Capitolo 1
Capitolo 1
La comunicazione sociale
Prima di analizzare la comunicazione sociale e le caratteristiche che la contraddistinguono,
prendiamo in considerazione il suo contesto, la “comunicazione pubblica” per poi fare
successivamente un’opportuna distinzione fra la comunicazione profit e no profit.
1.1 Il contesto: la comunicazione pubblica
1.1.1 Alcune definizioni
La comunicazione è una tecnica fatta di esperienza e di professionalità, che si rivela ancor più
delicata quando concerne le pubbliche istituzioni le quali devono promuovere l’integrazione
fra pubblico e privato, nella prospettiva di instaurare una interdipendenza/collaborazione tra
lo Stato e i cittadini. Infatti, la pubblica amministrazione non comunica per persuadere i
cittadini della validità e conformità legale delle scelte operate, questa è la dimensione politica,
ma per farli partecipare alle decisioni assunte e alle opportunità offerte, che vuol dire ampliare
1
la dimensione sociale della comunicazione.
2
Alcuni autori si sono cimentati nel definire la comunicazione pubblica. Franca Faccioli ad
esempio, la definisce da un lato un disciplina in progress, dall’altro una disciplina di
3
confronto fra saperi diversi; Paolo Mancini invece, ritiene che due termini inglesi possano
definire la comunicazione pubblica: pubblic affairs, intesi come gli affari che riguardano
l’intera comunità, e pubblicness (essere pubblico), inteso come una specie di proprietà delle
1
www.comunecampagnano.it/comunicazione/ebook/e_book.pdf
2
Fraccioli F., Comunicazione pubblica e cultura del servizio, Carocci, Roma, 2000.
3
Mancini P., Manuale di comunicazione pubblica, Laterza, Roma -Bari, 1996.
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4
istituzioni e dei loro argomenti; infine Maria Piemontese parla della comunicazione pubblica
come di una comunicazione che ha per oggetto affari di interesse generale.
Si può dedurre da queste varie definizioni che ciò che caratterizza la comunicazione pubblica
è principalmente il proprio oggetto, individuabile nell’interesse generale; i soggetti invece
sono le istituzioni, sia pubbliche che private.
1.1.2 Gli ambiti
Si possono individuare fondamentalmente tre ambiti della comunicazione pubblica o modalità
d’uso: la comunicazione istituzionale, la comunicazione di solidarietà sociale e la
comunicazione politica.
1.1.2.1 La comunicazione istituzionale
Vari studiosi si sono impegnati per capire gli ambiti della comunicazione istituzionale, primo
5
fra tutti Stefano Rolando che individua cinque aree:
1. La pubblicità istituzionale
2. La pubblicità di norme e leggi
3. La pubblicità di servizi pubblici nuovi o specifici
4. La pubblicità di attività o di funzionamenti di strutture
5. La pubblicità di immagine o di promozione.
6
Alessandro Rovinetti, propone invece di considerare la comunicazione dell’istituzione come
quella funzione strategica sulla quale orientare sia la comunicazione interna sia quella esterna.
Privilegia così la veicolazione dell’identità dell’ente attraverso la qualità della comunicazione
7
delle norme e delle iniziative. Per Franca Fraccioli questo tipo di comunicazione risponde a
due esigenze diverse: informare i cittadini sui loro diritti e rispondere alle esigenze
trasparenza da una parte e promuovere processi di innovazione istituzionale dall’altra. Anche
essa suddivide la comunicazione dell’istituzione pubblica in cinque ambiti:
1. La comunicazione normativa
2. La comunicazione dell’attività istituzionali
3. La comunicazione di pubblica utilità
4. La comunicazione per la promozione di immagine
5. La comunicazione sociale.
In definitiva, la comunicazione istituzionale è finalizzata ad esternare le attività e le funzioni,
ad applicare norme, a regolare giuridicamente i rapporti fra i soggetti membri
dell’ordinamento (comunicazione normativa o giuridico -formale), ad informare gli utenti
sulle modalità di funzionamento degli uffici e sull’applicazione di norme (comunicazione di
servizio), a far conoscere l’identità e orientamento operativo delle istituzioni pubbliche
8
(comunicazione d’immagine). Questa modalità di comunicazione, la più utilizzata dà
4
Piemontese M., La comunicazione pubblica e istituzionale. Il punto di vista linguistico, in S. Gensini (a cura di),
Manuale di comunicazione, Carocci, Roma, 1999.
5
Rolando S., Lo Stato e la pubblicità di Stato, Il sole 24 Ore, Milano, 1990.
6
Rovinetti A., Comunicazione pubblica. Istruzioni per l’uso, Calderini, Bologna, 1994.
7
Faccioli F., op. cit.
8
www.comunecampagnano.it/comunicazione/ebook/e_book.pdf
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attuazione ai principi di trasparenza, pubblicità, informazione e aumenta le conoscenze degli
utenti, facendo diminuire i rischi di illegittimità e disordine dovuti alla carenza di
informazioni o anche solo la sfiducia collettiva.
1.1.2.2 La comunicazione di solidarietà sociale
La comunicazione sociale (o promozionale) è diretta a promuovere la risoluzione di problemi
di interesse generale (tutela ambientale, salute, previdenza, istruzione, occupazione, sicurezza
sociale, ordine pubblico, ecc.). La funzione di questo strumento comunicazionale è
sensibilizzare e convincere i cittadini utenti, ovvero, di “amministrare convincendo”. Il ruolo
dell’amministrazione non è tanto quello di risolvere i problemi generali, quanto quello di
mobilitare le risorse necessarie per ottenere tale risultato, imponendo un certo comportamento
9
e minacciando eventualmente sanzioni in caso di inadempienza. La comunicazione di
solidarietà sociale ha alcune componenti che la contraddistinguono:
a) Il tipo di offerta, poiché le idee oggetto dello scambio sono alla base di valori,
atteggiamenti e comportamenti che diventeranno cause sociali nel momento in cui si
diffonderanno e diventeranno temi di rilievo;
b) Il carattere dell’offerta, cioè i temi di solidarietà sociale affrontati nelle campagne
sociali devono avere un carattere non controverso, a differenza della comunicazione fatta da
associazioni no profit, che ha temi di carattere assolutamente controverso;
c) La finalità dell’offerta, che è la soluzione di problemi di interesse generale e collettivo,
ottenuta attraverso modificazioni degli atteggiamenti e comportamenti di singoli individui.
Questo tipo di comunicazione è il tema centrale del nostro lavoro e lo affronteremo
dettagliatamente nei prossimi paragrafi.
1.1.2.3 La comunicazione politica
La comunicazione politica proviene dalle istituzioni pubbliche e dai partiti o movimenti
politici, ed è incentrata su tematiche controverse di interesse generale sulle quali sussistono
1011
orientamenti e opinioni contrastanti. Per Giampietro Mazzoleni, ad esempio, la
comunicazione politica è lo scambio e il confronto dei contenuti di interesse pubblico-
politico prodotti dal sistema politico, dal sistema dei media e da cittadino-elettore. Noi la
intendiamo come una forma di comunicazione che ha ad oggetto sistemi di interesse generale,
ma anche di carattere controverso e che emana da istituzioni private particolari quali i partiti
politici, o da altre istituzioni sia private che pubbliche.
1.2 Comunicazione profit e no profit
Come vedremo successivamente nel paragrafo “Origini e sviluppo” della comunicazione
sociale, la pubblicità sociale nasce da quella commerciale e, per molto tempo come ha
12
affermato Fabris, anziché sforzarsi per adattare la propria professionalità al nuovo contesto,
9
www.comunecampagnano.it/comunicazione/ebook/e_book.pdf
10
www.comunecampagnano.it/comunicazione/ebook/e_book.pdf
11
Mazzoleni G., La comunicazione politica, Il Mulino, Bologna, 1998.
12
Fabris G., Pubblicità. Teorie e prassi, Franco Angeli, Milano, 1995.
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è progredita estrapolando le conoscenze acquisite nell'area profit. Zanacchi osserva che
negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi per la promozione di un'adeguata
strumentazione teorica e metodologica e di una professionalità specifica. Questa è
sicuramente la direzione verso cui è essenziale muoversi, anche perché la comunicazione
commerciale spesso fa riferimento a valori, sentimenti, situazioni che talvolta contrastano con
la crescita civile di cui si fa promotrice invece la pubblicità sociale. La pubblicità profit può
rappresentare il lusso o l'uso dell'alcol in termini seduttivi, può esaltare la velocità di
un'automobile o l'efficacia di un detersivo; la pubblicità sociale invece deve essere
responsabile e mostra piuttosto la fame nel terzo mondo, i rischi per la sicurezza stradale della
guida in stato di ebbrezza e dell'alta velocità, gli effetti deleteri dei prodotti chimici
14
sull'ambiente. Non esiste nella comunicazione alcuna netta demarcazione tra convinzione
che la pubblicità sociale debba persuadere facendo leva sulla logica mediante argomenti e
ragioni, mentre la pubblicità commerciale sia volta a convincere servendosi delle emozioni;
bensì un continuo interscambio tra queste. La pubblicità sociale, così come quella
commerciale deve persuadere ricorrendo ad un mix di argomentazioni ed emozioni: saranno
piuttosto i valori sottesi dalla comunicazione ad essere diversi, ed anche il tono che dovrà
astenersi dall'essere ricercato e euforizzante, come quello di tanta parte della comunicazione
1516
commerciale. A tal proposito, Righetti osserva che <<la pubblicità del consumo si muove
nell'ordine della felicità ed è perennemente costretta al sorriso, la comunicazione sociale si
muove nell'ordine dell'infelicità e tende a costringersi al pianto>>. Tutto il dolore, la cupezza,
il male che sono rimasti fuori dagli annunci commerciali per lasciare posto alla rassicurazione
affettiva, all'eccitazione percettiva, alla gratificazione estetica sembrano riversarsi con una
17
intensità a volte quasi "vendicativa" nella comunicazione sociale. Tuttavia accade che
sempre più frequentemente nella pubblicità sociale si fa leva sull'ironia, l'allusione e il senso
dell'humour, anche nell'affrontare temi difficili: si fa spesso ricorso ad un linguaggio
divertente, ad uno stile leggero talora anche all'happy ending, ad una conclusione felice,
positiva e la qualità di questi annunci, spesso pregiudizialmente considerata inferiore, non ha
18
nulla in meno rispetto a quella della pubblicità classica, au contraire.
19
Già nel 1979 Rothschild si interrogò sulle differenze tra comunicazione profit e non profit, e
secondo l'autore sono tre i fattori cruciali per la comparazione: il livello di coinvolgimento, il
rapporto costi/benefici, il targeting. Affinché la pubblicità sia efficace il livello di
coinvolgimento non deve essere né troppo basso né troppo elevato. Nel primo caso,
l'individuo non presterà nemmeno attenzione alla comunicazione non essendo interessato; nel
secondo invece, difficilmente si farà influenzare avendo già opinioni precise e abitudini
13
Zanacchi A., Aziende non profit: le condizioni di sviluppo, Egea, Milano, 2000.
14
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
15
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
16
Citato in G. Fabris, op. cit.
17
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
18
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
19
Rothschild M. L., "Marketing communications in non business situations or why it's so hard to sell
brotherhood like soap", Journal of Marketing, n. 43, 1979.
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Capitolo 1
troppo radicate. Mentre la pubblicità commerciale sfrutta le situazioni intermedie, secondo
Rothschild quella non profit ricade invece negli stadi estremi e quindi, i tipici meccanismi del
processo persuasivo pubblicitario tradizionale, vengono meno. Come osserva l’autore, vi
possono essere casi in cui la pubblicità sociale rientra nella fascia intermedia di
20
coinvolgimento e dunque il meccanismo pubblicitario può funzionare. Tuttavia in queste
situazioni subentra il problema di un rapporto costi/benefici sfavorevole. Rothschild considera
infatti che nella maggior parte dei casi gli effetti positivi offerti dalla pubblicità sociale sono
deboli, perché non individuali bensì collettivi, perché riferiti a minacce percepite come
lontane, o perché il carattere astratto di molti temi di interesse pubblico li rende difficili da
21
comunicare. Inoltre i costi sono molto più onerosi, e soprattutto non monetari, ma legati al
sistema di valori. Altro fattore è il targeting che consente di indirizzare messaggi specifici a
particolari gruppi, in base alle loro caratteristiche peculiari. Tale metodo, di fondamentale
rilevanza per l'ambito commerciale, non è però di facile applicazione in quello sociale dal
momento che spesso il gruppo obiettivo coincide con la collettività, oppure con i segmenti più
22
difficili da raggiungere e/o convincere (i cosiddetti "gruppi a rischio").
23
Manrai e altri a partire dalle considerazioni di Rothschild hanno evidenziato alcune
differenze:
a) mentre i benefici risultanti dall'acquisto di beni di consumo vanno al singolo
consumatore, i benefici dell'adozione di un "prodotto sociale" sono da condividere con
tutta la società (benefici condivisi).
b) mentre i prodotti commerciali arrecano benefici immediati, un "prodotto
sociale" -il riciclaggio dei rifiuti, la rinuncia alla droga, la tolleranza- ha generalmente
delle conseguenze solo nel medio o lungo periodo -la diminuzione dell'inquinamento,
la riduzione dei decessi per abuso di droghe, la pacifica convivenza- (benefici
ritardati).
c) mentre la pubblicità commerciale si rivolge al singolo consumatore, la
24
pubblicità sociale è generalmente diretta a tutti, e la responsabilità personale è
avvertita come minore poiché condivisa con altri (responsabilità condivise).
Rothschild è giunto alla conclusione che sradicare abitudini e convinzioni ben radicate è un
obiettivo troppo ambizioso per la sola pubblicità sociale, e per questo è essenziale che essa sia
integrata in un piano di marketing, con iniziative a tutto campo.
1.3 La comunicazione sociale
1.3.1 Cos’è e a che serve
20
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
21
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
22
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
23
Manrai L. A. et al., "Consumer processing of social ideas advertising: a conceptual model", in Advances in
Consumer Research, n. 19, citato in Gadotti G., op. cit., 1992.
24
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
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Capitolo 1
La comunicazione sociale è oggi uno strumento conosciuto, diffuso e accettato sia dagli
operatori della comunicazione sia dall’opinione pubblica. Perso il suo status di comunicazione
di “nicchia”, essa si afferma come tipologia di comunicazione rivolta a soddisfare un interesse
che guarda alla collettività; e dato ancor più condivisibile dalla maggior parte delle definizioni
proposte dai vari autori, è la sua natura di comunicazione «relativamente controversa».
Possono fare comunicazione sociale ministeri, regioni, comuni, associazioni non profit ma
anche imprese private che attuano iniziative di carattere sociale e non direttamente orientate
ad un profitto economico: l’aggettivo sociale, infatti, deve evocare la preminenza
dell’interesse per l’utilità pubblica e serve a connotare la diffusione di valori e di orientamenti
contenuti nei messaggi che si veicolano e, reciprocamente, l’assenza di un interesse
25
economico/commerciale. In relazione a quanto affermato si trova la posizione di Ghezzi, il
quale sostiene che uno dei criteri probabilmente più democratici per etichettare una
comunicazione come sociale sia la numerosità delle persone a cui una certa informazione può
26
interessare. Salmon invita però all’attenzione affermando che ogni comunicazione sociale
cerca di promuovere una propria visione del benessere sociale e certi valori a scapito di altri,
che la nozione di “pubblico interesse” sia estremamente ambigua e passibile di diverse
interpretazioni, e che dunque non si possa accettare acriticamente che ogni campagna
27
realizzata nel nome del bene collettivo sia effettivamente tale.
Ci sono comunque varie definizioni che si possono dare, ma l’unico elemento comune per
diversi autori è “l’interesse collettivo” al quale la comunicazione sociale fa riferimento.
Fabris ad esempio, afferma che essa sia una comunicazione orientata alla promozione di idee,
valori, atteggiamenti considerati socialmente rilevanti, di servizi e consumi sociali, di
28
soluzioni convenienti per risolvere bisogni sociali rimasti non eseguiti o comunque non
adeguatamente soddisfatti. Gadotti invece, si riferisce a quella comunicazione che <<fornisce
29
nell'interesse collettivo, un'informazione imparziale, su tematiche di interesse collettivo>>.
30
Significativo è anche il contributo di Mancini, che parla della comunicazione sociale come
di quella proveniente da istituzioni pubbliche, semi pubbliche o private, che si incentra su
problematiche di interesse generale relativamente controverse, cioè che fanno riferimento a
31
valori unanimemente, o quasi, condivisi.
In definitiva, la comunicazione di pubblica utilità può definirsi come un insieme di attività di
comunicazione messe in atto da un soggetto pubblico o privato, volte a promuovere finalità
non lucrative avente per oggetti tematiche di interesse sociale ampiamente condivise.
25
Ghezzi P. in Arena G., a cura di, La comunicazione di interesse generale, Il Mulino, Bologna, 1995.
26
Citato in Tamborini S., Marketing e comunicazione sociale, Lupetti & Co., Milano, 1996.
27
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
28
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
29
Gadotti G., a cura di, La comunicazione sociale. Soggetti, strumenti e linguaggi, Arcipelago Edizioni, Milano,
2001.
30
Mancini P., op .cit.
31
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
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Capitolo 1
32
Infine, Griva e Piazza ne evidenziano alcune finalità:
Orientamento delle abitudini sociali ed eliminazione dei comportamenti socialmente
dannosi.
Sensibilizzazione intorno a nuove questioni socialmente rilevanti.
Intervento in situazioni di emergenza sociale e sanitaria.
Promozione di beni e servizi di pubblica utilità.
Promozione dell’immagine del comunicatore.
1.3.2 Classificazioni
Molteplici sono ormai le definizioni e le categorizzazioni che la letteratura offre in merito al
33
fenomeno della comunicazione sociale. Classificata in base ai soggetti può essere suddivisa
in:
Comunicazione per le istituzioni pubbliche: si esprime attraverso la comunicazione
istituzionale, la comunicazione normativa, la comunicazione di pubblico servizio e la
comunicazione sociale;
Comunicazione dei partiti: perseguono obiettivi di interesse comune, infatti i
partiti svolgono funzione di rappresentanza e garanzia del sistema democratico;
Comunicazione delle organizzazioni no profit: gli obiettivi di questa
comunicazione sono soprattutto legati ad aumentare il livello di notorietà, a
raccogliere fondi, a sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche sociali, a
comunicare una propria immagine;
Comunicazione delle grandi istituzioni: cioè istituzioni di carattere
semipubblico che intervengono su argomenti di interesse generale con prevalente
34
carattere controverso;
Comunicazione delle aziende pubbliche e private: di solito le aziende sono
orientate al profitto, però molte hanno capito l’importanza di proporsi al mercato come
soggetti portatori di una responsabilità sociale; e secondo una ricerca la maggior arte
delle persone apprezzano la collaborazione tra aziende e soggetti no profit.
35
Alcuni autori, come Zanacchi, sostiene che l'espressione stessa "comunicazione sociale" non
sia adatta. Egli propone infatti, una tipologia che distingue, all'interno della macrocategoria
della pubblicità non profit (che esula dall'ambito commerciale) tra: pubblicità pubblica,
pubblicità politica, pubblicità religiosa e pubblicità sociale.
32
Griva A., Piazza S., Guida alla comunicazione pubblica: teorie strumenti ed esperienze, Centro scientifico
editore, Torino, 1996.
33
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
34
Mancini P., Manuale di comunicazione pubblica, Laterza, Roma -Bari, 1996.
35
Zanacchi A., La pubblicità. Potere di mercato. Responsabilità sociali, Editori di Comunicazione-Lupetti,
Milano, 1999.
7
Capitolo 1
Accanto a esse colloca l'advocacy che in realtà, afferma, potrebbe essere considerata una
supercategoria comprendente tutte le forme di pubblicità non commerciale aventi per oggetto
temi "controversi", trattati spesso con toni polemici e di parte: in pratica, l'intera area della
pubblicità non profit, esclusa la pubblicità sociale.
Occorre anche prestare attenzione alla non sempre netta distinzione tra comunicazione sociale
e istituzionale. Quest'ultima si propone di promuovere l'immagine di un'istituzione o di
un'organizzazione, ma spesso anche la pubblicità sociale ha questo scopo. La questione
diventa problematica, e i due generi comunicativi si confondono, quando tale finalità nella
pubblicità sociale diventa prioritaria, e il vero obiettivo della comunicazione non è l'utilità
36
collettiva, come dovrebbe essere, ma quella del soggetto promotore. Un approccio specifico
è quello adottato da Mancini che inserisce la comunicazione sociale nella macrocategoria
della comunicazione pubblica. Infatti, riferendosi alla comunicazione pubblica, elabora una
classificazione che distingue tra:
• La comunicazione dell'istituzione pubblica;
• La comunicazione politica;
• La comunicazione delle "altre istituzioni quasi pubbliche"(ad es. la Chiesa, i sindacati,
ecc …);
• La comunicazione sociale.
Quest'ultima è a sua volta suddivisa in tre sottospecie:
1.Comunicazione di pubblico servizio (promuove servizi di interesse generale);
2.Comunicazione sociale propriamente intesa (sostiene argomenti e valori relativamente
controversi),
3.Comunicazione delle responsabilità sociali (proveniente da organizzazioni finalizzate
alla produzione di profitto, che intervengono su tematiche di interesse generale).
37
Infine, altri due contributi provengono dalla Gadotti e da Bernocchi che preferiscono parlare
di "comunicazione di pubblica utilità" piuttosto che di "comunicazione pubblica". Sostengono
infatti che tale definizione sia o troppo vaga, riferendosi all'intera sfera comunicativa del
pubblico, o troppo specifica, riferendosi solo ai soggetti istituzionali. La comunicazione
sociale, che appartiene a pieno titolo alla sfera della pubblica utilità, è dai due autori suddivisa
38
in tre principali categorie:
Appelli al pubblico: si rivolgono ai destinatari con l’obiettivo di ottenere dei contributi
da parte loro: in tale ambito si consolida con maggiore visibilità l’attività degli attori non-
profit del terzo settore, la cui mission (la missione) di comunicazione riguarda soprattutto le
39
campagne di “found raising”. Il contributo richiesto ai destinatari del messaggio verrà poi,
in un secondo momento, trasformato in azioni concrete che rispondano alla reason why (la
motivazione) del messaggio stesso. L’azione del comunicatore è volta al reperimento di
risorse economiche o di generici contributi che, come tali, ritornano al comunicatore stesso.
36
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
37
Gadotti G., op. cit
38
“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
39
L’attività di found raising consiste nel reperimento di risorse finanziarie
(www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf).
8
Capitolo 1
Comunicazione di sensibilizzazione: la comunicazione di sensibilizzazione mira a
sensibilizzare il destinatario su tematiche di solidarietà e difesa delle categorie più
svantaggiate e dei più deboli. La missione del messaggio, in questo caso, è rivolta
direttamente al target di riferimento e alla diffusione presso questo di un nuovo atteggiamento
o comportamento di segno positivo, rispetto alle tematiche sopra delineate. L’azione non
ritorna primariamente su chi comunica ma è volta direttamente a terzi.
Comunicazione di educazione: la comunicazione di educazione, anche in questo caso,
come evoca la definizione, punta ad educare il target di riferimento con l’obiettivo di
dissuadere da comportamenti dannosi mesi in atto dall’individuo o per suggerire
comportamenti positivi: in tutte queste campagne il destinatario della comunicazione coincide
con il beneficiario della stessa. L’azione stimolata dalla comunicazione è rivolta verso gli se
stessi, ovvero il beneficiario e il destinatario coincidono.
Prima di proseguire con il nostro lavoro, è necessario vedere come la comunicazione sociale è
venuta alla luce e si è sviluppata nel corso del tempo.
1.3.3 Origini e sviluppo
Spesso i grandi cambiamenti sociali sono stati attuati tramite la forza, con guerre e rivoluzioni,
ma oggi, se non altro nei paesi occidentali, la situazione sembra si stia modificando in favore
di un cambiamento volontario e non violento. Uno strumento insostituibile a tal fine è
rappresentato dalle campagne sociali (delle quali parleremo dettagliatamente nel prossimo
paragrafo), che in realtà non sono un fenomeno nuovo, ma risalgono all'antichità. Nell'antica
Grecia e a Roma, infatti, ve ne furono per la liberazione degli schiavi. In Inghilterra, durante
la Rivoluzione industriale, vennero realizzate, ad esempio, in favore del diritto di voto alle
donne, o per vietare il lavoro infantile. In America, nel XIX secolo, il movimento
abolizionista, quello proibizionista, e quello delle suffragette furono importanti promotori di
40
campagne. All'inizio del secolo scorso vi furono le prime volte, per esempio, a scoraggiare il
consumo di bevande alcoliche, oppure a segnalare i pericoli di contagio della tubercolosi e le
precauzioni da adottare. Utilizzavano come principale mezzo di comunicazione la
cartellonistica: grandi manifesti illustrati appesi per strada o nei principali luoghi di ritrovo
41
pubblico. Dagli anni Sessanta compaiono sulle riviste americane le prime grandi campagne
pubblicitarie contro il fumo o l'inquinamento.
In Italia si è cominciato agli inizi degli anni Settanta, in un periodo di crisi economica e di
forti contestazioni verso la società dei consumi e verso la pubblicità in particolare, ad
approfondire il discorso sul ricorso alla pubblicità in chiave di utilità pubblica; ma fino alla
seconda metà degli anni '80 la pubblicità a fini sociali ha rappresentato nel nostro Paese una
pratica molto limitata. L'unica esperienza strutturata e continuativa è stata quella iniziata nel
1971 da Pubblicità Progresso che non solo ha avviato la pratica della pubblicità sociale in
Italia, riuscendo a conferirle e guadagnarsi credibilità nonostante le forti resistenze esterne,
40
Kotler P., Roberto E.L., Marketing sociale. Strategie per modificare i comportamenti collettivi, Edizioni di
Comunità, Milano, 1991.
41
Bucchi M. in Gadotti G., Nuovi sviluppi della comunicazione sociale in Italia, Cooperativa libraria I.U.L.M.,
Milano, 2000.
9
Capitolo 1
ma ha anche svolto una funzione di supplenza e di stimolo nei confronti dei soggetti
istituzionali e non. Un fattore che certamente ha contribuito all'affermarsi della pubblicità di
42
pubblica utilità nel nostro paese è stato la diffusione, intorno alla metà degli anni ’70, di
43
nuove sensibilità che ha iniziato a caratterizzarsi per bisogni sempre più articolati, e per un
orientamento verso valori cosiddetti “post-materialistici”( colloca la realizzazione individuale
come luogo stesso delle speranze e delle azioni individuali e collettive) e di “qualità della
44
vita” (due sono le declinazioni: la prima,“edonista”, è sostanzialmente connessa con la
valorizzazione di sé, e la seconda,”collettivista”, è invece più legata ad una visione collettiva
45
del benessere). Questi valori si intrecciano creando una sinergia fra ciò che è utile per sé, e
ciò che è utile per la collettività, che spesso caratterizza la buona riuscita della pubblicità
sociale.
Negli anni ’80 l’entità della comunicazione persuasoria a fini sociali aumenta, pur
continuando a rimanere un fenomeno piuttosto contenuto. Iniziano ad affacciarsi nell’arena
della comunicazione sociale nuovi soggetti, sia provenienti dal cosiddetto “terzo settore” che
dal mondo imprenditoriale, e anche lo Stato comincia a muovere i primi passi. Sul finire degli
anni ’80 prende avvio un iter legislativo che, pur con lacune e inefficienze, è sentore della
46
volontà di intervento del soggetto pubblico nell’ambito comunicativo. Vengono lanciate le
grandi campagne pubblicitarie contro la droga e l'AIDS, e sono affrontati anche i temi
47
dell’Europa unita, della sicurezza dei giovani il sabato sera, della regolarizzazione degli
immigrati. Le iniziative di comunicazione sociale costituiscono proprio uno sforzo per tentare
di porre rimedio a tale situazione e dare avvio a un nuovo corso. Tra l’altro bisogna segnalare,
come prima negli Stati Uniti, e poi in altri Paesi, anche le imprese hanno iniziato a
comprendere l'importanza di un loro intervento a favore di iniziative sociali. Grazie alle
48
sollecitazioni provenienti dai mass media, dai gruppi di pressione, dai cittadini sempre più
attenti e consapevoli delle implicazioni ecologiche e sociali delle proprie scelte di consumo
49
molte imprese hanno dato avvio a partnership di vario genere con cause sociali o
organizzazioni non profit: di questo ne parleremo nei paragrafi del prossimo capitolo.
In conclusione, sebbene l’attività di pubblicità progresso è testimonianza di un impegno
costante e duraturo nel tempo, le presa di coscienza da parte dello Stato dell’importanza
strategica che la comunicazione possiede rimane un fenomeno molto recente perché possa
considerarsi sufficientemente esteso e consolidato.
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“LA COMUNICAZIONE SOCIALE TRA APPROCCIO
COMUNICA TIVO E DI MARKETING” Tesi di Silvia Caprioglio, Università degli studi di Torino, 2002/2003 www.regione.piemonte.it/network/dwd/biblio/caprioglio.pdf
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Bosco N., “Lupi, asini e comunicazione pubblica: per una problematizzazione degli aspetti comunicativi nel
campo delle politiche sociali”, Quaderni di Sociologia.
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Gadotti G., Pubblicità sociale, Franco Angeli Editore, Milano,1993. L’espressione “valori post-materialistici”
è stata coniata da Inglehart R..
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