5
quegli anni si assistette ad una generale ripresa della vita economica la quale, di
nuovo articolata intorno ai poli funzionalmente distinti delle città e della
campagna, segnò un percorso che tese, nel medio-lungo periodo, a favorire la
creazione e la concentrazione della ricchezza particolarmente nell'ambito
cittadino. E' però impossibile precisare i rapporti di priorità fra gli elementi in
cui si articolò la rinascita della vita economica nel Medioevo, visto che tutto ciò
fu determinato e favorito da un insieme di fattori non catalogabili nè dal punto di
vista gerarchico nè da quello cronologico. Il miglioramento climatico, il declino
della malaria, una pausa nel diffondersi delle grandi epidemie di peste (mentre
restava forte la lebbra), e la forte riduzione di invasioni dall'Oriente slavo e dal
Sud musulmano consentirono alla popolazione italiana di crescere con inusuale
intensità (5 milioni di abitanti attorno all'anno mille, 8,5 milioni nel 1200 e ben
11 milioni nel 1300). L'incremento demografico si legò strettamente ad una sorta
di rivoluzione agraria che spinse ad una forte colonizzazione interna; ossia al
recupero di aree fino ad allora incolte o sottoutilizzate attraverso un massiccio
disboscamento di foreste. La crescita della popolazione e della produzione
agricola provocò la cosiddetta "rivoluzione commerciale" che, sotto la spinta di
un'accresciuta domanda di generi di consumo, comportò il generalizzarsi dei
traffici (soprattutto di spezie e tessuti) su lunga distanza, a dimensione mondiale,
e lo spostamento dal sistema argenteo a quello aureo, preludio all'affermarsi di
un'economia prevalentemente di scambio.
Il nostro paese partì favorito da una posizione geografica che lo poneva in
contatto immediato con due potenze, quella bizantina e quella araba. Venezia
dati i suoi saldi legami con Bisanzio ed i rapporti di buon vicinato con gli arabi
era ormai, già nel X° secolo, una vera e propria potenza marittima in tutto il
bacino orientale del Mediterraneo. La sua caratteristica di porta dell'Oriente allo
sbocco di una Valle Padana ove confluivano merci da tutta l'Europa occidentale
ne faceva un punto di passaggio quasi obbligato di gran parte del traffico Est-
Ovest e viceversa. Venezia, grazie anche alla capacità politico-diplomatica del
6
suo ceto dirigente, beneficiò di una grande quantità di privilegi politico-
commerciali che rafforzarono la posizione dei suoi mercanti. Fra questi citiamo
la "Crisobolla" concessa nel 992 dall'impero d'Oriente, che prevedeva, con
numerose agevolazioni fiscali, il libero accesso e la piena libertà di commercio a
Costantinopoli. E addirittura una condizione di monopolio venne conseguita nel
1082 con il privilegio dell'imperatore Alessio I che apriva senza riserve ai
traffici veneziani la Siria, l'Asia Minore, la Tracia la Macedonia e la Grecia. Se
si tiene presente che verso la fine del X secolo Venezia aveva affermato il suo
predominio sulla Dalmazia settentrionale, sull'alto e medio Adriatico (i porti di
Ravenna e Comacchio) e che era nelle sue mani gran parte del commercio
fluviale della Val Padana, non possono sussistere dubbi sul fatto che nell'XI
secolo essa sia stata la città più ricca d'Italia e probabilmente d'Europa.
Questa breve e molto riassuntiva analisi di quella che doveva essere la situazione
economica nell'Italia settentrionale a partire dall'undicesimo secolo, ci
permettere di estrapolare quei fattori fondamentali che riteniamo di dover
necessariamente prendere in considerazione per capire come e perché, quella
sorta di industria domestica che fece da presupposto necessario all'industria di
macellazione e lavorazione della carne suina, è nata e si è sviluppata proprio
nelle zone del basso cremonese e mantovano.
Tali fattori sono riconducibili principalmente ed essenzialmente a:
ξ Lo sviluppo commerciale favorito da quell'importante via di comunicazione
che era il fiume Po
ξ L'enorme importanza assunta da Venezia come trait d'union fra la bassa
padana e l'oriente
ξ La condizione delle foreste viste come fonti principali di cibo per i suini
ξ L'imposizione fiscale nel distretto viadanese
Prima di partire con l'analisi di tali fattori ritengo importante ricordare, come
premessa, che i Gonzaga iniziarono il loro dominio sul comune di Viadana solo
nel 1415; prima di tale data la città, che era governata dai nobili Cavalcabò,
7
faceva parte del "contado" di Cremona.
Unitamente a ciò non si deve trascurare il fatto che il distretto viadanese,
apparteneva, e continua tutt'oggi ad appartenere, all'episcopato di Cremona.
Entrambe queste considerazioni risultano fondamentali in quanto, come avremo
modo di vedere in seguito, molte delle notizie e dei dati attinenti Viadana sono
contenuti in documenti e pubblicazioni riguardanti la provincia di Cremona.
Tali sottomissioni politico-religiose hanno inoltre fatto sì che gli usi ed i costumi
dei viadanesi si avvicinassero di più a quelli cremonesi che non a quelli
mantovani.
Nel 1415 poi il territorio viadanese venne "conquistato" dai Gonzaga.
Sull'argomento lo storico locale Antonio Parazzi scrive:
"...egli (Gianfrancesco Gonzaga) determinò di usare la forza ed
impadronirsi del nostro luogo (Viadana). Sui primi del giugno 1415
colle sue truppe s'accostò bel bello al nostro territorio senza
spiegare l'intendimento suo... comparve d'improvviso il 18 giugno
intorno al nostro castello alla testa di 400 fanti ed altrettanti cavalli,
intimando la resa ai Cavalcabò... Penetratovi armata mano, dopo un
breve combattimento colla truppa della guarnigione, Gianfrancesco
occupò la nostra fortezza; ne chiuse le porte in faccia ai Cavalcabò
e al popolo... indi si diede ad assaltare la Cittadella..."
1
La particolare situazione dell'area viadanese
a) dall'anno 1000 al 1800
Ritornando ai fattori economico-ambientali accennati in precedenza, è
necessario spiegare che la Valle Padana fu sottoposta (a partire dall'XI° secolo)
ad un'intensa opera di regolamentazione e risistemazione idraulica in vista, fra
1
A. Parazzi, 1893 "Origini e vicende di Viadana e suo distretto" - Volume primo - pg. 138
8
l'altro, dell'arginatura del Po e dei suoi numerosi affluenti; mentre, analogamente
a quanto avveniva in altre zone dell'Italia centro-settentrionale, si procedette
all'escavo di canali e fosse per favorire il drenaggio delle acque, allo scopo di
agevolare l'irrigazione e rendere più facili e spediti gli accessi e gli scambi delle
patrie produzioni ed industrie nella media Italia.
La costruzione di porti efficienti e ben attrezzati lungo l'intero corso del "grande
fiume" (Viadana - Villa Portiolo
2
-, Dosolo, Casalmaggiore, Cremona...),
unitamente alle concessioni fatte dai "Signori" dell'epoca in materia di
navigazione fluviale, permisero inoltre agli abitanti della bassa di iniziare ad
intraprendere una fitta rete di scambi commerciali con i mercanti veneziani. A
tale proposito lo storico cremonese Robolotti ricorda:
"Ottone III, Enrico IV e Federico Barbarossa nel 996, 1114 e 1159
concedono e confermano a Cremona i privilegi di viaggiare e
commerciare colle loro navi e mercanzie, liberi e sicuri, dall'una
all'altra sponda del Po, da Venezia a Pavia e per tutto il Regno
d'Italia, secondo l'uso e l'antica consuetudine, coll'immunità dei
telonî e d'ogni angaria o preda."
3
Questo interscambio commerciale risultò essenziale, in quanto consentì ai
viadanesi di ottenere dai mercanti veneziani le spezie e le droghe che essi
importavano dall'oriente. L'uso di tali spezie e droghe (grani di pepe in primis,
ma anche cannella, chiodi di garofano, macis
4
e noce moscata) unitamente a
quello del sale (asciutto o in salamoia), permise di risolvere il maggiore
problema di quella che possiamo definire una sorta di primordiale industria
alimentare: quello della conservazione dei cibi. La sopravvenuta possibilità di
poter "facilmente" e a lungo conservare le carni e i salumi prodotti fu quindi
2
Risulta facente parte della curia di Viadana dopo 1l 1319. Era posta di fronte a "Bocca d'Enza" e
la sua parrocchia si estendeva verso nord fino a toccare i borghi di Viadana.
3
F. Robolotti, 1880 "Archivio storico lombardo", pg. 320
4
Spezie costituita dall'arillo essiccato de seme della noce moscata; viene usata come condimento
aromatico.
9
basilare per dare il la alla lavorazione della carne suina in ambito domestico.
I prodotti che i viadanesi esportavano in quel di Venezia erano costituiti
principalmente da stoffe e dai coloranti per tingerle. Nella bassa padana
venivano infatti coltivate piante: lo Zafferanone in special modo ed il Guado
5
,
dalle quali si ottenevano pregiate essenze, fondamentali per colorire stoffe e
tessuti. A proposito dello Zafferanone il Parazzi racconta:
"... fino dal secolo XIV° si ha memoria della fiera dello Zafferano,
esente da dazio, la quale si teneva il giorno di S. Donnino in
Portiolo, e dopo distruzione di essa Villa, nel nostro Castello
6
di
Viadana."
7
Abbondante era la produzione di lino e seta (il terreno sabbioso adiacente al Po
permetteva di coltivare il gelso: l'alimento principale per i bachi da seta) con i
quali si producevano, nelle fabbriche locali, enormi quantità di tessuti che,
come precedentemente riportato, venivano con licenza dei Duchi esportate
vicino e lontano.
Per quel che riguarda invece la "produzione della materia prima", ossia
l'allevamento dei suini, bisogna prendere in considerazione quello che era
l'ambiente dell'epoca. I suini, infatti, erano strettamente associati alla foresta,
essendo allora del tutto vaga la distinzione tra allevamento domestico e selvatico
e visto che da essa gli animali dovevano reperire gli alimenti (ghiande in special
modo) necessari per il loro nutrimento.
Tra i secoli VII° e XI° vi fu una grande diffusione di quell'area produttiva che
ricopriva un ruolo economico di prim'ordine: l'incolto. Tale incolto era costituito
da un ricco manto forestale composto dai più svariati tipi di piante, tra le quali
assumevano una posizione di spicco le "selve fruttifere": ossia formazioni
5
Pianta erbacea dalle cui foglie e radici si estraeva un colorante azzurro, analogo all'indaco, per
tingere stoffe.
6
Ovvero tutto l'abitato di Viadana compreso nelle mura.
7
A. Parazzi, 1893 "Origini e vicende di Viadana e suo distretto" - Volume primo - pgg. 21e 22
10
arboree apprezzate in modo particolare, oltre che per la produzione legnosa ed il
rifornimento di frutti, anche, grazie alla loro abbondante produzione di ghiande,
come terreno di pascolo. Faggi, Cerri
8
e Farnie
9
formavano in prevalenza le
"silve ad saginandum porcos", luoghi cioè, destinati ad una delle attività più
fiorenti ed economicamente remunerative proprie dell'area padana: l'allevamento
brado dei porci.
Sull'argomento riporto questa breve nota:
"Non va dimenticata, infine, la destinazione dei querceti a terreno
di pascolo dei branchi semibradi di maiali. Anzi, talora l'estensione
e il valore di dette selve venivano misurati proprio in base alle
specifiche capacità di alimentazione. Il polittico del monastero di
Santa Giulia in Brescia, datato 905 o 906, elenca tra gli altri i
possedimenti del territorio cremonese: ciascuno di essi risulta
dotato di almeno una silva ad saginandum porcos con la stima del
numero di maiali che vi si potevano allevare: ...duecento a
Cicognara
10
..."
11
L'incolto era terreno ad alta produttività, tuttavia lo sfruttamento irrazionale ed il
pascolo selvaggio provocarono danni irreparabili impoverendo sempre più le
foreste. E' per questi motivi, unitamente all'esigenza di dover sfamare un
maggior numero di persone, che si iniziarono a dissodare (roncare) i terreni. A
partire dal XII° secolo l'opera di dissodamento iniziò ad espandersi ferocemente,
ma, nonostante l'incolto fosse stato drasticamente ridotto, esso continuava ad
8
Pianta boschiva "Quercus cerris" alta 15 - 20 mt, con foglie oblunghe profondamente lobate e
frutto a ghianda.
9
Sorta di quercia "Quercus peduncolata" con grandi foglie oblunghe a lobi ineguali e ghiande a
gruppetti.
10
Pervenne al comune di Viadana per permuta con le monache di S. Giulia con atto del
14\03\1397. Il comune di Cicognara con Cogozzo, pur facente parte della curia di Viadana
mantenne i suoi antichi privilegi statutari fino al 1771, quando fu soppresso ed aggregato a quello
di Viadana.
11
R. Bertoglio, 1988 "Natura e ambiente nella provincia di Cremona dall' VIII° al XIX° secolo",
pgg. 36 e 37.
11
essere ben rappresentato in quelle zone adiacenti ai fiumi.
L'opera di dissodamento proseguì anche durante i secoli XIV° e XV° dovuta
anche al fatto che simili operazioni, sollecitate in quest'epoca anche dalla forte
richiesta di legname, erano molto lucrose. Solo lungo i fiumi tuttavia,
continuava a "resistere" quella porzione di ambiente spontaneo che la stessa
natura del suolo difendeva e conservava. Il fatto che la bassa mantovana e
cremonese fosse compresa tra grandi e meno grandi corsi d'acqua (Po, Oglio,
Mincio, Secchia, Chiese...), consentì agli abitanti del luogo di poter disporre di
foreste a sufficienza per continuare ad allevare suini.
Col trascorrere del tempo e con lo sviluppo di altre importanti attività
economiche: mulini e caseifici in primis, i suini poterono disporre di ulteriore
cibo: i sottoprodotti e gli scarti di tali attività (come il siero del latte ed i residui
della macinazione dei cereali) venivano infatti destinati a tale scopo.
Anche in questo caso la zona del distretto viadanese si rivelò tra le migliori in
assoluto vista l'abbondanza di caseifici ma soprattutto di mulini; prosperità
direttamente correlata alla ricchezza di fiumi e canali e favorita dal fatto che,
come ci ricorda lo storico Parazzi, Cicognara e Cogozzo rimasero, sotto il
profilo prettamente fiscale, "terre franche" (dove cioè non si pagava la gravosa
"tassa sul macinato") sino al 1771.
"... Desiderio Re dei Longobardi con diploma 4 Ottobre 760
l'assegnò (l'antico comune di Cicognara e Cogozzo) in feudo al
Monastero delle Benedettine di S. Giulia in Brescia, stato fondato
due anni prima dalla moglie Ansa, e arricchito di privilegi,
confermati in appresso da altri diplomi regi ed imperiali, e da
Bolle Ponteficie. Adelchi, confermata la disposizione del padre,
dichiarò esenti gli uomini di Cicognara, tanto liberi che servi, da
qualsiasi aggravio, angheria, dazio e fazioni pubbliche, collette,
taglie, ecc.; dal pagar dazio d'entrata e d'uscita di qualsiasi
mercanzia, non solo per terra, ma per la lunga del Po di Viadana...
12
Nel 1397 il Monastero di S. Giulia permutò il feudo di Cicognara
con molte terre, che Bertolino Cavalcabò, figlio di Marsilio,
Marchese di Viadana, possedeva sul bresciano... Le Monache
trasmettendo il feudo ai Cavalcabò, ebbero a cuore di conservare
ai vassalli gli antichi privilegi, diritti, giurisdizioni e pertinenze
fino a quel tempo goduti... Poi Gianfrancesco Gonzaga, Signore di
Mantova, spogliati nel 1415 i Cavalcabò dei loro feudi e
possedimenti nel Viadanese, dichiarò immuni ed esenti gli uomini
di Cicognara; in appresso furono assoggettati al pagamento del
quarto de' prodotti agricoli ed industriali, ed alla perdita della loro
autonomia comunale. Ciò mal soffrendo essi ottennero nel 1436,
mediante lo sborso di 2.000 ducati d'oro, di staccarsi dal Comune
di Viadana, e di mantenere gli antichi privilegi. Per difendere i
quali sostennero poi molte molestie, liti e spese. Finalmente, nel
1771 l'antico Comune, per decreto della R. Firma di Mantova,
perdette l'autonomia, e fu aggregato al Comune di Viadana"
12
L'insieme di questi eventi e fattori ambientali creò quella particolare nicchia che
permise agli abitanti della bassa mantovana di allevare porci e utilizzarne, a
scopo alimentare, le carni. Non possiamo tuttavia parlare ancora di industria
vera e propria, visto che negli anni analizzati (quelli che per intenderci vanno
dall'XI° a tutto il XVIII° secolo) se l'allevamento dei suini era praticato in
"modo selvatico", la lavorazione delle relative carni avveniva in ambito
prettamente domestico ed era destinata esclusivamente all'autoconsumo (o per
arricchire i banchetti dei Signorotti locali). La commercializzazione delle carni
in generale, ed in particolar modo di quelle suine, era praticamente inesistente.
Tuttavia nonostante la commercializzazione delle carni fosse attività molto più
che marginale negli "Statuti" di Viadana e del suo marchesato, emanati dai
12
A. Parazzi, 1893 "Origini e vicende di Viadana e suo distretto" - Volume quarto ed ultimo - pgg.
12 e 13.
13
Cavalcabò nel XIV secolo e rimasti in vigore sino al XVIII secolo, possiamo
ritrovare alcune norme riguardanti appunto sia la categoria dei macellai che tutti
quei soggetti dediti all'attività di macellazione e lavorazione delle carni:
" …148 Pena per il macellaio che vende carne di femmina per
quella di maschio: nessun macellaio né alcuna altra persona ardisca
o presuma di vendere carni di porca per carne di porco, e si intenda
carne di porca se non sia presentata il menzabio…
…150 Pena per i macellai di gonfiare le carni: nessun macellaio e
nessun altra persona ardisca o presuma di gonfiare né sgonfiare
personalmente o per mezzo d'altri qualche bestia grossa o minuta, e
nemmeno osi pelare con acqua calda qualche scrofa che non sia
castrata, ma dovrà strinarla col fuoco; ogni macellaio sarà tenuto a
esibire nelle bestie i segni dei maschi…
151 Altro divieto per i macellai: non ci sia qualche macellaio che
osi portare né farsi portare bestie morticine (morte di morte
naturale) …
152 Altro divieto per i macellai: nessun macellaio osi vendere una
bestia malata o infetta…
154 Altro divieto per i macellai: nessun macellaio osi camuffare
alcune carni di scrofa, né di pecora, né tenere sulle stesse segni di
animale maschile…
155 Altro divieto per i macellai: nessun macellaio o venditore di
carni tenga le carni di animale maschio e femmina sopra uno stesso
banco...
14
156 Statuti e provvedimenti contro i macellai: nessun macellaio, né
altra persona d'ora in avanti venda una qualità di carne per
un'altra…"
13
Questa situazione di assenza di commercializzazione di carne suina era dovuta
alla condizione economica del tempo ed in particolare alla grande disparità
reddituale che esisteva tra il ceto abbiente e gli indigenti. Se i Signori potevano
permettersi di cibarsi in abbondanza di carne (il "potens" doveva mangiare
molto per segnalare e dimostrare il proprio rango) lo stesso non poteva dirsi per i
poveri (pauperes), la cui magra dieta era costituita prevalentemente da
carboidrati. La deficienza di proteine animali nell'alimentazione caratterizzò, a
partire dal tardo medioevo, le aree italiane ed in particolare le popolazioni rurali
di queste regioni. Tuttavia se i consumi di carni bovine restarono molto limitati;
maggiori furono invece quelli di carne di maiale, di capra e di pecora, oltre che
di animali da cortile. Erano in sostanza questi gli animali che in quei secoli
fornivano quel complemento proteico ad un'alimentazione fondata in massima
parte sui farinacei, sui legumi e sulle verdure degli orti.
b) Dal 1800 ai giorni nostri
Anche durante il XIX° secolo la situazione economica del viadanese restò
critica; tuttavia, come ci illustra il Parazzi, qualcosa iniziò a muoversi:
"Sovrattutto emerge la fattura dei salumi a Viadana per singolare
squisitezza; sono ricercati al di fuori, e se ne fa grandissimo uso
nell'interno. Coltivata anche questa industria in più larga scala,
produrrebbe quei benefici effetti, che per alquanti de' nostri
pizzicagnoli ha già prodotto. Dobbiamo anche qui far voti che si
13
Lions Club Viadana Oglio-Po, 1997 "Gli Statuti di Viadana e del suo marchesato (sec. XIV)"
pgg. 113 - 115.
15
aprano commerci più estesi nelle grandi città, dove già i nostri
salati hanno un nome."
14
Il "grandissimo uso" di cui parla il Parazzi era però esclusiva dei soli ceti
abbienti, gli unici che se lo potevano permettere. Nel 1859 a Viadana c'era
ancora crisi, causata dallo scarso reddito che i contadini (che al tempo
costituivano la maggioranza della popolazione) traevano dai loro campi. Ciò era
dovuto specialmente ad un'agricoltura arcaica, priva di mezzi meccanici, con
una rotazione agraria spesso irrazionale, conseguenza anche della diffidenza
degli agricoltori verso le innovazioni; anche la produzione foraggiera e
l'allevamento del bestiame erano trascurati.
La crisi dell'agricoltura colpì specialmente quei lavoratori della terra che non
erano in qualche modo legati al proprietario: come gli affittuari, i mezzadri, i
compartecipanti ed i salariati fissi. Chi più soffriva di questa situazione era
l'avventizio. La disparità reddituale tra ceto abbiente e poveri continuò quindi,
come conferma lo storico locale Adolfo Ghinzelli, a restare forte:
"Le retribuzioni dei lavoratori agricoli andavano da un massimo
di lire 1,50 al giorno d'estate ad un minimo di lire 0,70 d'inverno.
Un avventizio lavorava mediamente duecento - duecentocinquanta
giorni all'anno con un guadagno di circa trecento lire. Metà di
questa somma serviva per acquistare il granoturco necessario alla
sua famiglia, quasi sempre numerosa. Il consumo del pane, che
costava circa 35 centesimi il chilogrammo, era proibitivo; per un
solo chilo al giorno avrebbe speso quasi la metà del suo
guadagno. ...se si confrontano i prezzi e le retribuzioni con la
rendita del proprietario, si deduce che questi poteva vivere
decorosamente. Infatti un proprietario di venticinque ettari di
buon terreno, pari a cento biolche viadanesi attuali, ricavava un
14
A. Parazzi, 1893 "Origini e vicende di Viadana e suo distretto" - Volume primo - pgg. 22 e
23.
16
affitto di circa 2.500 lire all'anno ...oltre otto volte più di un
avventizio. Con il suo reddito avrebbe potuto consumare ogni
giorno nella sua famiglia un chilo di pane, uno di carne, un litro di
vino per una spesa di una lira e settanta centesimi..."
15
Queste enormi differenze nel tenore di vita fra le classi sociali non erano dovute
soltanto ai bassi salari, ma anche, e forse prevalentemente, agli alti prezzi degli
alimenti di base del povero rispetto a quelli del benestante. E' da rilevare inoltre
che gli artigiani, come i calzolai, i barbieri ecc., guadagnavano di più degli
addetti ai lavori manuali più pesanti, come i braccianti e i muratori.
La carne era quindi un cibo destinato esclusivamente a chi disponeva di un alto
reddito; furono dunque i cosiddetti "borghesi" che cominciarono a dare un
impulso al commercio in generale ed a quello delle carni in particolare.
A partire dalla metà del 1800 il commercio diventò a Viadana l'attività
prevalente in quanto fu il settore che assorbì chi abbandonava o non si dedicava
all'agricoltura in crisi. Nel 1871 a Viadana vi erano centottantatre
16
venditori al
minuto tra i quali quindici pizzicagnoli
17
e due macellai. Nelle frazioni, che
complessivamente denunciavano centotrentadue
18
unità, vi era un solo macellaio
a Cogozzo. Anche negli anni seguenti la crisi economica continuò a rimanere
profonda, essa investì l'intera struttura agricola con aspetti politici e sociali di
grande portata. Con l'agricoltura in crisi e l'industria pressochè inesistente, le
uniche attività che prosperavano erano il commercio e le piccole imprese in
genere. Alla verifica dei pesi e misure per l'anno 1883 risultavano nel capoluogo
duecentonovantaquattro attività commerciali o artigianali, tra le quali vi erano
sei pizzicagnoli e due macellai. Nelle frazioni, che contavano in tutto
15
A. Ghinzelli, 1980 "Viadana dopo l'unità 1859-89", pgg. 32-34
16
Numero ricavato dall'esame dello "stato degli utenti pesi e misure soggetti alla
verificazione" per l'anno 1771. Naturalmente l'elenco non comprendeva quegli operatori che
non usavano detti strumenti e quanti non li sottoponevano a verifica.
17
Venditori "al minuto" di salumi e formaggi. Da pizzicare e cioè "venditore di cibi pizzicanti".
18
Vedi nota 12.
17
duecentosettantasette attività, vi erano sette pizzicagnoli: quattro dei quali a
Cogozzo, due a Cicognara ed uno nella zona Buzzoletto-Salina-Casaletto;
l'unico macellaio si trovava a Cicognara.
Attività commerciali
nel comune di Viadana
0
100
200
300
400
500
600
Viadana Frazioni Tot. comune
1871 1883
Figura 1
Analizzando i dati sopra esposti si denota facilmente che in soli dodici anni ci fu
una vera e propria esplosione del numero degli esercizi commerciali che
passarono dai 315 del 1871 ai 571 del 1883; con un incremento dell'81%. Questi
numeri stanno a significare che il commercio era il settore più vitale, ovvero
quello che dava le migliori garanzie reddituali.
Per quel che riguarda invece l'allevamento del bestiame, ed in particolar modo
dei suini, avvalendoci anche in questo caso dei numeri; possiamo dire che dai
dati ricavabili dal "Censimento del bestiame" effettuato nel 1868 risultano, tra
gli altri, 621 suini, dei quali 515 da ingrasso, suddivisi tra 418 proprietari. Il
censimento del 1881 contava invece 513 suini suddivisi tra 246 proprietari.