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§1.
Il duello nel Regno d’Italia:
mentalità e dimensioni del fenomeno.
“A ogni libero cittadino poteva capitare di svegliarsi un giorno
e ritrovarsi sulle pagine di un giornale, ritratto come un ladro,
una spia, un ruffiano o chissà cos’altro.
E allora duelli di qua e duelli di là.
Oh, che vita quella!”
Paolo Ferrari, Cenni storici, 1928.
1. Spesso, quando ci si presenta davanti un argomento di cui abbiamo una conoscenza
superficiale o completamente lacunosa, la prima cosa che facciamo è cercare di
decostruirlo, osservando con attenzione i termini precisi in cui la questione é posta, al fine
di poter risalire a informazioni sul tutto partendo da quelle che riusciamo a ricavare dalle
parti. Allo stesso modo, se, nellʼimpossibilità di consultare un dizionario, fossimo
confrontati con un vocabolo di cui ignoriamo totalmente il significato, lʼunico tentativo
possibile di interpretazione sarebbe un faticoso sforzo di memoria teso a determinarne
anche solo approssimativamente lʼetimologia. Risalendo alle sue radici, “smontiamo” una
parola sconosciuta in altre parole, e il conoscere il significato di anche solo alcune di
queste magari non ci potrà svelare il significato esatto del vocabolo sconosciuto, ma
quantomeno ci potrà dare indizi e informazioni importanti sul suo uso e ambito applicativo.
Detto questo, potremmo però subito rilevare come “Duello” non sia certo un vocabolo raro,
tecnico o esotico. Esso descrive un costume storico e sociale di risoluzione privata di
contrasti tra due persone la cui storia attraversa i secoli. Questa lettura, assolutamente
corretta ma superficiale, è stata proposta più volte da arte, letteratura e cultura popolare,
ed oggigiorno nessuno ne ignora il significato. Se però ci venisse chiesto di descrivere
quale, tra le sue diverse raffigurazioni, crediamo possa riflettere più fedelmente quella che
fu la realtà di questo istituto, sarebbe per noi più difficile darne una descrizione
storicamente attendibile, dopo essere stati esposti per lungo tempo solamente a una
versione spettacolarizzata.
Unʼanalisi etimologica del vocabolo forse potrà dirci di più di quanto appaia a prima vista.
Lʼorigine di questa parola risale al medioevo, dalla fusione dei due vocaboli latini duo e
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bellum, o alternativamente da una contrazione dellʼespressione duorum bellum, “guerra di
due”. La guerra, prima dellʼavvento dei servizi militari obbligatori dellʼetà moderna, e prima
ancora delle formazioni di milizie popolari e mercenarie del rinascimento, risalendo fino al
periodo in cui fu generato questo vocabolo, si è sempre configurata come lʼattività propria
e confacente alle élites dominanti. Durante il medioevo, una concezione comune divideva
gli uomini in tre grandi categorie: laboratores, oratores e bellatores. Questi ultimi, la casta
dellʼaristocrazia guerriera, avevano dal punto di vista sociale una posizione di netta
preminenza, collegata e dipendente però ad obblighi di difesa armata della comunità. Il
potere e lʼinfluenza sugli altri uomini erano così il rovescio della medaglia e la ricompensa
per unʼattività bellica sempre molto intensa. Il re stesso, nel sistema feudale, era visto
innanzitutto come un guerriero, ed elargiva terre e possedimenti ai suoi feudatari proprio in
cambio di aiuto armato. Una Duorum Bellum, così, alla luce delle circostanze che diedero
origine a questo nome, connota un conflitto, certamente armato, tra due membri della
stessa classe guerriera. Essi, in quanto pari e in quanto appartenenti alla stessa casta, si
presumevano essere in possesso di determinate qualità che in seguito ritroveremo nei
valori di coraggio, onore e lealtà. Come vedremo, spesso era proprio il fatto di affermare
lʼassenza di alcuni di questi valori in capo al rivale a determinare le sue più accese
reazioni, in seguito ritualizzate con le forme del duello per punto dʼonore . Ed era sempre la
mancanza ai propri obblighi di casta, una delle disgrazie maggiori in cui potesse incorrere
un membro di queste aristocrazie guerriere. Qualora questa mancanza fosse stata
dimostrata e resa pubblica, avrebbe causato lʼespulsione del membro dalla sua cerchia
sociale. Egli sarebbe stato rifiutato in quanto non aderente a certi codici di comportamento
e valori condivisi, ritenuti il fondamento del gruppo.
Questo modello di condotta, idealmente improntato al coraggio, allʼuso della propria forza
in difesa dei deboli ed alla fedeltà alla parola data, attraversò i secoli. Con varie forme si
ripropose in tutta Europa, rimodulando sé stesso in funzione delle diverse società. Allo
stesso modo fu così per il duello, intrinsecamente legato a questo concetto di nobiltà, che
assunse a seconda del luogo e dellʼepoca le più diverse modalità.
2. NellʼItalia della seconda metà del secolo XIX, che sarà il centro della mia analisi,
questo concetto di nobiltà era riassunto con il termine di cavalleria, e la persona che
seguiva con scrupolo i precetti cavallereschi era denominata gentiluomo.
Ma quali erano le caratteristiche di questo gentiluomo, e quali i precetti che dovevano
regolare la sua condotta? Numerose erano state le evoluzioni subite da questi valori nel
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corso della storia, e nel nostro periodo di riferimento uno dei principi cardine che
contraddistinguevano la sua figura era certamente quello dellʼautocontrollo. Il dominio di
sé e la capacità di non cadere vittima di tentazioni e pulsioni primitive dovevano informare
il comportamento del gentiluomo in ogni ambito della sua vita, a partire dallʼagone politico
per arrivare alla stessa vita familiare. In un periodo storico profondamente immerso in una
mentalità positivista, si che fosse la razionalità la principale caratteristica che distingueva
lʼuomo dalle fiere, e chi ambiva a essere considerato nel novero dei migliori tra gli uomini
non poteva non possedere questa virtù al massimo grado. Il modo in cui queste
caratteristiche venivano valutate, però, non si poteva certo considerare uniforme, né equo.
Forse poco coerentemente, ma di certo assai vantaggiosamente per i membri di questa
potente minoranza denominata ceto civile, alcuni degli antichi pregiudizi erano ancora
molto popolari nellʼItalia dellʼepoca; e sulla base di questi essi escludevano a priori dal
possesso delle prerogative cavalleresche la totalità delle donne del regno, e anche, a conti
fatti, la grande maggioranza degli uomini. Infatti, con una valutazione netta e indubitabile
(a parte forse da qualcuna di quelle donne duellanti, vere mosche bianche i cui
combattimenti erano narrati tra il serio e il faceto nelle raccolte di duelli celebri dellʼepoca),
la donna era semplicemente considerata “incapace di impugnare e di usare le armi: di
1
difendere l'onore suo da se stessa” Un suo ruolo nellʼambito delle leggi dellʼonore,
infatti, molto semplicemente non era previsto: le materie cavalleresche erano per
definizione un argomento da uomini. Nel caso in cui però si desse il caso di una donna
offesa, “qualunque offesa che le viene lanciata, non la colpisce; ma ferisce bensì il
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suo protettore naturale, a cui spetta il diritto di tutela.” Allo stesso modo se fosse
stata una donna ad ingiuriare, le sue parole o non avrebbero avuto alcun peso, o
avrebbero reso responsabile per esse il suo protettore naturale: marito, padre, fratello.
Come detto, però, anche molti uomini erano a priori esclusi dalle norme dʼonore e dalla
qualifica di gentiluomo: infatti i requisiti per queste non erano scritti, ma di certo piuttosto
difficili da conseguire. Steven Hughes, nel suo Politics of the sword, parla dei giornalisti
come di coloro in possesso del minimo indispensabile per poter rientrare in questa
categoria: un lavoro da “colletti bianchi” e una discreta educazione.
1
J. GELLI, Codice cavalleresco italiano, Milano, Hoepli 1926, art.157.
2
Ibid.
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3. E in effetti erano queste delle richieste non da poco in questo periodo, in cui il livello di
influenza, prestigio e benessere che anche solo un semplice lavoro impiegatizio poteva
Duello "Greco-Sassone", Roma.
garantire erano statisticamente rari, così come raro era il possesso di unʼeducazione,
intesa questa sia in senso accademico che come vero e proprio bon ton.
Per fare un minimo di chiarezza sui numeri, però, partiamo con una premessa:
descriviamo attraverso le leggi sul suffragio la situazione elettorale e sociale italiana. Al
momento dellʼunificazione, nel 1861, in Italia vigeva ancora la legge elettorale piemontese
680\1848. Essa attribuiva il diritto di voto ai cittadini maschi residenti nel territorio del
regno, che avessero più di 25 anni di età, sapessero leggere e scrivere, e pagassero
almeno 40 Lire di imposte. I cittadini in possesso di questi requisiti erano il 2,2% del
totale. Le donne dei territori del precedente Granducato di Toscana avevano lo stesso
diritto di voto degli uomini, ma alle stesse altissime condizioni di ceto.
Nel 1872 la sinistra storica abbassò a 21 anni lʼetà minima per votare, ma mantenendo gli
stessi requisiti di ceto e di educazione la situazione non cambiò in maniera sensibile.
Contemporaneamente vennero intraprese politiche educative e sociali tese a diminuire il
tasso di analfabetismo, e venne istituita una scuola dellʼobbligo minima dai 6 ai 9 anni.
Solo nel 1882, con la legge Zanardelli che mantenne tutte le precedenti condizioni
abbassando però la soglia di ingresso cetuale, si ebbe un aumento sensibile dei cittadini
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elettori; i quali restano però solo il 6,9% della popolazione del regno. Fino al 1912, che
vedrà il varo della legge Giolitti e un suffragio universale maschile quasi completo, si può
quindi ragionevolmente affermare che la popolazione del regno dʼItalia fosse composta per
la sua enorme maggioranza da masse illetterate di braccianti agricoli. Di certo nessuno di
essi sarebbe stato considerato un gentiluomo. La situazione riguardava così un gruppo
assai ristretto di persone, ma quantomeno non era più necessario, come dimostra il caso
dei giornalisti, avere nobili natali per essere inseriti in società. La stratificazione delle
diverse classi sociali, dopo lʼunità dʼItalia, fu soggetta a rapidi cambiamenti, e con questa il
concetto di gentiluomo. Col passare degli anni, fino al periodo che precedette lʼavvento del
fascismo, si assistette così in Italia a quella che fu definita una democratizzazione
dellʼonore , con un interessamento senza precedenti da parte di sempre più strati della
popolazione in quei concetti che fino a pochi decenni prima erano stati di esclusivo
appannaggio di una piccola élite dominante. Questa popolarizzazione di valori e pratiche
precedentemente ristretti a fasce assai ridotte della cittadinanza, però, portò con sé un
problema, collegato anche alla discrepanza tra il disvalore dato loro dalla legge e la
tolleranza, se non lʼapprovazione che ricevevano dal punto di vista sociale.
4. I gentiluomini di fine ʻ 800, così, qualora si ritrovassero in una situazione che
richiedesse la difesa del loro onore con un duello, si trovavano davanti a un bivio:
ottemperare alle norme sociali del proprio ceto, e rischiare così sanzioni penali che con gli
anni si facevano sempre più di sicura applicazione, o rispettare le leggi dello stato,
incorrendo però in questa maniera in un ostracismo sociale a volte molto forte? Numerose
opere letterarie dellʼepoca descrivevano questo straziante conflitto interiore, tra i propri
principi e la schiacciante pressione proveniente dallʼesterno; un gentiluomo squalificato
non solo avrebbe subito le conseguenze immediate di un isolamento forzato, perdendo
quasi sicuramente amore, amici, opportunità, ma spesso una tale sciagura si sarebbe
ripercossa anche sul piano finanziario: esisteva la concreta possibilità di cadere in
disgrazia per chi contravvenisse alle rigide regole dellʼ Élite.
Per alcuni, poi, il dilemma poteva essere ancora più arduo: i militari che rifiutassero di
battersi in duello, con la dimostrazione di viltà che secondo la mentalità dellʼepoca questo
comportamento denotava, potevano dire addio ad ogni aspirazione di carriera nel Regio
Esercito, se non alla stessa possibilità di continuare a farne parte. Per questa, e per
3
AA.VV. - La crisi di fine secolo, l'età giolittiana e la prima guerra mondiale, La biblioteca di Repubblica, s.l.
2004, p.14.
14
numerose altre altre ragioni di convenienza e opportunità, la scelta spesso ricadeva sulla
prima ipotesi: si preferiva combattere un duello piuttosto che rispettare le leggi.
Duello "Marinetti-Hirsh", Parigi.
5. Un prezioso aiuto e un inevitabile punto di partenza per valutare quale fosse il costume
dellʼepoca sono le Statistiche del duello, compilate da colui che negli anni, per merito della
propria prolifica ed eclettica opera e dello straordinario successo del suo principale testo, il
Codice Cavalleresco Italiano, divenne la principale autorità vivente in materia: Jacopo
Gelli.
Gelli stesso, un giornalista toscano con una solida reputazione di schermidore e di esperto
di temi cavallereschi, non era certo di nobili origini: ciononostante, la sua professione, la
sua situazione economica non esattamente agiata e il ruolo centrale che ebbe per lo
sviluppo e la diffusione delle tematiche dʼonore in questo periodo, uniti al numero di duelli
che egli stesso combatté in vita, ne fecero una figura simbolo di quella che in questi anni
fu la trasformazione dellʼapproccio comune alla cavalleria.
Nelle sue Statistiche Gelli ci mostra un lato nascosto della società italiana; con un
articolato sistema di ricerca, scopriva i casi di cui occuparsi, tramite notizie pubblicate dai
giornali e sulle voci circolanti nellʼambiente, quindi dopo aver identificato le persone
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coinvolte, inviava loro dei questionari anonimi con i quali era così in grado raccogliere
quante più informazioni possibili. Questo metodo si rivelò piuttosto efficace anche in
ragione del fatto che allʼepoca la pratica dei duelli era sì clandestina (in quanto reato), ma
manteneva pur sempre un ambiguo alone di semi-pubblicità basato sulle motivazioni
4
sociali precedentemente esposte.
Gelli, in seguito allʼincarico conferitogli da Luigi Bodio, il responsabile dellʼufficio statistiche
dellʼepoca, raccolse e pubblicò a più riprese e in diversi formati i dati sui duelli tenutisi tra il
1879 e il 1925 di cui avesse avuto conoscenza. Osservando queste pubblicazioni, pur
senza abbandonare lʼapproccio critico necessario ogniqualvolta ci si confronti con
misurazioni statistiche di attività illecite, otteniamo comunque numerose informazioni.
Tabella 1
Numero dei duelli riportati in Italia, anni 1879-1895.
AnnoNumero di casiAnnoNumero di casi
1879203ª1888269
b
18802821889132
18812711890177
18822681891138
18832591892122
18842871893146
1885261189498
1886249189573ª
1887278
ª Rappresenta solo sei mesi.
b
Rappresenta solo cinque mesi.
4
“Definito un crimine, [Il duello] era ovviamente tenuto nascosto agli occhi delle autorità;
ciononostante il concetto di onore individuale coinvolgeva l’opinione degli altri e dipendeva di
conseguenza dalla consapevolezza della comunità della propria volontà di combattere - una volontà
confermata al meglio dai resoconti di duelli sparsi tramite ‘voci’, o addirittura a mezzo stampa.” da:
S.C. HUGHES, Politics of the Sword, Columbus, Ohio State University Press 2007, p.113.
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Tabella 2
Partecipanti riportati a duelli in Italia, ordinati per professione. Anni 1888-1895.
ProfessioneNumero di casi
Militari702
Giornalisti425
Avvocati e Notai246
Professione sconosciuta133
Studenti117
Capitalisti ed Benestanti110
Politici (Senatori esclusi)107
Ingegneri34
Professori32
Commercianti29
Medici27
Maestri di scherma24
Impiegati - Settore pubblico19
Banchieri18
Giudici8
Attori6
Diplomatici5
Industriali4
Lavoratori4
Insegnanti di musica3
Impiegati - Settore privato3
Contabili3
Senatori2
Pensionati2
Altro6
Totale:2069
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I numeri della Tabella 1, limitatamente al solo intervallo qui descritto, e tenendo conto
5
della probabilmente alta cifra oscura, sono comunque impressionanti.
3513 duelli in 16 anni significavano una media di 219 duelli annui. Possiamo notare che le
cifre più alte riguardano gli anni ʼ 80, mentre gli anni ʼ 90 vedono un forte calo delle
vertenze. Tale calo è temporalmente coincidente e probabilmente ricollegabile
allʼaggravamento delle sanzioni nel Codice Zanardelli, datato 1889, ma potrebbe
riguardare il reale numero di duelli, o anche semplicemente le dichiarazioni rese, diminuite
per timore di tale maggiore severità, o ad altre cause.
Le zone del regno più interessate da questa ondata di tenzoni che in quegli anni fu subito
battezzata col nome di Duellomania, erano, in accordo con quanto già detto sui rapidi
cambiamenti della società italiana, quelle più fortemente urbanizzate.
La distribuzione geografica, però, in aggiunta a questo dato, non premiava nessuna area
del Regno in particolare; i duelli erano equamente distribuiti tra nord, centro e sud Italia.
Un altro dato particolarmente interessante ricavabile dalle Statistiche (riportato in Tabella
2) era poi lʼanalisi basata sulle professioni dei gentiluomini coinvolti: ove quella di militare
occupava non sorprendentemente la prima posizione, merita un particolare
approfondimento la seconda classificata, quella dei giornalisti.
Osserviamo poi nella Tabella 3 la suddivisione dei duelli combattuti tra lʼanno 1879 e il
1875, suddivisi per causa affermata della vertenza:
5
Uno studioso, Robert Nye, occupandosi dellʼanalisi del numero delle vertenze tenutesi in Francia negli anni
ʼ80 del XIX secolo, ha giudicato molto probabile un certo grado di riserbo nelle dichiarazioni spontanee rese
dagli stessi partecipanti. Nye riteneva che le statistiche dellʼepoca, redatte dal criminologo francese Gabriel
Tarde, fossero largamente insufficienti, e suggeriva, ove Tarde era riuscito a scoprire prove di solo una
sessantina di duelli allʼanno, che il numero reale si aggirasse attorno ai 200 o 300 casi. Al volerla ritenere
corretta, e applicando per assurdo questa proporzione alla situazione italiana, Hughes afferma che lʼItalia di
fine ʻ800 avrebbe visto qualcosa come 900 duelli allʼanno, un numero enorme.
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Tabella 3
Duelli in Italia ordinati per causa, anni 1879-1895.
Numero
Causa affermata del duello
di casi
Giornalismo1125
Dispute orali prive di una causa specifica875
Politica431
Insulti392
Vicende intime279
Cause sconosciute242
Aggressioni fisiche184
Gioco dʼazzardo36
Religione31
Interessi privati (denaro?)14
Caccia1
Totale:3610
6. Secondo lʼanalisi delle Statistiche compiuta da Steven Hughes nel suo già citato
Politics of the Sword, lʼavvento delle politiche liberali e della libertà di stampa ebbero un
impatto notevole sulle cause per cui venivano combattuti i duelli. Non a caso “Giornalismo”
e “Politica” erano rispettivamente la prima e la terza causa di duello in Italia, e
probabilmente molte delle “Dispute orali prive di una causa specifica” avrebbero potuto
benissimo ricadere sotto queste due categorie, se solo le cause fossero state descritte.
Inoltre Hughes riporta come il 34% delle vertenze sorte tra il 1879 e il 1889 fosse originato
da insulti pubblicati a mezzo stampa, e, citando Paolo Fambri, Gaston Banti ed altre fonti
dellʼepoca, ben descrive le proporzioni del fenomeno: tale era la frequenza dei duelli
scaturiti dalla penna dei pubblicisti, che alcuni giornali arrivarono agli estremi di ingaggiare
spadaccini prezzolati, affinché, a guisa di campioni, difendessero sul terreno gli articoli;
altri pagavano ai propri giornalisti un extra per i duelli combattuti, o predisponevano tappeti
da scherma nei propri uffici; pare inoltre che negli uffici della Associazione Romana della
Stampa fosse stata allestita una vera e propria sala dʼarmi, completa di istruttori