II
Introduzione
E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece
scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui
che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi
del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma
guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! (Matteo 18:5-7).
Il mio interesse nei confronti di un argomento così scabroso e deprimente, quale è il
maltrattamento o l’abuso sui minori, non proviene da una semplice curiosità di
comprendere quello che avviene e di sapere quello che è necessario fare per
fronteggiare professionalmente queste situazioni. E’ molto più profondo.
Il mio personale punto di partenza è dato dalla mia condizione di “madre” prima ancora
di quella di assistente sociale quale mi accingo a diventare.
L’indicibile e incommensurabile dolore che una madre può provare nell’assistere alla
sofferenza o alla morte del proprio figlio, è diventata per me la misura attraverso cui
indagare e comprendere (quando possibile), il perché di tanta malvagità e crudeltà agita
sia all’interno delle famiglie che al di fuori, nei confronti di esseri umani inermi che non
chiedono altro che essere amati e protetti.
L’immagine del pianto inconsolabile di una madre che perde il figlio, si scontra nella
mente e nella coscienza di ciascuno con quella di un genitore che invece gli fa del male.
Non viene accettata, viene rigettata violentemente, non viene compresa, non può avere
senso.
Approfondire queste scottanti tematiche, mi ha dato modo di osservare che esiste una
forte discrasia nel modo di concepire l’infanzia: è come se esistessero due distinte
categorie di bambini: “il bambino ideale” e “il bambino reale”.
III
Da una parte, infatti, sappiamo che le grandi organizzazioni internazionali quali l’ONU,
l’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite dell’infanzia, dedicano la loro attenzione al
mondo infantile, esortando un sempre maggior impegno socio-educativo per la
costruzione di una nuova etica per l’infanzia. Secondo tale etica il bambino dovrebbe
nascere in famiglia, in una condizione di benessere, poter essere libero di pensare, di
esprimersi e di scegliere la professione di fede, poter disporre di tutti i supporti (fisici,
pedagogici, economici) necessari per il suo sviluppo, dovrebbe essere protetto dallo
sfruttamento, dalla violenza, in una sola parola tutelato nel suo percorso e nelle sue
esigenze di crescita umana.
L’immagine prospettata è quella di un “bambino ideale”, sempre più educato, coinvolto,
istruito, sempre più osservato nel suo sviluppo psico- fisico, in una società, così
apparentemente piena di premure e attenzioni verso i più piccoli, con gli adulti sempre
pronti ad esaudire le richieste dei propri figli. In una società in cui, la diminuzione del
numero di nascite e, di conseguenza di bambini, determina una ancor più forte
consapevolezza e responsabilità nel metterli al mondo; in un mondo in cui tutto sembra
esser fatto su misura per loro, in cui gli stessi giocattoli sono sempre più perfezionati e
istruttivi, in cui sempre più si presta attenzione alle precocizzazioni degli apprendimenti
infantili, in cui è forte l’attenzione verso le peculiarità del bambino, l’ansia di
normalizzarlo, di socializzarlo e di fare tutto “per il suo bene”.
Ma accanto a questo bambino ideale, c’è l’infanzia ferita, maltrattata, abusata, sfruttata
sessualmente, uccisa.
Il “bambino reale”, balza drammaticamente nelle cronache giornaliere che ci
dimostrano, puntualmente, l’immane e smisurata crudeltà di cui sono capaci genitori,
insegnanti, parenti o adulti in generale, i quali dovrebbero, invece, prendersene cura.
IV
I mezzi di informazione si occupano sempre più di questi problemi, in quanto negli
ultimi anni l’incidenza dei casi di abusi fisici e di maltrattamenti accertati, è in continuo
aumento; in Italia come altrove, anche se è difficile dire se questo fenomeno rifletta un
effettivo peggioramento della condizione umana nelle famiglie, o solo un aumento
statistico delle segnalazioni (e dunque solo maggiore consapevolezza sociale), o
entrambe le possibilità. I maltrattamenti all’infanzia, infatti, sono sempre esistiti ma,
negli ultimi anni, si sta certamente sviluppando una diversa consapevolezza e,
soprattutto, il bambino viene osservato in un’ottica più ampia che non prende in
considerazione esclusivamente il concetto di maltrattamento fisico o sessuale, ma si
estende anche alla trascuratezza e agli abusi psicologici.
Sul tema dei maltrattamenti e degli abusi sessuali nei confronti dei piccoli c’è grande
attenzione di pubblico, associazioni, istituzioni e, soprattutto, dei media, essendo un
aspetto della nostra realtà tutt’altro che raro.
Il fenomeno, in gran parte sommerso e celato sotto pesanti coltri di bugie e perbenismo
apparente, coinvolge contesti territoriali e culturali di ogni genere e vede le sue origini
perdersi fin nella notte dei tempi. Siamo di fronte ad una problematica che coinvolge
persone provenienti da qualsiasi ceto sociale, che si consuma all’interno delle mura
domestiche ancor più che fuori, che vede come aggressori sia giovani che anziani, tanto
delinquenti e sbandati, quanto insospettabili cittadini modello. Eppure, ancora oggi,
erroneamente permane pressoché incontrastato lo stereotipo che vede nello straniero,
nel criminale, nella persona culturalmente e socialmente debole, l’unico possibile autore
di reato. Spesso il minore, vittima di violenza, è troppo piccolo per tradurre in parole
l'accaduto. Altre volte è costretto dall'abusante stesso a mantenere segreto l'accaduto o,
ancora, si chiude nel silenzio più profondo perché si sente colpevole per l'accaduto.
V
Inoltre, nella rivelazione dell’abuso, il bambino è potenzialmente esposto all'incredulità
dell'adulto, al timore di incorrere nel biasimo e nell'accusa del genitore il cui atto viene
denunciato. In effetti, il bambino o l'adolescente deve fare uno sforzo molto intenso per
vincere la più naturale tendenza a non raccontare un’esperienza di cui si vergogna e di
cui si sente in parte responsabile, al di là di ogni elemento reale e fondato. Si tratta, così,
di saper accogliere le parole del minore garantendogli il massimo spazio d'ascolto e
protezione possibili.
Il lavoro che viene qui presentato ha lo scopo di esplorare il fenomeno mettendone in
luce gli aspetti critici e di problematicità che per molto tempo hanno contribuito a
mantenere sotto silenzio le vessazioni e le violenze compiute contro e a danno dei
bambini e dei minori in genere.
Nel primo capitolo, “Fenomeno del maltrattamento e abuso sui minori” viene
descritta l’evoluzione del fenomeno in un breve excursus storico, al fine di indagare e
far luce sul processo che ha portato all’attuale definizione di maltrattamento e di abuso,
e vengono individuate e classificate le diverse tipologie attraverso cui si manifesta.
Infine, vengono riportate le stime a livello mondiale, europeo e nazionale, delle quali è
proposta una lettura critica in ragione delle disomogeneità e delle incongruenze con cui
vengono reperite le informazioni ed effettuate le ricerche.
Nel secondo capitolo “Famiglia maltrattante e valutazione del rischio”, vengono
delineate le caratteristiche della famiglia maltrattante e abusante nella misura in cui esse
possano servire ad individuare le cause, i significati, le origini e le modalità con cui si
esplicano tali reati a danno dei minori. Vengono dettagliatamente elencati gli indicatori
e i fattori di rischio, sia genitoriali che individuali del bambino, e vengono delineate le
conseguenze fisiche e psicologiche che nel breve e lungo termine, tali abusi o
maltrattamenti producono sulle giovani vittime.
VI
Infine, il secondo capitolo, mostra l’incapacità da parte dell’operatore di formulare
un’ipotesi di maltrattamento o abuso, che comporta la negazione aprioristica
dell’evento. Tutto ciò in ragione dell’ “Impensabilità” dell’evento.
Nel terzo capitolo “Il reato di maltrattamento e abuso” viene focalizzata l’attenzione
sugli aspetti prettamente giuridici: il minore, che per la sua particolare condizione è
sempre stato esclusivamente oggetto di tutela e protezione, diventa finalmente un
soggetto pienamente titolare dei suoi diritti. Tutto questo viene descritto attraverso un
excursus storico giuridico che parte dalle più importanti Convenzioni Internazionali fino
a giungere all’ordinamento interno e alla Costituzione Italiana. Dopo aver descritto
come il minore viene tutelato nel nostro diritto penale, si passa ad una più approfondita
analisi del reato di “maltrattamento” e ad un esame della legge sulla violenza sessuale:
legge n.66 del 15 febbraio 1996 che ha novellato i reati contro la libertà sessuale,
inserendoli tra quelli contro la persona e abrogando le precedenti fattispecie inserite tra i
reati contro la moralità pubblica e il buon costume. Infine sono descritte le sanzioni
civili e penali comminate per i reati contro i minori.
Nell’ultimo capitolo “Il ruolo dei servizi sociali, dalla rilevazione, alla definizione di
un progetto d’intervento” si descrive il processo d’intervento nell’ambito del quale
partecipano differenti figure professionali, ma dove, tra tutte, emerge in modo
preminente quella dell’assistente sociale, investita del mandato istituzionale permanente
di protezione all’infanzia. Viene descritto il processo d’intervento in tutte le sue fasi:
rilevamento, segnalazione, diagnosi e trattamento, ponendo un’attenzione particolare
alla “presa in carico” dell’assistente sociale che consiste in un percorso finalizzato a
definire e programmare un processo di aiuto. Infine viene esaminato lo strumento
dell’”affido familiare” come rimedio di carattere temporaneo posto a tutela di un minore
che venga a trovarsi in una situazione particolare.
1
Capitolo I
Fenomeno del maltrattamento e abuso sui minori
Precedenti storici dell’abuso all’infanzia
Nella storia dell’umanità, il bambino è sempre stato esposto alle minacce provenienti
dal mondo degli adulti in quanto soggetto fragile e incapace di difendersi.
I maltrattamenti, le violenze, l’abbandono dei minori, il sacrificio o l’infanticidio, non
sono fenomeni emersi in questa epoca, ma si ritrovano in ogni contesto storico e
culturale. Il problema, si può dire, è vecchio quanto il mondo, ma è solo negli ultimi
anni che ha assunto un’importanza sempre maggiore divenendo un argomento di grande
attualità poiché sempre più si è presa coscienza della necessità e del dovere di tutelare
tali soggetti. Ciò che evidentemente sta cambiando è la sensibilizzazione e l’attenzione
della società attuale verso i problemi dell’infanzia in relazione allo sviluppo della
cultura dei diritti umani, in generale, e dei bambini in particolare.
Anticamente la società non era particolarmente sensibile al tema del maltrattamento dei
minori. Pratica religiosa corrente, infatti, era quella di sacrificare bambini e neonati agli
dei per propiziarsi la loro benevolenza. Dall’antica Grecia alla Cina, l’uccisione di
bambini deformi o non desiderati era comunemente rito accettato e praticato; nell’antica
Roma l’ordinamento giuridico attribuiva al pater familias il diritto di vita o di morte sui
propri figli. La condizione di sottomissione propria dei minori della famiglia patriarcale,
si basava sulla radicata convinzione che i bambini fossero “res” di proprietà dei
genitori1.
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(1)“Gli abusi all’infanzia” Francesco Montecchi, Carocci 2000
2
Per tal ragione, si riteneva naturale che, gli stessi genitori avessero pieno diritto di
trattare i propri figli come ritenevano più opportuno, e conseguentemente che essendo
responsabili dei figli, un trattamento più severo, quale una punizione fisica, fosse
giustificato dalla convinzione che potesse essere necessario per educare il minore alla
disciplina, trasmettere le buone maniere e correggere le cattive inclinazioni.
Nel Medioevo, invece, era normale l’allontanamento dalla famiglia in età assai precoce
(verso i sette anni) perché ad occuparsi dell’educazione dei minori erano istituzioni al di
fuori della stessa. Nella scuola, oltre che in famiglia, le pesanti punizioni corporali
costituivano lo strumento pedagogico più utilizzato. In tempi ormai risalenti, persino nei
paesi cristiani, i bambini venivano frustati il giorno della festa degli Innocenti per
ricordare loro il massacro degli Innocenti sotto Erode.
Bisognerà attendere il Quattrocento e Cinquecento per vedere i primi segnali di un
flebile interessamento al bambino inteso come “soggetto” bisognoso di cure e non più
come figura precaria. Questo non vuol dire che le condizioni di vita dei bambini fossero
facili, anzi. Dal momento della nascita fino ai 6-7 anni, le possibilità che il minore
avesse una vita sana erano ridotte, in quanto era minacciato da malattie, invalidità,
miseria, e a volte anche dal tragico episodio della perdita della madre. Spesso la
famiglia non era in grado di allevare i figli; ignoranza delle più elementari norme
igienico - alimentari, povertà, instabilità delle condizioni di vita, infermità o deformità,
erano di ostacolo alla prestazione delle cure necessarie alla sopravvivenza e alla crescita
dell’infante. E’ difficile quantificare la mortalità infantile nel corso dei secoli, perché le
notazioni dei registri parrocchiali, le uniche cui far riferimento, risultano
approssimative2;
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(2)“Il bambino tradito” Aburrà, Boscarolo, Gaeta, Gogliani. Carocci
3
Quando iniziamo ad avere dei dati, però, (anche se sottostimati), sono impressionanti:
nella Francia rurale della fine del 1600, ad esempio, la mortalità nel primo anno di vita è
del 350 per mille, da uno a quattro anni del 261 per mille; all’età di dieci anni
sopravvive meno di un bambino su dieci. E ancor più sorprendono, tali dati, poiché
fanno riferimento agli infanti borghesi e aristocratici, i quali, sin dalla prima infanzia,
venivano affidati alle cure di una domestica, la governante nelle famiglie aristocratiche.
Per le infanzie popolari, disponiamo solo di indizi indiretti. Su queste gravava la
precarietà delle condizioni economiche: alloggi minuscoli e sovraffollati, forzati
traslochi quando mancava il lavoro e si accumulavano debiti, rischio costante della
morte dei genitori, per lavoro o per parto, che comportava una sempre nuova
ricomposizione del focolare domestico, con una matrigna o patrigno o coi nonni3 .
A partire dal XVII secolo in tutte le classi sociali si diffuse l’abitudine al “baliatico”, già
da moltissimo tempo presente presso le famiglie aristocratiche, che consisteva
nell’affidare i neonati a una nutrice che si occupava di loro nei primi anni di vita. Ciò
significava molto spesso denutrizione, carenze igieniche, abbandono ed, infatti, la
mortalità dei piccoli affidati a balia risultava doppia rispetto a quella dei bambini
allevati in famiglia. Fino al XVII il bambino veniva concepito come un corpo passivo e
malleabile, sottoponibile ad ogni forma di manipolazione fisica e psicologica. I
bambini, molto spesso, vivevano in ospizi, quando la famiglia non poteva allevarli o
quando erano figli illegittimi4.
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(3)“Il bambino tradito” Aburrà, Boscarolo, Gaeta, Gogliani. Carocci
(4)“Gli abusi all’infanzia” Francesco Montecchi, Carocci 2000
4
L’abbandono è, infatti, un fenomeno molto antico. Solitamente venivano abbandonati in
luoghi in cui erano destinati a morte sicura, o in luoghi dove potevano essere trovati ed
accolti, per esempio sulla soglia delle chiese e dei monasteri, ma anche adottati da altre
famiglie, venduti e persino uccisi. La rivoluzione industriale non migliorò le condizioni
dell’infanzia, ma anzi, lo sfruttamento su larga scala del lavoro minorile, portò a un
aumento della morbilità e mortalità dei minori.
Nonostante la Costituzione del 1793 dopo la Rivoluzione francese avesse proclamato
che “il bambino non possiede che diritti”, la situazione dell’infanzia rimase difficile per
ancora un secolo. Lo sfruttamento dei minori continuò in Europa fino alla fine
dell’Ottocento quando venne instaurato l’obbligo scolastico.
Nel XIX secolo sorsero in Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati
dove questi vivevano in una condizione di grave disagio psichico e fisico. In queste
istituzioni assistenziali, cresceva un’infanzia separata e segnata socialmente. Ancora
oggi si sa pochissimo su questi bambini, non solo dal punto di vista delle conseguenze
psicologiche derivate dalla mancanza dell’affetto materno, ma anche della loro vita e
della loro crescita all’interno di tali istituzioni dove prevaleva una logica punitiva e una
disciplina dura. La gravità dei maltrattamenti subiti da questi bambini istituzionalizzati
è ricavabile dai registri di questi istituti, che evidenziano decessi per stenti, incuria e
maltrattamento fisico nella proporzione di uno ogni quattro ricoverati. Solo in seguito
alla denuncia di tale situazione, vi sarà una vera presa di coscienza e il maltrattamento
sarà considerato finalmente, un problema sociale5. Gli esperti di pedagogia, psicologia,
sociologia, prima, e di diritto, poi, cominceranno a porsi il problema dell’infanzia e dei
suoi bisogni, fino a giungere al punto di ritenere che i minori dovessero essere tutelati
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(5)“Il bambino tradito” Aburrà, Boscarolo, Gaeta, Gogliani. Carocci
5
non solo nell’ambito prettamente familiare, ma dalla società in sé considerata.
In quest’ottica nel 1925 venne approvata a Ginevra la Dichiarazione dei diritti del
fanciullo, in cui si stabiliva che: “Il fanciullo deve essere posto in condizione di
svilupparsi in maniera normale sia sul piano fisico che spirituale, che i bambini hanno
il diritto di essere nutriti, curati, soccorsi e protetti da ogni forma di sfruttamento”.
Nella metà del XX secolo, anche gli esperti della scienza medica hanno iniziato ad
interessarsi seriamente e coscientemente al problema dell’abuso all’infanzia; sono
comparse, infatti, nella letteratura scientifica le prime descrizioni di bambini picchiati.
Determinante sarà il contributo di Kempe e Silverman (1962) che parleranno di
“sindrome del bambino battuto” precisando gli elementi clinici e radiologici utili alla
diagnosi. Essi si soffermano sull’importanza dell’inchiesta con i genitori, che sembrano
avere una totale amnesia dell’episodio che li ha portati ad aggredire il proprio figlio6.
Altro passo importante verso la tutela dei minori è quello compiuto nel 1959
dall’Assemblea dell’Onu con l’emanazione della carta dei diritti del fanciullo, nella
quale veniva riconosciuto il diritto alla nascita, con cure adeguate alla madre e al
bambino nel periodo pre e post-natale; il diritto all’istruzione, al gioco e alle attività
ricreative; la protezione dalle discriminazioni razziali o religiose e il poter vivere in un
clima di comprensione e tolleranza.
Nel 1964 un altro autore, Fontana, che si è lungamente occupato del fenomeno, estese il
concetto di maltrattamento alle condizioni di malnutrizione, di mancanza di cure
familiari e al maltrattamento psicologico.
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(6)“Il bambino tradito” Aburrà, Boscarolo, Gaeta, Gogliani. Carocci
6
Egli vide nel maltrattamento solo la punta emergente del fenomeno dell’abuso,
ipotizzando che un bambino vittima di violenza potesse anche non presentare alcun
segno di trauma fisico evidente.
Determinanti saranno i contributi successivi di Kempe per approfondire l’inquietante
fenomeno, il quale, nel 1976 ritenne preferibile abbandonare la dizione di “battered
child” e cambiarla con “child abuse and neglet” che esprime meglio gli aspetti del
maltrattamento in tutta la loro estensione.
Nel 1990 il Consiglio d’Europa espresse, inoltre, la necessità di misure preventive a
sostegno delle famiglie in difficoltà e misure specifiche di informazione, di
individuazione delle violenze, di aiuto e terapia a tutta la famiglia e di coordinamento
tra i vari servizi7.
Sembra evidente che, citando le parole di Lloyd de Mause: “La storia dell’infanzia è un
incubo dal quale abbiamo cominciato a liberarci solo di recente”. Quanto più
regrediamo nella storia, tanto più vediamo che il livello di cure dato ai bambini è basso
e tanto più aumenta il rischio di essere uccisi, battuti, terrorizzati e essere oggetto di
abusi sessuali”(1983).
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(7)“Gli abusi all’infanzia” Francesco Montecchi, Carocci 2000
7
Rilevanza del fenomeno in Italia
L’Italia arriva ad affrontare i dolorosissimi aspetti del maltrattamento fisico e dell’abuso
psicologico e sessuale dell’infanzia con ritardo rispetto ad altri paesi.
Il primo contributo, comparso in letteratura, che denunciava l’esistenza del fenomeno
maltrattamento, risale al 1962. Queste prime ricerche venivano guardate con sospetto e
ironia e si tendeva normalmente a circoscrivere il problema dell’abuso e della violenza
sui bambini al mondo anglosassone, come se la nostra società ne fosse immune.
A partire dagli anni ottanta i mezzi di comunicazione hanno iniziato ad occuparsi
ampiamente di queste tematiche e più in generale della violenza intrafamiliare.
Le ragioni di questo ritardo significativo, in Italia, ma diffuso in tutti i paesi
mediterranei, sono molteplici e vanno dal peculiare ambiente in cui i fenomeni si
verificano, la famiglia, quale catalizzatore di conflitti che impedisce l’esteriorizzazione
delle dinamiche violente consumate nel suo interno, alla diffusa riluttanza ad ammettere
l’esistenza di un fenomeno riprovevole e imbarazzante.
E’ assai noto il fenomeno per cui nella maggior parte dei casi, le violenze commesse
nella dimensione intrafamiliare non venivano denunciate all’Autorità, né dalle vittime,
né dagli altri componenti il nucleo parentale, conseguentemente i dati ufficiali sono
scarsamente rappresentativi della reale incidenza del fenomeno. Il maltrattamento e
l’abuso dei minori, in particolare, presenta un numero oscuro ancora più elevato, poiché
la giovane età dei soggetti colpiti, solitamente, non consente una piena consapevolezza
della vittimizzazione subita, nel senso che i bambini non si percepiscono come abusati o
maltrattati; in aggiunta, le vittime spesso non sono pronte psicologicamente per
affrontare il percorso della denuncia;
8
l’età pre-verbale del minore e la condotta intimidatrice dei genitori, siano essi autori o
complici delle violenze commesse, impediscono un’efficace visibilità dei
maltrattamenti; esistono talvolta, patti di silenzio e di protezione tra adulti maltrattanti e
abusanti ed altri adulti, che sanno ma che non intervengono. Ancor più difficile risulta
poi accettare che si trovino bambini maltrattati non solo in seno a famiglie con cattive
condizioni socio-economiche, o con problemi di etilismo o patologie psichiatriche, ma
anche in famiglie le cui condizioni sociali, strutture coniugali, comportamenti esterni,
appaiono normali8.
Gli sforzi metodologici degli studiosi oggi in particolare, sono volti ad attenuare la
forbice esistente tra i casi denunciati alle autorità e la reale dimensione dell’abuso, tanto
è vero che al fine di superare l’esiguità dei dati disponibili, si cerca di utilizzare ogni
fonte diretta a fornire elementi utili per l’analisi specifica. Così che accanto alle
statistiche ufficiali fornite dagli organismi istituzionali, raccolte esclusivamente
dall’area giudiziaria, si rinvengono elementi quantitativi ricavati da indagini cliniche o
campionarie, sia statistiche che dinamiche, risultanti da un piccolo numero di casi
seguiti nel tempo, e da studi epidemiologici realizzati localmente, raccolti dai servizi
socio-assistenziali finalizzati alla conoscenza e all’approfondimento del fenomeno su
basi territoriali limitate.
Complessivamente i dati raccolti consentono di individuare alcune linee di tendenza.
Innanzitutto il fenomeno appare in tutte le fasce sociali, anche se permane una maggiore
visibilità delle famiglie che entrano in contatto con i servizi sociali dunque famiglie più
disagiate, emarginate socialmente cosiddette “a rischio” 9.
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(8)“Gli abusi all’infanzia” Francesco Montecchi, Carocci 2000
(9)“Rassegna Italiana di Criminologia” 2005.
9
E’ pur vero che ultimamente vi è stato un aumento delle denunce per maltrattamento,
per omissione di assistenza familiare e per abusi sessuali. Si è potuto rilevare che, in
genere gli abusanti sono maschi, mentre negli abusati si riscontra un abbassamento
dell’età.
Sono le bambine ad essere più frequentemente vittime di maltrattamenti e di abusi,
anche se dagli ultimi dati si rileva un incremento della casistica di abuso dei bambini.
Nel 1983 l’Italia venne collocata al quinto posto fra le nazioni con alte percentuali di
maltrattamento, nonostante le rilevazioni fossero frammentarie e talvolta
contraddittorie. Nel 1985 un’indagine del Ministero degli Interni stimava i casi di
maltrattamento in 10.000 annui, di cui 600 vittime di abusi sessuali. Nel 1987
l’Associazione per l’Età Evolutiva individuava 20.000 vittime di abuso sessuale.
Nel 1995 2268 casi di maltrattamento venivano denunciati alla Procura della
Repubblica, di cui quattro infanticidi, cinque incesti, 160 violenze carnali, 168 casi di
negligenza e 130 di sottrazione di minore. Sulla base del numero di infortuni dichiarati,
in Italia nel 1997 erano impiegati e sfruttati sul lavoro 300 mila minori.
L’associazione “ Telefono Azzurro”, nata nel 1987, ha registrato in dieci anni di attività
2.000.000 di telefonate provenienti da tutto il territorio nazionale. Nel 1995 vi sono
state 4.000 chiamate giornaliere, ma già nel 1996 erano 8.000 con una media di 4-5 casi
giornalieri10.
Il gruppo S.I.N.P.I.A., (Società Italiana di Neurologia e Psichiatria dell’Infanzia e
dell’Adolescenza), ha svolto una ricerca in campo medico-legale sugli abusi sessuali sui
minori tale da poter offrire un quadro dello stato attuale del problema.
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(10)“Il bambino tradito” Aburrà, Boscarolo, Gaeta, Gogliani. Carocci