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PREMESSA
L’ipotesi di ricerca che mi ha portato a ragionare in termini di
formazione oltre l’aula, attraverso l’analisi di due metodologie che si
propongono come “innovative” nell’attuale panorama formativo,
risponde ad un duplice scopo:
- invitare ad una riflessione critica intorno ai temi della complessità,
della conoscenza, della formazione e dell’apprendimento per cercare
di comprendere le esigenze formative delle organizzazioni odierne,
ma anche di quanti, ogni giorno, operano in esse, e in esse agiscono,
conoscono, riflettono e sperimentano modalità sempre diverse di
azione;
- cercare di capire attraverso quali modalità il mondo della formazione
risponde a questa espressione di bisogni e quali caratteristiche
debbano avere queste modalità per rispondere con successo ed
efficacia.
Tale percorso mi ha portato a ragionare intorno ad alcuni punti fermi.
La società post-industriale (Touraine “La società post-industriale”,
1969) a cui apparteniamo, rappresenta il paradigma dominante della
complessità e ogni soggetto o oggetto, fenomeno o problema, sembra
non possa sottrarsi a questa prospettiva.
Questa situazione ha reso necessario il bisogno di conoscenza e di
formazione a più livelli: individuale, organizzativo, sociale.
Termini inscindibili tra loro perché parti di uno stesso sistema in cui
gli elementi sono posti tra loro in relazione e trovano uno stato di
equilibrio nello scambio reciproco di informazioni, idee, emozioni,
pensieri, conoscenze.
In un siffatto sistema di relazioni nessuna parte può tirarsi indietro.
2
Gli individui devono diventare “gli attori e costruttori principali”1 del
proprio percorso formativo, per rispondere all’incertezza e ai
fenomeni di esclusione.
La società deve investire le proprie energie per garantire alle persone
un processo di istruzione e formazione che miri a continuare per tutto
l’arco della vita, incentivando con vari strumenti (di ordine sociale,
culturale, economico) il sostegno di questi obiettivi.
Le organizzazioni, dal canto loro, devono continuare a mantenere e a
produrre conoscenza attraverso strategie di apprendimento sempre più
sofisticate, che puntino a raggiungere il traguardo dell’apprendere ad
apprendere, cioè a sviluppare capacità esplorativa dei modelli del
cambiamento sia per i soggetti che per l’organizzazione stessa.
Ed ecco che allora quello che per la società nel suo complesso è
definito come bisogno di conoscenza, per l’organizzazione diventa
bisogno di formazione.
Una formazione che:
- non potrà essere più soltanto “formazione professionale
esclusivamente tecnico-specialistica, ancorata a concetti di pura
efficienza tecnologica e di produttività chiusa”2 ma dovrà aprirsi
all’acquisizione di competenze o meta-competenze spendibili in una
pluralità di contesti;
1
LIBRO BIANCO SULL’EDUCAZIONE E LA FORMAZIONE, Insegnare e
apprendere. Verso la società conoscitiva, Commissione Europea, 1996, parte
prima, par. 3.A.
2
GENCO A., Economia, Politiche del lavoro, Formazione, in “Studium
Educationis”, n. 2, 1999, p. 351.
3
- non potrà più trovare nella semplice modalità del corso
“preconfezionato e buono per tutte le occasioni” la risposta ad
esigenze di crescita e di apprendimento, ma guarderà a questi obiettivi
in termini di percorso e di processo;
- non potrà più guardare al proprio soggetto come unità distinta dal
sistema, ma come risorsa attiva, unica e originale, “collocata nella sua
emergenza quotidiana”3.
Una formazione “nuova” dunque, che si adopera affinché le
conoscenze e le competenze possedute dalle organizzazioni vengano
condivise tra i membri dell’organizzazione stessa creando e favorendo
occasioni di collegamento tra apprendimenti individuali e occasioni di
trasferimento ai gruppi e all’organizzazione.
Per questo i tempi dell’apprendere e del lavorare non possono più
restare separati, ma si debbono necessariamente sovrapporre. Se,
infatti, il tempo e lo spazio dell’apprendere devono servire soprattutto
ad imparare ad imparare, i tempi e gli spazi di lavoro devono
diventare sempre più i tempi di apprendimento di quelle conoscenze e
delle capacità nuove e diverse necessarie per mantenersi aggiornati e
contribuire così in modo attivo sia alla competitività della propria
organizzazione che alla realizzazione di ogni singolo individuo.
Per raggiungere questo ambito traguardo e realizzare questa
complessa finalità formativa, assistiamo ormai, da qualche anno, ad
una intensa attività di elaborazione di idee, modelli e metodi di
intervento formativi, nonché ad un rinnovamento e ad una maggiore
3
VARCHETTA G., Tendenze della formazione organizzativa contemporanea: dal
programma al percorso, dalla rappresentazione al riconoscimento, documento
inedito in “Le parole del Teatro”, LA FORMAZIONE, IL TEATRO, LA
SCUOLA, Pisa, 9-10 giungo, 2000, p. 6.
4
attenzione ai modelli di sviluppo organizzativo e di sviluppo delle
persone.
Ed è in tutto questo fervore che scopriamo approcci metodologici
innovativi (ma in fondo non nuovi), che si propongono di superare i
limiti di una formazione senza soggetti, a-contestuale, esclusivamente
professionalizzante e difficilmente trasferibile.
Approcci che vanno oltre i limiti e gli spazi dell’aula, non solo
concettualmente ma anche materialmente, e che si propongono in
termini di percorso, di processo di apprendimento: si sperimentano e
realizzano modalità più flessibili e articolate di sviluppo delle
competenze operative di lavoro, momenti di riflessione, occasioni di
valorizzazione dei diversi saperi, valori, emozioni, all’interno di una
logica di innovazione e crescita di tutte le risorse organizzative.
Tutto questo nella convinzione che debbano essere gli stessi eventi, i
vissuti che accadono sul lavoro che devono diventare la base per
sviluppare apprendimento, perché è nei luoghi dell’azione
organizzativa che ogni giorno donne e uomini inventano, fanno
nascere, abbandonano nuove prospettive di senso.
Come non abbandonare prospettive di contenuto a favore di quelle di
processo? Come non avvicinarsi quindi ad una formazione che vada
oltre l’aula condividendo non solo un programma ma soprattutto
sapere ed esperienza con quella dei partecipanti e dell’organizzazione
scambiando valori, partecipando con responsabilità alla definizione
del proprio percorso di apprendimento la cui tipicità si riassume “nel
concetto lewiniano dell’apprendere dal qui e ora”4.
Ed è perciò in un contesto così ricco di elementi e spunti di riflessione
che ho voluto inserire le analisi e le valutazioni intorno agli approcci
4
8 G. P. QUAGLINO, Fare Formazione, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 128.
5
metodologici che andrò a sviluppare nella seconda parte del presente
lavoro: Action Learning e Outdoor Training come esempio e
rappresentazione delle nuove modalità di fare e di intendere la
formazione.
Come vedremo non certo le sole, le uniche, probabilmente non le più
efficaci ma, io credo, funzionali alla possibilità di intravedere quei
nuovi percorsi verso cui dovrà dirigersi la formazione.
6
INTRODUZIONE
Il breve lavoro di seguito presentato ha l’obiettivo di indagare come la
formazione è cambiata e si è trasformata negli ultimi decenni
adattandosi a quelle che sono le più generali trasformazioni
organizzative e, attraverso tali cambiamenti, esplorare, seppur
limitatamente, le tecniche e le modalità formative più recenti oggi a
disposizione, soffermandosi in particolare sul metodo Outdoor, come
esempio generale di un diverso e forse più divertente modo di gestire
la formazione, in particolare quella aziendale.
Nel primo capitolo saranno sinteticamente ripercorsi, con l’aiuto dei
tre paradigmi individuati da Domenico Lipari, i cambiamenti più
significativi dell’azione formativa partendo dal periodo industriale
fino ad arrivare alle prospettive post-moderniste che caratterizzano il
nostro periodo, introducendo in particolare l’apprendimento
esperienziale, alla base come vedremo, dei metodi Action Learning e
Outdoor Training.
A queste due ultime metodologie saranno dedicati rispettivamente il
secondo e il terzo capitolo in cui si tenterà di illustrare le loro
caratteristiche principali analizzando lo sviluppo storico dei due
metodi, i principi generali su cui si basano i corsi e gli aspetti
applicativi delle metodologie.
In particolare il metodo Outdoor Training sarà analizzato soprattutto
attraverso il caso di un’azienda italiana che ha proposto un corso di
formazione outdoor ai suoi dipendenti, diversamente dall’Action
Learning che non sarà in questa sede trattata e analizzata
empiricamente.
La seconda parte del lavoro e in particolare il quarto capitolo,
riguarderà quindi l’illustrazione del breve progetto di ricerca,
7
analizzandone il campo e l’oggetto di studio, la metodologia di
indagine utilizzata e le ipotesi che lo hanno diretto.
Il quinto capitolo ha principalmente per oggetto l’analisi delle
interviste realizzate a due formatori che per diversi motivi si sono
occupati della metodologia Outdoor e che per la loro esperienza in
campo formativo possono farci capire più da vicino come nelle
concrete pratiche formative sia possibile applicare un diverso modo di
fare formazione.
Infine nel sesto capitolo tenteremo di ampliare il nostro campo di
indagine con lo studio concreto di un progetto di Outdoor Training
realizzato per la Direzione del Personale di Atac, una delle più
importanti aziende di trasporti italiane, di cui esamineremo in
particolare le testimonianze raccolte attraverso i colloqui con i
protagonisti del corso.
8
CAP 1
I CAMBIAMENTI DELLA FORMAZIONE
1.1 Premessa
Cadute le vecchie certezze tipiche del mercato orientato alla massima
espansione della produzione, caratterizzato dalla stabilità
dell’organizzazione e dalla prevedibilità della domanda, ci si deve
sempre più orientare a sviluppare flessibilità e adattabilità creativa al
mutamento.
Questa è la grande sfida a cui è chiamata a rispondere la formazione:
aiutare i singoli ad orientarsi e ad affrontare il nuovo e il diverso,
perché “l’essere umano, dall’infanzia a tutta la vita in modi diversi, ha
bisogno anche di certezze, di punti fermi, di fiducia.”5
La formazione dunque, come attività finalizzata prioritariamente a
sviluppare apprendimento, deve garantire occasioni e luoghi
favorevoli alla relazione, al confronto, allo scambio e alla riflessione
tra soggetti, ma soprattutto agire in funzione del sostegno, dello
sviluppo e del benessere dei soggetti coinvolti in processi di
formazione.
Per tutte queste ragioni, gli stessi compiti di intervento della
formazione si sono estesi e articolati in una prospettiva che abbraccia
il principio della complessità. Perciò, se fino a qualche tempo fa
potevamo sostenere che la formazione puntava a sviluppare tre tipi di
sapere – sapere, saper fare, saper essere – oggi possiamo
tranquillamente affermare che questa distinzione non può più esistere
“se non per facilitare in noi la comprensione di certi aspetti del sapere,
così come abbiamo avuto bisogno di enumerare le piante o gli animali.
5
D.O.CIAN, Formazione e educazione: verso l’integrazione dei due saperi, in “Studium Educationis”, n.1,1996, p.41.
9
E’ vero infatti che, da un punto di vista descrittivo, certi aspetti del
sapere sembrano toccare di più la conoscenza teorica, o certe
competenze pratiche, o certe riflessioni su di noi e i nostri modi di
essere, ma tutto questo diventa distinzione arbitraria se si vuole
credere che la costruzione delle conoscenze e delle competenze è un
processo che si presenta come la risultante di momenti strettamente
interconnessi in cui la teoria astratta, la pratica e le modificazioni
personali sono praticamente inscindibili”6.
Se perciò realmente intendiamo parlare di formazione, e per
formazione intendiamo il processo di crescita personale e
professionale che trasforma profondamente le persone nella loro
totalità e non “per parti”7, allora non possiamo che sostenere che la
formazione deve puntare al saper essere globale, oggi più che mai,
all’interno di contesti mutevoli e turbolenti che chiedono ai soggetti
competenze spendibili in una pluralità di contesti.
6
D. FABBRI, L’esperienza dell’apprendere, in R. DI NUBILA (a cura di), La
formazione oltre l’aula: lo stage, Cedam, Padova, 1999, p. 57.
7
6 G. P. QUAGLINO et al., Il processo di Formazione, Franco Angeli, Milano,
1981, pp. 39-41.
10
1.2 Dalla formazione industriale alla formazione post industriale
Il fatto che sia avvenuto, negli ultimi decenni del xx secolo, un
passaggio dal modello di formazione taylorista/fordista ad uno post-
industriale è una convinzione largamente diffusa fra gli studiosi,
insieme alla indispensabilità della formazione per lo sviluppo
economico. 154
Il nuovo paradigma avrebbe trasformato radicalmente tutta la
formazione, a partire da quella professionale e degli operai per
giungere alla formazione dei tecnici specializzati e dei manager,
ammesso che tali distinzioni siano ancora valide nel nuovo scenario
economico e sociale post-industriale.155
Le trasformazioni di molteplici fattori hanno subito accelerazioni
impreviste, determinando lo “spostamento del punto di intersezione
tra demografia, scienza, tecnologia, mass media e scolarizzazione”.10
In pochi anni ingenti masse di lavoratori sono passate dall’industria al
terziario, così come, nella prima metà del secolo, si erano trasferite
dalle campagne alle fabbriche.
La qualità della vita, la creatività, l’estetica, l’etica, la progettualità
vanno emergendo via via come valori primari.
Il potere, una volta legato alla proprietà dei mezzi di produzione, oggi
dipende dal possesso dei mezzi di ideazione.
154
MORO G., La formazione nelle società post-industriali. Modelli e criteri di valutazione,
Carocci,Roma,1998,p 43
155
Ibidem
10
DE MASI D., (a cura di), Verso la formazione post-industriale, Franco Angeli, 1993, pp. 18-19.
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