INTRODUZIONE
Telefonate? Una al mese, da richiedere con anticipo e per iscritto. Lettere?
Controllate da e per l‟esterno. Visite? Solo se autorizzate dall‟Amministrazione
Penitenziaria, che ne stabilisce orari e durata. Mezzi a disposizione? Molto pochi.
Internet? Vietato. Stiamo parlando di una normale redazione. Del carcere.
Ci si chiederà come sia possibile parlare di giornalismo date le condizioni in cui
si svolge il lavoro. Eppure i giornali scritti in carcere sono attualmente una
settantina. E il fenomeno è in costante crescita.
Si va dallo storico “La Grande Promessa” del carcere di Porto Azzurro (Isola
d‟Elba), datato 1951, alle pubblicazioni più recenti come “Salute inGrata”, nato
nel 2008 nel carcere milanese di Bollate.
Online, cartacei, femminili, maschili, informativi, provocatori: sono queste
alcune delle caratteristiche dei giornali carcerari presenti oggi in Italia.
Dal 2005 sono riuniti nella Federazione Nazionale dell‟Informazione dal e
sul carcere, fortemente voluta da “Ristretti Orizzonti”.
Il periodico della Casa di reclusione di Padova e dell‟Istituto penale femminile di
Venezia, diretto da Ornella Favero, è uno dei più importanti e attivi nel panorama
attuale.
All‟aggettivo “ristretti”, che nel linguaggio burocratico-carcerario significa
detenuti, è stato aggiunto “orizzonti”, perché con il giornale si vuole contribuire
ad aprire gli orizzonti troppo ristretti della detenzione.
Perché fare informazione dal carcere? Dal luogo, cioè, che si contrappone
per eccellenza alla comunicazione e all‟attività di informazione?
“L‟idea di un giornale che raccontasse il carcere è nata nell‟ambito di un‟ attività di
rassegna stampa: ci rendemmo conto che le notizie che i maggiori giornali diffondono sul
carcere spesso non hanno un reale riscontro con quella che è effettivamente la vita in
carcere”. (Ornella Favero – Direttrice Ristretti Orizzonti)
Il giornalismo del carcere e dal carcere nasce con una finalità di denuncia;
mira a costruire una informazione complementare, parallela, e in alcuni casi
contrapposta, a quella delle grandi testate.
Esso svolge un importante funzione di democratizzazione e sensibilizzazione dal
basso perché offre lo spazio, a tutti coloro che normalmente non l'avrebbero nei
quotidiani e nelle riviste tradizionali, per denunciare situazioni di ingiustizia, casi
di leggi non applicate, disfunzioni burocratiche, ritardi culturali nell'approccio a
problemi sociali.
Offre un servizio di informazione efficace e propositivo, una presentazione delle
esperienze significative dei detenuti, un'analisi delle problematiche con le quali i
reclusi devono confrontarsi: salute, istruzione, pena, formazione e inserimento
lavorativo, rapporto con il mondo esterno. Si impegna per rendere pubblica una
realtà, quella della detenzione, spesso dimenticata.
La tesi è divisa in tre grandi aree.
La parte storica si occupa della storia del carcere e dei giornali carcerari.
La parte sociologica indaga il rapporto tra il carcere e la società, la
comunicazione e il giornalismo.
Infine, la parte dedicata all'analisi dei linguaggi e delle pratiche giornalistiche
affronta i temi della notiziabilità del sociale e del carcere; e analizza gli organi di
informazione realizzati dai detenuti.
Il primo capitolo è dedicato al giornalismo sociale (di cui il giornalismo
carcerario è una forma particolare).
Il secondo capitolo si occupa del carcere. La sua nascita, la sua storia
(soprattutto in Italia, dall'unità ad oggi), la sua situazione attuale.
Nel terzo capitolo si parla di comunicazione e informazione.
Vengono analizzati i rapporti comunicativi interni tra detenuti e staff; la
rappresentazione mediatica della prigione e dei detenuti e il complesso rapporto
tra mass media e carcere; la comunicazione giornalistica dal carcere, con la
nascita dei giornali carcerari.
Particolare attenzione è stata data all'analisi di fonti, competenze e
meccanismi di produzione delle notizie responsabili di quella incompletezza
informativa che caratterizza la trattazione dei temi sociali in generale e di quelli
carcerari in particolare.
Attraverso l‟analisi di alcuni valori notizia si sono studiate le ragioni
dell‟attenzione intermittente e marginale che i media riservano alla realtà
carceraria; si è voluto capire perché solo fatti negativi fanno sì che il carcere
venga inserito nell‟agenda dei grandi mezzi di comunicazione di massa.
Si parla, poi, delle ragioni che spingono detenuti e volontari a creare un giornale
del carcere; e quali siano stati storicamente, culturalmente e politicamente, i
motivi che hanno favorito la nascita di questo tipo di stampa.
L'ultima parte del lavoro si concentra su due giornali in particolare:
“Ristretti Orizzonti” e “carteBollate”. Grazie alle interviste alle due direttrici
(Ornella Favero di “Ristretti” e Susanna Ripamonti di “Bollate”), ai detenuti –
redattori, e alla visita nella redazione di “Ristretti” nel carcere di Padova, sono
stati descritte storia, struttura, composizione e iniziative dei due periodici.
“L'informazione alternativa è stata da sempre nel corso della storia moderna un inevitabile
alter ego di qualunque forma di potere. La semplice esistenza di una struttura o di
un'istituzione che cerca di imporre modelli di comunicazione broadcast, cioè da uno a
molti, è sufficiente a innescare i meccanismi che portano al fiorire di iniziative
caratterizzati da un modello da molti a molti, cioè alla creazione di circuiti reticolari e
diffusi di informazione dal basso”. (Sarti, 2007, p. 89 )
Usando la parola scritta come mezzo di cambiamento; rivolgendosi ad un
pubblico il più ampio possibile; criticando i modelli culturali dominanti;
ricorrendo a fonti e informazioni escluse dai circuiti ufficiali; e utilizzando un
linguaggio semplice e diretto, i giornali scritti in carcere possono essere
considerati parte di quella stampa alternativa (o di controinformazione) inseriti
nel contesto più ampio del giornalismo sociale.
Avendo come obiettivo quello di riuscire ad affiancare i tradizionali media nel
lavoro, proponendosi come fonte affidabile di notizie ed esperienze, il
giornalismo carcerario ha portato a nuovi stili e a nuovi linguaggi nel mondo
dell‟informazione. Per fare, come diceva Kapuscinski, un vero giornalismo
intenzionale, “vale a dire quello che si dà uno scopo e che mira a produrre una
qualche forma di cambiamento”.
Questo lavoro è stato possibile anche alle molte persone che in questi mesi
mi hanno aiutato a trovare il materiale necessario per le ricerche, a coloro che mi
hanno concesso le interviste e a tutti quelli che mi hanno saputo dare utili
suggerimenti.
Ringrazio il Professor Mauro Sarti (Università di Bologna) perché grazie alla
lettura del suo libro (“Il giornalismo sociale”) e al colloquio avuto a Bologna, ho
appreso nozioni importanti sui temi dell'informazione sociale. Ringrazio
Riccardo Arena (direttore di “RadioCarcere”) per la gentilezza con la quale mi ha
concesso l'intervista; Susanna Ripamonti (direttrice di “carteBollate”) per la
disponibilità all'intervista sul giornale del carcere milanese; Gabriella Straffi
(direttrice Istituto Penale femminile di Venezia) per il colloquio telefonico avuto
sulla redazione femminile di “Ristretti”; Francesca Vianello (Università di
Padova) per avermi consigliato il saggio sulla rappresentazione mediatica del
carcere.
Per le informazioni sui giornali carcerari ringrazio Patrizia Tellini (“Ragazze
Fuori”), Sandra Curridori (“Facce e Maschere”), Carla Chiappini (“Sosta
Forzata”), Maurizio Battistutta (“La Voce nel Silenzio”), Maria Cecilia Averame
(“Area di Servizio”), Giuliana Bertola (“L'Alba”).
Grazie anche a Luigi Ferrarella (“Corriere della Sera”) e Donatella Stasio (“Il
Sole 24 Ore”) per gli utili contatti che mi hanno saputo dare.
Infine, un ringraziamento particolare va a Ornella Favero, direttrice di “Ristretti
Orizzonti”, per avermi fatto partecipare alle riunioni del giornale all'interno del
carcere “Due Palazzi” di Padova e per avermi concesso una “lunga” intervista
proprio sull'attività del periodico padovano. E, soprattutto, per l'infinita
gentilezza e disponibilità che ha sempre mostrato nei miei confronti.
Padova, 13 ottobre 2010
Le nostre vite finiscono
quando taciamo
di fronte alle cose
davvero importanti
(Martin Luther King)
1. L'INFORMAZIONE SOCIALE
“Sono convinto, e lo sono sempre stato, di non poter né scrivere,
né parlare di qualcosa che non ho visto di persona,
qualcosa che non ho vissuto e di cui non ho condiviso i rischi.
E' l'unico modo di agire e scrivere.
Il mio editore e il mio direttore non c'entrano niente,
sono io che devo sapere di essermi guadagnato
il diritto di parlare di certe cose”.
(Ryszard Kapuscinki)
1.1 Cronaca sociale: che cos'è e chi la fa
Con il termine giornalismo sociale si intende
“la rappresentazione giornalistica dei temi che riguardano quella parte dell'informazione
che fino alla metà degli anni Settanta è praticamente relegata – se si escludono le
pubblicazioni politiche, di movimento e specialistiche – negli spazi delle cronache
scandalistiche dei settimanali popolari, negli approfondimenti di carattere religioso oppure
che è, più semplicemente, ignorata”. (Sarti, 2007, p. 12)
Tra i diversi settori in cui è diviso un giornale troviamo la cosiddetta cronaca
bianca, che comprende: vita politica e amministrativa di una città, sanità, traffico,
scuola, università e, in generale, tutta l'informazione di servizio.
In uno spazio della bianca trova posto il racconto della vita più sociale della città.
L'emarginazione, l'immigrazione, la delinquenza, i problemi dei disabili, il
carcere, l'integrazione: sono questi i temi che rientrano nella cronaca sociale.
Purtroppo questi argomenti fanno notizia solo se si intrecciano ad altri settori
della cronaca,
“ad esempio se lo sgombero dell‟accampamento rom avviene con l‟uso della forza (cronaca
nera), se il centro per disabili viene realizzato grazie al consistente uso di denaro pubblico
(economia locale), se la vittima o il protagonista di quel fatto di cronaca nera può rientrare
in qualche modo in una categoria patologica (malato psichiatrico, autistico, depresso)
oppure ha a che fare con la sua condizione di cittadinanza (immigrato, clandestino, rifugiato
ecc.)”. (Sarti, 2007, p.27)
Il sociale non è quindi assegnabile ad uno spazio o a un ambito particolare
all'interno di una redazione giornalistica. Come afferma Mauro Sarti (2007) nel
suo “Il giornalismo sociale”, nessuno è deputato e formato per seguire il sociale.
Nessuno ha fonti e formazione certa su questi temi.
A partire dagli anni Novanta, la strada maestra imboccata dai grandi media
per raccontare il sociale sembra essere l'utilizzo di human stories. Droga, mafia,
prostituzione, disagio, emarginazione.
La tecnica è semplice: si prende un caso, tragico, singolare, emotivamente
coinvolgente e poi lo si enfatizza con titoli di scatola, fotografie indiscrete,
analisi sociologiche approssimative e, quando si trova, il commento dell'esperto.
Tecnicamente si chiama informazione-spettacolo. (Sarti, 2007)
La tecnica fondamentale dell'infotainment è trasformare l'informazione in
intrattenimento e l'intrattenimento in informazione. (Kovach e Rosenstiel, 2007)
La televisione in questo processo ha un ruolo rilevante. Perseguendo
costantemente lo scoop e sovraesponendo i sentimenti degli intervistati, crea le
basi per lo sviluppo dell'infotainment, al quale si aggiunge l'emotainment1, dove i
sentimenti intimi e privati vengono analizzati, ridicolizzati o pietisticamente
presentati.
Parlare di sociale all'interno del mondo dell'informazione significa
ricollocare e riqualificare certi eventi, cercando di non confinarli o stigmatizzarli
con fin troppo facili generalizzazioni in altri settori della cronaca. Lo si può fare
solo portando esempi, testimonianze, dati, che mostrino nuove cornici di
interpretazione della realtà possibili, evitando le facilità e la deprivazione
informativa-culturale dei luoghi comuni. (Lalli, 2002)
1 “Forma di comunicazione che gioca sulla confessione pubblica di sentimenti e problemi; o
sull'enunciazione del conflitto con l'intervento drammatizzato degli opposti protagonisti” cit. da A.
Papuzzi, Professione giornalista, Donzelli, Roma, 2003
Il più grande giornalista sociale del secolo scorso è stato senza dubbio Ryszard
Kapuscinki. Nato nel 1932 in Polonia Orientale, l'attuale Bielorussia, ha
raccontato numerose guerre, rivolte, viaggiando soprattutto in Africa e in
America.
Le regole che il buon giornalista sociale doveva rispettare erano per lui:
“l'empatia con la fonte, la lontananza da un certo cinismo giornalistico (…) la
comprensione delle diverse culture, l'ascolto, l'utilizzo di fonti e storie poco battute, la
vicinanza con il territorio e con le persone, con le comunità locali, la condivisione”. (Sarti,
2007, 31)