PREMESSA
"Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in homines".
Le radici della legislazione, o meglio dei canoni giuridici a tutela degli
animali trovano il loro fondamento in questo principio sulla base del quale
già nell'antichità veniva censurato e condannato l'incrudelimento ed il
maltrattamento degli animali stessi.
Socrate chiese, nell'agorà, una pesante pena per un giovane che si era
divertito ad accecare una rondine affermando che costui non sarebbe mai
stato un buon cittadino ateniese, perché chi dimostra istinti crudeli verso
creature più deboli manca potenzialmente delle capacità di convivenza e di
rispetto civile anche con i propri simili1.
Sulla questione in generale del rapporto tra gli umani e gli animali il
pensiero umano si è lungamente soffermato e ciò non è sorprendente se solo
si pensa al ruolo che, dagli albori della civilizzazione umana, gli animali
hanno ricoperto nella e per la vita degli umani, come fonte di nutrimento
(caccia, pesca, allevamento), di lavoro, di protezione dal freddo e di
vestiario, di difesa, di compagnia e di divertimento.
La concezione antropocentrica del mondo, concezione che caratterizza il
pensiero umano e specialmente quello occidentale, si basa sull'assunto della
1 M. Santoloci e C. Campanaro, Tutela giuridica degli animali, Terni, ed. Diritto
all'ambiente, 2008, p.12.
1
priorità degli uomini rispetto a qualsiasi altro essere vivente.
Le radici di questa teoria sono tanto risalenti da poter essere difficilmente
rintracciate con sicurezza e trovano giustificazione sia in dati meramente
fisici, che in caratteristiche legate alla razionalità dell'uomo.
Già Anassagora e Platone avevano sottolineato come la posizione dell'uomo
ben ritto e piantato sui piedi, ed ancora, il possesso delle mani, fossero
elementi determinanti nel dimostrare la superiorità dell'uomo sugli animali.
Ma è Aristotele a dare un forte contributo allo sviluppo della teoria
antropocentrica, unendo al dato meramente fisico il dato psicologico-
razionale, sostenendo che l'uomo è l'essere superiore in quanto unico
"animale razionale" a cui spetta inevitabilmente il dominio sulle altre
creature2.
In questo quadro di pensiero sono decisamente modeste le "voci fuori dal
coro".
Tra i pochi che non hanno condiviso l'atteggiamento generale è interessante
soffermarsi sull'insegnamento lasciatoci da Lucrezio il quale, nel De rerum
natura, dà alla figura animale un posto di eccezionale rilievo ed esclude che
la Terra sia stata fatta (solo) per l'uomo.
C'è poi da sottolineare l'influenza della tradizione giudaico-cristiana3 che,
2 Cfr. Aristotele, Animali e schiavitù, in La politica, I libro,Cap.5, p.17, Bari,
Laterza, 1966.
3 A differenza delle filosofie o religioni orientali (Buddhismo e Induismo) che
considerano uomo,animale e natura come parti di un tutto armonico in cui ogni unità è
fondamentale per lo sviluppo delle altre, da F. Rescigno, I diritti degli animali.Da res a
2
secondo la Bibbia, è nel senso dell'affermazione del dominio totale
dell'uomo sulla natura e sulle bestie: "Facciamo l'uomo a nostra
immagine,secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo,sugli animali domestici,su tutte le fiere della Terra e sopra
tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie"; "siate fecondi (...)
incutete paura e terrore a tutti gli animali della Terra e a tutti gli uccelli del
cielo. Essi sono dati in vostro potere. Tutto ciò che muove e che ha vita vi
sarà di cibo (...) solo non mangiate carne che abbia ancora vita sua, cioè il
suo sangue"4.
La superiorità umana è soprattutto sancita dal fatto che Dio ha creato
"l'uomo a sua propria immagine" conferendogli in questo modo una
posizione unica nell'intero universo.
Si cerca però di sottolineare come esista anche un'altra interpretazione dei
testi sacri, più favorevole alla considerazione del benessere animale, che
punta sull'idea che Dio ha dato sì la Terra all'uomo, ma perché ne abbia
cura, come il giardiniere deve fare con il suo giardino5.
Occorre sottolineare che esistono elaborazioni dell'antropocentrismo ancora
più estreme: ci si riferisce al cd. razionalismo giuridico e filosofico, per il
quale gli animali sono configurati come pure macchine incapaci di sentire
soggetti, Torino, Giappichelli, 2005, p.26.
4 Ciò che ha dato origine alla macellazione rituale che consiste nell'uccidere gli
animali dissanguandoli, e quindi in una maniera molto più crudele dell'abituale
abbattimento.
5 S.Castignone, Povere bestie, i diritti degli animali, Venezia, Marsilio,1998, p.29.
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alcunché.
Il massimo teorizzatore di queste concezioni è Descartes (Cartesio),
considerato il padre del razionalismo moderno. Secondo Descartes gli
animali sono "automata" cioè macchine prive di pensiero, di una mente e di
un'anima. La prova dell'equazione animale-macchina sta nel fatto che gli
animali non sono in grado di parlare o comunque di usare un linguaggio, per
cui essi sono meri "bruti privi di pensiero", sprovvisti di una mente e di una
coscienza6.
L'intransigente tesi di Descartes, successivamente sconfessata dalle più
moderne ricerche nel campo biologico ed etologico, fu rifiutata dai
principali esponenti dell'illuminismo; tra questi, ad esempio, Voltaire
osservava che: "l'animale ha ricevuto le facoltà del sentimento, della
memoria, e di un certo numero di idee. Chi gliele ha date? Colui che ha
fatto crescer l'erba dei campi e gravitare la Terra intorno al sole...Deus est
anima brutorum".
Critica nei confronti della ricostruzione cartesiana è anche la riflessione di
Kant, che arriva a configurare l'esistenza di doveri umani per quanto attiene
agli animali, doveri però che non sono rivolti agli animali in quanto tali, ma
che costituiscono doveri indiretti verso la stessa umanità7.
6 Vedi R. Descartes, i primi due libri del Discorso sul metodo del 1637.
7 In questo senso Kant spiega che un atto di crudeltà nei confronti di un animale
non costituisce una lesione del dovere verso l'animale ma "lederebbe nella loro intrinseca
natura quella socievolezza e umanità, che occorre rispettare nella pratica dei doveri verso
il genere umano". Cfr. I. Kant, Lezioni di etica, Bari,1971, 273ss.
4
L'atteggiamento antropocentrico è stato decisamente ridimensionato in
seguito ai grandi progressi scientifici raggiunti nel campo dell'etologia e
delle altre scienze animali8.
Le prime aperture verso il riconoscimento di diritti agli animali introducono,
pur non scardinando la concezione antropocentrica, concetti più moderni di
antropocentrismo, in cui si cerca di conciliare la posizione di superiorità
dell'uomo con un parziale riconoscimento della natura senziente degli
animali. Le teorie del cd. moderno antropocentrismo possono distinguersi
tra: "la morale della simpatia", "la morale dell'utilità" e "la morale del
valore"9.
La morale della simpatia, che risale a David Hume, arriva ad affermare che
anche gli animali nel compiere le azioni quotidiane appaiono guidati da un
certo grado di razionalità che, pur differendo da quella degli umani, è da
riconoscersi come ragione e non mero istinto.
Il fondamento delle valutazioni morali riposa sulla "simpatia", vale a dire
sulla capacità di partecipare alle gioie (bene) e alle sofferenze (male) di altri
esseri, umani o non umani che siano. Le azioni che procurano gioia, di
conseguenza, sono degne di approvazione e quelle che procurano sofferenza
8 Il padre di questi progressi scientifici può essere considerato Darwin che
affermava: "L'uomo nella sua arroganza pensa a se stesso come ad una grande opera,
degna dell'intervento di una divinità. E' più umile e credo più veritiero considerarlo
discendente dagli animali" e "per quanto sia grande la differenza che passa fra la mente
dell'uomo e quella degli animali più elevati, è differenza solo di grado e non di qualità..."
Cfr. C. Darwin, I poteri mentali dell'uomo e quelli degli animali inferiori, in L'origine
dell'uomo e la scelta in rapporto al sesso, Milano,A. Barion ed., 1926, 26ss.
9 V. Pocar, Gli animali non umani, Bari, Laterza, 2005, p.14.
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meritevoli di disapprovazione.
Le azioni umane rivolte verso gli animali sarebbero indifferenti dal punto di
vista morale solo se gli animali non fossero in grado di provare gioia e
dolore, cosa questa decisamente negata dall'esperienza empirica. La morale
della simpatia ha costituito uno dei fondamenti dell'animalismo
compassionevole, tanto diffuso soprattutto nel mondo anglosassone.10
Altra concezione è quella conosciuta come "teoria dell'utilità", strettamente
collegata alla teoria utilitaristica classica di Jeremy Bentham11.
L'utilitarista sostiene due principi morali: il principio di uguaglianza e il
principio dell'utilità, per cui bisogna agire per cercare di realizzare il
migliore equilibrio fra soddisfazione e frustrazione per ogni individuo
coinvolto. Partendo dalla sofferenza l'utilitarismo si estende anche agli
animali.
Il punto centrale non è rappresentato dalla loro possibilità di parlare o
ragionare, ma dalla loro idoneità a provare sofferenza, per cui diviene
necessario evitare di tormentare inutilmente qualsiasi animale; infatti, per il
Bentham, l'essere umano deve domandarsi se "esiste qualche motivo per cui
si dovrebbe permettere che li tormentassimo?Nessuno...Ve ne è qualcuno
per cui non si dovrebbe permettere che li tormentassimo? Si parecchi (...) Il
problema non è: "possono ragionare?", né "possono parlare?", ma
10 V. Pocar, op.cit., p.21.
11 Cfr. J. Bentham,Una prospettiva utilitaristica,in T.Regan-P.Singer (a cura di),
Diritti animali,obblighi umani, Torino, 1987, 133.
6
"possono soffrire?" "12.
Secondo questa impostazione la capacità di provare dolore e piacere è un
prerequisito per avere interessi in assoluto, una condizione che deve essere
soddisfatta prima che si possa parlare di interessi in un modo che abbia
significato13.
Questa proposizione benthamiana costituisce il punto di partenza anche
della teoria neoutilitarista di Peter Singer, la quale rappresenta
probabilmente la posizione filosofica emancipazionista14 più diffusa e
condivisa nell'animalismo contemporaneo.
Il Singer si pone in una posizione fortemente critica nei confronti dello
specismo15 e fa ricorso all'argomento dei "casi marginali" per confutare la
tesi che soltanto gli esseri dotati di ragione e capaci di usare il linguaggio
sono soggetti morali; non tutti gli esseri umani infatti hanno il pieno
possesso del raziocinio eppure, per il Singer, sarebbe aberrante negare che si
possano applicare anche ad essi le categorie morali16: l'eguaglianza, prima
ancora di divenire un concetto giuridico, è soprattutto un'idea morale.
La forzatura della teoria dei casi marginali ha suscitato reazioni e
12 J. Bentham, op.cit., p. 133ss.
13 P. Singer, Liberazione animale, Milano, Net, 2003, 23.
14 Cfr. V. Pocar, op.cit., 73ss., in cui l'autore distingue, a proposito delle "filosofie"
cui si ispirano le regole giuridiche riguardanti gli animali, le scelte che si rifanno ai valori
del "consumerismo", dell'ecologismo e dell'emancipazionismo.
15 Termine coniato da R.D. Ryder che nel 1970 pubblicò un pamphlet dal titolo
Speciesism.
16 Cfr. F. Rescigno, op.cit., p. 50.
7
polemiche17; infatti i sostenitori della primazia umana hanno affermato che
in ogni caso i neonati,i ritardati e i comatosi,anche se non presentano le
caratteristiche abituali della specie a cui appartengono, fanno comunque
parte di tale specie che è normalmente caratterizzata da qualità quali
l'intelligenza, la razionalità,la capacità di autodeterminarsi, il linguaggio e la
coscienza morale e in virtù di ciò meritano di essere trattati diversamente
dagli animali e considerati eguali a coloro che sono dotati di dette qualità.
Le concezioni neoutilitaristiche non mirano ad effettuare un 'equiparazione
totale uomo-animale ma affermano che è sufficiente che un essere possa
provare piacere e dolore perché si abbiano dei doveri nei suoi confronti e in
particolare il dovere di non causargli dolore non necessario.
La tesi più radicale è quella di un altro animalista, Tom Regan, con la sua
teoria del valore, in cui si afferma l'esistenza di veri e propri obblighi del
genere umano ai quali far corrispondere specifici diritti soggettivi degli
animali, diritti non collegabili a presunte necessità umane ma caratterizzati
da un autonomo fondamento18.
Pertanto,secondo questa teoria, deve essere estesa anche agli animali la nota
proposizione kantiana riservata agli umani considerati come fine e non
17 Non mancano i filosofi che ignorano la teoria dei casi marginali e considerano
insignificante il problema degli umani che non posseggono le tipiche qualità "raziocinanti"
della specie umana, in questo senso cfr. B.Williams, The idea of Equality, in P.Laslett-
W.Runciman(a cura di), Philosophy,Politics and Society, Oxford,1962,118.
18 F. Rescigno, op. cit., p. 56.
8
come mezzo19.
L'idea centrale di questa impostazione è che qualsiasi individuo, "animale
umano" o "animale non umano", ha diritto a eguale rispetto in quanto è
egualmente dotato di valore inerente.
La teoria del valore si discosta profondamente dalle altre concezioni che pur
avendo sviluppato un atteggiamento favorevole nei confronti degli animali,
non gli avevano attribuito specifici diritti, limitandosi,al massimo, a
riconoscergli alcuni doveri indiretti.
In particolare è doveroso notare come le concezioni utilitaristiche
considerino con avversione il riconoscimento dell'esistenza dei diritti nella
filosofia morale e la loro conseguente applicazione agli animali20.
Va infine accennato alla cd. teoria del benessere secondo la quale gli
animali, pur non essendo soggetti di diritti, devono considerarsi quali
destinatari di doveri da parte degli esseri umani.
I sostenitori di tali teorie non escludono che gli animali possano essere
utilizzati per finalità umane, ma ritengono necessaria l'imposizione di regole
e limiti alle modalità di trattamento degli stessi, al fine di garantirne la
19 Kant ritiene che l'uomo, ma non l'animale, esiste come "fine in sè"; gli uomini e
gli animali sono essere diversi ed hanno diverso valore perchè solo gli uomini sono esseri
autonomi dotati di una libera volontà e hanno la capacità di agire secondo la
rappresentazione delle leggi. Cfr. I. Kant, Doveri verso gli animali, in Lezioni di etica, Bari,
1971, 273.
20 Bentham afferma:"i diritti naturali non esistono, così come non esistono diritti
umani anteriori o superiori a quelli creati dalle leggi. L'affermazione di simili diritti è
assurda sul piano logico e pericolosa su quello morale.." Cfr. J. Bentham, Pennomial
Fragments, in W.Tait (a cura di),The Works of Jeremy Bentham, Edinburgh, ed. J. Bowring,
1843-59, 221.
9
migliore qualità di vita possibile in relazione al bilanciamento con gli
interessi umani da soddisfare.
L'analisi compiuta dimostra che, malgrado i progressi scientifici, e
l'evoluzione sollecitata da alcune elaborazioni filosofiche, la concezione
antropocentrica è tuttora presente e condiziona fortemente la riflessione
etica e giuridica in materia di rapporti uomo-animale.
Nell'affrontare la questione della tutela giuridica degli animali, in
particolare, si sono posti fondamentalmente due interrogativi21 : 1) se la
tutela giuridica degli animali debba essere diretta o indiretta, cioè debba
avere ad oggetto l'animale come soggettività o semplicemente come res; 2)
se la tutela debba essere penale o extrapenale.
Per quanto riguarda il primo degli interrogativi si rinvia alle teorie sopra
enunciate non mancando di evidenziare che quando si parla di "diritti degli
animali" si parla in senso atecnico, attribuendo all'espressione una valenza
ideologico-propagandista: si parla, dunque, in senso metagiuridico.
I "diritti degli animali" sarebbero creati per dar voce a, e essere fatti valere
in, situazioni di conflitto tra esseri umani e animali22.
Il secondo interrogativo, relativo alla questione sulla natura della tutela, cioè
se debba essere penale od extrapenale, viene affrontato dalla dottrina
facendo riferimento al carattere frammentario e sussidiario del diritto
21 A. Calabria, La tutela penale degli animali: principi ispiratori ed oggetto, in
Indice pen., 1992, pp.441,442 e 445.
22 M. Tallacchini(a cura di), Etiche della Terra. Antologia di filosofia dell'ambiente,
Milano, Vita e Pensiero, 1998.
10
penale.
Il problema se l'animale sia assumibile a oggetto di tutela penale esemplifica
uno dei terreni emblematici che mettono alla prova la teoria del bene
giuridico, sia nelle sue versioni più tradizionali, sia in quelle più recenti
versioni critiche che pretendono di orientare il legislatore nella
delimitazione in senso restrittivo dell'area del penalmente rilevante23.
L'evoluzione delle dottrine del bene giuridico è stata, invero, contrassegnata
dal superamento del paradigma del "diritto soggettivo" come tipico oggetto
di tutela; ciò che è bisognoso o meritevole di tutela va ben al di là di quel
che è inquadrabile nello schema di un preesistente diritto soggettivo.
Stando così le cose, è tecnicamente sufficiente, nell'ambito del diritto
punitivo, limitarsi a parlare di "interessi" animali degni di riconoscimento e
tutela: interessi considerati in una dimensione oggettiva, a prescindere dal
problema di una loro riferibilità all'animale come soggetto giuridico.
23 G.Fiandaca, Prospettive possibili di maggiore tutela penale degli animali, in A.
Mannucci e M. Tallacchini, Per un codice degli animali, Milano, Giuffrè, 2001, 79ss.
11
CAPITOLO I
LA TUTELA
DEGLI ANIMALI
NEL CODICE PENALE
12
CAPITOLO I
Verrà un giorno nel quale
gli uomini conosceranno
l'intimo animo delle bestie
ed allora uccidere un animale
sarà considerato un delitto
come uccidere un uomo.
Leonardo da Vinci
1.1 Evoluzione legislativa: dal codice sardo-italiano alla prima
formulazione dell'art. 727 c.p. nel codice Rocco
Le prime forme di protezione degli animali in Italia furono promosse da
locali società a ciò espressamente finalizzate, tra le quali si devono ricordare
la prima, fondata a Torino da Giuseppe Garibaldi, e la società romana
fondata nel 1874 ed eretta in ente morale nel 190624.
Tra i codici pre-unitari merita una particolare menzione il codice penale
sardo-italiano del 1859, che, tra le contravvenzioni riguardanti l'ordine
pubblico, prevedeva all'art. 685, n.7, il fatto di "coloro che in luoghi
pubblici incrudeliscono contro animali domestici".
24 M. Santoloci e C. Campanaro, Tutela giuridica degli animali, ed. Diritto
all'ambiente, 2008, p. 13.
13
Nel primo codice dell'Italia unitaria, il codice Zanardelli del 1889, era l'art.
491 a punire i maltrattamenti di animali.
La disposizione, inserita tra le contravvenzioni concernenti la pubblica
moralità, recitava testualmente : "Chiunque incrudelisce verso animali o,
senza necessità, li maltratta, ovvero li costringe a fatiche manifestamente
eccessive, è punito con l'ammenda sino a lire cento. Alla stessa pena
soggiace colui il quale, anche per solo fine scientifico o didattico, ma fuori
dei luoghi destinati all'insegnamento, sottopone animali a esperimenti tali
da destare ribrezzo".
Evidenti sono le differenze con la previsione del codice penale sardo-
italiano : l'art. 491 del codice 1889, contrariamente alla disposizione dell'art.
685 n.7 del codice 1859, puniva i maltrattamenti anche se commessi in
luogo privato ed in danno di un animale non avente natura domestica.
Sul tema, la relazione del Guardasigilli Rocco25 chiariva come il sentimento
di pietà che ispirava la disposizione potesse essere offeso in ogni luogo e
indipendentemente dalla natura domestica o meno dell'animale26.
Già ad una prima analisi della norma si può notare che la preoccupazione
del legislatore non era tanto il benessere degli animali quanto il non
offendere la sensibilità umana: come si legge nella Relazione della Camera
dei Deputati sul progetto del 1887, n.CCLXXI, "lo spettacolo delle
25 Cfr. La relazione al Re del guardasigilli, in Lavori preparatori del codice penale e
del codice di procedura penale, Roma, 1929, CXLII.
26 Cfr. F. Coppi, voce Maltrattamento o malgoverno di animali, in Encicl. dir.,
vol.XXV, Milano, Giuffrè, 1975, p. 267, nota sub 5.
14
sofferenze delle bestie incrudelisce la parte grossolana della popolazione e
strazia il cuore della parte di essa che sente delicatamente amore e
tenerezza per tutto ciò che vive nel mondo"27.
Il successivo codice Rocco del 1930 riprende e modifica il testo del
precedente articolo 491 del codice Zanardelli, collocandolo nell'art. 727 fra
le contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi.
Tale ubicazione dimostra come l'oggetto diretto e specifico dell'articolo 727
c.p. non sia la protezione giuridica dell'animale, bensì il sentimento di pietà
e compassione dell'uomo verso gli animali28; la salute e l'integrità fisica
dell'animale rappresentano l'oggetto materiale del reato ma non l'oggetto
diretto della tutela.
A differenza dell'art. 491 che era intestato "Dei maltrattamenti di animali",
l'art. 727 del codice 1930 si intitolava "Maltrattamento di animali" e questo
significa che anche un solo atto integrava il reato, perché la crudeltà imposta
all'animale una volta soltanto già scuote ed offende il sentimento di pietà
dell'uomo29.
Questa era la prima formulazione dell'art. 727 c.p. : "Chiunque incrudelisce
27 P. Pomanti, Maltrattamento di animali: la tutela penale, Roma, Ianua, 1997, p.
12.
28 Affermava lo stesso guardasigilli Rocco che "le crudeltà usate contro
animali,invero, non solo contrastano con i sentimenti di pietà e di umanità e denotano
l'assenza di ogni gentilezza di costumi; ma, se commesse in pubblico, riescono di
pernicioso esempio, specialmente ai fanciulli, ai quali preme sia evitata la vista di simili
spettacoli", Circolare 26 maggio 1927, in V. Manzini, Trattato di diritto penale, vol. X,
Torino, 1986, 1093.
29 F. Coppi, Maltrattamento o malgoverno di animali, voce Encicl. dir., cit., 267.
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