INTRODUZIONE
La videoarte, come vedremo, nasce, per la maggior parte della critica, negli
anni Sessanta in Germania e quasi in concomitanza negli Stati Uniti, con i
lavori di Nam June Paik e Wolf Vostell, artisti appartenenti al movimento
Fluxus. Altri ne vedono l’origine nella sperimentazione televisiva della rete
WGBH di Boston, altri con i lavori di Lucio Fontana negli anni Cinquanta-
Sessanta.
L’origine temporale è fatta coincidere con la mostra Exposition of Music
Electronic Television di Nam June Paik, nel 1963, alla Galleria Parnasse di
Wuppertal, in Germania. Il termine video art venne invece coniato dal mercato
d’arte newyorkese, subito dopo, nel 1968, a seguito della personale Electronic
Art dello stesso Paik.
La videoarte in senso stretto si inserisce nell’ambito del movimento artistico
internazionale Fluxus, e per tali ragioni termina nel 1979.
Per quanto concerne le arti multimediali, ovvero quelle che utilizzano più
mezzi espressivi tecnologici, ma nel nostro caso l’indagine è limitata all’uso
della immagine video, hanno origine in differenti campi, non facilmente
delimitabili a causa della loro multidisciplinarità espressiva: teatro, cinema,
arte, tecnologia audio e video sperimentale. Si arriva alla conclusione che per
le arti multimediali è impossibile definirne le origini, ma indubbiamente il
processo formativo, sperimentale, evolutivo delle arti multimediali segna un
percorso che parte dalle avanguardie storiche del Primo Novecento, fino alle
ultime evoluzioni delle arti cibernetiche e virtuali, verso una complessa arte
della rappresentazione. Il momento di passaggio tra due diverse possibilità è
stato indubbiamente l’uso del digitale.
I lavori che più mi hanno ispirato nel delineare obbiettivi e percorsi sono stati i
testi di Angela Madesani Le icone fluttuanti, storia del cinema di artista e
della videoarte in Italia e, di Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi, Le
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arti multimediali digitali - storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle
arti del nuovo millennio.
Nel primo saggio critico ho trovato interessante il percorso testuale della
Madesani, la sua ricerca muove tra cinema d’artista e videoarte in Italia, dove
il primo è di pochi anni antecedente, con l’obiettivo estetico di affermare la
appartenenza dei due generi a un unica storia dell’arte, superando e
differenziandosi, in tal modo, da molta critica che divide la storia dei due
mezzi espressivi.
Io accolgo pienamente la tesi della Madesani, le contaminazioni tra cinema e
video sono state talmente ampie, sia sul piano formale, sia nel contesto
storico-sociologico, che hanno prodotto nei due generi l’impiego di mezzi
tecnologici condivisi, frutto di una medesima spinta che unisce novità
tecnologica a funzione artistica. Uno scambio continuo tra cinema e video,
formale e spesso socio-psicologico, d’ispirazione all’arte, dove le due basi, o
codici, sono il mezzo video, il pixel, e il “pensare d’artista”, ovvero da
operatore culturale audio-visivo, il cui significato appartiene quindi ad una
comune storia critica.
Il secondo testo propone un analisi completa, epistemologica, storico-
filosofica, del fenomeno multimediale. Indaga artisti, critici, filosofi,
soprattutto sul piano estetico: l’obbiettivo degli autori infatti è riuscire, da un
lato, a presentare tutte le esperienze della multidisciplinarità nell’audiovideo,
dall’altro, tentare di delinearne un estetica possibile delle arti tecnologiche.
Individuano proprio nel digitale, la svolta storica, la possibilità di un nuovo
codice linguistico ed espressivo, che permette una multidisciplinarità, una
interattività permanente tra diversi generi e correnti artistiche. Il digitale
unisce in un nuovo linguaggio estetico molteplici discipline, il cui prodotto
rappresenta sempre una novità, un ambito di ricerca, e le cui espressioni più
complete sono gli ambienti multimediali interattivi e gli ipertesti.
Il mio obiettivo è di verificare, attraverso un percorso che parte dai precursori
e giunge fino ad oggi, attraverso contaminazioni multimediali sempre nuove e
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possibili, come danza, teatro, cinema, suono, immagine tecnologica, la tesi dei
due autori: ovvero che la video arte non è un movimento artistico chiuso in sé,
ma un movimento di contaminazione, che abbraccia performance, happening,
computer art, concettuale, fluxus, neodada, cinema d’artista, teatro
d’avanguardia e sperimentale, television art, fino all’attuale virtual art e dna
art, nella sua storia multidisciplinare, mai delimitabile completamente, in
continua mutazione ed autorigenerazione, verso un processo permanente di
creazione, dove l’autore da soggetto individuale diventa autore collettivo.
L’ultima parte del lavoro, in forma di approfondimento, è dedicata a Studio
Azzurro: si tratta di un gruppo artistico che realizza video ambienti, video
istallazioni, sperimentazioni multimediali teatrali e cinematografiche, in spazi
museali internazionali, rassegne, luoghi storici o di significato culturale, in
auto-produzioni cinematografiche sperimentali, raggiungendo in oltre
venticinque anni di attività grande fama internazionale.
Il collettivo, con questi lavori multimediali, “oltre” disciplinari, nella sua
evoluzione storica esprime un parallelismo con una medesima evoluzione, ma
su di un piano più generale, che porta la video arte in senso stretto alle arti
digitali interattive attuali.
L’unico codice, denominatore storico possibile, motore dei due processi
paralleli, è l’uso del pixel, della “cellula” dell’immagine video, capace di
ispirare negli artisti tecnologici l’interattività, una nuova funzionalità artistica.
Lo sviluppo del mezzo tecnologico, come dell’ipertesto, come verrà spiegato
in seguito, crea un prodotto artistico la cui poetica diventa una trama in
divenire, che interagisce direttamente con il fruitore, dove lo spettatore diventa
contemporaneamente l’attore dell’evento, coprotagonista della costruzione
semantica dell’opera, parte attiva di un autore collettivo, che comprende
autori, attori, coreografi e tecnici operatori.
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I precursori della video arte
Precursori di nuovi strumenti tecnologici, elettronici, dove l’uso della
pennellata è già visto e prefigurato in forma di pixel, furono i futuristi. La
ricerca di una maggiore contaminazione di linguaggio, di una poliespressivita
che abbracciasse arte, cinema, teatro, danza e drammaturgia, è nel Manifesto
del cinema futurista del 1916, e in quello per un “teatro sintetico futurista”,
nonché presente nella “musica cromatica” futurista, una musica appunto fatta
di colori e suono. Ma anche le provocazioni di Giacomo Balla, con il suo
universo ludico, fantasioso, sperimentatore, o le ricerche sulla luce e
cromatiche di Fortunato Depero ed Ettore Prampolini.
La video arte nella musica nasce dagli studi di fenomenologia musicale di
Pierre Schaeffer in Francia (Cinq études de bruits del 1948). Negli Stati Uniti
John Cage crea gli Untitled events nel 1952 e gli Intermedia events, dove
unisce poesia, performance, arti pittoriche, cinema, danza con Merce
Cunningham, il tutto in simultanea.
In Italia anticipatrice fu la musica concreta di Luciano Berio, poi il musicista
sperimentale Giuseppe Chiari entra nel movimento internazionale fluxus di
Wolf Wostell diventando un esponente di questo tipo di ricerca.
In teatro l’uso del video è in nuce nelle ricerche delle avanguardie storiche, si
pensi al Total Theatre di László Moholy-Nagy; al Mertz Theatre tedesco, alle
scenografie di Joseph Svoboda per lo spettacolo teatrale La lanterna magica
all’Expo di Bruxelles del 1958 (dove impiega l’istallazione video Polycrean).
Più tardi, da menzionare il teatro “giroscopico” elettronico di Jacques Polieri
per La scena (Expo di Osaka 1970).
Per la video arte e il cinema d’artista furono precursori i Cabaret Voltaire
dadaisti, anticipatori della performance degli anni Sessanta, e il cinema
d’avanguardia, ad es. il film di Rene Clair Entr’acte del 1924, sceneggiato da
Francis Picabia con musiche di Eric Satie.
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La matrice ideologica fu anche nel surrealismo, nell’astrattismo, e nel
simbolismo, per la composizione di tempi, spazi, luci, anticipatori di una
polivisione e di nuove possibilità di narrazione figurativa.
Cinema e teatro sintetico futurista
«Il cinema che vogliamo deve esprimere la velocità, la forza, la gioia […]
preferiamo esprimerci con il cinema che con il libro».1 Il Manifesto del teatro
sintetico futurista è del 1916: «riabilitiamo il teatro di varietà verso il cinema,
contro il teatro di prosa», ne furono espressione le compagnie di Gualtiero
Tumiati, Ettore Berti, Annibale Ninchi e Luigi Zoncada.
In «Italia futurista», giornale redatto dal 1916 da Filippo Tommaso Marinetti,
Emilio Settimelli, Remo Chiti, Giacomo Balla, Arnaldo Ginna e Bruno Corra,
si elencano i criteri per un cinema futurista: questo deve distaccarsi dalla
realtà, deve essere «antigrazioso, impressionista, paro libero». Deve condurre
alla poliespressività; alla compenetrazione di tempi e luoghi cinematografati;
esprimere dinamica e simultaneità; usare parole in libertà; deve essere
autonomo, alogico, irreale; veloce; deve portare valori assoluti di novità,
elementi ed estetica chiaramente progenitrice dell’happening e della video
arte.
I film saranno girati con:
- analogie cinematografate: stati di animo espressi con l’allegoria.
- poemi, discorsi: poesie cinematografate.
- simultaneità di luoghi e tempi cinematografati: nell’istante quadro due o tre
visioni.
- ricerche musicali cinematografate: dissonanze, sinfonie di colori.
- stati d’animo.
- drammi di oggetti cinematografati: oggetti decontestualizzati.
- congressi, flirt, risse, matrimoni.
- drammi con sproporzioni cinematografate: uomini giganti, oggetti macro.
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Cfr. AA.VV., Manifesto del cinema futurista, in «Italia futurista», n. 9, Milano 11 settembre 1916.
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- linee plastiche, cromatiche: che esprimono avvenimenti.
- parole in libertà.
Insomma il cinema futurista sintetico deve riunire pittura, architettura,
dinamismo plastico, teatro sintetico, intona-rumori e parole in libertà.
Fotografia e cinema
Ricordiamo l’evoluzione scientifica tra fotografia e cinema al finire del
ventesimo secolo, dal muto, al sonoro, al colore, al cinemascope, al suono
stereofonico, alla polivisione, al cinema elettronico, al digitale (strumento
importante per la sintesi delle arti).
Film assoluto e film astratto
Esponenti di una prima cinematografia astratta in Italia furono i futuristi
Fratelli Corradini, che realizzarono pellicole dipinte, creando una musica
cromatica. In Europa i registi astratto dadaisti delle sinfonie visive in Svizzera,
Vicking Eggeling, Hans Richter, Walter Rutmann in Germania.
Tutti precursori delle tecniche video nel cinema.
Cubismo
La storia del Cubismo è divisa in quattro fasi fondamentali: il protocubismo o
“macrocubismo” (1907-‘09), il cubismo analitico (1909-‘12), il cubismo
sintetico (1912-‘21), il cubismo orfico (1921-‘25).
Se con la fase protocubista ci si dedica a concrezioni di ampio respiro e
dimensione in risalto su uno sfondo convenzionale, non definito, è con il
momento successivo, analitico, che inizia l’elaborazione di una sfaccettatura
fitta, minuziosa, che tende a mostrare l’oggetto nei suoi molteplici aspetti,
analizzandolo. Il terzo momento, detto sintetico, ha inizio verso la fine del
1909 e consiste in una più libera e intuitiva ricostruzione di tale oggetto,
espresso nella sintesi con cui si presenta alla mente del pittore nell’attimo in
cui lo pensa rivivendolo interiormente.
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È questo terzo momento (1909-‘12) in cui inizia l’uso di incollare sulla tela
inserti ritagliati da giornali e da stampati (papiers collés o carte incollate) o
materiali vari collages che fu una delle innovazioni introdotte dai cubisti, la
più interessante e presente poi nella video in arte. E’ una tecnica che raggiunge
un risultato artistico mediante la disposizione, secondo un ordine voluto, di
vari elementi di diversa materia riuniti con l’unica funzione di costituire un
fatto plastico indipendente da qualsiasi intenzione imitativa.
Una fase minore infine è quella nota con il nome di “cubismo orfico”, sorta
come ultima estensione del movimento artistico, così definita dal poeta
Apollinaire perché recupera la dimensione lirica del colore.
Dadaismo o dada
E’ un movimento culturale nato a Zurigo, nella Svizzera neutrale della prima
guerra mondiale, e sviluppatosi tra il 1916-‘20. Il movimento ha interessato
soprattutto le arti visive, la letteratura, poesia e manifesti artistici, il teatro, la
grafica. Dada concentrava la sua politica antibellica attraverso un rifiuto degli
standard artistici, realizzando opere culturali che erano contro l’arte stessa.
Il dadaismo ha inoltre messo in dubbio e stravolto le convenzioni dell’epoca:
dall’estetica cinematografica o artistica, fino alle ideologie politiche,
proponendo il rifiuto della ragione e della logica, enfatizzando la stravaganza,
la derisione e l’umorismo.
Gli artisti dada erano volutamente irrispettosi, stravaganti, provavano disgusto
nei confronti delle usanze del passato, ricercavano la libertà di creatività per la
quale utilizzavano tutti i materiali e le forme disponibili.
Le attività dada includevano manifestazioni pubbliche, dimostrazioni,
pubblicazioni di periodici d'arte e letteratura, le tematiche trattate spaziavano
dall’arte alla politica. Dada nacque quindi come protesta contro il barbarismo
della prima guerra mondiale, in seguito però il movimento divenne più
improntato su una sorta di nichilismo artistico, che escludeva e condannava la
rigidità e il manierismo in vari campi dell’arte come la letteratura, la pittura, la
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scultura. Tutto ciò era applicato anche e soprattutto alle convenzioni della
società in cui gli artisti vivevano. Il dadaismo ha influenzato stili artistici e
movimenti nati successivamente, come il surrealismo, la pop-art e fluxus,
quindi la videoarte. Dada è stato un movimento internazionale ed è
relativamente difficile classificare gli artisti in base al loro paese di
provenienza in quanto si spostavano costantemente da una nazione all’altra.
Secondo i dadaisti stessi, il dadaismo non era arte, era anti-arte, tentando di
combattere l’arte con l’arte, per ogni cosa che l’arte sosteneva, dada
rappresentava l’opposto. Se l’arte prestava attenzione all’estetica, dada
ignorava l’estetica, se l’arte doveva lanciare un messaggio implicito attraverso
le opere, dada tentava di non avere alcun messaggio, infatti l’interpretazione di
dada dipende interamente dal singolo individuo; se l’arte voleva richiamare
sentimenti positivi, dada offendeva. Attraverso questo rifiuto della cultura e
dell’estetica tradizionali i dadaisti speravano di distruggere se stessa, ma,
ironicamente, dada è diventato un movimento che ha influenzato l’arte
moderna, Tristan Tzara afferma: «Dada non significa nulla».2
L’origine della parola dada non è chiara; esistono varie interpretazioni e vari
fatti collegati con la scelta del nome, molti credono che il termine sia un
nonsense; altri sostengono che risalga all’uso frequente della parola da (sì in
rumeno) da parte degli artisti rumeni Tristan Tzara e Marcel Jancoma. Altri
ancora asseriscono che l’origine del nome sia da ricercare in un gruppo di
artisti stabilitisi a Zurigo nel 1916 che, avendo bisogno di un nome per il loro
nuovo movimento, scelsero a caso una parola da un dizionario francese-
tedesco, che pare sia stato un Dizionario Larousse. In ogni caso, volendolo
tradurre letteralmente, in russo significa due volte sì; in tedesco due volte qui;
in italiano e francese costituisce una delle prime parole che i bambini
pronunciano, e con la quale essi indicano tutto, dal giocattolo alle persone.
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Cfr. T. Tzara, Manifesto Dada, in «Dada», n. 3, Zurigo 1918.
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