza emotiva venne formulato per la prima volta da Daniel Goleman in
"Intelligenza emotiva" (Emotional Intelligence) del 1995 che la definisce come un "modo
particolarmente efficace di trattare se stessi e gli altri".
Raccontare con emozione indica l'insieme delle capacità che una persona possiede e che gli
consente di relazionarsi efficacemente all'interno di un gruppo.
L'intelligenza emotiva consente di governare le emozioni e di guidarle nelle direzioni più
vantaggiose: in tal modo si potrà migliorare la nostra capacità di percepire e comprendere le nostre
emozioni e quelle altrui, imparare sia a verbalizzare le nostre emozioni che ad esprimerle attraverso
diversi canali comunicativi (espressione del volto, gesti,) e oggi anche attraverso la comunicazione
mediatizzata.
La comunicazione sappiamo che ha tre modalità in relazione all‟ambiente; abbiamo la
comunicazione formale, informale e non formale: significa sia il quotidiano parlare con le persone,
sia pubblicità, pubbliche relazioni, mezzi d‟informazione, istituzioni.
L‟innovazione prodotta dalla comunicazione digitalizzata delinea ambienti formativi tecnologici e
anche le modalità comunicative vanno rapportate alla nuova situazione, studiando le possibili
originalità o comunque potenzialità delle variabili percettive, cognitive e psicodinamiche.
Da oltre dieci anni si effettuano studi di ricerca sulle tecnologie della comunicazione educativa.
Con la progettazione – produzione - sperimentazione di prototipi multimediali ci siamo trovati in
ambienti ipertestuali, poi ipermediali ed infine la rete comunicativa come pratica della libera scelta
dove gli interlocutori sociali sono allo stesso tempo produttori e consumatori di conoscenze e di
emozioni. E “non ha senso stare in rete se non è una rete di emozioni”.
È bene ricordare che se per l‟antico oratore romano la comunicazione orale permetteva una perfetta