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INTRODUZIONE
Il presente elaborato è frutto di una attenta analisi del fenomeno evasivo e dei suoi effetti sul
sistema tributario. Il lavoro è incentrato sulla cooperazione internazionale finalizzata alla lotta
all’evasione fiscale, soffermandosi sul fenomeno delle società offshore nei paradisi fiscali.
Nel primo capitolo si affronta una analisi dettagliata degli aspetti formali e sostanziali
dell’evasione fiscale.
Con il termine “evasione fiscale” ci si riferisce a tutti quei comportamenti attraverso i quali i
cittadini violano le norme di legge al fine di non pagare o pagare meno tasse.
Tipicamente avviene attraverso operazioni di vendita effettuate senza emissione di fattura o di
ricevuta o scontrino fiscale, con conseguente mancata dichiarazione fiscale e versamento
d'imposta.
Nel capitolo secondo si è precisato che i movimenti internazionali di capitale non indicano
necessariamente lo spostamento fisico da un Paese all’altro di beni capitali; tale mobilità può
realizzarsi anche tramite transazioni finanziarie o la realizzazione di investimenti diretti in
loco da parte di una multinazionale.
In tale contesto si inserisce lo spostamento dei capitali nei cosiddetti “paradisi fiscali”, ossia
Paesi il cui ordinamento giuridico permette considerevoli limitazioni all’imposizione fiscale
sui redditi prodotti dalle persone fisiche e/o dalle persone giuridiche.
Gli Stati che adottano un sistema fiscale privilegiato hanno anche un diritto societario ed un
diritto bancario molto semplificati.
In tale ambito, un ruolo decisivo è ricoperto dalle società offshore. Con il termine offshore
sono generalmente indicate tutte quelle istituzioni finanziarie (siano esse banche, fondi di
investimento, ecc.) che negoziano titoli o valute attraverso filiali estere. Il termine è più
specificamente rivolto alle filiali istituite presso i paradisi fiscali che impongono condizioni
meno restrittive per il commercio di titoli o valute rispetto a quelle praticate in patria.
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Le società offshore hanno come vantaggio immediato l´anonimità dei soci. Operando da un
territorio offshore si riesce a limitare la responsabilità degli azionisti riducendo, in molti casi,
il carico fiscale.
È nella lotta al fenomeno evasivo che si inserisce l’analisi, nel terzo capitolo, della
cooperazione fiscale internazionale.
La necessità di tutelare le entrate erariali ha indotto ad accrescere la collaborazione tra
Amministrazioni fiscali al fine di individuare forme di cooperazione atte ad agevolare il
perseguimento della tax compliance in uno scenario globalizzato.
Nata inizialmente come semplice scambio di informazioni è poi diventata negli ultimi anni
uno strumento di attività di intelligence per rilevare la potenziale diffusione in Italia del
fenomeno evasivo.
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CAPITOLO PRIMO
ASPETTI FORMALI E SOSTANZIALI
DELL’EVASIONE FISCALE.
§. 1.1. DEFINIZIONE DELL’EVASIONE FISCALE.
L’evasione fiscale si verifica quando attraverso mezzi illeciti (ad esempio frode,
occultamento redditi, simulazione, irregolarità contabili, contrabbando), il contribuente si
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sottrae in tutto (evasione totale) o in parte (evasione parziale) al pagamento del tributo.
Si tratta, generalmente, di comportamento doloso, in quanto il danno arrecato all’erario è
intenzionalmente voluto dal soggetto, ma è anche ipotizzabile un comportamento colposo, se
l’evasione fiscale dipende da ignoranza di norme di legge oppure da errori involontariamente
commessi dal contribuente.
È la Carta Costituzionale che sancisce l’obbligo tributario, e ciò che i cittadini pagano allo
Stato viene speso per garantire i servizi di cui tutti hanno bisogno e, contemporaneamente, per
attenuare le disparità esistenti fra i diversi cittadini a livello economico e sociale.
Diverse volte è successo che leggi, anche di fondamentale importanza, siano state
cancellate per l’intervento della Corte costituzionale. Le stesse massime autorità dello Stato
sono sempre soggette al controllo della collettività grazie, per esempio, all'esistenza di una
stampa libera che trova, sempre nella Costituzione, le maggiori garanzie alla sua attività.
La nostra società ha compiuto passi avanti considerevoli al riguardo. Proprio in questi
anni si devono segnalare due aspetti, la prima riguarda una legislazione troppo prolifica e
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Silvia Cipollina , Elusione fiscale, in Digesto disc. priv., sez. comm., V, Torino, Utet, 1990, p. 220 e ss. (anche
in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 1988, I, pp. 122-137).
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qualche volta caotica, la seconda è da ricercarsi nel livello (qualitativo e quantitativo) della
spesa pubblica.
Quando si parla di evasione bisogna distinguere fra quella che si chiama l’evasione totale
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e quella, invece, solo parziale.
La prima è caratteristica di chi, pur avendo redditi, spesso anche rilevanti, non paga
assolutamente nulla allo Stato in quanto, come contribuente, è assolutamente sconosciuto
all'amministrazione.
L’evasione parziale, invece, è quella di chi paga già tributi ma riesce a nascondere
qualcosa al Fisco. In questo caso, cioè, vengono dichiarati molti redditi anche se ne vengono
nascosti altri.
Si tratta, generalmente, di un comportamento che reca all’erario gravi danni, che
abitualmente si classificano in: danni economico-finanziari, in tal caso l’evasione fiscale
sottrae al fisco un’entrata tributaria, pregiudicando così il raggiungimento degli obiettivi di
politica economica; danni sociali, l’evasione fiscale altera la distribuzione del carico tributario
fra i cittadini, in quanto l’imposta evasa ricade sui contribuenti.
La valutazione degli effetti dell’evasione è particolarmente complessa ed è strettamente
connessa alla difficoltà di stimare il livello dell’evasione fiscale, sia che questa stima avvenga
con metodi diretti che con metodi indiretti. Tra i metodi diretti più diffusi vi sono l’auditing
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fiscale di un campione di contribuenti e le interviste campionarie. Tra gli approcci indiretti si
ricordano, invece, le analisi di eventuali discrepanze fra il reddito e le spese, le analisi delle
discordanze fra dati statistici e dati fiscali, gli studi sulle giacenze monetarie.
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Silvia Cipollina, La legge civile e la legge fiscale. Il problema dell’elusione fiscale, Padova, Cedam, 1992.
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Metodo di stima dell’evasione fiscale consistente nella scelta di un campione di contribuenti su cui vengono
svolti accertamenti e verifiche contabili al fine di individuare eventuali frodi fiscali. Il campione di contribuenti
viene scelto sulla base di opportuni pesi (categorie economiche, fascia di reddito, etc.) e i risultati della verifica
vengono estesi all’insieme dei contribuenti, ottenendo una stima delle imposte evase (c.d. tax gap). L’auditing
fiscale (che ha trovato il suo più largo utilizzo negli USA con il Tax Payer Measurement Program) è uno dei
metodi più efficienti per la stima dei fenomeni di evasione fiscale edi economia sommersa. Poiché, però, la
scelta del campione avviene sulla base dei dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi, le stime ottenute non
potranno tener conto dei redditi occultati dagli evasori totali.
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§. 1.2. EVASIONE FISCALE: EXCURSUS STORICO.
Il fenomeno dell’evasione fiscale ha ricevuto, nel tempo, diverse valutazioni e non sempre
è stato oggetto di censura morale e di giudizi negativi sotto il profilo economico, infatti, pur
essendo riconosciuta come un comportamento antigiuridico, la tendenza a sottrarsi all’obbligo
tributario ha per lungo tempo trovato la sua giustificazione teorica e morale, nelle teorie
economiche propugnanti la massimizzazione del reddito nazionale e la sua distribuzione
ottimale attraverso la più completa libertà delle forze del mercato.
Seguendo questa linea interpretativa venivano evidenziati soprattutto gli aspetti negativi e
distorsivi dell’intervento pubblico nell’economia che era considerato come un fenomeno
iniquo e distruttore della ricchezza; per lungo tempo sono stati così studiati gli effetti
dell’evasione, avendo riguardo solo al rapporto tra costi e benefici del fenomeno, osservati
secondo la logica dello scambio volontaristico vigente in un libero mercato.
In questo modo però sfuggivano completamente all’analisi gli aspetti macroeconomici,
collegati alle conseguenze dell’innaturale ripartizione del carico tributario e del reddito
disponibile tra i contribuenti.
Con l’avvento delle teorie keynesiane, questo substrato teorico, connotato
dall’atteggiamento estremamente tollerante verso l’evasione fiscale, fu definitivamente
scardinato.
La presa di coscienza circa la necessaria e positiva interdipendenza tra Stato e mercato,
finalizzata allo sviluppo capitalistico dell’economia e della società, ha portato alla ribalta gli
effetti moltiplicatori della spesa pubblica sul reddito nazionale, la conseguente accelerazione
degli investimenti, l’esigenza di controllare la distribuzione personale del reddito in rapporto a
prefissati obiettivi macroeconomici.
La diretta conseguenza è stata quella di vedere sotto una diversa e meno favorevole luce il
fenomeno dell’evasione fiscale non solo in quanto iniqua a livello intersoggettivo, ma
soprattutto per gli effetti distorsivi sull’efficienza ed efficacia dell’intero sistema economico.
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Nell’attuale concezione dell’economia, l’evasore trova così una minore giustificazione
teorica, in quanto la manovra fiscale costituisce lo strumento generalmente riconosciuto come
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necessario per massimizzare e stabilizzare lo sviluppo delle nazioni ed benessere collettivo;
le scelte del legislatore fiscale sono ormai legate alla particolare natura di strumento di
politica economica rivestita dal gettito.
La destinazione di questi introiti alla spesa pubblica, dal canto suo è connotata da forti
caratteri di rigidità, non solo per le funzioni irrinunciabili dello Stato Nazione (difesa, ordine
pubblico, giustizia, infrastrutture, ecc..) ma anche per quelle proprie dello Stato sociale
(sanità, assistenza, istruzione, previdenza, ecc….); le riduzioni della pressione fiscale sono
possibili, di norma, solo in presenza di corrispondenti riduzioni della spesa pubblica o di
aumento delle entrate, quest’ultimo ottenuto preferibilmente mediante il recupero a tassazione
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di base imponibile occultata.
Secondo la visione delineatasi durante questi ultimi anni, grazie all’apporto congiunto di
idee provenienti dal mondo politico, accademico e dell’economia, il fenomeno dell’evasione
fiscale deve essere inquadrato nel più ampio concetto del cosiddetto “sommerso” che
comprende tradizionalmente attività e prodotti sia legali che illegali.
Lo stesso può riguardare sia i fattori produttivi che i prodotti, assumendo diverse
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caratteristiche tipiche del sommerso economico tradizionale:
• irregolarità contrattuali o non rispetto dei contratti collettivi nei rapporti di lavoro;
• erosione e parziale evasione fiscale, previdenziale ed assicurativa;
• fattori produttivi in parte irregolari o di provenienze irregolari, illegali;
• produzioni parzialmente sommerse o parzialmente irregolari o parzialmente illecite.
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Morone G., Esperienze e prospettive nel contenimento del fenomeno dell’evasione fiscale, in Quaderni del
Dipartimento di Scienze Economiche nr.03, Università degli Studi di Salerno, Salerno, 1988, pp.1-4.
5
Lupi R., Diritto Tributario. Parte Speciale. I sistemi dei singoli tributi, Giuffrè Editore, Milano, 2002, pp. 6 –9.
6
Bianco G., Aspetti delle nuove tendenze nel sommerso economico, in Working Papers Series del Dipartimento
di Economia nr.02, Università degli Studi di Torino, Torino, 2004, pp.1 – 28.
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L’economia sommersa si è però estesa, in modo significativo, in tutto il mondo della
produzione e della distribuzione, anche in ambiti produttivi e geografici in precedenza non
interessati da simili fenomeni, tanto da far parlare di “nuovo sommerso economico”.
Volendo delineare brevemente l’evoluzione storica della situazione italiana, si può
osservare come il sommerso abbia cominciato ad assumere caratteristiche particolarmente
rilevanti nella fase della ricostruzione conseguente alla seconda Guerra Mondiale, pur
affondando sicuramente le sue radici in epoca precedente; in particolare si era già manifestato
nella fase di avviamento o consolidamento delle nuove imprese, artigianali e/o industriali, ma
il contesto politico ed economico dell’epoca lo aveva trascurato o sottovalutato,
considerandolo un inevitabile risvolto della ricostruzione economica.
Nel corso degli anni successivi le condizioni dell’economia nazionale hanno, inoltre,
favorito lo sviluppo di numerosissime piccole imprese, soprattutto individuali, operanti in
svariati settori produttivi e rivolte essenzialmente al mercato interno o locale, in buona parte
dipendenti da imprese maggiori e limitate nella loro crescita anche dall’esistenza di barriere
logistiche, infrastrutturali ed amministrative.
Tra gli anni ’60 e ’70 la progressiva crescita del sistema produttivo, cui seguiva il
consolidamento di molte imprese di dimensioni maggiori o il loro raggruppamento, nonché la
costituizione di distretti industriali organici, non ha portato ad alcun ulteriore consolidamento
delle imprese minori, né alla riduzione della presenza nell’economia delle imprese micro-
piccole.
Al contrario, il ricorso sempre maggiore al decentramento produttivo e, nei primi anni
settanta l’aumento dei contratti di produzione, di sub fornitura o di conto terzi, comportavano
la nascita continua di imprese minori formalmente indipendenti ma controllate direttamente e
totalmente da imprese maggiori, spesso proprio allo scopo di mimetizzare varie tipologie di
sommerso; il fenomeno continuava però ad essere oggetto di sottovalutazione politica ed
amministrativa.
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A partire dagli anni settanta questa tendenza alla polverizzazione del sistema produttivo
diventa definitiva anche a causa dell’ulteriore sviluppo del decentramento industriale e della
delocalizzazione da parte delle imprese maggiori.
La conseguente costante natalità di microimprese molto volatili e fragili comincia però a
diventare oggetto di una maggiore attenzione politica e sociale, a fronte delle crescenti
discrasie territoriali, produttive e sociali.
La nascita e diffusione del sommerso appaiono quindi essere una conseguenza sia delle
difficoltà nella gestione di dinamiche economiche sempre più complesse, che della crescita
delle dimensioni aziendali, verificatesi nell’ambito di un contesto sociale ed economico in
buona parte ancora arretrato, inefficiente e obsoleto.
Un ruolo altrettanto importante ha però avuto l’insufficiente cultura o preparazione
imprenditoriale, non tanto teorica quanto organizzativa e strategica che ha determinato la
diffusione di irregolarità ad opera delle imprese; per molti anni questa carenza era stata
surrogata dal forte autoritarismo e dal ricorso ad aiuti pubblici di vario tipo, nonché ricorrendo
alla riduzione dei costi di produzione attraverso la terziarizzazione del lavoro su piccole
imprese, marginali ma meno controllate e più flessibili.
L’ISTAT, il mondo politico e le Università cominciano così ad analizzare e considerare il
sommerso (inizialmente solo quello nel lavoro) a partire dalla metà degli anni settanta, in
seguito alle sempre più evidenti incongruenze, a livello nazionale, nella comparazione dei dati
tra occupazione regolare e produzione, tra redditi dichiarati e livelli di consumo e risparmio,
tra valutazioni del PIL e reddito effettivo.
Risultava, infatti, che i livelli di produttività e l’occupazione dichiarata erano molto
inferiori ai livelli di consumo e risparmio, mentre lo sviluppo delle attività turistiche, agricole
e dei servizi risultava realizzato senza il corrispondente incremento occupazionale; iniziavano,
nello stesso periodo, anche le prime indagini della magistratura sul riciclaggio delle ingenti
risorse finanziarie accumulate dalla criminalità organizzata.
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