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Introduzione
Premessa Storica
Prima di trattare l’argomento delle cause atte a ridurre o ad eliminare
l’imputabilità del reo nel codice penale parmense, pare corretto illustrare in
breve la situazione storico – politica del Ducato all’alba della nuova
legislazione (che comprendeva oltre al detto, anche il codice civile e i codici
delle due procedure).
Il Codice penale per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla venne
promulgato con Decreto Sovrano il 5 novembre 1820 ed entrò in vigore il 1
gennaio 1821. Già prima però, nel 1814, vale a dire 2 anni prima
dell’ingresso in città della Duchessa Maria Luigia
1
(avvenuto il 20 aprile
1816, alla giovane età di 25 anni), il di lei padre, l’Imperatore d’Austria
Francesco I, diede incarico al Conte Filippo Magawly, Ministro di Stato, di
nominare una commissione che redigesse un progetto di legislazione
permanente per il Ducato. Questa commissione, per la verità, non si occupò
in un primo momento di redigere un codice penale, quanto piuttosto di
elaborare il codice civile. Per alcuni anni rimase quindi in vigore il Codice
Napoleonico del 1810, mai rimpiazzato. Nel 1818, venne affidato il compito
a quattro magistrati di redigere un progetto di modifica del codice francese,
il quale oramai non era più idoneo al nuovo assetto dello Stato. Detta
commissione, voluta dal Presidente dell’Interno Cornacchia, era stata anche
insignita di revisionare l’operato delle precedenti due Commissioni, istituite
1
Il trattato di Fontainebleau dell’11 aprile 1814, ridisegnava l’assetto politico dell’Europa
dopo l’abdicazione di Napoleone, avvenuta nella medesima località pochi giorni prima, il 6
aprile. Tale trattato, assegnò il Ducato di Parma alla Duchessa Maria Luigia (12 dicembre
1791 - 17 dicembre 1847), figlia dell’Imperatore d’Austria e moglie dello stesso Bonaparte,
mettendo così da parte il principio di legittimità, secondo cui lo Stato sarebbe spettato ai
Borbone, ai quali invece fu affidato il Ducato di Lucca. Così, alla secolare influenza
francese si sostituì quella austriaca, sebbene provvisoriamente vennero mantenute in vigore
la maggior parte delle istituzioni e delle leggi napoleoniche. Per i primi due anni,
l’amministrazione pubblica fece capo ad un Ministro di Stato (conte Magawly), investito di
pieni poteri e dipendente direttamente dall’Imperatore, che di fatto governò il Ducato, fino
all’ingresso della figlia, avvenuto nel 1816 (data la sua giovane età ed inesperienza si
preferì attendere un po’ prima di affidargli il governo dello Stato). Con l’arrivo di Maria
Luigia si aprì il cosiddetto periodo “Ludoviciano” per il Ducato di Parma (1814-1847),
durato oltre un trentennio e terminato con la sua morte, a soli 56 anni.
5
e succedutesi tra loro, che avrebbero dovuto dar vita al nuovo codice civile
del Ducato. Per questo motivo, fu chiamata <<Commissione di
revisione>>; questa tra la fine del 1818 e il principio del 1819, approvò una
legge di oltre 100 articoli, nominata Risoluzione Sovrana del 11 febbraio
1819, la quale mitigava molto il rigore del Codé Pénal, migliorandone
anche i non pochi difetti. Ma la necessità di avere una legislazione penale
completamente propria, indusse la Duchessa, spronata, dal Segretario di
Gabinetto Conte Scarampi e dal compagno di vita, il Cavaliere d’Onore
Alberto Neipperg
2
, (in quegli anni vero padrone del Ducato), a sciogliere la
commissione di revisione e a nominarne una quarta. Quest’ultima, per
espresso ordine di Maria Luigia, non doveva avere ispirazioni liberali, filo-
repubblicane o laiche, come invece aveva la precedente. La commissione
definitiva, in pratica era formata dal giudice Francesco Ferrari (in veste di
Presidente), dal giudice e professor Gaetano Godi, dal Procuratore Ducale
Giuseppe Caderini, dall’avvocato e professor Giuseppe Bertani e infine
come segretario, dall’avvocato Enrico Salati. Questi erano tutti uomini di
fiducia della Duchessa, probabilmente non troppo progressisti ma
quantomeno esperti e al passo con la scienza penale del tempo. I
giureconsulti iniziarono il lavoro nel gennaio del 1820 e nel settembre dello
stesso anno consegnarono il progetto definitivo, approvato immediatamente
dalla Duchessa entusiasta. Il codice non ancora dato alle stampe, venne
integrato con un Appendice, voluta dal Neipperg in persona, ed in cui erano
previsti per lo più reati di lesa Maestà, provvisti di pene alquanto severe.
Nel dicembre del 1820 l’Appendice fu approvata e apposta in calce al codice
penale che entrò così in vigore, il 1 gennaio del 1821.
2
Adam Albrecht Adalbert Neipperg, nato a Salisburgo l’8 aprile 1775 e morto a Parma il
22 febbraio 1829, fu un valoroso militare e un eccellente uomo politico. Partecipò al
Congresso di Vienna e l’anno dopo, nel 1816, fece il suo ingresso nel Ducato, in qualità di
Cavalier d’Onore di Maria Luigia, ricoprendo fin da subito il ruolo di Ministro degli Esteri
e degli Affari militari. Dopo la morte di Napoleone Bonaparte, nel 1821 sposò la Duchessa,
della quale era stato in precedenza amante e da cui ebbe due figli: Albertina e Guglielmo.
Uomo austero ed indipendente, non tollerò mai le imposizioni del Metternich e dello stesso
Imperatore d’Austria, intenti ad infeudare il Ducato alla politica austriaca.
6
Premessa metodologica
Come primo preziosissimo supporto, per la mia ricerca, dal punto di
vista cronologico, mi sono avvalso di una raccolta di sentenze curata da
Francesco Melegari, autorevole figura del panorama giuridico parmigiano,
che raccolse le decisioni del Tribunale Supremo di Revisione, una sorta di
moderna Corte di Cassazione che giudicava sia in materia civile sia
criminale
3
, del decennio 1820-1830.
Prima di analizzare i caratteri salienti della sua opera giuridica, pare
corretto in breve, fornire al lettore alcune notizie biografiche su tale figura.
Nacque a Parma il 18 ottobre 1761 e nel 1783 in detta città, a soli 22 anni, si
laureò in giurisprudenza all’Università. Dopo il praticantato per
l’abilitazione alla professione legale, nel 1791 insegnò materie giuridiche
presso il Collegio dei Nobili di Parma e fu professore onorario
all’Università (circa 30enne, ndr). Stimatissimo anche sotto il Governo
Francese, nel 1804 fu scelto per incarichi di notevole importanza, tra i quali
quello di consigliere capo del Tribunale di Prima istanza e d’Appello. Dopo
aver atteso alla pubblicazione del Codice Napoleonico
4
, nel 1806 fu
Presidente del Tribunale di Fiorenzuola e nel 1811 consigliere della Corte
imperiale di Genova e presidente della Corte criminale straordinaria di
Casale Monferrato. Nel 1814 fu presidente di Prima istanza di Borgo San
Donnino e nel 1815 ricoprì lo stesso ruolo presso il Tribunale di Parma. Nel
1817 fu nominato membro della Commissione legislativa per la revisione
dei Codici francesi, ancora in vigore all’epoca nel Ducato, della quale fecero
parte i migliori giuristi. Divenuto consigliere del Supremo Tribunale di
3
Il Tribunale Supremo di Revisione, nel Ducato di Parma Piacenza e Guastalla, costituiva
l’organo di legittimità, il vertice dell’apparato giudiziario ed era investito di funzioni di
controllo e di consulenza sull’intera magistratura, in quanto chiamato a dare il proprio
parere al ministro dell’interno sulle destituzioni e sulle sospensioni dei giudici e poteva
inoltre anche sostituirsi ai tribunali di grado inferiore, nel caso di loro inerzia. L’istituto
della revisione, rappresenta un elemento di grande originalità, di stampo assolutistico ma in
gran parte trasformato, che si colloca in una posizione intermedia tra il sistema francese
della Cassazione e quello austriaco della terza istanza. Sul tema cfr. M.R. DI SIMONE, I
Ducati padani: il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, in Istituzioni e fonti normative in
Italia dall’antico regime all’unità, Torino 1999, pp. 205 e seg.
4
Il Code Civil promulgato nel 1804, durante l’epoca rivoluzionaria, entrato in vigore nel
1806 e chiamato nel 1807 Code Napoléon.
7
Revisione, iniziò la raccolta delle decisioni emesse dallo stesso. Nel 1828 fu
nominato Cavaliere Costantiniano e due anni dopo venne eletto Presidente
del Tribunale d’Appello. Nel 1831 (dal 15 febbraio al 12 marzo), in seguito
ai moti rivoluzionari, fu membro del Governo provvisorio e fu poi costretto
all’esilio. Riprese allora la professione d’avvocato svolta fino al momento
della sua morte, avvenuta il 1 ottobre del 1837, sempre a Parma
5
.
Ritornando alla raccolta di sentenze utilizzate nella ricerca, essa reca
il titolo “Decisioni del Supremo Tribunale di Revisione in Parma con note
ed opuscoli relativi di Francesco Melegari” e la pubblicazione del primo
volume è fatta risalire al 1824. Il Melegari, all’epoca consigliere del
Supremo Ordine, raccolse in molti volumi e in più edizioni, le decisioni di
tale Tribunale andando dal 1820 al 1830. Al riguardo, ho consultato
solamente la seconda edizione della raccolta, quella reggiano- modenese,
stampata tra il 1853 ed il 1854 (dagli editori – librai Calderini e Zanichelli)
e formata da 5 volumi; questo perché a differenza dell’edizione parmense
antecedente, essa è molto più ordinata e di più semplice consultazione,
mentre la prima risulta eterogenea, nebulosa e quindi molto meno pratica
per lo studioso che vuole farne uso. Ogni edizione, comunque sia, è
ampiamente corredata da note dell’autore, quando si ponevano interessanti
problemi giuridici e di opuscoli, quando ad un argomento voleva dedicare
più ampio spazio (gli opuscoli si trovano nel volume quinto, mentre le note
sono disseminate per tutta l’opera in calce ad ogni sentenza, assieme anche
ad ampi commenti sulle stesse). Le decisioni, le note e gli opuscoli
riguardano sia la materia civile sia quella penale e contengono informazioni
preziosissime sull’amministrazione della giustizia a Parma a quel tempo e in
quale stato fosse la scienza penale. Da ultimo è interessante rivelare come il
Melegari, fosse incline a elargire indiscrezioni e retroscena sulle discussioni
avvenute in camera di consiglio.
Come secondo mezzo di studio e ricerca, dal punto di vista delle
fonti giurisprudenziali, ho utilizzato un’altra raccolta di sentenze, del
massimo organo giudiziario del Ducato, redatta da Giovan Battista
5
Cfr. R. LASAGNI, Dizionario biografico dei parmigiani, III, Parma 1999, ad vocem.
8
Niccolosi, che a ben vedere risulta essere la continuazione naturale,
dell’opera del Melegari. Infatti, detta opera giuridica, pubblicata per la
prima volta nel 1839, comprende decisioni per il periodo che va dal 1831 al
1850. Il Niccolosi (chiamato anche Giambattista o Gian Battista), nacque a
Pontremoli il 17 gennaio del 1797, da Francesco e Chiara Marsili. Concluso
gli studi secondari (in grammatica e retorica), presso il seminario del paese
natio, nel 1814 venne mandato a Parma per intraprendere presso
l’Università appena ripristinata
6
gli studi giuridici, che però dovette
interrompere per la morte quasi contemporanea di entrambi i genitori. Solo
più tardi, potè ristabilirsi a Parma e portare, nel 1822, finalmente a termine
gli studi, all’età di 25 anni. Tra i suoi insegnanti, come documentano alcuni
fogli di presenza alle lezioni, si ricordano Remiglio Crescini, Francesco
Mazza, Michele Pazzoni, Giuseppe Bertani e soprattutto Francesco Cocchi e
Gaetano Godi, rispettivamente insegnanti di procedura civile e istituzioni
criminali presso la summenzionata facoltà di legge e tutti membri della
Commissione legislativa parmense. Proprio presso lo studio legale del
Cocchi, il Niccolosi, iniziò ad esercitare la professione d’avvocato e nello
stesso periodo collaborò in qualità di segretario, con il famoso musicista
parmigiano Paolo Toschi. Nel 1833, conclusa l’attività forense, entrò in
magistratura. Percorsi i gradi di giudice del tribunale e di Corte d’Appello,
nel 1839, fu nominato consigliere del Tribunale Supremo di Revisione, con
l’incarico di Sostituto Procuratore (coadiuvare in veste di Pubblico
Ministero, il Procuratore generale). Iniziò allora a compilare la raccolta delle
sentenze di quella suprema magistratura (1831-1850), unite con quelle del
Consiglio di Stato (1822–1830), continuando così, il lavoro intrapreso in
precedenza dal Melegari. Nel 1844, fu nominato Consigliere di Stato e nel
1847 divenne Procuratore Generale del Supremo Tribunale, ricoprendo tale
carica fino al 1 gennaio 1861, allorquando a seguito del mutato ordinamento
politico e giudiziario, passò a quella di primo Presidente di Corte d’Appello,
che lasciò nel 1868 per l’avanzata età. In qualsiasi ordine e grado ricoprì in
magistratura, fosse nel Ducato di Parma oppure nell’Italia unita, il Niccolosi
6
Ricordiamo che sotto il dominio francese, al posto dell’Università, a Parma c’era
un’Accademia, che venne ripristinata dopo la caduta di Napoleone.
9
consolidò la fama di profondo conoscitore della scienza giuridica. Le sue
indiscusse qualità morali, come magistrato e come cittadino, unite con i
riconoscimenti universali attribuiti alla sua dottrina, gli permisero di restare
al suo posto, rispettato ed onorato e di passare indenne attraverso i regimi di
Maria Luigia d’Austria, del Governo Provvisorio di Parma (1848-1849), di
Carlo di Borbone, di Maria Luisa di Berry, del dittatore Farini e dello Stato
unitario. Nel 1848, fu uno dei tre deputati parmigiani, che andarono a
Sommacampagna (Verona), al campo di Carlo Alberto di Savoia, al fine di
presentare la richiesta plebiscitaria, di annessione del Ducato al Regno
Subalpino. Sempre in quell’anno fu nominato senatore del Regno di
Sardegna (carica che non mantenne però, anche dopo la costituzione del
Regno d’Italia) e dopo una breve parentesi istituzionale nel Governo
Provvisorio, gli venne assegnata, dopo il riordino dell’Università, la cattedra
di diritto amministrativo (1854-1859) e in seguito quella di diritto
costituzionale (1859). Una volta costituito il Regno d’Italia, venne
incaricato, inserito nella commissione legislativa, dapprima di riformare il
Codice Albertino e poi di compilare il codice civile italiano. Profondamente
cattolico, fin dal 1859, come si evince dai suoi scritti, dimostrò una certa
avversione ai piemontesi, che vide sempre non come liberatori ma come
conquistatori, col fine d’allargare il Piemonte più che di creare una nazione
nuova. Una volta andato in pensione nel 1868, gli venne conferita la
qualifica onoraria di presidente di Cassazione. Fu inoltre Commendatore
dell’Ordine Costantiniano, Grand’Ufficiale Mauriziano e della Corona
d’Italia. Morì l’8 gennaio 1877 a Parma
7
.
Ritornando alla raccolta di sentenze, da me utilizzata, ideale e voluta
continuazione di quella del Melegari, essa recava il titolo “Decisioni del
Tribunale Supremo di Revisione dopo il 1830”. L’autore, raccogliendo la
giurisprudenza ventennale della Suprema Corte, ha reso pubblica una
casistica corposa e di notevole rilievo, sia in materia civile che criminale.
L’opera, composta da 20 tomi, edita in unica edizione parmigiana (dapprima
eseguita dalla stamperia Carmignani e in seguito dalla stamperia Reale), fu
7
R. LASAGNI, Dizionario…op. cit., III, Parma 1999, ad vocem.
10
iniziata nel 1839, anno in cui il Niccolosi venne nominato consigliere del
predetto Tribunale Supremo, (con le decisioni dell’anno 1831) e si concluse
nel 1861, con la pubblicazione del volume ventesimo (contenente le
decisioni del 1850). E’ giusto ricordare che la maggior parte del materiale
utile ai fini prefissati, è stato individuato in detta opera; dal Melegari infatti,
ho attinto minori notizie, ma questo anche perché la raccolta, la cui indubbia
bontà non si discute, prende in esame un lasso di tempo più ridotto (10 anni
distribuiti in 5 volumi, nell’edizione reggiano-modenese) e la mole
maggiore di decisioni riguarda cause civili.
Passando ora alla dottrina, come terzo strumento per la mia indagine,
ho tratto fondamentale giovamento, in primis di un manoscritto anonimo,
conservato nella Biblioteca Palatina di Parma, composto da tre tomi
(manoscritti parmensi, numeri 1503-1504-1505, secondo la collocazione
Palatina), attribuito ormai senza titubanza a Gaetano Godi, ai tempi
professore di diritto e istituzioni criminali, nell’Università di Parma. In
secondo luogo, a supporto e integrazione dei primi, ho consultato un altro
manoscritto anonimo, diviso in due volumi, conservato sempre in Palatina
(Ms parmensi 1475-1476), dai contenuti pressoché identici ai tre tomi del
Godi summenzionati, e da alcuni attribuiti alla mano dello stesso Professore
parmigiano. Ora, prima di passare ad analizzare meglio tali opere non
consegnate alle stampe, spendiamo alcune parole sul loro autore o presunto
tale.
Gaetano Godi, nacque a Parma il 17 aprile 1765 e ivi intraprese gli
studi di legge e di lettere. Nel 1788, fu inizialmente sostituto alla cattedra di
diritto canonico, per poi divenire nel 1802 professore di istituzioni e diritto
criminale, presso l’ateneo parmense; infine nel 1840 fu nominato professore
emerito. Intraprese la carriera forense e quella giudiziaria, ricoprendo
l’ufficio di giudice del Tribunale di prima istanza sotto il governo francese.
Nel 1814, venne confermato professore di istituzioni criminali dal ministro
di Stato, conte Filippo Magawly. Nel 1831 rifiutò la proposta fattagli, di
proseguire l’insegnamento nella città di Piacenza. Partecipò alla
compilazione del codice civile parmense e ne scrisse la prefazione; durante
11
il Ducato di Maria Luigia fu consigliere del Tribunale di Revisione,
consigliere di Stato, commendatore dell’Ordine Costantiniano di San
Giorgio e dell’Ordine di San Lodovico. Prima di passare a trattare in sintesi
le opere manoscritte che gli sono state attribuite, ricordiamo che il Godi fu
anche uno stimato poeta e letterato, seppur a livello locale e del quale sono
giunti a noi i suoi sonetti dati alle stampe (non da lui stesso) e pubblicati in
diverse raccolte e giornali, sia quelli composti singolarmente che quelli
realizzati in coppia con Giuseppe Bertani.
8
Morì il 23 febbraio 1850 in quel
di Parma
9
.
Tornando alle opere manoscritte, al Godi sono attribuite come
dicevamo, le “Istituzioni Criminali” opera inedita composta dopo l’entrata
in vigore del codice penale per gli Stati parmensi, avvenuta il 1 gennaio
1821. L’opera nella catalogazione della Biblioteca Palatina è denominata:
<<Istituzioni Criminali di Gaetano Godi parmigiano (professore di diritto
penale e consigliere di Stato nel Tribunale di Revisione) o a meglio dire
Lezioni di diritto penale, dal medesimo date nella patria Università- tre
tomi cartacei del secolo XIX>>
10
. Come detto quindi, si tratta di lezioni
dettate da uno dei redattori del codice stesso, ai suoi studenti.
Nel primo tomo
11
, il numero 1503, ho individuato la maggior parte
delle informazioni utili alla mia ricerca, alla pagina 96, allorché inizia il
capitolo intitolato “ Delle persone che sono o no capaci di dolo e di colpa”.
Nella trattazione degli argomenti non segue la cronologia del codice, ma si
muove a piacimento, secondo l’ordine di argomenti che ritiene più
8
Giuseppe Bertani, avvocato e professore universitario alla facoltà di giurisprudenza di
Parma (tra i suoi allievi anche il Niccolosi), membro della Commissione definitiva
incaricata di redigere il nuovo codice penale per gli Stati parmensi, nominata con Rescritto
Sovrano da S.M. Maria Luigia il 4 gennaio 1820. Nato a Castell’Arquato nel 1771, fu
autore di vari manoscritti giuridici di carattere civilistico. Cfr. A. CADOPPI, Materiali per
un’introduzione allo studio del diritto penale comparato, in S. VINCIGUERRA, (a cura di)
Casi fonti e studi per il diritto penale raccolti da Sergio Vinciguerra, Serie III, Padova
2001, note a pag. 86 e pag. 90.
9
R. LASAGNI, Dizionario…op. cit., III, Parma 1999, ad vocem.
10
Cfr. sul punto anche, G. CATALANO - C. PECORELLA, Inventario ragionato dei
manoscritti giuridici della Biblioteca Palatina di Parma, in Studi Parmensi, Parma 1955,
p. 356.
11
Il Godi, inizia subito con le “nozioni preliminari”, definendo lo Jus penale o criminale
(usa entrambe le locuzioni), come <<(…) il complesso o la collezione delle leggi penali,
quelle cioè che restringono la nostra libertà>>, senza fare introduzioni o prefazioni di
sorta. In seguito passa a trattare il tema del “delitto in genere”.
12
importante (questo lo si deduce sia dalla lettura del testo, che anche per sua
stessa ammissione lo si ricava in appendice all’opera nel Ms 1505, quando
lo stesso si congeda dagli studenti al termine dell’anno accademico).
Nel secondo volume, il numero 1504, ho rinvenuto un capitolo
collegato al tema della minorazione e dell’esenzione da pena, intitolato
“Causa di rimettere e diminuire la pena”, in cui tratta la categoria delle
cause cosiddette “estrinseche”; queste distinguendosi da quelle
“intrinseche”, (ne fanno parte infanti, puberi, impuberi, ubriachi, minori
ecc) trattate nel precedente volume, sono talora in certi sporadici casi idonee
a togliere o a minorare la responsabilità penale del reo. Dette cause
“estrinseche”, che si trovano al di fuori dall’agente o dal fatto, sono in realtà
e per stessa ammissione del Godi, inutili, ridicole e figlie di un passato
storico arcaico, intriso di superstizioni e credenze che poco avevano a che
fare con la scienza giuridica da lui auspicata e che forse, ancora nel XIX
secolo, aleggiano in qualche ambiente e in capo a qualcuno. Ecco perché ne
fa menzione nelle sue lezioni, per cercare di estirpare ai suoi studenti fin da
subito possibili convincimenti in merito a tali, stravanti e bislacche,
circostanze.
Del terzo volume, il 1505, non mi sono avvalso essendo trattata la
parte speciale del codice, in verità limitata ai soli reati di sangue come
omicidio, parricidio, infanticidio, esposizioni d’infanti e procurato aborto;
l’interruzione di detta parte fu dovuta alla conclusione dell’anno
accademico.
In ultimo per le fonti dottrinali, ho consultato altri due tomi
manoscritti anonimi, il 1475 e 1476, secondo la numerazione della
Biblioteca Palatina, più per scrupolo che per reale utilità; infatti, detti
volumi ricalcano in sostanza le <<Istituzioni Criminali>> del Godi e da più
parti anzi, si vuol attribuire allo stesso Professore parmigiano, la paternità di
tale opera intitolata <<Lezioni di diritto criminale>>
12
(anche se la dottrina
moderna lo ha intitolato <<Prelezioni sul codice penale parmense>>).
12
Invero, nella stessa pagina della prima lezione, è riportata la dicitura, <<Istituzioni di
diritto criminale>>, supportando la convinzione che detta opera sia collegata al Godi e alle
sue Istituzioni, anche se forse non scritte dalla stessa mano.