INTRODUZIONE
Il problema del terrorismo ha richiesto negli ultimi anni l’adozione di
misure che, se da un canto, hanno dovuto recepire le indicazioni delle decisioni
internazionali ed europee, dall’altro si sono rivelate ben ponderate in sede
legislativa ed applicate con equilibrio in sede giurisdizionale.
Nel primo capitolo si mettono in rilievo i caratteri assunti dal terrorismo
internazionale che dopo l’attentato di New York del 2001 evidenziava
un’evoluzione tale da esigere l’adozione di strumenti di contrasto più efficaci
ed adeguati rispetto a quelli del passato.
A suo tempo, l’introduzione dell’art. 270-bis c.p. costituiva già il primo
e fondamentale passo verso l’adeguamento di questi strumenti di contrasto. Si
evidenziano quindi le problematiche dottrinarie connesse all’iter che ha
condotto alle attuali configurazioni delle fattispecie in oggetto.
Il problema delle Convenzioni internazionali rilevanti per la messa in
atto di più adeguati strumenti di contrasto rispetto al passato è certamente
centrale: in tal senso, vengono messi in luce i caratteri di quegli atti che hanno
3
avuto la maggiore influenza sull’evoluzione delle norme del nostro
ordinamento.
A ciò segue una enucleazione delle più significative innovazioni
legislative inerenti al terrorismo che si sono susseguite dalla fine del 2001 al
2006: di tali leggi vengono evidenziati soprattutto i nessi con l’adeguamento
del 270-bis c.p. e degli articoli a questo contigui (270-ter c.p., 270-quater c.p.,
270-quinques c.p., 270-sexies c.p.) comprendenti fattispecie che – proprio in
relazione all’evoluzione storica del fenomeno terroristico – hanno richiesto di
essere inserite nel codice penale.
Nel secondo capitolo vengono analizzati l’iter normativo specifico
dell’art. 270-bis c.p. e, soprattutto, il concetto di bene giuridico tutelato da tale
norma, con diversi riferimenti dottrinari anche eterogenei tra loro.
Il terzo capitolo prende in esame l’analisi del reato di associazione con
finalità di terrorismo anche internazionale, soprattutto sotto i profili a) dei
soggetti compresi nella fattispecie, b) dell’elemento psicologico che
contraddistingue il comportamento degli agenti coinvolti, c) dell’elemento
materiale costitutivo del reato e d) del suo momento consumativo.
4
Ci si è sforzati, nel corso dell’intero lavoro, di riportare il pensiero degli
Autori citati secondo un criterio di oggettività tale da consentire un agevole
controllo intersoggettivo degli assunti. In tal senso, si è cercato di evitare
qualsiasi forma di riformulazione/rielaborazione del pensiero degli Autori che,
inevitabilmente, ne avrebbe travisato la sostanza semantica.
5
CAPITOLO I
IL CONCETTO GIURIDICO DI TERRORISMO INTERNAZIONALE
1.1 – EVOLUZIONE STORICA DEL FENOMENO TERRORISTICO INTERNAZIONALE ED ITER
LEGISLATIVO.
Comunemente, con il termine terrorismo, originariamente denotante un
regime politico o un metodo di governo fondato sul terrore, si intende oggi
prevalentemente l’uso della violenza da parte di singoli soggetti od
organizzazioni private a scopo intimidatorio, solitamente per perseguire ed
ottenere obiettivi di natura politica.1
Per la dottrina, il terrorismo internazionale è connotato da uno o più
caratteri di estraneità rispetto ad una singola organizzazione statale: ad
1
Cfr. A. GIOIA, Terrorismo internazionale, in Diz. dir. pubbl. (a cura di S. Cassese), Milano,
Giuffrè, 2006, p. 5914.
6
esempio, perché si concretizza in azioni commesse nel territorio di uno Stato
da cittadini stranieri o in danno di cittadini o Stati stranieri o di organizzazioni
internazionali.
Tuttavia, costruire una demarcazione concettuale con il terrorismo
interno appare oggi sempre più arduo: il terrorismo come tale viene percepito
dalla cosiddetta pubblica opinione, ma anche dai giuristi, come una minaccia
totale che attenta ai valori fondamentali della comunità internazionale nella sua
globalità. Rilevante poi resta nella nostra epoca il cosiddetto terrorismo di
Stato, inteso non solo nel senso di inerente ad un regime o ad un metodo di
governo fondato sul terrore, ma soprattutto come coinvolgimento, diretto o
indiretto, di uno Stato in atti di terrorismo commessi all’estero.
In linea puramente teorica, è da notare che il coinvolgimento di uno
Stato in atti terroristici commessi all’estero potrebbe designare una violazione
della sovranità territoriale dello Stato nei cui territorio l’atto fosse commesso,
se non addirittura un illecito uso della forza armata. Del pari, il sostegno attivo
da parte di uno Stato ad attività terroristiche all’estero, laddove fosse
dimostrato, potrebbe configurare un illecito intervento negli affari interni dello
Stato che ne è vittima.
7
Per ciò che riguarda direttamente la semplice tolleranza, da parte di uno
Stato, di attività di soggetti o gruppi presenti nel proprio territorio che
pianificano, organizzano ed eseguono atti terroristici all’estero, al di là
dell’applicabilità del principio generale secondo il quale ogni Stato non
dovrebbe consentire che il proprio territorio sia utilizzato per compiere atti
contrari ai diritti di altri Stati, la normativa internazionale di natura
“convenzionale” è indirizzata proprio a costruire entro gli Stati aderenti una
cooperazione giuridica con finalità preventive e repressive.2
Invero nel 2005 nel nostro Paese è stata riservata una speciale
attenzione al fenomeno terroristico, sia da parte del legislatore sia da parte
della magistratura. Del resto, dopo l’attacco contro gli USA la comunità
internazionale aveva sollecitato misure adeguate al nuovo tipo di strategia
terroristica e l’Italia, già dal 2001, aveva proceduto ad una sostanziale modifica
dell’art. 270-bis c.p., estendendo la repressione anche agli atti di violenza
rivolti contro uno Stato estero e, pur non avendo la legge dettagliatamente
elencato gli atti di violenza di natura terroristica, la giurisprudenza
interpretativamente utilizzando i principi consolidati di diritto interno e
internazionale, si è orientata ritenendo integranti le fattispecie de qua: non solo
2
Gioia, op. cit., cit.
8
ogni atto idoneo a suscitare panico nella popolazione, ma anche tutte le azioni
violente dirette, oltre che contro i singoli individui, contro quello che essi
rappresentano; azioni atte a scuotere la fiducia nei confronti delle istituzioni e
ad indebolirne le strutture.
Tale strategia repressiva è stata messa in atto in sintonia con la
decisione-quadro dell’UE del 13/6/2002, accogliendone circostanziatamente le
indicazioni volte alla individuazione concreta dei reati terroristici. 3
La Cassazione, chiamata ad interpretare le nuove fattispecie introdotte
per fronteggiare il fenomeno, ha affermato che ai fini della configurabilità del
nuovo reato associativo previsto dall’art. 270-bis c.p. è sufficiente la continuità
e la sistematicità dei collegamenti di natura organizzativa tra gli affiliati e che
la costituzione del sodalizio criminoso non è esclusa per il fatto che si sia
imperniato perlopiù attorno a nuclei culturali che si rifanno all’integralismo
islamico, in quanto i rapporti ideologici e religiosi sommandosi al vincolo
associativo che si propone atti di violenza finalizzati a terrorizzare un popolo,
rendono quel vincolo ancor più pericoloso; e si è anche precisato che non basta
aver riguardo all’attività che si è svolta in Italia, ma è necessario prendere in
3
Cfr. N. MARVULLI, Giustizia penale e ordinamento giudiziario nella Relazione del primo
presidente della Corte di Cassazione, in Cass. pen., n. 1/2006, p.9.
9
esame il quadro dell’azione riferibile all’intera organizzazione a livello
internazionale. Per ciò che riguarda il terrorismo interno, la Relazione del
Presidente della Cassazione sottolinea che si è concluso con la condanna di
alcuni esponenti delle brigate rosse il procedimento penale per l’assassinio di
Massimo D’Antona, mentre in numerose Procure sono ancora in corso indagini
per alcuni attentati ritenuti di matrice terroristica.4
Proprio in virtù del tentativo definitorio che vi è sotteso e del fatto che
costituisce una buona strada verso quel tipo di repressione “globale”, corre
l’obbligo di accennare sin d’ora al contenuto della Convenzione del 9 dicembre
1999 (ratificata nel nostro Paese con legge 27 gennaio 2003, n. 7), adottata a
New York sotto l’egida dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed entrata
in vigore il 10 aprile 2002, che sotto diversi aspetti riprende lo schema tipico
delle convenzioni settoriali ma che mira proprio ad un approccio il più
possibile esaustivo del fenomeno5. In tale documento si rileva l’obbligo di
criminalizzare il finanziamento del terrorismo nell’ordinamento interno e
l’obbligo di sottoporre l’autore del fatto a processo o, in alternativa, ad
4
Marvulli, op. cit., cit.
5
Cfr. R. BARBERINI, G. R. BELLELLI, Codice delle Convenzioni internazionali e della legislazione
italiana sul terrorismo, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato/Napoli, Editoriale Scientifica,
2003, pp. 243-265.
10
estradarlo. Inoltre, questa Convenzione, che prevede anche la responsabilità
(penale, civile o amministrativa) delle persone giuridiche, si applica, oltreché al
finanziamento degli atti già contemplati in convenzioni settoriali, anche al
finanziamento di ogni atto di terrorismo, di cui viene fornita, per la prima volta
in ambito mondiale, una definizione giuridica di portata generale. Si tratta degli
atti volti a causare la morte o gravi lesioni fisiche a “civili” o, entro una
situazione di conflitto armato, a qualsiasi altra persona che non prenda
attivamente parte alle ostilità, quando il fine di tali atti, per loro natura o
contesto, è quello di (a) intimidire una popolazione o (b) costringere un
governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal
compiere un qualsiasi atto.
Il progetto di Convenzione globale sul terrorismo contiene una
definizione più ristretta, considerato che essa escluderebbe gli atti commessi
nel contesto di un conflitto armato, ma per altri versi più ampia, dal momento
che contempla gli atti che provocano la morte o gravi lesioni a qualsiasi
persona, nonché quelli che provocano danni al patrimonio pubblico o privato,
includendovi “un luogo di uso pubblico, un’infrastruttura o l’ambiente”,
11
purchè si tratti di danni gravi o tali da provocare una “perdita economica
considerevole” (art. 2).6
Per altri versi, tale definizione giuridica non pone in rilievo una terza
finalità – presa in considerazione da alcune convenzioni dell’Unione Europea –
vale a dire quella di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture
politiche fondamentali (costituzionali, economiche, sociali) di un singolo Paese
o di un’organizzazione internazionale.
Anche la definizione delle finalità di terrorismo introdotta nel diritto
penale italiano – in particolare l’art. 270-sexies c.p., come vedremo meglio nei
paragrafi successivi – attribuisce rilievo, oltre alle due finalità accennate avanti,
anche alla finalità eversiva, nonostante il fatto che la dottrina e la
giurisprudenza prevalenti in Italia abbiano sempre teso a distinguere le finalità
propriamente terroristiche da quelle eversive.
È del tutto condivisibile l’osservazione che il diritto penale dell’era
moderna nasce e si sviluppa sullo sfondo di un modello di Stato-Nazione
avvezzo a confrontarsi, mediante ben definite categorie giuridiche, con
tradizioni culturali omogenee e generatesi pur sempre – anche quelle che si
potrebbero definire degenerazioni criminali – entro quegli stessi confini
6
GIOIA, op. cit., p. 5918.
12
storico-culturali, ma risulta scarsamente compatibile con eventi ed
organizzazioni sostanzialmente avulsi da quei modelli e aventi origini lontane,
oscure e difficilmente analizzabili con i consueti strumenti della razionalità –
come è il caso del terrorismo di matrice fondamentalistica.7
Per l’Autore, se, da un canto, un vero e proprio diritto internazionale
penale non esiste ancora, dall’altro resta inderogabile la necessità di reazione
alla minaccia terroristica con risposte che mostrino un minimo di
coordinazione, anzitutto tra i governi occidentali. Il nuovo terrorismo
internazionale presenta caratteri sfuggenti e insidiosi, di non facile
individuazione e definizione, tanto che una rigorosa categorizzazione
concettuale in termini giuridici del fenomeno si rivela oggi assai ardua. Da ciò
è agevole osservare che uno sforzo coordinato dei governi dovrebbe tendere
anzitutto a mettere a punto quelle praxis uniformi di collaborazione tra le sfere
giudiziaria, investigativa e di “intelligence” che potrebbero contribuire in
misura significativa a contrastare il fenomeno. È da notare, tuttavia, quanto tali
obiettivi di coordinamento sovranazionale, nell’Unione Europea a 25 membri,
non siano conseguibili con facilità: basti pensare che soltanto a partire
7
Cfr. F. ROBERTI, Le nuove fattispecie di delitto in materia di terrorismo, in AA. VV., Le nuove
norme di contrasto al terrorismo (a cura di A. A. Dalia), Milano, Giuffrè, 2006, p.447.
13
dall’attuale quadro finanziario 2007-2013 il “Consiglio giustizia e affari
interni” dell’UE ha potuto disporre di finanziamenti propri da destinare alla
lotta al terrorismo.8
Per altri versi, il fenomeno terroristico di ambito internazionale
trascende il campo dell’Unione Europea, colpendo anche negli stessi Paesi
d’origine dei presunti terroristi e, in tal senso, tale tipo di criminalità viene
definita transnazionale; sarebbe quindi auspicabile una sempre più stretta
collaborazione non soltanto tra i governi occidentali, ma anche fra questi e gli
stessi Paesi islamici.
Se volessimo tracciare un brevissimo resoconto degli eventi che hanno
segnato una svolta nell’organizzazione terroristica, dovremmo anzitutto
osservare che l’atto, per così dire, “formale” di tale dicharazione di guerra è
costituito dalla nascita, nel 1998, del “Fronte internazionale per la guerra santa
contro gli ebrei e i crociati” che pone l’avvio di una nuova stagione di strategia
del terrore con gli attacchi simultanei alle ambasciate americane di Nairobi e
Dar Es Salam che causarono più di 200 morti e migliaia di feriti; nel 2000,
l’attacco ad una nave da guerra americana nel porto di Aden causa 17 vittime.
È importante rilevare che il manifesto del Fronte esplicita una strategia di
8
Roberti, op. cit., p. 448.
14
conquista dei Paesi musulmani, a partire dall’Arabia Saudita, per rifondare la
Umma, vale a dire la Nazione Islamica. In questa prospettiva viene giustificato
e legittimato il massacro di tutti i civili e i militari stranieri, a cominciare da
americani e israeliani, considerati complici dei nemici musulmani che si
vorrebbero abbattere. Si tratta, quindi, di una guerra a carattere aggressivo, non
reattivo. Bin Laden e i suoi “ideologi” sono riusciti prima a privatizzare il
fenomeno del terrorismo, emancipandolo dal monopolio degli “Stati-canaglia”
degli anni Settanta e Ottanta – ossia Iraq, Iran , Siria, Libia, Sudan, Yemen – e
poi a globalizzare una cospicua rete di cellule attive e dormienti presenti sia nei
Paesi musulmani sia in Occidente.9
Dopo le stragi dell’11 settembre 2001 si è accentuato il coordinamento
strategico tra Al Quaida e diverse sigle del terrorismo islamico nei territori
palestinesi nonché in Iraq, Turchia, Marocco, Yemen, Indonesia, Pakistan,
Libano, Egitto, Algeria, Filippine, Cecenia e Bosnia, fino a promuovere attività
terroristiche in una sorta di franchising, ossia ispirate da Al Quaida ma firmate
dalle singole sigle regionali. Entro tale contesto, Al Quaida fornisce la linea
sotto il profilo ideologico e religioso, mentre le singole cellule sono
9
Roberti, op. cit., p. 450.
15