CAPITOLO 1
LA MASCHERA OLTRE IL TEATRO.
Parag. 1.1 - Perchè analizzare il travestitismo in
Ruccello.
Annibale Ruccello, ormai salito alla ribalta del grande teatro e del
grande pubblico, nonostante la sua precoce morte, è uno degli
autori-attori della Nuova Drammaturgia Napoletana che ancora
oggi desta interesse, non solo nell’ambito di ricerca e
spettacolarizzazione legata al mondo teatrale, partenopeo e non, ma
anche in quella cerchia di studi che toccano un universo ampio ed
eterogeneo, caratterizzato da scienze che vanno oltre il teatro, il
cinema e la letteratura: l’antropologia, la psicologia, la sociologia.
Il percorso di analisi affrontato nel seguente lavoro non nasce solo
da semplice curiosità ma emerge da una precedente e approfondita
analisi dell’intero lavoro ruccelliano che porta spontaneamente il
lettore, esperto o no, a ritrovarsi di fronte ad un tema ricorrente
all’interno di questi scritti teatrali: il travestitismo.
L’analisi di questo concetto, affrontata da altri studiosi in maniera
peculiare e specifica anche in altri tipi di teatro e in altre epoche,
qui si sofferma unicamente sui personaggi ruccelliani, spingendoci
in qualche modo, anche se brevemente, oltre la pura critica del
testo teatrale per avvicinarci ai molteplici studi e al metodo di
1
osservazione critica della società che Ruccello ha riversato
copiosamente anche nelle sue opere. Ovviamente questo lavoro di
analisi non vuole assolutamente essere un trattato di antropologia
o psicanalisi ma paradossalmente, partendo dal prodotto finito,
proviamo a ripercorrere a ritroso le ricerche che Ruccello aveva
affrontato negli anni ’80 del secolo scorso, creando poi dei
personaggi fortemente problematici. Leggendo i suoi testi teatrali,
osservando il meccanismo sociale e culturale che avviene nel
passaggio dall’avanguardia decaduta alla post avanguardia,
analizzando le figure deportate, l’omologazione linguistica e
culturale di cui tanto si è parlato negli studi sull’intera produzione
della Nuova Drammaturgia Napoletana, ci si accorge che quello di
Ruccello non è un teatro fatto di pura invenzione artistica.
Attraverso la scena, luogo di cultura universale e universalmente
culturale, emerge una ricerca che ha delle finalità ben più ampie di
quelle unicamente teatrali, legate, inconsciamente o no, ad un tipo
di cultura e di studi che hanno accompagnato Annibale sin
dall’adolescenza. Comprendiamo così, come attraverso personaggi
fittizi e inventati, ma recuperati da immagini e fatti reali, spesso di
cronaca, il teatro ruccelliano possa riunire in sé non solo il teatro
moderno napoletano, ma anche elementi del teatro italiano ed
europeo dai primi del Novecento ad oggi.
Il travestitismo, che appare come punto fermo in questi lavori, non
si sofferma solo sulla figura e la definizione di “femminello”
napoletano, relegando il personaggio ad un unico ambito geografico
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e culturale definito, ma diventa simbolo di una società globale in
evoluzione, o meglio in de-evoluzione, che porta il teatro ad
adeguarsi a questi sconvolgimenti, evolvendosi in un cammino
particolare che va dalla già innovativa maschera pirandelliana allo
sfacelo del travestitismo psicologico delle donne ruccelliane, a
quello sociale e sessuale dei pochi personaggi maschili e degli
omosessuali.
Lo stesso Ruccello, in uno dei suoi studi antropologici sulla cultura
campana cita questa interessante definizione sul travestitismo: <<il
costume può essere soltanto la maschera o ancora più
semplicemente un volto annerito dal fumo, una fascia intorno alle
tempie. In ogni caso esso distingue, separa, evidenzia. Sempre offre
l’opportunità per ogni licenza, per ogni eccesso, per il
comportamento ritualizzato, per la trasgressione alla norma. In tal
senso esso protegge chi lo indossa, annullandone la singola
personalità e inserendo l’attore in un codice comunicativo il cui
alfabeto di segni lo accomuna a chiunque altro ha indossato,
indossa o indosserà l’elemento teatrale in un rituale di
esorcizzazione e di evocazione i cui labili confini sono appunto
tracciati dalla maschera che cela e rivela ad un tempo. Il costume
rende praticamente invisibile la persona accomunandola
all’indistinto limbo di larve spettrali che si affaccia sulla scena
virtuale. Ma se in tal senso questo elemento è riconducibile alla sua
diretta matrice carnevalesca (come rapporto con il mondo dei morti)
un’altra caratteristica lo collega ad altri aspetti del Carnevale, più
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legati a tematiche come il mondo alla rovescia, il capovolgimento
dei ruoli sociali, sessuali, ecc. Il segno infatti del travestirsi è alla
base stessa del teatro popolare campano. Il travestimento più
frequente è quello dell’uomo vestito da donna(…) >>1.
In questa sorta di introduzione al lavoro, prima di addentrarci
realmente nell’analisi, abbiamo già sottolineato, attraverso le parole
dello stesso Annibale, alcuni punti fondamentali del concetto di
travestitismo: la maschera come protezione, il rovesciamento dei
ruoli sociali e sessuali, il contatto con il mondo dei morti e il
travestimento da uomo a donna. Elementi salienti che Ruccello ha
analizzato nel teatro popolare, nella cultura atavica, nel passato
culturale campano ma che ha riutilizzato con grande
consapevolezza culturale nei suoi scritti. L’autore passa
inevitabilmente dal microcosmo campano al macrocosmo sociale
moderno, attraverso il teatro che, sempre più spesso, diventa cartina
tornasole dell’evoluzione culturale e sociale dell’uomo.
In un ambito come quello della Nuova Drammaturgia Napoletana in
cui gli autori sono anche attori e spesso registi, la funzione di
analisi sociale e antropologica del testo teatrale e della sua messa in
scena è ancora più interessante: Ruccello, non a caso, in scena
interpretava solo i travestiti e i personaggi femminili, travestendosi
ovviamente e caricandoli grottescamente.
Se il “femminello”, sia esso travestito che omosessuale, assume nei
testi ruccelliani la funzione di martire eroico, le donne indossano
A. Ruccello, Il teatro popolare in Campania, in R.Picchi, Annibale Ruccello. Scritti inediti,
Roma, Gremese editore, 2004, p.135.
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invece maschere di tipo psicologico, ma ogni travestimento si
dimostra essere una protezione apparente, poiché fingere serve a
sopravvivere ma non a vivere. Ogni frase, ogni comportamento,
ogni pensiero diventa travestimento della realtà, come se essa fosse
paradossalmente irreale.
Ci si chiede, quindi, se la realtà sia un oggetto fittizio creato
dall’uomo per darsi delle regole da rispettare e poi puntualmente
evadere, spogliandosi della maschera all’interno degli ambienti
privati, claustrofobici e serrati.
Vengono in mente alcune messe in scena teatrali degli ultimi tempi,
tratte da testi novecenteschi. Il primo esempio è lo spettacolo Come
spiegare il comunismo ai malati di mente2 di Matei Visniec, in cui
dei matti, così definiti dalla società esterna, creano un mondo a se
stante nei sotterranei del manicomio, dimostrandosi poi i veri sani
di mente rispetto alle follie dittatoriali del mondo esterno. O
l’ultima messa in scena di Marcido Marcidoris e Famosa Mimosa,
tratta da L’innominabile di Beckett: Ma bisogna che il discorso si
faccia 3 . In questo lavoro la coscienza dell’uomo si sdoppia in
molteplici esserini grotteschi e deformi incatenati all’interno del
“contenitore-uomo”, che sperano di curiosare un giorno fuori
dall’involucro corporeo per poi rimanere puntualmente delusi
dall’assordante silenzio dell’omologata società esterna. Insomma,
2Cfr. E.Ferrauto, Un Te.St per Catania, fra comunismo e manicomio, www.klpteatro.it, 12
Dicembre 2008.
3
Cfr. E.Ferrauto, Ma bisogna che il discorso si faccia!, www. Dramma.it, novembre 2009.
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l’angoscia dell’uomo che si esprime a teatro da sempre, ma
soprattutto dagli esordi del Teatro dell’Assurdo4 fino ai nostri giorni,
comporta angustianti ambienti, reali o simbolici, in cui far
esplodere il nostro Io, distruggendo in follie e violenze l’apparenza
mascherata della società che ci rende pericolosamente omologati:
tutto questo lo ritroviamo nel complesso teatro ruccelliano.
Ecco perché possiamo definire la produzione di Annibale un “teatro
en travesti” in cui l’originario significato di maschera si trasforma e
si evolve in molteplici sfaccettature. Non a caso il concetto
pirandelliano del caos che vive all’interno dell’uomo e in cui
l’uomo stesso si perde, dopo aver trascorso un’intera vita a
combattere contro la società 5 , è visibile anche nei personaggi
ruccelliani . La coscienza dell’uomo appare nel teatro moderno
come una sorta di vaso di Pandora, pronto ad esplodere da un
momento all’altro quando l’elemento maschera-tappo, viene
eliminato.
Il rovesciamento dei ruoli di cui parla Ruccello ci riporta alla
visione del mondo come una grande “mascherata”: se i suoi
personaggi riescono a sopravvivere solo omologandosi e
mascherandosi, che senso ha il concetto di “veridicità della realtà”?
4
E.G.Pertegato, Dietro la maschera. Sulla formazione del sé e del falso sé, Milano, Ed.Franco
Angeli, 1987:<<[…] sino al teatro contemporaneo, dove (la maschera) è senso di palese
artificialità, acquista un significato prevalentemente negativo, parallelamente alla crisi di
identità di un mondo basato sulla razionalità ma in realtà in autentico e superficiale cui si
accompagna la scoperta, da parte della cultura europea, di un mondo interiore profondo e
irriducibile>>.
5
Cfr. G.Scognamiglio, Per il capolavoro ripassi domani. Studi sull’ultima narrativa
pirandelliana, Napoli, Ed.Scientifiche Italiane, 2004, pp.23-26.
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