2
Introduzione
Nulla è mai tanto acutamente percepito e sentito quanto l‟ingiustizia.
C. Dickens
Il grado di civiltà di un paese si misura osservando le
condizioni delle sue carceri.
Nel novembre del 2009, in occasione del 42° Convegno Nazionale del
SEAC (Coordinamento Enti e Associazioni Volontariato Penitenziario) -
“Sullo stato attuale del sistema delle pene e le sue prospettive” - con l'Alto
Patronato del Presidente della Repubblica, del Comune di Roma, della
Provincia di Roma e del CSV1 - sono state affrontate le innumerevoli
problematiche che circondano il mondo delle misure alternative ed il
sistema sanzionatorio in generale. Con numerosi interventi, alcuni
autorevoli giuristi ed operatori del settore penitenziario, hanno
efficacemente illustrato le condizioni in cui versano la maggior parte degli
istituti penitenziari, dei servizi di assistenza ai detenuti approntati nelle
strutture carcerarie, e del ruolo socio - rieducativo svolto dalla pena nelle
particolari situazioni di emergenza del mondo carcerario. Riportare un sunto
delle varie opinioni espresse - ciascuna delle quali comunicante punti di
vista e soluzioni in parte concordanti e in parte confliggenti, a seconda del
proprio ruolo e della propria sensibilità - credo sia il modo migliore per
iniziare l‟esame di un tema talmente vasto e complesso quale quello della
pena, del carcere e delle misure alternative.
Ho scelto di partire da un flusso di problemi e di idee, di eventuali possibili
soluzioni poiché è necessario, a mio avviso anche nella trattazione di un
argomento tecnico - giuridico apparentemente teorico e formale, renderlo
reale.
Ogni giorno quando ascoltiamo un TG o leggiamo un giornale, non
possiamo restare indifferenti di fronte ai suicidi, agli atti di autolesionismo,
alla negazione del rispetto e dell‟umanità di chi subisce il carcere, perché la
“dignità dell‟uomo” non è soltanto una parola, è al tempo stesso un valore,
un principio, un elemento connotante un sistema giuridico, è la base del
vivere civile, e non deve trovare nessun spiraglio di negazione, né quando si
tratta di cessazione della vita, né in caso di liceità o meno dell‟obbligatorietà
dei trattamenti terapeutici del malato cosciente o incosciente, né in ambito
di credenze religiose o convinzioni atee, e soprattutto non deve trovare
negazione nelle carceri, nelle corsie degli ospedali, negli OPG, nei CPT, e in
tutti quei luoghi di cui è spesso più facile dimenticarsi.
1 Centro Servizio Volontariato.
3
Ecco quindi che l‟analisi e la sostanza delle questioni quando parliamo di
pena e di carcere non possono disgiungersi, poiché è urgente che lo Stato
italiano (ma non solo) crei le condizioni perché la speranza prenda il posto
della disperazione, la prevenzione pedagogica di futuri delitti il posto del
castigo di quelli già commessi, e l‟educazione il posto della repressione.
Le autorevoli e distinte opinioni di seguito riportate, sono il punto di
partenza dell‟argomento trattato nel presente lavoro di tesi che,
nell‟intenzione della scrivente, vuole rappresentare uno studio sull‟attuale
condizione degli istituti penitenziari, dei servizi di assistenza ai detenuti, e
del ruolo socio-rieducativo svolto dalla pena nelle particolari situazioni di
emergenza del mondo carcerario, quali problematiche che affliggono la
moltitudine delle persone detenute nella loro disperata quotidianità.
Le misure alternative al carcere, stante l‟evidente fallimento dello scopo
rieducativo delle pene detentive, sono gli strumenti di espiazione della
condanna che meglio aderiscono al dettato costituzionale previsto nel III
comma dell‟art. 27, poiché, richiamando le parole del Prof. Padovani, “la
rieducazione non è possibile attraverso il carcere perché non si può
educare all‟uso della libertà sopprimendola”.
E come è stato ribadito anche recentemente in occasione di un importante
convegno tenutosi a Roma2, “è urgente che si crei una cultura moderna nei
penitenziari europei che privilegi l‟educazione invece della repressione, la
speranza invece della punizione, la prevenzione pedagogica di futuri delitti
più che il castigo per i delitti già commessi. E‟ necessario aprire le prigioni
alla società, ma è urgente anche che la società si apra alle problematiche
delle prigioni” 3.
2
I diritti umani e fondamentali nella formazione dell‟avvocato europeo “, Roma, 9-
10 aprile 2010, con l‟Alto Patronato del Presidente della Repubblica.
3
Antonio Marino e Pinto, Presidente dell‟Ordine degli Avvocati Portoghesi.
4
42° Convegno Nazionale "Lo stato del sistema sanzionatorio e le
prospettive" del Coordinamento degli enti e delle associazioni di
volontariato penitenziario. Seac
In particolare, con il primo intervento, la Dott.ssa Elisabetta Laganà
Presidente della SEAC4 e CNVG5, ha dichiarato di auspicare che il valore
ed i diritti fondamentali per qualsiasi uomo in qualsiasi circostanza ed a
qualunque condizione esso sia soggetto siano garantiti, perché la difesa dei
diritti dei soggetti deboli è il metro di giudizio dell‟effettiva difesa dei diritti
di ciascuno, perché occuparci di diritto penale non dovrebbe essere una
prerogativa dei giuristi, essendo il sistema giudiziario, sempre di più, il
punto di snodo in cui si incrociano i grovigli irrisolti delle politiche sociali
e penali.
Per invertire - afferma la Dottoressa - il senso di marcia in cui si sta
procedendo bisognerebbe pensare ad un diritto penale certamente efficiente
ma mite e soprattutto ad un‟interlocuzione tra le parti della società, tra le
varie discipline sociali che restituiscano un vero posto ai problemi
impropriamente convogliati nel diritto penale.
Da più parti si riconosce che il carcere non può riformarsi all‟interno
dietro le mura soprattutto se ritornerà il silenzio dietro alle sue mura.
La riforma del sistema sanzionatorio dovrebbe porsi l‟obbiettivo di un
diritto penale minimo ed equo. L‟introduzione di sempre nuove fattispecie
penali, che puniscono condotte per le quali altre soluzioni sarebbero più
conformi, ha partecipato in modo rilevante a determinare l‟attuale stato
della giustizia penale, considerato ormai da tutti al collasso, con milioni di
procedimenti penali pendenti e conseguenti quotidiane violazioni di quella
ragionevole durata del processo sancita dall‟art. 111 della Costituzione e
dall‟art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell‟Uomo.
La necessità di un riassetto del sistema sanzionatorio è, quindi primaria,
avendo il testo originario del Codice subito notevoli modifich, sia per effetto
di provvedimenti legislativi sia per effetto degli interventi significativi della
Corte Costituzionale.
Le due commissioni di riforma del codice penale che si sono succedute -
Grosso e Nordio – non sono approdate ad alcun testo che abbia iniziato il
cammino parlamentare. Appaiono evidenti, infatti, alcune comprensibili
differenze d‟impostazioni, profonde convergenze ed affinità di fondo,
riassumibili nella necessità d‟ampliamento e differenziazione delle tipologie
sanzionatorie, con l‟affiancamento alla pena detentiva di altre pene,
limitative ma non privative della libertà personale, con lo scopo di ridurre
sensibilmente il ricorso alle pene detentive e nel contempo rendere più
efficace e razionale il sistema sanzionatorio nel suo insieme. In questo
modo, pertanto, il nostro sistema penale, si avvicinerebbe ad altri sistemi
4 Segretariato Nazionale Enti di Assistenza ai Carcerati.
5 Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
5
penali europei a codificazione più recente, nei quali il potere discrezionale
del giudice unitamente alle norme codicistiche, contribuisce a tracciare un
complessivo sistema delle pene di grande flessibilità. Dopo l‟operato
dell‟ultima Commissione presieduta da Pisapia, la quale considera il
sistema delle pene in una prospettiva di diritto penale minimo - peraltro
convalidando parte delle conclusioni cui erano pervenuti i progetti delle
Commissioni Grosso e Nordio che avevano riflettuto in termini di
“umanizzazione” e “contenimento” del carcere - dobbiamo chiederci se
attualmente esistono le condizioni culturali e politico - istituzionali per una
nuova codificazione penale.
Sono domande ineludibili in una prospettiva di riforma sostanziale,
all‟interno di un quadro politico come il nostro così frammentato, dove è
difficile identificare valori condivisi su cui costruire un impianto globale,
coerente ed aggiornato.
Questa operazione, per la politica si presenterebbe decisamente complessa,
poiché presupporrebbe un consenso sociale su scelte di politica legislativa
tali da scindere nettamente l‟opinione pubblica, con una conseguente
riduzione del consenso elettorale sia da una parte che dall‟altra, già scosso
dall‟ormai diffusa pratica della legislazione speciale spesso frutto di
interventi d‟urgenza e di una demagogia difficilmente riconducibile ad un
pensiero organico ma che, sino ad oggi, ha voluto solo intendere il sistema
penale come un‟idra con molte teste. Infatti, la volontà politica del
Parlamento di costruire un impianto penale globale, che metta al centro la
persona con i suoi diritti costituzionali, è venuta meno in nome della cd
“percezione della sicurezza”.
Orbene se si insiste per considerare solamente l‟aspetto “percezione”, i
problemi reali non verranno mai affrontati con soluzioni appropriate, ma
solo con provvedimenti che peggiorano la situazione rendendo sempre più
acuti e gravi i conflitti sociali.
Sulla scia dell‟idea della certezza della pena si elaborano previsioni penali
sempre più numerose, più detentive, più rigorose, in qualche caso contrarie
allo stesso principio costituzionale secondo cui nessuno può essere
considerato colpevole fino a condanna definitiva.
In conclusione occorre rispondere ai numerosi interrogativi che affliggono
la materia resistendo ed insistendo perché non è accettabile rassegnarsi
all‟autarchia ed all‟opacità del carcere; al contrario si deve intendere il
carcere come ricostruzione di un legame, come territorio, ed in questo
senso facendo anche e soprattutto leva sugli enti locali e sulle risorse
specifiche, coinvolgendo l‟opinione pubblica più ampia, di quella qui
rappresentata.
Giunge naturale a questo punto chiedersi se sia possibile umanizzare il
carcere e fino a che punto le istituzioni rispettino i propri principi ed il
proprio mandato ed altresì fino a che punto, invece contrastino con i
principi di legalità.
Ci si interroga poi su quale debba essere il significato della rieducazione
secondo la logica dell‟istituzione penitenziaria, o meglio, se il principio di
6
rieducazione seguito dall‟istituzione penitenziaria rispetti il principio
espresso dalla nostra Costituzione. La storia – purtroppo - sembra dirci di
no: la principale causa di sovraffollamento del carcere è da ricondursi alla
disperazione e quindi quale penalità e quale carcere ci aspettano oggi?
Occorre far si che le parole contenute nella Costituzione non siano solo
retorica, in particolare quel senso di umanità di cui non è possibile fare a
meno, perché a tutte la persone va riconosciuta dignità e rispetto”.
La preoccupazione è quindi – per la Dott.ssa Laganà -fondata: occorre
perseguire sulla strada delle riforme, anche se può sembrare difficile e
fallimentare.
Alle parole proferite dalla Dott.ssa Laganà, è seguito l'intervento del
Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Dott. Luca Palamara, il
quale ha sviluppato la propria discussione sulla circostanza che vede nella
pena della reclusione l'elemento principe caratterizzante la “concezione
carceraria”.
Il Professor Palamara ha quindi sostenuto che: essendo pacifico che nei
confronti di chi commette un delitto o un reato si applica la pena della
reclusione, ci si deve chiedere se esistono delle misure alternative al
carcere, e, in caso di risposta affermativa, quali siano le alternative.
Quest‟ultimo è un tema sul quale pare essenziale soffermarsi, in quanto in
esso si rispecchia altresì un‟ulteriore problematica che in questi anni è di
assoluta attualità: la costruzione di nuove carceri e l‟edilizia carceraria,
situazioni che sembrerebbero contraddire la premessa iniziale di trovare -
soprattutto per i reati meno gravi - delle reali alternative al carcere per
voler ben attuare il disposto normativo costituzionale (art. 27 Cost.).
Questi problemi non sono sconnessi dal funzionamento della giustizia, sia
nel momento del processo penale sotto il profilo della certezza della pena,
sia nella successiva fase della sorveglianza ovvero nell‟esecuzione della
pena, poiché tutte le problematiche che si legano alla popolazione
carceraria presuppongono prima un corretto funzionamento della giustizia
in senso lato.
Ci rendiamo conto – a proposito - di un dato che è oggettivo nel nostro
paese: se è vero che le carceri sono sovraffollate, (sarebbero, infatti, oltre
65000 i detenuti) è pur vero che all‟origine tantissimi sono i fatti che
costituiscono reati.
A tale proposito è di chiara attualità il tema – quanto mai politico - della
depenalizzazione dei reati meno gravi, connesso alla c.d. “irrilevanza
penale del fatto” dando al giudice la possibilità di addivenire ad una netta
deflazione del dibattimento – ovvero alla possibilità di ricorrere già nel
processo alle ipotesi di mediazione penale o di istituti alternativi quali la
messa alla prova, al fine di consentire per i fatti meno gravi di definire
brevemente la parte della cognizione. Il termometro di un paese civile si
misura attraverso tribunali che funzionano e strutture carcerarie che
altrettanto funzionano e su questi temi non ci devono essere
contrapposizioni, temi sui quali tutte le componenti sociali e politiche
debbono continuare a parlarsi, nella realizzazione di un obbiettivo comune.
7
Se la riforma della giustizia è nell‟interesse dei cittadini a maggior ragione
sul versante del sistema carcerario quello che noi chiediamo è di avere
carceri moderne e situazioni che diano realizzazioni al dettato
costituzionale di una pena che deve tendere alla rieducazione del
condannato.
Sull'argomento, è successivamente intervenuto il Dott. Piercamillo Davigo,
Pubblico Ministero facente parte del pool “mani pulite” ed attualmente
Consigliere presso La Suprema Corte di Cassazione. Il magistrato ha
sostenuto che in prima persona avverte la profonda inadeguatezza del nostro
sapere.
Secondo la concezione del nostro sistema - prosegue il Professor Davigo –
al di là della concezione retributiva un po‟ arcaica concepibile solo come
limite di proporzione rispetto alla violazione, vengono essenzialmente
concepite due funzioni della pena, una come deterrente, l‟altra come
rieducazione.
La prima ormai è un‟idea semplice, tramite la quale il legislatore si auspica
che il cittadino si astenga dal commettere i delitti; ma siamo ben consci che
in situazioni di forte emarginazione sociale tale funzione non possiede i
presupposti per poter operare.
Molte indagini criminologiche e sociologiche dimostrano, infatti, che nel
momento in cui si opera la scelta delinquenziale a tutto si pensa tranne che
alle conseguenze a cui si va incontro. Ovviamente ci sono “particolari tipi
di autore di particolari tipi di reati”, che il calcolo costi/benefici lo fanno,
solitamente sono quelli che non vanno in carcere (…).
Quindi si sarebbe indotti a ripensare alla funzione deterrente per tipologia
d‟autore del reato, adeguando le sanzioni alla specificità dell‟autore del
reato. Se vogliamo che la deterrenza come funzione non venga meno,
dobbiamo mantenere qualche legame tra la minaccia e l‟attuazione della
stessa, per es: il giudice quando pronuncia su di uno sconosciuto. se è
incensurato gli concede sempre la sospensione condizionale, mentre
secondo alcune correnti criminologiche le pene brevi avrebbero un effetto
deterrente, in molti casi, assai maggiore della sospensione.
Il secondo punto è rappresentato dalla rieducazione, visto che le
pene detentive costituiscono la maggioranza delle sanzioni, esse come
sappiamo dalla recidiva, non rieducano (…).
A ciò si aggiungano gli enormi difetti di cui è afflitto il nostro sistema
processuale con il nuovo codice di procedura penale, e il fatto che le misure
alternative alla detenzione sono rivolte più che alla rieducazione, a
mantenere l‟ordine in carcere. Anche qui sono scattatati meccanismi di
automatismo per la mancanza di educatori e osservatori all‟interno delle
carceri, creando effetti contrari probabilmente alle finalità a cui la
normativa doveva tendere (….). Occorre ridare a questo sistema penale un
briciolo di razionalità.
Il successivo intervento ha visto come relatore il Prof. Giulio Illuminati
dell'Università di Bologna il quale ha ricordato innanzitutto, che: l‟Italia è
stata nel luglio 2009 condannata dalla Corte Europea dei diritti dell‟uomo,
8
per trattamento inumano e degradante ai sensi dell‟art. 3 della CEDU per
l‟eccessivo affollamento carcerario6 (nel caso di specie si trattava di un
detenuto che era stato per alcuni mesi tenuto in una cella con altri 5 quando
i posti previsti erano 2) 7. Quando parliamo di prospettive futuribili c‟è una
sorta di schizofrenia, da un lato possiamo pensare a riforme che si
indirizzino verso l‟attuazione dei principi costituzionali e dall‟altro a
riforme che identificate nei cd pacchetti sicurezza, vanno in una direzione
totalmente opposta, verso una carcerazione esasperata, verso una
discriminazione classista tra i possibili responsabili di reati e che in
qualche misura rendono i nostri discorsi abbastanza insignificanti, essendo
i giuristi poco ascoltati.
Per porre rimedio alle predette problematiche punto fondamentale risulta
esser l‟art. 27 Cost. nella sua integrità e nello stesso tempo nelle sue
peculiarità. Sul co. II circa la presunzione di non colpevolezza, si può
ragionare con riferimento all‟esigenza di non intendere la custodia
cautelare quale strumento di anticipazione della pena, un surrogato della
pena utilizzata come deterrente, ma se la custodia viene utilizzata in questo
modo si viola il diritto dell‟imputato a non essere considerato colpevole fino
a sentenza definitiva.
Il I° comma dell‟art. 27 Cost. - la responsabilità penale è personale - vuol
dire molto di più di quello che sembra voler dire di primo acchito, ovvero,
si vuole intendere altresì che l‟uomo non deve essere ridotto a strumento
della politica criminale per giustificare misure che servono garantire un
“bisogno di sicurezza”, ma è invece necessario – in primis - giungere
all‟accertamento della colpevolezza e pertanto ingiusto appare il tentativo
posto dal sistema – attualmente – vigente di utilizzare misure repressive
contro un certa tipologia di autore che affolla le nostre carceri (ad esempio
il tossicodipendente ed il clandestino nei confronti dei quali si accanisce la
repressione penale).
All‟art 27 della Costituzione il punto focale di riferimento per l‟interesse
alla condizione carceraria è il comma III: sia la quantificazione della pena,
sia il trattamento della persona devono essere adeguati al reo, sulla base
dei dati oggettivi sul fatto e con riferimento alla personalità dell‟imputato,
con la clausola della valutazione discrezionale dell‟organo preposto in
merito alla possibilità di rieducazione del reo.
A questo punto del suo intervento, il Prof. Illuminati rammenta qual‟era il
contenuto del disegno di legge delega del Prof. Riccio - abbandonato con la
6
Corte Europea dei diritti dell‟uomo, Sez. II, caso SuleJmanovic c/Italia, ricorso n.
22635/03, sentenza Strasburgo 16 luglio 2009.
7
Come è noto, le sentenze della Corte Europea, cominciano ad avere un peso
notevole all‟interno del nostro ordinamento, ed a suffragare tale affermazione risulta
essenziale per il nostro ordinamento, il rispetto dell‟art 46 della CEDU - onde evitare di
risultare inadempienti di fronte alle indicazioni della stessa Corte Europea - il quale
prevede appunto che la Corte possa dettare anche le modalità di attuazione delle proprie
decisioni per gli stati condannati.
9
caduta del governo - a proposito dell‟esecuzione penale, attraverso una
proposta basata sul cd processo bifasico e quali sarebbero stati gli aspetti
positivi che si sarebbero prodotti con la sua approvazione8.
Con ciò si vuole intendere che per l‟individualizzazione delle sanzione è
necessario individuare primariamente la responsabilità del soggetto; solo
successivamente aprire una seconda fase nella quale raccogliere gli
elementi che servono per la quantificazione della pena e le modalità del
trattamento e l‟applicazione delle misure alternative (….), quindi da un
lato il giudizio sul fatto, e su tutto ciò che consente di commisurare la pena
alla gravità del fatto commesso e dall‟altro l‟osservazione sulla personalità
del condannato. Poiché il nostro codice prevede forbici edittali ampie, il
massimo di individualizzazione che oggi si attua in sede processuale, si
configura nella maggior parte dei casi sulla misura media edittale, e allora
la prospettiva del disegno di legge del Prof. Riccio, era quella di alzare la
standard di giurisdizionalità della fase esecutiva e quindi l‟idea era quella
di identificare un giudice dell‟esecuzione separato dal giudice di merito.
A tal proposito pare agevole rammentare che oggi si distingue il giudice
dell‟esecuzione da quello di sorveglianza: il primo emette il provvedimento
che deve essere eseguito e sulla legittimità del titolo esecutivo, il secondo è
colui che sovrintende all‟esecuzione carceraria; unificare le due figure in
un solo “giudice della pena” consentirebbe di unire le funzioni ed unificare
le responsabilità, prevedendo la sospensione dell‟esecuzione fino a che non
sia concluso il procedimento di applicazione della pena, con una più
puntuale tutela del diritto di difesa del condannato con la sua
partecipazione davanti al giudice della pena.
Secondo il Professore Illuminati, quindi la questione principale è
data dalla necessità di articolare meglio il sistema delle pene, il nostro
sistema odierno prevede benefici penitenziari e solo sostituzioni alla pena
detentiva; in realtà il lavoro da fare è quello di prevedere vere ipotesi di
pena diverse dalla detenzione. Oggi infatti le tendenze attuali del diritto
penale sono date dall‟uso simbolico del diritto penale per punire alcuni
reati e salvarne altri – cd. diritto penale a due velocità – con paradossi
8
Caratteristico del sistema statunitense, si tratta di un sistema nel quale ad
una prima fase nella quale si produce ad opera di una giuria il giudizio sulla responsabilità
(conviction) segue una seconda, dominata da un giudice togato, il cui scopo è quello di
determinare la pena da irrogare al condannato (sentencing). Questa netta cesura tra i due
momenti consente (ma è più corretto dire che dovrebbe consentire) un approfondito
accertamento delle peculiarità del caso, nell‟ottica di una personalizzazione della sanzione
in rapporto ai concreti bisogni di pena e di rieducazione del condannato. In tal modo, il
giudizio sulla pena si alimenta di dati concreti e pregnanti, attinenti non più solo al fatto ma
anche alla personalità del reo. Nel nostro sistema, all‟inverso, la commisurazione giudiziale
della pena finisce per essere schiacciata dall‟accertamento del fatto. Non si tratta (o non si
tratta soltanto) del frutto colpevole di un atteggiamento errato del giudicante. La verità è
che il nostro processo è, pur dopo la riforma del 1988, “fondamentalmente strutturato come
“processo sul fatto” in cui tutta l‟attenzione e gli sforzi sono volti ad accertare se esso
sussista, se costituisca reato e se l‟imputato ne sia l‟autore. In tal senso S. DOVERE, in
L’Esecuzione della pena e procedimento di esecuzione e procedimento di sorveglianza,
tratto dalla Prima settimana di tirocinio generico riservato agli uditori giudiziari.
10
incredibili: ad esempio l‟art 61 comma XI bis c.p., che prevede con
l‟aggravante della clandestinità, non si possa sospendere l‟esecuzione
della pena in vista di poter ottenere i benefici della legge Gozzini, la
clandestinità non ha alcuna giustificazione di per sé, non è indice di
particolare pericolosità e non presuppone l‟inapplicabilità dei benefici,
solo che il clandestino deve passare in carcere e questo oltre ad essere
anche incostituzionale e sicuramente a fondamento del sovraffollamento
delle carceri. Mi pare che stiamo andando verso una situazione che sta
peggiorando, soprattutto per una scelta tra delinquenti buoni e delinquenti
cattivi assolutamente incompatibile con il nostro sistema democratico.
Ulteriore intervento è stato quello di un altro illustre relatore, il Prof.
Giuliano Pisapia, già Presidente per la Commissione di modifica del Codice
Penale, il quale ha riferito che si reputa pessimista in merito alla
problematica in questione poiché in due anni si è tornati indietro rispetto
alle prospettive del carcere e si assiste ad una continua involuzione.
Lo stesso Professore si interroga sulla sua preoccupazione in presenza di un
sistema penale catastrofico e fallimentare e sul perché non si riesca a fare
quel salto di qualità anche come sperimentazione di un sistema penale
nuovo, che non sarebbe mai così negativo come quello odierno. Basterebbe
uscire da una logica in cui l‟unica sanzione penale è quella detentiva. Ecco
perché la riforma del sistema penale sanzionatorio che preveda pene
principali diverse dal carcere per tutta una serie di reati è l‟unica soluzione
che può portare ad un‟inversione di tendenza del funzionamento della
giustizia, perché si potrebbero risolvere anche altri problemi, se è vero -
com‟è vero -che chi sconta la pena in carcere ha oltre il 70 % di recidiva e
chi sconta le misure alternative non va oltre il 12 % si avrebbe un effetto
complessivamente positivo anche ai fini della sicurezza dei cittadini9.
Questo rappresenta il punto di partenza, necessario per creare un canale di
informazione per spiegare il motivo per cui quando si reputano necessarie
misure alternative (messa in prova, l‟irrilevanza del fatto, attività
riparatorie unite a prescrizioni specifiche) lo si fa perché si cerca di creare
una situazione in cui è possibile incrementare il reinserimento senza
dimenticare la vittima, dando spazio ad un diritto penale moderno ed
efficace.
E‟ certo che l‟attuale sistema penale non è efficace né per la vittima che
viene ignorata, né per l‟imputato, né tanto meno per la collettività: da qui
ecco spiegata la necessità di creare un sistema sanzionatorio con pene
9
Cfr: A. MARCHESELLI, in Magistrati dietro le sbarre, ed. Melampo,
2009, pag. 101. Secondo l‟A. “l‟esperienza maturata mi fa ritenere ragionevole che la
recidiva dei soggetti più pericolosi, non diminuirebbe se ammessi alle misure alternativa.
Ho invece la motivata convinzione che aumenterebbe quella dei soggetti meno pericolosi,
se collocati in carcere. La curva della pericolosità sociale ha un andamento parabolico, a
forma di U rovesciata, di solito dipendente, in assenza di altri fattori, dall‟età del
condannato. Per i soggetti in età relativamente giovanile e ancora ad un altezza bassa
della curva, l‟inserimento in carcere privo di sostegni educativi, tende ad essere un
propellente verso l‟alto nella carriera delinquenziale, mentre la riammissione sperimentata
in misura alternativa, tendenzialmente tende ad essere una benefica zavorra”.
11
adeguate al fatto, non necessariamente carcerarie soprattutto in quei casi in
cui la pena ha effetti negativi ai fini dei rapporti con la criminalità, e altro
elemento - pena certa – che non significa pena meramente punitiva, ma
significa una sanzione penale quale strumento di reinserimento e recupero
del soggetto, adeguata al fatto e al condannato.
Nel dibattito è anche intervenuto il Dott. Livio Pepino, magistrato, già
Presidente di Magistratura Democratica ed attuale membro togato del
Consiglio Superiore della Magistratura, il quale riferiva che: le statistiche10
rammentano che in Italia abbiamo ormai 65000 detenuti, al 31/12/90
eravamo a 25.804 e che il dato fondamentale da cui dobbiamo partire è che
questo aumento del carcere è avvenuto senza l‟aumento della criminalità.
Gli anni di maggiore incidenza di crimini, sono stati il 92/93/94, anni in cui
la popolazione detentiva era la metà di quella odierna, quindi se i reati di
sangue sono diminuiti il primo dato è che il carcere aumenta per ragioni
diverse dall‟aumento della criminalità.
In Italia le misure alternative crollano, sono passate da 50228 a 10737 in
5 anni, rischiando di diventare episodi sporadici durante la detenzione.
È un quadro estremamente allarmante le cui ragioni sono spesso diverse da
quelle che vengono dichiarate.
Il progetto politico di un piano per nove carceri risulta essere del tutto
irrealistico, poiché - come è comunemente affermato - nuove carceri
significano solo più detenuti, non detenuti che stanno meglio.
Oggi sappiamo che le misure alternative continuano a diminuire e l‟errore
al magistrato di sorveglianza non viene perdonato, ma questo fa parte della
realtà perché è il prezzo da pagare per tutte le misure alternative che vanno
bene.
Basti pensare a due situazioni particolari: immigrazioni e stupefacenti. Ma
ha un senso rispetto a questi problemi la risposta penale? Rispetto alla
tossicodipendenza che è un problema di salute, il sistema penale di
controllo è del tutto inadeguato.
Per l‟immigrazione clandestina ha senso il carcere? Ma pensiamo davvero
che questa sia una soluzione dove almeno il 50 % dei detenuti appartiene a
solo queste categorie?
All'intervento del Dott. Pepino è seguito quello del Dott. Santi Consolo,
oggi consigliere in Corte di Cassazione e già vice capo del Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.).
Il magistrato invitava gli uditori a ragionare su un sistema penale meno
crudele e più umano, che non ricorra inutilmente al carcere, ma che con più
articolati strumenti possa esplicare una più efficace funzione preventiva,
fuori da una logica emergenziale.
Il relatore altresì sosteneva che occorre partire da alcuni dati numerici
essenziali per capire i problemi di cui ci stiamo occupando.
10
Si riporta dati aggiornati a fondo paragrafo alla data del 31
maggio 2010 fonte Ministero di Giustizia.
12
La presenza dei detenuti aggiornata al 16 novembre 2009 è di 65674 unità
gli italiani il 63% gli stranieri il 37%. Tuttavia per esattezza statistica mi
riferirò al 30 settembre 2009. La percentuale dei condannati in via
definitiva è del 48,5% del restante 51,5% il 3% sono internati e il 48,5% è
in attesa di giudizio.
Questo primo dato deve farci riflettere innanzitutto del nostro sistema
giudiziario, il numero così elevato di detenuti in attesa di giudizio
determina grave pregiudizio rispetto alla possibilità di accesso ai percorsi
di recupero e di reinserimento che fanno parte dell‟attività trattamentale
riservata ai detenuti condannati con sentenza passata in giudicato. Se
compariamo questi dati con il passato, vediamo che i detenuti in attesa di
giudizio va costantemente aumentando, e questo è un problema del sistema
giudiziario. Ho preso quale riferimento temporale comparativo la data del
31 dicembre 2005, la data ultima precedente all‟indulto del 2006, il numero
dei detenuti allora era vicino a quello odierno anche se leggermente
inferiore. Così al 31 dicembre 2005 il 36% era in attesa di giudizio, il
rimanente 62% era definitiva, il 2% appartiene agli internati”.
Quali sono le ragioni di tale composizione odierna della popolazione
carceraria? Qualche risposta la si può ricavare sia dalle modificazioni
recenti della normativa penale, sia rispetto alla composizione carceraria
secondo le diverse provenienze. Per quanto riguarda il primo aspetto fra le
altre innovazioni normative, mi limito a richiamare l‟art 2 del d.l. n.
11/2009 che ha modificato l‟art 275, co. III c.p.p. aggiungendo ai fini della
custodia cautelare obbligatoria anche i reati previsti dall‟art 51 co. III bis e
quater c.p.p nonché l‟omicidio e i reati sessuali. Da qui le numerose
richieste di ripristino della custodia cautelare per i procedimenti in corso
anche se relativi all‟entrata in vigore del d.l. n. 2.
Per quanto riguarda la composizione carceraria i dati ci dicono che le
percentuali variano sensibilmente tra italiani e stranieri; gli italiani in
attesa di giudizio sono il 17.490 il 43%, i definitivi 21.381 il 52,7%. Gli
stranieri sono invece il 57,7% in attesa di giudizio e i definitivi il 41,7%.
Questi dati portano a due considerazioni di fondo, che ci portano a pensare
che non possiamo affrontare la presenza degli stranieri in carcere con gli
strumenti che sono stati finora messi in campo, (ad esempio l‟espulsione
quale misura alternativa alla detenzione applicabile ai sensi del art. 16 del
relativo decreto legislativo, che consente l‟espulsione del detenuto straniero
che non deve scontare pene anche residue superiori ai 2 anni e dall‟altro
agli accordi con gli stati di provenienza per far scontare la pena nei loro
paesi di origine. In entrambi i casi si tratta di misure senz‟altro utili, ma
non sufficienti a risolvere il problema della custodia cautelare dello
straniero in quanto applicabili solo ai condannati in via definitiva).
La seconda considerazione è che gli stranieri sono più colpiti degli italiani
con la custodia cautelare, data la loro condizione di marginalità che li
rende meno adatti a godere di misure coercitive meno gravi di quella
detentiva. Appare consequenziale che il continuo aumento della presenza
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degli stranieri in carcere dal 2005 al 2009 contribuisca a determinare il
maggior numero complessivo dei detenuti in custodia cautelare.
Altro dato interessante è la durata della pena: alla fine del 2009 c‟erano
20.000 detenuti che dovevano scontare una pena o comminata o come
residuo inferiore ai 3 anni e 10.030 il 32% con pena inferiore ad un anno.
Qual è la lettura di tale dato?
Al 31 dicembre 2005 i fruitori delle misure alternative erano oltre 23.000,
all‟anno successivo si assisteva ad una drastica riduzione per effetto
indulto, al 30 giugno 2009 c‟erano 9.901 fruitore di misure alternative
assistiamo ad una ulteriore drastica riduzione di fruizione di tali misure,
infatti il rapporto misure alternative /carcerazione è sceso in 4 anni dal 40
% al 15%.
Una risposta potrebbe rinvenirsi nella legge ex-Cirielli con l‟introduzione
della recidiva reiterata, che impedisce la fruizione delle misure, ai soggetti
a cui è applicata, indipendentemente dal reato commesso, riducendo
grandemente la possibilità discrezionale del magistrato di sorveglianza.
Fatta questa panoramica possiamo dire che i problemi attuali del pianeta
carcere si concretano nel sovraffollamento, nella abnorme presenza di
detenuti stranieri, nell‟elevato numero di ristretti in custodia cautelare per
reati per i quali potrebbero benissimo usufruire degli arresti domiciliari,
nell‟insufficienza delle risorse con pesanti carenze di organico sia nella
polizia penitenziaria che negli educatori ed assistenti sociali, e nella
riforma mancata del sistema sanzionatorio.
La legislazione vigente cosa sta facendo per affrontare la situazione?
Innanzitutto importante è comprendere la necessità di una differenziazione
dei regimi e circuiti penitenziari: si parte dalla constatazione che i detenuti
non sono tutti uguali e che il loro trattamento deve essere necessariamente
differenziato a seconda della pericolosità sociale. Il livello di afflittività
della pena varia a seconda del diverso modulo trattamentale attuato e alle
diverse condizioni detentive.
La recente decisione della Corte di Strasburgo ci dice che spazi
eccessivamente ridotti integrano la configurabilità di trattamenti inumani e
degradanti, quindi la pena, in queste condizioni, appare più afflittiva
indipendentemente dalla durata (…).
Per il sovraffollamento determinato dai detenuti per periodi detentivi
brevissimi, si potrebbe potenziare i cd istituti di flusso o di breve
accoglienza con servizi essenziali e semplificati in modo da non
sovraccaricare le case circondariali. Se l‟edilizia carceraria asseconderà
questo fine sicuramente avrà degli effetti migliorativi. È allora
indispensabile all‟interno delle città metropolitane predisporre istituti di
pre-osservazione ove ospitare i detenuti appellanti fino alla celebrazione
dell‟appello, all‟esito del quale destinarli ove non rimessi in libertà ai vari
istituti penitenziari. Quindi la risposta dovrebbe essere l‟implementazione
di istituti a bassa vigilanza e di istituti a trattamento avanzato.
In tale ambito si potrebbero potenziare strutture come le colonie penali
agricole, le quali si prestano a ospitare detenuti a bassa pericolosità con
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possibilità di attività che potrebbero essere ampliate sulla base della
recettività.
L‟amministrazione di recente ha assunto l‟iniziativa di utilizzare i detenuti
attraverso la loro manodopera per il miglioramento degli spazi detentivi; in
questo modo si innescano diversi circoli virtuosi sia per gli stessi detenuti
che per il personale che per l‟amministrazione penitenziaria stessa.
In ultimo, si riporta l'autorevole intervento del Prof. Giovanni Conso,
Ministro di Grazia e Giustizia nei Governi Amato (1993) e Ciampi (1993-
1994), ed attuale Presidente dell'Accademia dei Lincei. Il noto giurista, con
le sue parole pone interessanti e fondamentali quesiti sul sistema
penitenziario italiani; sostiene che in prima persona egli è profondamente
deluso ed avvilito, e parla di pessimismo assoluto. “C‟è un precipizio che
continua a crescere, ma bisogna non demoralizzare se stessi per non
demoralizzare gli altri. Se noi vogliamo occuparci del sistema penale e
delle sue prospettive il tema è talmente ampio che è quasi impossibile
affrontarlo da tutte le parti, io mi ispiro alla riorganizzazione del sistema
penitenziario”.
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Detenuti presenti e capienza regolamentare degli Istituti
Situazione al 31 maggio 2010
Regione
di
detenzione
Numero
Istituti
Capienza
Regolamentare
Totale
Detenuti
Presenti
di cui
Detenuti
Stranieri
Presenti
di cui
Detenute
Donne
Presenti
di cui
in
Semilibertà
di cui
in
Semilibertà
Stranieri
Abruzzo 7 1.455 1.888 404 56 11 2
Basilicata 3 408 553 76 15 3 0
Calabria 12 1.849 3.028 780 49 20 0
Campania 17 5.506 8.007 1.005 289 141 3
Emilia Romagna 13 2.393 4.539 2.388 160 53 12
Friuli Venezia
Giulia 5 548 874 513 28 19 12
Lazio 14 4.628 6.217 2.323 449 77 13
Liguria 7 1.140 1.751 953 82 35 10
Lombardia 19 5.667 9.070 4.052 610 85 7
Marche 7 762 1.088 464 28 7 1
Molise 3 354 450 97 0 2 1
Piemonte 13 3.444 5.113 2.516 166 58 16
Puglia 12 2.551 4.482 840 232 87 2
Sardegna 12 1.970 2.282 998 50 31 0
Sicilia 26 5.202 8.163 2.047 197 80 4
Toscana 18 3.229 4.478 2.284 186 84 16
Trentino Alto
Adige 3 258 426 273 23 15 4
Umbria 4 1.132 1.618 763 83 12 0
Valle d'Aosta 1 181 273 201 0 0 0
Veneto 10 1.915 3.301 1.883 218 44 7
Totale nazionale 206 44.592 67.601 24.860 2.921 864 110
Dati provenienti dal Ministero di giustizio sul sito www.giustizia.it
Misure alternative alla detenzione Anno 2009
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TIPOLOGIA INCARICO INCARICHI PERVENUTI
INCARICHI
GESTITI*
AFFIDAMENTO IN PROVA
Affidati tossicodipendenti dalla
liberta'
795 1.296
Affidati tossicodipendenti dalla
detenzione
1.086 1.697
Affidati tossicodipendenti dalla
detenzione domiciliare o arresti
domiciliari
276 380
Affidati dalla detenzione 1.298 2.324
Affidati dalla liberta' 3.319 5.452
Affidati dalla detenzione domiciliare
o arresti domiciliari 495 748
Totale 7.269 11.897
SEMILIBERTA'
Semilibertà dalla detenzione 694 1.399
Semilibertà dalla libertà 172 244
Totale 866 1.643
DETENZIONE DOMICILIARE
Detenzione domiciliare dal carcere 1.825 2.792
Detenzione domiciliare libertà 2.415 3.500
Detenzione domiciliare provvisoria 1.008 1.290
Totale 5.248 7.582
GESTITI = incarichi pervenuti nel periodo di rilevazione + incarichi al 1
gennaio 2009
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Direzione
generale dell'esecuzione penale esterna - Osservatorio delle misure
alternative Dati complessivi sulle misure alternative: Nella tabella di cui
sopra sono riportate le cifre complessive riguardanti le misure alternative.
Al 31 gennaio 2009, beneficiano di una misura alternativa 21.125 soggetti
(di cui 1643 soggetti in regime di semilibertà e in quanto tali ancora
soggetti parzialmente detenuti) mentre 67.601 sono le persone che
scontano la pena in carcere.