PROLOGO
traumi cranio-encefalici (TCE) costituiscono, in tutti i paesi industrializzati, una
delle cause principali di mortalità tra la popolazione giovanile e adulta in età
compresa tra i quindici e i quarant’anni. Il numero di coloro che sopravvivono a un
grave evento traumatico è oggi in aumento, in ampia misura grazie ai notevoli progressi compiuti
dalla medicina d’urgenza, dalla rianimazione e dalla neurochirurgia. Per molti la disabilità residua
non sarà costituita da danni di tipo motorio o sensoriale, ma prevalentemente da deficit della sfera
cognitiva e comportamentale, tali da impedire, spesso per lunghi periodi, la ripresa funzionale,
familiare, sociale e lavorativa. Si calcola che ogni anno, in Italia, circa 35.000 persone subiscano
questo destino. Molti possono ritornare, a medio termine, al precedente stile di vita, altri si devono
sottoporre a prolungati trattamenti riabilitativi; una parte di essi, in seguito a esiti invalidanti,
dovranno adattarsi a cambiamenti che modificheranno per sempre le condizioni precedenti” (Zettin
M., Rago R., 1995, p. 13). I TCE hanno poi un’apprezzabile rilevanza in termini di mortalità, infatti
“In Italia si prevedono annualmente 1.500 morti, 100.000 feriti e 30.000 invalidi permanenti da
incidenti stradali che rappresentano la causa di gran lunga più importante dei traumatismi encefalici.
Sempre in Italia, il trauma cranico è la prima causa di morte tra i quindici e i venticinque anni di età
(dati ISTAT).” (Zettin M., Rago R., 1995, p. 25). Non sarà pleonastico affermare che l’evento TCE
non investe soltanto il soggetto, ma il contesto più imminente in cui è inserito, ossia la sua famiglia;
In effetti “Tra le numerose patologie che possono interessare un essere umano, il TC è tra quelli che
generano inevitabilmente contraccolpi sull’intero sistema familiare. L’intensità di tali contraccolpi
dipende strettamente dalla gravità delle conseguenze che permangono nel paziente, e gli esiti
traumatici devono essere valutati attentamente sin dalla fase acuta, quando il paziente è degente in
una Unità di Terapia Intensiva (rianimazione, neurochirurgia). (Liscio M., Galbiati S., Poggi G.,
2003, p. 323). Causa di prioritaria importanza riguardo i TCE è la modernizzazione a cui è andata
incontro la nostra società in questi ultimi decenni, in effetti come ci ricorda Mazzucchi
“l’impressionante aumento dei traumi cranici ha seguito la rapida espansione della motorizzazione
in tutti i Paesi occidentali a partire dai primi anni settanta (intorno ai 200-300 casi ogni anno per
100.000 abitanti).” (Mazzucchi A., 1999, p. 354).
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Coma: definizioni possibili
1.1 COMA: DEFINIZIONI
l termine coma (dal greco kóma = sonno) ha ricevuto numerose definizioni, qui mi limiterò a
riportare quelle che a mio avviso possano essere maggiormente onnicomprensive:
“In generale, per coma si intende una condizione patologica caratterizzata dalla riduzione fino
all’abolizione dello stato di coscienza e della reattività agli stimoli esterni, con alterazioni, talora
marcate, delle funzioni vegetative (come respirazione, attività cardio-circolatoria).
I criteri neurocomportamentali che distinguono il paziente in coma sono :
Non apre gli occhi spontaneamente o in risposta a stimoli esterni, li mantiene chiusi;
Non esegue alcun comando;
Non comunica in alcun modo;
Non ha movimenti intenzionali (può mostrare invece gesti riflessi, come allontanarsi dal
dolore o sorridere involontariamente);
Se le palpebre vengono tenute sollevate, non ha movimenti oculari di inseguimento visivo.”
(Verlicchi A., Zanotti B., 1999, p.17).
“Pochi pazienti restano in coma per periodi superiori a 4 settimane; coloro che non mostrano segni
di recupero di uno stato di coscienza anche in presenza di apertura degli occhi rientrano nei criteri
di definizione di “stato vegetativo”. Con il termine stato vegetativo si intende una specifica diagnosi
comportamentale, che indica la perdita completa della capacità di interagire con l’ambiente anche in
presenza di risveglio spontaneo o indotto da stimoli. Le risposte comportamentali consistono solo in
azioni riflesse.” (Liscio M., Galbiati S., Poggi G., p. 2, 2003). Una definizione che tenta di arginare
i confini di questo stato dell’essere umano viene fornita dal dizionario di psicologia a cura di U.
Galimberti, edito da Garzanti: “Il coma. È una condizione di perdita totale della coscienza e
dell’attività volontaria, simile al sonno, dove però il soggetto non può essere svegliato e non
reagisce alle abituali stimolazioni. Il coma costituisce il livello minimo di attivazione
dell’organismo e può essere provocato da cause endocraniche come emorragia cerebrale, trombosi,
trauma, tumore, epilessia, o extracraniche come diabete, ipoglicemia, intossicazione da narcotici o
da alcool. Si distingue uno stato di precoma dove la percettività e la reattività sono in parte
conservate soprattutto per la sensibilità dolorifica, di coma in tutto simile al sonno, e di coma
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profondo che richiede metodiche di rianimazione che si possono praticare finché
l’elettroencefalogramma non mostra il tracciato lineare, detto «silenzio elettrico», che segna la
morte del cervello.” (Galimberti U., 1999, p.254). Una prima distinzione che si evince da questa
definizione è quella tra sonno e coma; principiando col sottolineare i confini del costrutto di
“coma” si finirà col rendere più specifico questo lemma, per tale motivo voglio qui discernere le
caratteristiche che differenziano tra il concetto di sonno da quello di coma, lo farò utilizzando le
parole di D. Kelly: “Dal punto di vista comportamentale il sonno e il coma differiscono per la soglia
necessaria per il risveglio e per la reversibilità. Questi stati possono venir distinti anche dal punto di
vista fisiologico. Il sonno è uno stato neurofisiologico molto attivo, durante il quale il consumo
cerebrale di ossigeno non è inferiore di quello dei normali livelli di veglia. Infatti, Seymour Kety ha
dimostrato che il consumo cerebrale di ossigeno aumenta al di sopra dei livelli normali durante gli
episodi REM, mentre in tutti gli altri casi di coma che sono stati analizzati il consumo di ossigeno si
riduce al di sotto del normale livello di riposo. Di conseguenza il coma può essere definito, per
esclusione, come una perdita di coscienza senza sonno, che a differenza della sincope, dura per
lunghi periodi di tempo. Nell’ambito di questa definizione sono stati distinti diversi livelli di
mancanza di coscienza, comprendenti la letargia, la perdita delle sensazioni, lo stupore e il coma,
sulla base del grado di indifferenza del paziente verso stimoli comuni quali il parlare, il gridare, il
venir scossi o sottoposti a punture capaci di risvegliare dolore. Lo stupore è quello stato
caratterizzato dalla capacità di rispondere solo allo scuotimento, alle grida e agli stimoli nocivi,
mentre il coma è caratterizzato dall’assenza completa di risposte” (Kandel E., Schwartz J., Jessel T.,
1991, p.832). Plum e Posner propongono una definizione di Coma che si incentra maggiormente su
modalità criteriali di tipo comportamentale, del soggetto che ricade in stato comatoso: “uno stato di
areattività psicologica non suscettibile di risveglio in cui il soggetto giace con gli occhi chiusi. I
soggetti in coma non mostrano alcuna risposta psicologicamente comprensibile agli stimoli esterni o
ai bisogni interni. Essi non pronunciano parole comprensibili né localizzano accuratamente stimoli
dolorosi con limitati movimenti di difesa.” (Plum F., Posner J.B., 1980, p.6).
1.2 RELAZIONE TRA SONNO E COMA
Passando ad un livello di analisi maggiormente dettagliato, ecco di seguito riportate le similarità e le
divergenze intercorrenti tra sonno e coma: “Il sonno è uno stato periodico di riposo accompagnato
da incoscienza ed inattività di grado variabile. Risulta costituito dall’alternanza di due tipi distinti di
sonno: non-REM (o sincronizzato o lento), a sua volta suddiviso in quattro fasi in successione che
esprimono il progressivo approfondimento della condizione, e sonno REM con movimenti oculari
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rapidi (detto anche desincronizzato o rapido). È stato dimostrato che il ciclo veglia-sonno non
deriva , come era stato inizialmente ipotizzato, da un periodico affaticamento della SRAA (sistema
della veglia) con cessazione degli stimoli risveglianti per l’attività mentale, ma dall’integrazione di
due sistemi: uno che regola la veglia e l’altro il sonno. Quest’ultimo sistema si compone a sua volta
di due sottosistemi corrispondenti al tipo di sonno, lento e rapido, localizzati nella formazione
reticolare dal diencefalo posteriore al bulbo rostrale. Gli stadi iniziali di alcune forme di coma,
particolarmente quello metabolico, assomigliano al sonno profondo. Nel sonno profondo, come nel
coma, si possono riscontrare:
L’abolizione dell’interazione cosciente con l’ambiente: il soggetto non mostra segni di
consapevolezza di sé o del suo ambiente;
Un aspetto comportamentale di riposo, con le palpebre chiuse;
La deviazione degli occhi verso l’alto, o la loro divergenza;
Un respiro irregolare e la diminuzione del volume respiratorio, della temperatura corporea e
della pressione arteriosa al di sotto dei livelli di veglia;
La perdita del tono muscolare, che diventa flaccido;
La riduzione o l’assenza dei riflessi osseo-tendinei;
Occasionalmente incontinenza urinaria;
Un tracciato EEG con attività lenta.
Tuttavia tra le due condizioni esistono differenze fondamentali. Quella più importante è costituita
dal fatto che le persone addormentate possono, se stimolate, essere risvegliate e riportate al normale
stato di coscienza. Altri segni esclusivi del sonno sono: la persistenza di un’attività mentale,
espressa per esempio dai sogni, che può lasciare una traccia nella memoria ed essere ricordata al
risveglio; la particolare attività motoria spontanea; l’invariato od aumentato consumo cerebrale di
ossigeno (e non diminuito consumo come nel coma) rispetto alla veglia. Inoltre, il sonno ha quadri
EEG tipici: l’attività elettrica cerebrale varia a seconda della fase del sonno e non è sempre
sovrapponibile ai vari pattern dei pazienti comatosi.” (Verlicchi A., Zanotti B., 1999, pp.35, 36).
1.3 TRAUMI CRANICI: DISTINZIONI PRINCIPALI
Venendo ora ai traumi cranici, uno degli eventi che possono condurre ad uno stato comatoso, se ne
può offrire una prima classificazione seguendo Liscio, Galbiati e Poggi secondo i quali: “I TC
vengono in primo luogo distinti in chiusi e penetranti; questi ultimi sono tipici di eventi bellici
mentre quelli chiusi sono la forma più frequente nella popolazione civile. Nei TC penetranti il
trauma determina l’interruzione sia della teca cranica sia delle meningi con esposizione del
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parenchima cerebrale e con il rischio secondario di penetrazione di frammenti ossei o di agenti
infettivi. La gravità del TC chiuso dipende primariamente dalla profondità e dalla durata
dell’alterazione della coscienza, oltre che dalla presenza di lesioni associate quali fratture craniche o
di ematomi intracranici.” (Liscio M., Galbiati S., Poggi G., 2003, p.2). Sempre secondo gli stessi
autori “Il danno prodotto dal TC dipende dalle accelerazioni/decelerazioni a cui viene sottoposto
l’encefalo all’interno della scatola cranica, con relativa inerzia del parenchima cerebrale. Le
accelerazioni/decelerazioni angolari producono a livello tissutale un danno maggiore di quelle
longitudinali, causando più frequentemente un danno parenchimale diffuso.” Suddetto danno può
interessare zone precipue (focolai lacerocontusivi), oppure zone più o meno estese (danno
assonale diffuso): “I focolai lacerocontusivi si riscontrano sia in sede d’impatto (contusione da
colpo) sia in sede speculare rispetto alla sede d’impatto (contusione da contraccolpo). Tali
contusioni sono dovute principalmente all’impatto del parenchima cerebrale su prominenza ossee
dell’osso sfenoide e frontale e sono pertanto più comunemente localizzate nelle regioni fronto-
orbitali e nei lobi temporali.” Per quanto concerne invece il “danno assonale diffuso” (DAI): “ Si
tratta della lesione diffusa a carico della sostanza bianca descritta da Strich e coll. nel 1961. È di
comune riscontro nei TC chiusi come conseguenza delle forze di trazione con strappamento dei
fasci di fibre della sostanza bianca e dei vasi. È presente in circa la metà dei pazienti in stato di
coma, senza massa intracranica osservabile.” (Liscio M., Galbiati S., Poggi G., 2003, pp.5,6).
1.4 DESCRIZIONE DEGLI STATI DI COSCIENZA
“Se lo stato di coscienza vigile o lucido è caratterizzato dalla consapevolezza di sé e
dall’attenzione all’ambiente, che sono le strutture fondamentali della vita psichica, è ovvio
che qualsiasi disturbo, qualunque ne sia la motivazione o l’aspetto, influisce su tali strutture,
determinando un arretramento ai livelli inferiori della vita psichica con manifestazioni che
vanno dal torpore allo stato crepuscolare”. (Galimberti U., 1999, p.254). A questi stati si
aggiunge il seguente: “continuum di alterazioni della coscienza:
Stato confusionale
Delirium
Sonnolenza/ottundimento
Stupor
Coma
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