V
INTRODUZIONE
Scopo del presente lavoro di Tesi è lo sviluppo e la caratterizzazione di un sistema di
rivelazione costituito da una lastra di scintillatore CsI(Tl) accresciuto in forma di
microaghi e da una CCD camera ad alta sensibilità. Tale rivelatore è stato sviluppato
per applicazioni nell’imaging diagnostico, impiegante fasci di raggi X quasi-
monocromatici.
Questo lavoro si inserisce in un progetto, in fase di sviluppo presso il Dipartimento
di Fisica dell’Università di Bologna, per la realizzazione del prototipo di una macchina
tomografica per piccoli animali, basata sulla produzione di due o tre fasci di raggi X
Quasi Monocromatici. L’obiettivo del progetto è quello di realizzare all’interno del
Dipartimento una facility di radiologia e tomografia avanzate, impieganti tecniche
innovative rivolte allo studio preclinico su piccoli animali delle patologie tumorali.
Tale facility, alla quale potranno accedere gruppi esterni di ricercatori, medici, fisici e
biologi, dovrà diventare un punto di riferimento interdisciplinare per lo studio di
tecniche diagnostiche radiologiche innovative.
Le tecniche di imaging radiologico multi-energy – che sono attualmente oggetto
della più avanzata ricerca nel settore della radiologia diagnostica – hanno la potenzialità
di fornire informazioni quantitative relativamente alla composizione chimico-fisica dei
tessuti in esame e consentono perciò di evidenziare il tessuto (patologico) di interesse
eliminando dall’immagine i tessuti (sani) che lo circondano.
Lo strumento verrà utilizzato per studiare in vivo l’applicabilità di tale tecnica
innovativa di imaging diagnostico su di una ampia casistica di tumori con il particolare
intento di osservare tessuti metastatici in fase molto precoce e lo sviluppo della neo-
angiogenesi. Il lavoro di ricerca sarà svolto in collaborazione con l’Istituto di
Cancerologia dell’Università di Bologna.
Durante le misure preliminari all’entrata in funzione del tomografo si è presentato il
problema di ottenere il miglior compromesso tra l’efficienza di rivelazione dei fasci di
Raggi X e la risoluzione spaziale nell’immagine. Tali parametri sono infatti in
competizione poiché l’aumento di spessore dello scintillatore comporta un
degradamento della risoluzione spaziale. Il lavoro si propone pertanto di studiare la
miglior geometria del sistema scintillatore-CCD al fine di minimizzare il problema
VI
ottenendo nel contempo la migliore qualità dell’immagine possibile. Al lavoro di
progettazione seguono lo sviluppo meccanico, ottico ed elettronico del sistema di
acquisizione delle immagini nonché la caratterizzazione sperimentale del rivelatore.
Infine occorre dare ragione delle misure ottenute utilizzando piccoli fantocci
appositamente studiati per ottenere immagini campione, mediante simulazioni
numeriche.
1.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEI RIVELATORI 1
Capitolo 1
RIVELATORI PER IMAGING
TOMOGRAFICO
1.1 – CARATTERISTICHE GENERALI DEI RIVELATORI
Nella fisica sperimentale i rivelatori servono per rivelare, tracciare e identificare
particelle, per determinare l’energia di un fascio di fotoni, o anche per acquisire lo
spettro d’emissione, per esempio, di una sorgente radioattiva.
Ogni rivelatore è specifico per il tipo di fenomeno che si vuole osservare, che dipende
dalla fisica che entra in gioco nel processo da osservare. Tuttavia nei loro principi
operazionali di base la maggior parte dei rivelatori per radiazione nucleare seguono
caratteristiche simili: la radiazione entra nel detector, interagisce con gli atomi del
materiale di cui è composto (perdendo parte o tutta la sua energia) e genera un effetto
che può essere l’impressione di una lastra fotografica, l’eccitamento di sostanze
luminescenti o la ionizzazione di gas, liquidi o cristalli. Questo ultimo effetto è quello
2 RIVELATORI PER IMAGING TOMOGRAFICO
che, con lo sviluppo delle tecnologie digitali, viene maggiormente utilizzato per la
costruzione di rivelatori ad alta precisione.
Il principio base su cui si fondano questi tipi di detector è il metodo di fotoconteggio in
cui il singolo impulso elettrico, prodotto da un quanto di radiazione, viene assorbito da
un trasduttore e contato, così che l’energia del fascio è registrata digitalmente come
conteggi nell’unità di tempo. La risposta del rivelatore e dell’elaboratore del segnale
deve essere quindi rapida, abbastanza da superare la velocità d’assorbimento dei fotoni
da parte del trasduttore.
Un rivelatore di fotoni X e ! deve essere in grado di svolgere una duplice funzione: deve
agire come un materiale assorbitore, in cui il fotone abbia una notevole probabilità di
interagire e quindi di rilasciare la propria energia, ed in oltre deve essere in grado di
rilevare i prodotti finali del complesso processo di cessione dell’energia, come per
esempio i fotoni di scintillazione nei cristalli scintillatori oppure come le coppie
elettrone-lacuna nei rivelatori a semiconduttore.[ Leo][ Knoll]
-Risposta del Rivelatore
E' il rapporto tra il segnale S prodotto dal rivelatore e la grandezza G in osservazione:
G
S
R =
(1.1-1)
Idealmente si vorrebbe che il rivelatore fosse dotato di una risposta lineare, ciò è
possibile talvolta solo in una ristretta gamma dei valori della grandezza G.
-Modalità operativa
Se il rivelatore fornisce una risposta dipendente dall'intensità dell'affluenza energetica
della radiazione incidente si dice che opera in continuous mode.
Se la risposta è costituita da impulsi, ciascuno dei quali ha un'ampiezza ed è funzione
dell'energia del fotone che lo ha generato, si dice che il rivelatore opera in pulse height
mode.
-Counting Rate
E' il numero medio di eventi che vengono registrati dal rivelatore nell'unità di tempo.
1.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEI RIVELATORI 3
E' definito per i rivelatori operanti in photon counting mode oppure in pulse height
mode e non deve essere troppo elevato in relazione al tempo morto del rivelatore.
-Sensibilità del Rivelatore
E' il minimo valore della grandezza G per cui il rivelatore è in grado di produrre un
segnale leggibile.
Dipende da svariati fattori:
-la sezione d'urto per ionizzazione del materiale costituente il rivelatore
-la massa del rivelatore
-il rumore intrinseco del rivelatore
-il materiale che circonda e/o riveste il rivelatore
La sezione d'urto e la massa del rivelatore determinano la probabilità che la radiazione
incidente converta parte o tutta la sua energia in forma di ionizzazione.
Il segnale prodotto da tale ionizzazione deve essere almeno superiore al valore medio
del rumore intrinseco del rivelatore (e anche dell'elettronica associata) al fine di poter
estrarre il segnale dal fondo (talvolta possono essere impiegati dei filtri elettronici o
numerici per ottimizzare tale rapporto segnale/rumore). Il rumore intrinseco appare
come fluttuazioni dei valori di tensione o corrente nel segnale di output del detector ed è
sempre presente anche in assenza di radiazione. Infine i fotoni incidenti devono avere
sufficiente energia per superare efficacemente lo spessore di materiale che costituisce la
finestra di entrata della radiazione al volume sensibile del rivelatore. E’ evidente che
nessun detector può essere sensibile a ogni tipo di radiazione per ogni range energetico.
-Risoluzione energetica
Per i rivelatori che sono in grado di misurare l’energia della radiazione incidente, uno
dei più importanti parametri è la risoluzione in energia, ovvero la capacità di distinguere
due livelli energetici distinti. In generale questa può essere misurata mandando un
fascio di radiazione monoenergetico nel detector e osservando lo spettro risultante.
Migliore è la risoluzione energetica più lo spettro si avvicinerà a una funzione delta
fortemente piccata. In realtà ovviamente la forma d’onda ottenuta è una gaussiana,e
quindi il parametro che determina la risoluzione è il full width at half maximum
(FWHM) del picco,ovvero la larghezza della campana misurata a metà dell’altezza
totale. Questo parametro è una misura delle fluttuazioni nel numero di ionizzazioni ed
4 RIVELATORI PER IMAGING TOMOGRAFICO
eccitazioni prodotte dalla radiazione nel materiale del rivelatore. I valori energetici
compresi all’interno del FWHM sono inosservabili.
La risoluzione in energia è quindi definita come:
E
E
R
E
!
=
(1.1-2)
-Efficienza del Rivelatore
Vengono definiti due tipi di efficienza:
-efficienza assoluta o totale :
!
∀
assoluta
=
eventi registrati
eventi generati dalla sorgente
(1.1-3)
-efficienza intrinseca :
!
∀
intrinseca
=
eventi registrati
eventi incidenti sul rivelatore
(1.1-4)
Se la risposta è isotropica:
!
∀
intrtinseca
=
4#
∃
∀
assoluta
(1.1-5)
dove ∀ è l'angolo solido attraverso il quale la sorgente è vista dal rivelatore.
Se chiamiamo efficienza geometrica il termine:
!
∀
geometrica
=
#
4∃
(1.1-6)
allora:
!
∀
assoluta
= ∀
geometrica
# ∀
intrinseca
(1.1-7)
1.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEI RIVELATORI 5
In termini differenziali si può dire che la probabilità che un fotone sia emesso
nell'intorno di un angolo # è:
!
∀
4
)(
#
=#
d
dP
(1.1-8)
e, ricordando che la probabilità di interazione del fotone lungo il cammino x lungo il
rivelatore è:
!
x
exp
∀
∀=1)(
(1.1-9)
dove ∃ è il cammino libero medio per una interazione, si ottiene :
!
d∀
assoluta
= 1- e
-
x
#
∃
%
&
∋
(
)
d∗
4+
(1.1-10)
che fornisce l'efficienza assoluta integrando sul volume del rivelatore.
-Tempo di Risposta
Un importante caratteristica di un rivelatore è il tempo di risposta definito come il
tempo che il rivelatore impiega per formare il segnale dopo l'arrivo della radiazione.
Questo è un parametro cruciale per determinare le proprietà di sincronizzazione del
rivelatore. Se è impiegato in un sistema di coincidenza, il segnale generato dovrebbe
essere uno stretto impulso con un ripido fronte di salita su cui determinare l'istante in
cui si è verificato l'evento.
-Tempo morto (dead time)
E' il tempo che il rivelatore impiega per processare un evento (durata del segnale): in
tale periodo il rivelatore può risultare insensibile al verificarsi di ulteriori eventi (dead
time), oppure gli eventi successivi possono "impilarsi" (pile up). In entrambi i casi si
può verificare la perdita di eventi. Ciò causa la distorsione dell'informazione
sull'intervallo temporale tra due eventi. In particolare, eventi provenienti da una
sorgente casuale non avranno più una distribuzione temporale poissoniana.
Per evitare tali effetti occorre che la durata di un impulso sia così breve che la
6 RIVELATORI PER IMAGING TOMOGRAFICO
probabilità che si verifichi un secondo evento durante il dead time sia piccola
(trascurabile o comunque ridotta, così che siano applicabili opportune correzioni).
In generale le osservazioni sul tempo morto non si applicano ai rivelatori operanti in
continuous mode, ma solamente a quelli per i quali è possibile applicare il concetto di
counting rate.
Relativamente al loro comportamento durante il tempo morto !, i rivelatori possono
essere distinti in paralizzabili (se il tempo morto è prolungabile) o non-paralizzabili (se
il tempo morto non è prolungabile). Nel primo caso un evento che si verifichi durante il
dead time !, estende tale stato per un ulteriore periodo di tempo; se gli eventi si
susseguono rapidamente, in modo tale che i loro dead time si sovrappongano tutti,
allora si ha un prolungato periodo di tempo in cui gli eventi non sono processati: il
rivelatore risulta paralizzato. Se invece un evento che si verifica durante il dead time
non incrementa tao, ma passa semplicemente inosservato, allora il rivelatore non si
paralizza.
Consideriamo il caso di un rivelatore non paralizzabile, con ! costante. Sia m il vero
count rate e il rivelatore abbia osservato k conteggi nel tempo T.
Il tempo morto accumulato durante la misura sarà :
D = k! (1.1-11)
Durante il tempo D un totale di mk! eventi sono andati perduti.
Il numero vero di eventi è pertanto:
m T = k + m k! (1.1-12)
Si può così trovare il count rate vero in funzione di quello osservato:
!
T
k
T
k
m
∀
=
1
(1.1-13)
Consideriamo ora il caso di un rivelatore paralizzabile, con tao costante esposto ad una
1.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEI RIVELATORI 7
sorgente random. La distribuzione degli intervalli di tempo tra gli eventi, in una
sorgente che decada casualmente, producendo un count rate vero m, è:
mt
metP
!
=)(
(1.1-14)
e pertanto, la probabilità che t > ! vale:
mxmt
edtemtP ==>
!
∀
#
∃
∃ )(
(1.1-15)
Il numero di eventi osservati in un tempo T sarà quella frazione degli mT eventi veri in
cui gli intervalli di accadimento hanno soddisfatto la condizione t > ! :
mx
mTek
!
=
Risolvendo (numericamente) la precedente formula si ottiene m. [ Leo][ Knoll]
1.2 – RIVELATORI A SCINTILLAZIONE
Si tratta di materiali che convertono l'energia rilasciata al loro interno dalla radiazione
in energia luminosa. L'impulso di luce viene poi trasmesso, attraverso opportune
giunzioni ottiche, ad un tubo fotomoltiplicatore che ha il compito di convertire la luce in
un impulso di corrente.
Le caratteristiche ideali di uno scintillatore sono:
∞ -Alta efficienza nella conversione dell'energia cinetica delle particelle in luce;
∞ -La conversione deve essere lineare, ossia la luce emessa deve essere proporzionale
all'energia depositata dalla particella;
∞ -Lo scintillatore deve essere trasparente alla lunghezza d'onda della luce emessa
(problema dell'auto-assorbimento)
∞ -Il tempo di emissione della luce (tempo di decadimento della luminiscenza indotta)
deve essere il più breve possibile;
∞ -Il materiale scintillatore deve poter essere lavorato nelle forme e dimensioni
8 RIVELATORI PER IMAGING TOMOGRAFICO
desiderate;
∞ -Il suo indice di rifrazione deve essere vicino a quello del vetro (circa 1.5) in modo
da permettere un buon accoppiamento ottico con il fotomoltiplicatore.
Naturalmente nessun materiale soddisfa contemporaneamente tutti i requisiti richiesti.
Il processo di scintillazione è dovuto al fenomeno della luminescenza ovvero
all'assorbimento di energia da parte del materiale e la sua riemissione sotto forma di
luce. La luminescenza si classifica in: fluorescenza, se il tempo di diseccitazione è
minore di 10
-6
s (tipicamente circa 10
-8
s) e in fosforescenza, se il tempo di
diseccitazione è maggiore di 10
-6
s.
Negli scintillatori organici il processo di fluorescenza ha origine da transizioni nella
struttura dei livelli energetici di una singola molecola. Le caratteristiche di scintillazione
non dipendono allora dallo stato fisico del materiale, si possono così avere scintillatori
cristallini, solidi o plastici e liquidi.
Gli scintillatori inorganici sono in generale materiali isolanti costituiti da cristalli di sali
inorganici contenenti piccole impurità che fungono da attivatori del processo di
luminescenza. Il meccanismo può essere descritto con la teoria a bande dei solidi: il
fotone primario eleva elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione e, durante
il processo di diseccitazione, l'elettrone non ritorna nella banda di valenza. Se il
materiale fosse puro, la diseccitazione produrrebbe l'emissione di un fotone ad alta
energia e non di luce visibile. L'introduzione dell'impurità attivatrice causa invece la
formazione di stati eccitati all'interno della banda proibita; l'elettrone, diseccitandosi,
passerà attraverso tali stati intermedi eccitati emettendo fotoni di luce nell'intorno del
visibile.
L'energia richiesta per creare una coppia elettrone-lacuna è dell'ordine di 20/30 eV.
Il fotomoltiplicatore è costituito da un'ampolla di vetro a vuoto spinto nella quale si
trova il fotocatodo costituito da uno strato semitrasparente di materiale fotoemissivo (ad
esempio antimonio e cesio, materiali con una bassa energia di estrazione) depositato
sulla finestra di vetro dalla quale entrano impulsi luminosi. I fotoni incidenti sono
assorbiti e trasferiscono la loro energia ad elettroni del materiale fotoemissivo
causandone la migrazione verso la superficie dell'elettrodo e quindi la fuoriuscita lungo
le linee di un opportuno campo elettrico acceleratore. La fotocorrente proveniente dal
fotocatodo è quindi convogliata ed accelerata, da un campo elettrico crescente ottenuto
per mezzo di un partitore di tensione, su 8-15 dinodi, elettrodi opportunamente sagomati
e costituiti di materiali opportunamente scelti (argento/magnesio, rame/berillio) in cui
1.2 RIVELATORI A SCINTILLAZIONE 9
l'energia depositata da un elettrone incidente causa l'emissione di ulteriori elettroni
(emissione secondaria).
La corrente iniziale viene così moltiplicata più volte fino a quando raggiunge l'anodo. In
un tempo complessivo di 29/50 ns si può, in tal modo, raggiungere amplificazioni fino a
10
6
volte.
L'efficienza quantica del fotocatodo è definita da:
%3020
fotocatodo sul incidenti fotoni di n.
fotocatodo dal emessi fotoni n.di
!∀=#
(1.2-1)
Come si vede, la perdita di luce è rilevante e aggrava la situazione statistica della
spettrometria con rivelatori a scintillazione. La successiva elevata amplificazione non
compensa questo effetto, infatti anche le fluttuazioni statistiche verranno amplificate
cosicché il rapporto segnale/rumore non può migliorare a seguito dell'amplificazione. Il
fotomoltiplicatore trasforma la luce in un impulso di corrente che a sua volta produce
una caduta di tensione su di una resistenza. Il segnale in tensione viene quindi
preamplificato e inviato all'amplificatore formatore (shamping amplifier).
Possiamo ora contare il numero di impulsi che hanno raggiunto il fotomoltiplicatore
durante un certo tempo (durata della misura). I circuiti di conteggio (o scale di
conteggio) forniscono il numero totale di impulsi letti. Se il fotomoltiplicatore fa parte
di una gamma-camera, il numero degli impulsi rilevati durante la misura è
proporzionale al livello di grigio del pixel corrispondente.[Leo]
Figura 1.1 – Schema di uno scintillatore associato ad un fotomoltiplicatore[wiki].