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Introduzione
Ho scelto l’argomento della mia tesi partendo dal presupposto che spesso la
storia di un Paese è frutto della sua collocazione geografica e geopolitica, delle
risorse naturali di cui è ricco (o povero), del suo passato e della classe dirigente di
cui ha saputo dotarsi. Nel caso del Congo, mi pareva che ci fossero forti elementi di
continuità nelle cause delle due crisi che hanno determinato i due successivi
interventi delle Nazioni Unite, quello del 1960 e quello del 1992, al punto che li si
potrebbe considerare frutto di un’unica crisi, risalente alla genesi stessa di questo
sfortunato Paese.
Oltre a questo, le cause che hanno determinato l’intervento dell’ONU mi sono
parse importanti anche per discutere gli effetti del medesimo. Essendo a tutt’oggi la
più grande missione di pace mai allestita dalle Nazioni Unite, la MONUC (vale a
dire la seconda in ordine di tempo delle due missioni da me prese in
considerazione) rappresenta infatti la cartina di tornasole di una politica di
intervento internazionale, dei suoi aspetti positivi e di quelli negativi. Li ho dunque
inclusi nella trattazione, poiché fosse possibile chiarire quali effetti si sono
accompagnati a determinate cause.
La prima difficoltà che ho incontrato nello sviluppo della tesi è costituita dalla
limitatezza e dalla povertà delle fonti disponibili in lingua italiana. Se avessi
dovuto avvalermi solo di quelle, probabilmente non avrei nemmeno potuto portare
a termine il mio compito, se non in forma del tutto insufficiente. Ho dovuto dunque
fare riferimento a fonti in lingua inglese e francese, e, tra queste, più ad articoli,
saggi e documentazione facilmente reperibile via Internet che non a monografie
vere e proprie. Non che la produzione bibliografica manchi – sia chiaro – ma il
problema che ne rende solo parzialmente utile l’utilizzo è che la MONUC è una
missione ancora in corso, dunque un work in progress che deve essere seguito
facendo riferimento ad aggiornamenti continui (non a caso, sono presenti nel testo
riferimenti bibliografici addirittura del novembre 2009), altrimenti si corre il
rischio di perdere di vista l’attualità, che è molto importante per la comprensione di
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una missione come questa. La stessa cosa si può dire per quanto concerne la
documentazione ufficiale, poiché il sito della missione offre la possibilità di
accedere, praticamente in tempo reale, a documenti recentissimi.
La costruzione vera e propria della tesi, infine, non ha potuto non tenere conto
dei due punti testé citati. Ho deciso quindi di predisporre un indice che fosse a tutti
gli effetti parallelo, in modo da seguire entrambe le missioni con il medesimo tipo
di approccio, ciò che ne consente di evidenziare conformità e difformità. Dunque
dapprima l’analisi delle cause storiche, poi di quelle socio-economiche e poi la
focalizzazione ravvicinata delle due missioni e delle problematiche da esse
evidenziate, facendo riferimento, per enuclearle, a tutta la documentazione
disponibile.
Il lavoro è completato da una conclusione, in cui si tirano le somme del
problema affrontato e delle valutazioni che è possibile esprimere in merito, e da
una bibliografia in cui sono raccolte tutte le fonti – a stampa e via Internet – che è
parso opportuno consultare.
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Capitolo 1
Il primo intervento ONU in Congo
1.1 Cause storico-politiche
La Repubblica democratica del Congo è il terzo Paese più grande dell'Africa
per estensione dopo Algeria e Sudan. Multietnica1 e multi linguistica, è una terra
ricca di materie prime e materiali pregiati, che hanno attirato sin dalla metà del
1400 le popolazioni europee.
Il primo esploratore europeo, il portoghese Diogo Cao, arrivato per primo nel
1482 circa, favorì il successivo accesso nel Paese di alcuni missionari francescani.
Questi, iniziando un processo di cristianizzazione, si affrettarono anche a stringere
rapporti commerciali per sfruttare le risorse di legname, rame, avorio e schiavi, il
cui commercio venne intensificato considerevolmente in quest’epoca.
L’area congolese è stata oggetto di dominazione europea a partire dal XIX
secolo, vale a dire dal momento delle esplorazioni effettuate dal britannico Henry
Morton Stanley, che percorse il fiume Congo tra il 1874 e il 1877.
Fu la Conferenza di Berlino, svoltasi tra il 1884 e il 1885, a dare legittimità
all'occupazione europea sui territori africani, dal momento che l’approccio scelto
dalle potenze partecipanti fu quello di considerare l'Africa res nullius. Tra le
numerose nazioni europee a nutrire mire espansionistiche sul Congo, fu il Belgio,
guidato dal monarca Leopoldo II, ad avere la meglio, imponendo la sua presenza in
quel territorio per i successivi 75 anni.
Se lo scopo formale e dichiarato dell'occupazione era quello di condurre i
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La Repubblica Democratica del Congo è oggi formata da circa 250 etnie, ma quella dominante
per consistenza quantitativa è l’etnia Bantu, che raggruppa circa l’80% della popolazione. Si parlano
più di 221 lingue, che possono essere raggruppate nei termini che seguono: lingue locali, parlate nei
villaggi; lingue nazionali, utilizzati dagli strati sociali più istruiti e parlati nelle istituzioni; e la
lingua ufficiale, che è il francese.
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congolesi “verso la civiltà”, tutto si ridusse in realtà allo sfruttamento esasperato
delle ricchezze del territorio e all'instaurazione di un regime di terrore, che portò
all'uccisione di molte persone e alla violazione dei più elementari diritti umani. Il
clamore suscitato dal regime di terrore imposto da Leopoldo II lo costrinse a
cedere, nel 1908, il controllo sulla colonia (che fino a quel momento era stata un
semplice possedimento della corona, denominato Stato Libero del Congo) al
governo belga. Questa decisione segnò la nascita del Congo Belga2.
Questo passaggio di poteri non modificò sostanzialmente la situazione, dal
momento che perdurò immutata la politica di dominazione oppressiva nei confronti
della popolazione locale. Il governo belga sfruttò senza alcuno scrupolo l'estrazione
ed il commercio di rame e diamanti, utilizzando a proprio vantaggio la manodopera
congolese, costretta dagli occupanti a vivere in una condizione di totale
emarginazione, privata di qualsiasi possibilità di istruirsi e quindi, in prospettiva, di
riuscire ad emanciparsi. La situazione cambiò improvvisamente negli anni
Cinquanta. Il governo belga decise infatti di sganciarsi il più rapidamente possibile
da quel territorio, per evitare i pericoli connessi alla crescita delle rivendicazioni
indipendentiste, che stavano trovando potente alimento nei successi conseguiti in
Algeria dal movimento di liberazione nazionale contro la dominazione francese. Le
autorità di Bruxelles ritenevano infatti che un piccolo Paese come il Belgio non
avrebbe potuto in alcun modo profondere le energie e le risorse umane e materiali
che la Francia stava spendendo nel tentativo di salvaguardare il proprio impero
coloniale, pena il rischio di incorrere nella più totale rovina.
In Congo le spinte autonomiste trovarono il loro fondamento nella élite
indigena locale, la quale, sulla base dei rapporti di solidarietà etnica e delle
relazioni nate nei centri di formazione culturale (scuole, in particolare quelle
cristiane; università, etc.), diede vita ad organizzazioni politiche che si
trasformarono in breve in veri e propri movimenti indipendentisti.3. Nelle città si
formarono, invece, i Cercles, associazioni nate per favorire il dialogo e l’incontro
2
Cfr Rognoni, Maria Stella, Scacchiera congolese:materie prime,decolonizzazione e guerra fredda
nell’Africa dei primi anni sessanta, Polistampa, Firenze, 2003, pp 19-28.
3
Cfr. “Wiki: Congo Crisis”, in http://Wapedia.mobi/en/Congo_Crisis. Uno dei più grandi
movimenti etnici fu l’Association des bakongo (ABAKO), che promuoveva gli interessi, le
tradizioni e la lingua del gruppo etnico bakongo, aspirando all’indipendenza e al federalismo.
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tra tutte le persone istruite presenti nel Paese, allo scopo di migliorare l’assetto
politico, socio-economico del Congo. In questo ambiente iniziarono a sorgere veri
e propri movimenti indipendentisti, come quello che Patrice Lumumba e Cyrille
Adoula fondarono nel 1958: il Mouvement National Congolais (MNC), che verrà
in seguito diviso in due (l’MNC-L, guidato dallo stesso Lumumba, e l’MNC-K,
guidato da Albert Kalonji nel Kasai).
Inoltre fin dai primi anni Cinquanta il Belgio4 avvertiva su di sé la pressione
delle grandi potenze mondiali, che iniziavano ad intromettersi nella politica locale,
a parole per garantire alla popolazione congolese i suoi diritti violati, nei fatti per
mettere le mani su un territorio che faceva gola a tutti per le enormi ricchezze che
possedeva. Proprio in quegli anni, del resto, il Belgio aveva ratificato l’articolo 73
della Carta delle Nazioni Unite, che affermava il principio dell’autodeterminazione
dei popoli. Il nocciolo della questione risiedeva ovviamente nel modo con cui tale
nobile principio avrebbe dovuto trovare applicazione sul piano pratico. Al riguardo,
si fronteggiavano opinioni divergenti: alcuni, all’interno della classe dirigente
belga, erano favorevoli alla realizzazione di un piano trentennale con il quale le
autorità di Bruxelles avrebbero aiutato il popolo congolese ad ottenere
l’indipendenza principalmente migliorandone il livello complessivo di istruzione.
Ricorrendo ad un’incessante attività di formazione, sarebbe stato possibile dare vita
ad una classe dirigente locale, che avrebbe appreso in tal modo le tecniche
necessarie per gestire l’economia e governare lo Stato. Questo piano venne esposto
per la prima volta nello studio Thirty Year Plan for the Political Emancipation of
Belgian Africa, che il professore A. J. van Bilsen pubblicò nel 19555. Per ragioni
diverse, lo stesso governo belga e parte dell’intellighenzia congolese dimostrarono
una notevole diffidenza nei confronti del piano: il primo temeva di perdere il
4
Cfr. S. ROMANO, “Come i belgi perdettero il Congo e Lumumba la vita”, in
http://archiviostorico.corriere.it/, 2007. “All' origine della vicenda congolese vi era la convinzione,
molto diffusa nelle democrazie occidentali, che il clima politico del mondo, in epoca di Guerra
fredda, non permettesse alle potenze coloniali europee di conservare il dominio diretto dei territori
conquistati. Dopo il fallimento della spedizione anglo-francese a Suez nel 1956, la Gran Bretagna
decise che l' unica strada percorribile fosse quella della indipendenza, e il Belgio si adeguò alla linea
di Londra. Ma chi accettò di rinunciare al dominio coloniale lo fece nella speranza di conservare
con la sua vecchia colonia un rapporto speciale e di avere un accesso privilegiato alle sue risorse
naturali”.
5
Cfr. C. GIGLIO, R. OLIVER, A. ATMORE, L’Africa, UTET, Torino, 1980, p. 567.