INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce come tentativo di esplorare e, per quanto possibile,
approfondire la riflessione sui diritti dei bambini nell’attuale contesto
storico-sociale.
Nonostante i numerosi documenti internazionali che specificano i diritti dei
minori, ancora oggi essi sono considerati incapaci di agire e di partecipare
nella società in cui vivono e sono ancora attuali, purtroppo, le sofferenze e
le violenze subite dai bambini nei Paesi in via di Sviluppo, così come attuali
sono i soprusi anche nell’Occidente industrializzato.
Il primo radicale passo verso il cambiamento nella visione del bambino è
avvenuto il 20 novembre 1989 a New York, quando è stata presa una
decisione storica dai leader del mondo che hanno approvato la Convenzione
sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza all’Assemblea generale delle
Nazioni Unite.
L’idea che tale documento propone è quella di promuovere i diritti
dell'infanzia, introducendo l'idea del bambino come soggetto di diritti invece
che come mero oggetto di tutela e protezione. Essa, inoltre, si affianca non
solo a diritti universalmente già riconosciuti e sanzionati (quali il diritto alla
salute, all’istruzione), ma amplia e specifica, una serie di diritti di nuova
generazione (come il diritto all'identità del bambino, della sua dignità e della
libertà d’espressione).
La Convenzione è uno strumento potente per tutti i bambini del mondo e
sancisce che essi sono soggetti di diritto e non semplicemente oggetti di
preoccupazione o beneficiari di carità. A essi deve rivolgersi l’attenzione
5
degli Stati, delle istituzioni e dei privati affinché i loro diritti siano
pienamente realizzati.
La Convenzione è anche il primo trattato che obbliga gli Stati che la firmano
e la ratificano a rispettare i diritti enunciati in essa. Si tratta quindi del primo
documento, dal punto di vista del diritto internazionale, che assume un
valore vincolante per gli Stati firmatari.
Questo lavoro si pone l’obiettivo di essere una riflessione sull’attuazione
effettiva e fattiva della Convenzione internazionale dell’infanzia a vent’anni
dalla sua approvazione, nella convinzione che una maggiore conoscenza e
divulgazione dei diritti sanciti in essa, e del suo valore come strumento di
tutela, possa rendere più consapevoli, responsabili e partecipi i bambini e i
ragazzi della nostra società.
Da incontri con esponenti del Comitato UNICEF di Trieste, e da un’analisi
della letteratura sui diritti dell’infanzia, ho riscontrato una differente
conoscenza e applicazione dei principi della Convenzione tra l’ordinamento
giuridico italiano e la cittadinanza. A livello normativo il Trattato è stato
pienamente recepito e applicato in diversi ambiti a tutela dei diritti dei
soggetti di minore età; mentre la diffusione, la conoscenza e l’utilizzo della
Convenzione da parte dei minori e degli adulti nel loro vivere quotidiano
non è ancora un obiettivo pienamente raggiunto.
Da queste considerazioni ho rilevato l’importanza e la necessità di un
maggiore lavoro di divulgazione del Documento e di sensibilizzazione della,
collettività; attività queste che secondo me, devono raggiungere tutti
indipendentemente dalla loro età.
L’elaborazione che segue quindi, vuole essere la sintesi di un percorso
personale partito da questa riflessione.
In occasione del ventennio dall’approvazione della Convenzione, ho iniziato
a collaborare con il Comitato UNICEF di Trieste partecipando ad un progetto
6
di divulgazione del Documento all’interno delle scuole triestine. Nel vedere
come i bambini e i ragazzi erano interessati, e come hanno recepito le norme
della Convenzione, mi ha dato conferma dell’importanza della divulgazione
e della promozione di tale Documento, e ho capito che una maggiore
conoscenza dei diritti può aiutare affinché i minori diventino effettivamente
soggetti maggiormente attivi e partecipi all’interno della società.
Questa esperienza, per gli esiti positivi che ha avuto, è stata per me lo
spunto a continuare la collaborazione volontaria con l’UNICEF e ha
contribuito a farmi capire quanto sia essenziale per riuscire a dare
concretezza alla Convenzione, e quindi ad una effettiva tutela dei minori,
educare alla conoscenza e al rispetto dei diritti e doveri umani; è quindi
necessario fare esperienza di tali diritti e viverli come una parte quotidiana e
irrinunciabile del vivere civile.
7
CAPITOLO I: BAMBINI E DIRITTI
1.1 Il lungo cammino verso il riconoscimento dei diritti del fanciullo
nella società
“La storia dell’infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo
cominciato a destarci. Più si va addietro nella storia, più basso appare il
grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la
sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire
1
violenze sessuali.”
L’attenzione all’infanzia e ai suoi diritti è un’acquisizione relativamente
recente. La storia dell’infanzia dimostra come la società abbia nel passato
dato scarso interesse al fanciullo, dandone una visione inadeguata e
ambivalente. Il minore è stato considerato una “cosa” di proprietà dei
genitori, pensato come “materia” da plasmare secondo il modello adulto e
per molti secoli la posizione occupata dal fanciullo nella società è stata la
stessa occupata dalle donne, dai malati, dai carcerati: i “soggetti deboli”
Non è mai esistita, nelle epoche precedenti la nostra, la consapevolezza che
anche il bambino è un soggetto portatore di diritti e di bisogni, un soggetto
differenziato dall’adulto; possessore di caratteristiche proprie che devono
essere rispettate e non violate, e che la sua “voce” deve essere ascoltata,
perché egli ha il diritto a esserci e a partecipare nella società in cui vive.
La conoscenza storica dell’infanzia e della sua educazione si delinea, ancora
oggi, irta di sfide e di difficoltà: poche sono state le voci e scarsi i segni che
ci raccontano del bambino attraverso l’evolversi della storia dei tempi.
Ancora più arduo è riuscire pure ad individuare, tra le narrazioni
DE MAUSE LLOYD, Storia dell’infanzia, Milano, Emme, 1983, pp. 9, 11, 15 e 33.
8
1
mitologiche e i racconti autobiografici, aspetti ben chiari di un’infanzia
idealizzata o autentiche voci infantili.
Le ricerche compiute dagli storici della famiglia e dell’infanzia hanno
permesso di tracciare un quadro della vita familiare e della storia
dell’infanzia attraverso i secoli. Esse offrono un panorama composito e a
volte contraddittorio sulla situazione dei minori, raccontano storie di
violenze continue, di gravi abusi perpetrati dagli adulti sui bambini.
Nelle antiche culture egiziane, i bambini rivestivano una particolare
importanza religiosa nell’esecuzione dei riti sepolcrali, ma nonostante ciò il
neonato non veniva considerato parte integrante del genere umano finché
non passava attraverso riti, che ne segnavano la nascita sociale. Durante
questo periodo, il padre poteva anche condannare a morte il figlio senza
incorrere in nessuna sanzione punitiva, in quanto generatore della sua vita.
Nell’antichità greca il bambino appare un soggetto solo abbozzato, che
trascorre i suoi primi sette anni nell’óikos, nella casa, confuso con gli adulti
e considerato “ininteressante perché fisicamente precario, economicamente
2
non produttivo, intellettualmente immaturo, moralmente non imputabile”. Il
compimento del settimo anno di età rappresentava per il bambino il
momento di passaggio dalla vita in casa, dove si realizzava l’allevamento
del fanciullo circondato dalle donne (madre, nutrice e schiave), alla scuola,
dove iniziava una prima forma di educazione al di fuori della casa; solo
quando il bambino aveva raggiunto l’età dei sette anni poteva essere preso
in considerazione al di fuori della casa familiare e diventare soggetto che
poteva vivere nella comunità.
Nella cultura romana il bambino acquisisce maggiore importanza, egli è
generalmente definito , ma dalla nascita ai sette anni, cioè fino al
momento dell’entrata nella scuola, è denominato , cioè “colui che non
BECCHI EGLE e JULIA DOMINIQUE, Storia dell’infanzia, vol. I, L’antichità, Roma,
Laterza, 1996, p. 4.
9
2
infans
puer
parla”. Il termine , infatti, deriva dal verbo , presente nel latino
arcaico e prima ancora nel greco antico con il medesimo significato di
parlare, inteso soprattutto in senso solenne. Congiunto al prefisso , che in
latino ha valore di negazione, il termine descrive appunto quella situazione
3
in cui si è impossibilitati a parlare. Queste moltitudini di denominazioni
inerenti al bambino hanno molti significati: non solo un sentimento
4
dell’infanzia nel senso attribuito da Ariès, come “valore che si riconosce” a
una figura sociale, ma anche un’attenzione affettiva e istituzionale
riconosciuta al bambino per cui egli è soggetto importante di uno Stato. Nel
diritto romano il potere del pater familias non aveva limiti, il resto della
famiglia dipendeva da lui, egli era padre, signore, sacerdote, giudice ed
educatore di tutta la famiglia, possedeva il potere illimitato sui suoi figli: la
patria potestas. Per il diritto romano il maschio più anziano di una famiglia
aveva estesi poteri su tutti i suoi discendenti qualunque fosse la loro età e
dovunque vivessero. Non si trattava solo di diritti sulla proprietà (il padre
poteva anche vendere i propri figli in territorio straniero), ma anche diritti di
vita e di morte; era lui a decidere se un neonato dovesse essere abbandonato,
ed era sempre lui ad avere l’autorità di condannare e uccidere il proprio
figlio. Al tempo degli imperatori Costantino e Graziano l’infanticidio viene
finalmente considerato un grave delitto ma la prassi resta tuttavia ancora in
uso nei principi legislativi e la soppressione dell’infante viene di fatto
tollerata soprattutto come soluzione per i figli illegittimi. La legge riconosce
dunque al bambino il diritto alla vita, tuttavia non prende in considerazione
5
l’esistenza nel minore di bisogni altri rispetto alla sopravvivenza fisica.
Tutti gli studi dell’infanzia nel Medioevo hanno come punto di partenza la
tesi di Ariès secondo cui “nella società medioevale il sentimento
DEVOTO GIACOMO, Avviamento alla etimologia italiana. Dizionario etimologico,
Mondatori, Milano, 1999.
ARIÈS PHILIPPE, Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, Bari, Laterza, 1999,
p. 7.
BECCHI EGLE e JULIA DOMINIQUE, op., p. 55.
10
fari345
in
infans
6
dell’infanzia non esisteva”. Secondo Ariès il termine“sentimento” non
sarebbe da intendersi solo come trasporto affettivo, quanto piuttosto come
che si ha di un certo rapporto e delle figure che in tale rapporto entrano
a relazionarsi. La sua teoria è stata confutata da numerosi studiosi del
Medioevo tra cui l’autorità più riconosciuta sul periodo fu Shulamith
Shahar, la cui tesi centrale è “che un concetto dell’infanzia esistesse nei
secoli centrali e terminali del Medioevo – 1100-1425 –,che il
riconoscimento erudito dell’esistenza di diverse fasi nell’infanzia non fu
solo teorico, e che i genitori investivano risorse sia materiali che emotive
7
nella loro prole”.
Alla luce delle critiche alla prima edizione dell’opera di Ariès, egli stesso
sembra incline a vedere nel sentimento anche una relazione affettiva oltre
8
che un’idea dei termini che entrano in tale relazione.
La realtà dei bambini nel periodo medievale viene percepita come
ambivalente, da una parte come modello e dall’altra come qualcosa di cui
diffidare. La Chiesa manifestava chiaramente un interesse di tutela della
dignità della vita umana, nell’esigenza che la salvezza di ogni essere umano
implicava un immediato riconoscimento di uno status più elevato per i
bambini. Si percepiva la necessità che i bambini fossero consapevoli di
avere un’anima e che la loro vita nell’aldilà, come pure sulla terra,
9
dipendeva dalla condizione della loro anima.
In conformità a questi principi e in contrasto con quelli greci e romani, i
cristiani consideravano l’uccisione dei bambini uguale all’omicidio.
La religione cristiana esprimeva un notevole interesse per il fanciullo come
essere incapace di collera, rancore e innocente, raffigurandolo nella forma di
Gesù infante e quindi centro di più devozione, tuttavia dall’altra parte
ARIÈS PHILIPPE, op., p. 145.
SHAHAR SHULAMITH, Childhood in the Middle Ages, London, Routledge, 1990, cit.,
p. 1.
Cfr. ARIÈS PHILIPPE, op., cit. p. XVIII.
WIEDEMANN THOMAS E. J., Adults and Children in the Roman Empire, London
Routledge 1989, pp. 188-93.
11
6789
idea
veniva visto come piccolo adulto affetto da infirmitas, non ancora redento
dal peccato. In questo periodo si sviluppò in modo considerevole
l’abbandono dei figli con intento figlicida, e si registrarono forme di
trascuratezza e di forte sfruttamento dei bambini. Le condizioni di vita dei
fanciulli in questo lungo lasso di tempo appaiono molto difficili: gli adulti
non sentivano alcun impegno emotivo e morale nei confronti dei più piccoli
e opinione prevalente era quella di avere molti figli, nella speranza che due
o tre sopravvivessero così da provvedere ai genitori anziani. Nell’epoca del
Rinascimento si pensava che i bambini possedessero la chiave del futuro
dello Stato, e la loro appropriata educazione era cruciale per il futuro. Lo
Stato era dominato dagli uomini, e ciò significava che i padri avevano un
ruolo cruciale nella famiglia, era loro la responsabilità della quotidianità dei
figli e soprattutto dell’istruzione.
All’epoca la scuola, aveva molta importanza, in quanto gettava le basi
dell’uomo futuro e per questo era necessario la precocità dell’intervento
educativo e l’attuazione di una pedagogia della severità attraverso l’utilizzo
di percosse e violenze fisiche e morali.
È solo nella modernità, con l’affermazione di un nuovo modello economico
basato sull’industrializzazione e lo sviluppo tecnico-scientifico, con le
trasformazioni familiari e demografiche, con la nuova dimensione politica e
organizzazione sociale, che diventa possibile costruire un discorso collettivo
sull’infanzia basato su un profondo mutamento d’atteggiamento verso il
10
minore, con un'attenzione reale alle esigenze specifiche del bambino.
Il XVII secolo segnala l’avvio di un periodo di rilevante trasformazione sia
del concetto d’infanzia sia del modo di trattare i bambini. La popolarità
1112
delle idee di Locke e di Rousseau nelle nuove famiglie borghesi apre un
periodo in cui i bambini diventano oggetto di premure, cessano di essere
BELLOTTI VALERIO, Verso pari opportunità tra generazioni, p. 12. in Vent’anni
d’infanzia. Retorica e diritti dei bambini dopo la Convenzione dell’Ottantanove (a cura di)
BELLOTTI VALERIO e RUGGIERO ROBERTA, Milano, Edizioni Angelo Guerini,
2008.
12
10
visti come incarnazioni di anime bisognose di salvezza dai benefattori e
dalla Chiesa, e si cominciò ad attribuire ai fanciulli sempre più il possesso di
una capacità di sviluppo, di libertà di pensiero e di azione; la visione
dell’epoca continuava, tuttavia, ad ancorare il fanciullo all’adulto e
13
costituendo il bambino come un cittadino, futuro, potenziale.
È verso gli inizi del Novecento che le concezioni del fanciullo vivono un
mutamento radicale attraverso quello che è stato definito il “secolo del
14
bambino” e il “capovolgimento dell’idea di bambino”.
All’inizio dello scorso secolo infatti la pedagogia, la psicologia e la
sociologia hanno preso coscienza ed affermato che l’infanzia è d’estrema
importanza nello sviluppo dell’uomo e che “il bambino non è un uomo in
piccolo, un homunculus, un adulto in miniatura, un essere umano solo
diverso dall’uomo maturo. In realtà, invece, sono tali,
tante e profonde le differenze tra il bambino e l’adulto che, sia pure con
espressione e sapore paradossale, e da interpretarsi naturalmente più nel suo
spirito che alla lettera, si può asserire che il bambino è abissalmente,
qualitativamente diverso dall’adulto. Il piccolo uomo non è un uomo in
15
piccolo.”
Tali nuovi orientamenti sviluppati nelle scienze sociali moderne hanno
permesso di cogliere pienamente lo sviluppo e il mutarsi storico del pensiero
sul mondo dell’infanzia e così viene data una nuova considerazione ai
diversi paradigmi interpretativi dei diritti dei minori che hanno
Locke John, nel saggio Some Thoughts Concerning Educational del 1693; tradotto in
italiano in sull’educazione, indica alcune riflessioni pedagogiche come allevare un
ragazzo fino a trasformarlo in un perfetto gentiluomo inglese.
Rousseau Jean Jacques, Emilio, romanzo pedagogico. Il libro descrive come secondo le
direttive di Rousseau dovrebbe essere educato il fanciullo. Idealmente Emilio, il
protagonista del libro dovrebbe essere allevato senza altri contatti umani, e imparare
semplicemente dalla natura.
SERIAL REVEDIN MARINA, Educazione e diritti del fanciullo. Per una lettura
pedagogica dei documenti internazionali, Trieste, Proxima Scientific Press, 1994, p. 30.
KEY ELLEN, Barnest aarhundreade, 1900; traduzione italiana Il Secolo dei fanciulli,
Torino, Fratelli Bocca, 1906.
AGAZZI ALESSANDRO, I diritti dell’infanzia in AA.VV., I diritti del bambino, Sipiel,
1991, cit., p. 24.
13
15
14
13
12
Pensieri
11
quantitativamente
caratterizzato e caratterizzano il dibattito in ambito scientifico, in particolare
sociologico e psicologico, sul tema.
Il diritto per la prima volta si è ripiegato sui bisogni essenziali di crescita
umana del soggetto in formazione e li ha assunti e tradotti in diritti
soggettivi perfetti, come lo sono certi bisogni dell’uomo adulto, da tutelarsi
16
con la stessa puntualità e intensità.
Viene così a costituirsi un diritto minorile, “il diritto dei diritti del minore e
cioè il diritto che evidenzia e raccoglie e collega quell’insieme di diritti che,
pur essendo propri di ogni cittadino, assumono una particolare debolezza e
perciò appare meritevole di una particolare considerazione e di uno
specifico aiuto, per vedere facilitato il suo itinerario maturativo e il suo
17
progressivo inserimento nella comunità sociale in cui è chiamato a vivere”.
Il diritto per i minori da poco riconosciuto non è un diritto di minor
importanza perché minore in estensione a quello dell’adulto, e non prende
più in considerazione il bambino per disciplinare esclusivamente il
comportamento che gli adulti devono tenere nei suoi confronti. Si tratta di
un diritto proporzionato alle capacità di una personalità in formazione, con
caratteristiche peculiari che devono essere tutelate e garantite attraverso
leggi, convenzioni e istituti giuridici per far in modo che il bambino cresca
in piena autonomia e libertà e costruisca il suo percorso e le sue esperienza
di vita, inserito in una società come cittadino e in grado di esercitare i propri
diritti.
1.2 I documenti internazionali sui diritti del fanciullo
Solo dall’inizio del Novecento la comunità internazionale comincia a
parlare della necessità di tutelare i diritti dei fanciulli e di tutelarli, in
MORO ALFREDO CARLO, Manuale di diritto minorile, 4°edizione a cura di Fadiga
Luigi, Bologna, Zanichelli, 2008, cit. p. 10.
, p. 11.
14
Ibidem
17
16
maniera più specifica, a livello planetario (in precedenza difatti questo
compito ricadeva nell’ambito esclusivo dell’ordinamento di ciascuno Stato),
non solo attraverso dichiarazioni di principio che esplicitino i diritti
fondamentali riconosciuti all’uomo e al cittadino (nel passato sono già stati
riconosciuti dei diritti del cittadino, basti pensare alla Magna Charta del
1215 o al Bill of Right del 1689 in Inghilterra; alla Dichiarazione della
Virginia nel 1776 e alla Costituzione americana del 1787; alla Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino in Francia nel 1776), ma anche con la
stipulazione di Patti o Convenzioni, tra Stati, per assicurare che i singoli
ordinamenti interni garantiscano al minore, un’adeguata protezione e
18
tutela.
Più specificatamente, il problema della tutela dei minori nell’ambito
dell’ordinamento internazionale è stato affrontato per la prima volta soltanto
nel periodo dell’industrializzazione, essendo strettamente collegato con
quello concernente lo sfruttamento dei bambini nel mondo del lavoro.
Da questo momento in poi il minore è stato il punto di riferimento di atti
politici degli organismi internazionali, siano essi nazionali o regionali,
attraverso i quali si può ricostruire un percorso estremamente lento, faticoso
e contrastato con cui i minori hanno visto progressivamente riconosciuta la
19
propria soggettività di fronte al diritto. “E’ interessante notare come il
linguaggio internazionalistico degli strumenti giuridici e politici realizzati
dalle varie organizzazioni durante questo secolo, rispecchi proprio questo
passaggio, questa progressiva emersione del cittadino minore d’età, dal cono
20
d’ombra della soggezione.”
MORO ALFREDO CARLO, ., 2008.
SAULLE MARIA RITA, Codice internazionale dei diritti del minore, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1994, p. 11.
MILANESE FRANCESCO e BARES FABIA MELLINA, Diritti, tutela responsabilità.
Manuale per operatori della scuola, del sistema dei servizi, delle comunità, nelle azioni di
promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Udine, Un metro poco più, 2005,
cit. p.17.
15
op
20
19
18
Il primo documento che possa essere riconducibile agli strumenti
internazionali di tutela del minore appare con la Conferenza dell’Aja di
diritto internazionale privato del 1902 in cui fu approvata la“Convenzione
per regolare la tutela dei minori.”Essa, in particolare, regolava gli aspetti
giurisdizionali dell’esercizio della tutela sul minore straniero, stabilendo che
al minore bisognoso di protezione dovessero essere applicate le leggi del
Paese di cittadinanza. Questa Convenzione, quindi, riconosce il “principio
di nazionalità”, nel senso che la tutela del minore viene ad essere incentrata
21
sulla legge nazionale dello Stato di appartenenza.Proprio perché basata sul
principio della nazionalità, il principale problema derivante
dall’applicazione della Convenzione del 1902 riguardava l’ipotesi in cui le
autorità dello Stato della cittadinanza dovevano provvedere ad organizzare
la protezione del minore pur trovandosi quest’ultimo, per qualsiasi motivo,
in un Paese straniero. In tale ipotesi, appariva evidente come il ricorso alle
autorità diplomatiche e consolari (la c.d. tutela a distanza) non poteva
sostituire, da solo, il complesso delle attività giurisdizionali e
amministrative che l’esercizio effettivo di una tutela richiede. Per colmare le
lacune di questo sistema normativo, la Convenzione dell’Aja prevedeva, il
ricorso al diritto dello Stato di residenza abituale del minore, ma soltanto per
il caso in cui lo Stato della cittadinanza non esercitasse la facoltà di
organizzare la tutela, ovvero non fosse in grado di organizzarla
22
effettivamente. È questa una prima dimostrazione di attenzione verso il
bambino, anche se prevalgono più esigenze astratte di tutela di nazionalità
(importante da considerare l’epoca in qui venne applicata la Convenzione,
cioè nel periodo storico profondamente segnato da movimenti
nazionalistici) rispetto a esigenze di concreta protezione della personalità
In quanto la competenza giurisdizionale e quella legislativa vengono fatte coincidere dal
trattato e quindi, la giurisdizione viene attribuita all’ordinamento di cui il minore è
cittadino.
BERGHÈ LORETI ADRIANA (a cura di), La tutela internazionale dei diritti del
fanciullo, Padova, Cedam, 1995.
16
22
21
del minore ma, di fatto, è una prima apparizione del minore fuori della
23
protezione familiare dell’adulto.
Nel 1919, anno della sua costituzione, l’OIL,
Internazionale del Lavoro, sollevò il problema di una tutela concreta dei
diritti del minore sul piano internazionale. L’OIL elaborò una convenzione
che determinava l’età minima per il lavoro nelle industrie a 14 anni, salve
consistenti deroghe; nello stesso anno veniva approvata una Convenzione
che proibiva il lavoro notturno per i minori di anni 18. Nel 1920 venivano
aperte alla ratifica degli Stati una Convenzione sull’ammissione dei bambini
al lavoro marittimo ed una al lavoro in agricoltura fissando entrambe il
24
limite di 14 anni di età.
Il primo intervento globale che affronta il problema della tutela del minore
come soggetto relativamente autonomo e tendenzialmente mirante allo
sviluppo di una sua personalità è la Dichiarazione sui diritti del fanciullo
approvata a Ginevra dalla Società delle Nazioni il 24 settembre 1924. La
stesura della Dichiarazione è dovuta agli eventi drammatici che hanno
caratterizzato l'inizio del Novecento, in particolar modo la Prima Guerra
Mondiale. La scomparsa di milioni di persone, il problema delle vedove e
degli orfani, ponevano in primo piano la questione della salvaguardia delle
generazioni future.
I problemi procurati di fatto dall’applicazione della Convenzione dell’Aja spinsero a
rivederla; la nuova “Convenzione sulla competenza delle autorità e la legge applicabile in
materia di protezione del minore” fu firmata nel 1961. Le norme di attuazione della
Convenzione dell’ Aja del 5 ottobre 1961 sono state emanate con la legge 15 gennaio 1994,
n. 64, art 4. Ma la Convenzione stessa è stata recepita nell’ordinamento italiano con l’art.
42 della legge 31 maggio 1995, n. 218, recante Riforma del sistema italiano di diritto
internazionale privato.
La Convenzione n. 5 dell’OIL, inserisce l’età minima di ammissione dei bambini al
lavoro nelle industrie, età che veniva fissata a 14 anni e che venne innalzata a 15, con la
convenzione n. 59 del 1937. I Numerosi interventi successivi dell’OIL hanno preparato i
testi di molti accordi a tutela dei minori, successivamente sottoposti a ratifica o adesione da
parte degli Stati: tra cui: la convenzione n. 6, sempre del 1919, concernente il divieto di
lavoro notturno nelle industrie per i minori di 18 anni; la n. 60 del 1937, sull’età minima
nelle occupazioni non industriali; la n. 123 del 1965, sul lavoro dei minori in miniera.
17
24
23
Organizzazione
E' una collaboratrice della Croce Rossa ad elaborare un testo breve e
conciso per il soccorso all'Infanzia, successivamente adottato all'unanimità
25
dalla Società delle Nazioni. In tale dichiarazione, che costituisce il primo
atto internazionale vero e proprio di tutela dell’infanzia, sono affermati i
seguenti cinque principi:
il fanciullo deve essere messo in grado di svilupparsi normalmente,
materialmente e spiritualmente.
Il fanciullo che ha fame deve essere nutrito; il fanciullo malato deve
essere curato; il fanciullo tardivo deve essere stimolato; il fanciullo
fuorviato deve essere recuperato; l’orfano e l’abbandonato devono
essere raccolti e soccorsi.
Il fanciullo deve essere il primo a ricevere soccorso in caso di
necessità.
Il fanciullo deve essere messo in grado di guadagnare la sua vita e
deve essere protetto contro ogni sfruttamento.
Il fanciullo deve essere allevato nel sentimento che le sue migliori
qualità dovranno essere poste al servizio dei suoi fratelli.
È la prima volta che in un documento ufficiale approvato da tutti gli Stati
membri si individuano alcuni diritti fondamentali del fanciullo riconosciuto
titolare di diritti. “La dichiarazione è di straordinaria rilevanza innanzi tutto
perché ribalta totalmente la vecchia logica che aveva improntato tutti gli
ordinamenti giuridici precedenti e contemporanei: secondo tale logica in
capo al ragazzo si radicavano solo doveri e mai diritti e gli si poteva
riconoscere solo un interesse a certi comportamenti da parte degli adulti su
cui gravavano doveri nei suoi confronti. Ma una cosa è avere un interesse
tutelato solo di riflesso, come quello che corrisponde ad un dovere gravante
Il 6 gennaio 1920, venne fondata a Ginevra l’Unione Internazionale per il Soccorso
dell’Infanzia che nel 1923 adottò la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia preparata già nel
1922 da Eglantine Jebb (collaboratrice della Croce Rossa) e ratificata dalla Società delle
Nazioni Unite solo nel 1924
18
-----.
25
sul terzo, ed altra cosa, assai diversa, è vedersi riconosciuti diritti soggettivi
che devono essere attuati e tutelati. È anche da rilevare che la Dichiarazione
è innovativa, e in qualche modo rivoluzionaria, sotto altro aspetto: si
riconosce che il ragazzo ha diritto non solo alla propria integrità fisica ma
principalmente ad un processo formativo che sia normale e che sviluppi le
sue potenzialità positive nella prospettiva di una sua ricca integrazione nella
comunità. Da suddito, come era stato per secoli, il ragazzo viene così
26
promosso al ruolo di cittadino.
Tale documento, che precede di più di vent'anni la “Dichiarazione
Universale dei diritti dell'uomo”, non è però ancora concepito come
strumento atto a valorizzare il bambino in quanto titolare di diritti, ma solo
in quanto destinatario, né si rivolge agli Stati per stabilirne i doveri, ma
chiama in causa l'umanità intera affinché garantisca protezione ai soggetti
minorenni e ancora non traspare una vera preoccupazione educativa: la
tutela del bambino infatti si concentra solo su preoccupazioni fisiche e di
crescita mantenendo un impianto di tipo assistenzialista.
La Seconda Guerra Mondiale impose una nuova attenzione nei confronti
dell’infanzia e della necessità di una sua adeguata protezione. In tale spirito
le Nazioni Unite proclamavano solennemente, il 10 dicembre 1948 a New
York, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nell’intento di
favorire “l’avvento di un mondo in cui gli uomini godano delle libertà di
parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno”.
Pur riconoscendo la famiglia come il “nucleo naturale e fondamentale della
27
società e dello Stato”, tale Dichiarazione non presta specifica attenzione
alla condizione del fanciullo; anche se i destinatari dei principi in essa
MORO ALFREDO CARLO, Il bambino è un cittadino: conquista di libertà e itinerari
formativi: la Convenzione dell’ONU e la sua attuazione, Milano, Mursia, 1991, pp. 17 e 18.
Art.16, terzo comma, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ONU., fatta a New
York, 10 dicembre 1948.
19
27
26