Introduzione
Negli ultimi anni si è assistito ad una lenta e continua evoluzione del
concetto di giustizia, che viene inteso non più come esigenza di “ordine
pubblico” ma come “sicurezza dei cittadini”. Lo Stato normalmente si difende
dalla criminalità imponendo ai propri cittadini l’osservanza delle leggi,
punendone l’eventuale inosservanza; ma il concetto di sicurezza dei cittadini è
molto più complesso, andando ad incidere direttamente sul diritto personale
del singolo a non divenire vittima di reato. Infatti, tale concetto si riferisce non
alla preoccupazione di ordine sociale, politico o morale per la criminalità (c.d.
concern about crime), ma alla paura della vittimizzazione, ossia al timore che gli
individui hanno di poter subire un reato, per la propria incolumità personale o
per i propri beni (c.d. fear of crime).
L’aumentata percezione del rischio di criminalità e dei fenomeni di
degrado urbano avvertita dalla popolazione ha spinto le scienze sociali a
dedicare sempre più attenzione alla criminalità urbana. Le periodiche indagini
campionarie dell’Istat sulla paura del crimine e sulla vittimizzazione, l’avvio di
più precisi e tempestivi strumenti per la raccolta ed il trattamento dei dati sulla
criminalità da parte di Polizia e Carabinieri e l’istituzione di Osservatori sulla
Criminalità ad opera di Comuni, Province e Regioni in collaborazione con le
università, ne testimoniano la presenza.
A tal proposito, scrive Amendola
1
:
“Uno dei tratti salienti della nuova situazione è un andamento della
domanda di sicurezza che si mostra relativamente autonoma rispetto ai
1
1
Amendola, Una citt senza paure. Dalle politiche per la sicurezza a quelle per la
vivibilit , Comune di Firenze, 2003.
tassi di criminalità ed al rischio conseguente in relazione tanto all’area che
alle caratteristiche del soggetto [...]”
A questo punto verrebbe da chiedersi se l’insicurezza lamentata dalla
popolazione sia davvero giustificata, in quanto relativa ad una reale necessità di
protezione, oppure sia solo il frutto del condizionamento effettuato dai media,
che contribuiscono a gonfiare la percezione dei comportamenti criminali,
anche laddove il loro peso quantitativo sia rimasto relativamente costante nel
tempo. Secondo l’indagine multiscopo Istat condotta tra il 1997 e il 1998 14
milioni e 224 mila italiani con 14 anni o più dicono di sentirsi “poco o per niente
sicuri” quando camminano da soli, quando è buio, nella zona in cui vivono;
inoltre, vi sono 4 milioni e 100 mila individui che non escono mai di sera, parte
dei quali perchè non si sentono sicuri
2
. Nella seconda indagine multiscopo,
condotta nel 2002, la situazione è rimasta pressoché invariata, e ciò può darci
un’idea di quanto diffusa sia la paura tra gli italiani. Tuttavia, questa situazione
presenta notevoli differenze tra le diverse regioni e tra grandi e piccoli centri.
Infatti, il senso di insicurezza è maggiore al Sud e in tutte quelle regioni più
popolose che sono caratterizzate dalla presenza delle aree di grande
urbanizzazione (la regione in cui è maggiore la sensazione di paura è la
Campania (38,9%)); inoltre, la percentuale di persone che si sentono poco o per
nulla tranquille uscendo da sole di sera raggiunge il massimo nei centri
metropolitani (37,0%) e nella periferia dell’area metropolitana (32,8%)
3
.
Numerose altre indagini ed inchieste confermano l’esistenza di una
differenza significativa nella criminalità tra Nord e Sud Italia. Secondo
2
2
M. Barbagli e U. Gatti, La criminalit in Italia , Il Mulino, Bologna, 2002.
3
Istat, La sicurezza dei cittadini. Reati, vittime, percezione della sicurezza e sistemi di
protezione , Roma, 2002.
un’indagine Eurispes
4
un quinto degli omicidi in Italia è di stampo mafioso. Nel
periodo compreso tra il 1999 e il 2004, in Italia, si sono verificati 762 omicidi per
motivi di mafia, camorra o ’ndrangheta. Quasi un omicidio su cinque è
ascrivibile ai tentacoli del crimine organizzato. L’incidenza diventa
significativamente allarmante se si considerano alcune realtà territoriali del
Mezzogiorno. In Campania quasi una morte violenta su due è di matrice
mafiosa.
Da quanto detto sembra che Napoli sia una delle città italiane in cui i
cittadini si sentono meno sicuri; sicuramente è quella di cui più spesso si parla
nei notiziari nazionali. Furti, omicidi, rapine, camorra: questi sono i soli temi a
cui televisione e quotidiani sembrano interessarsi, e che, proprio per questo,
probabilmente accentuano la paura delle persone che vi risiedono,
inquinandone la percezione di sicurezza. L’allarme sociale che viene generato
aggrava la fear of crime al punto da indurre la cittadinanza a richiedere una
maggiore protezione da parte delle forze dell’ordine. Infatti, secondo
un’indagine svolta dal Censis
5
, per la popolazione napoletana bisogna
incentivare la presenza delle forze dell’ordine sul territorio (con un livello di
accordo pari ad 8.9 su 10, dove 10 = totalmente d’accordo).
Numerosi sono anche gli scrittori che si sono interessati al problema
“Napoli”. Il caso più eclatante è quello di Roberto Saviano che, con il suo
“Gomorra”
6
, ha documentato le attività e le persone che costituiscono il
“Sistema”, ossia la “camorra”, in modo così veritiero da essere costretto a vivere
costantemente sotto scorta dalla pubblicazione del libro.
3
4
Eurispes, Rapporto Italia 2007 .
5
Censis, Lʼaltra Napoli. Il fenomeno della microcriminalit a Napoli , 2006.
6
Roberto Saviano, Gomorra , Strade blu - Mondadori, 2006.
Prima di entrare nel merito dello studio, analizzando le varie tipologie di
reato presenti nella città di Napoli, è necessario definire con maggiore chiarezza
cosa si intende con i termini “criminalità” e “reato”.
•
La criminalità
Si definisce “criminale” qualsiasi comportamento che abbia dato luogo o
avrebbe potuto dar luogo ad una reazione da parte dello Stato, consistente
nell’esercizio della giustizia penale, ordinaria o militare. E’ crimine, in questa
accezione, o reato, ogni condotta che viola la norma penale,
indipendentemente dai motivi che l’hanno ispirata e dall’equità della legge, e
per la quale è prevista una sanzione.
Da questa definizione è evidente come il reato non sia definibile in sè, ma
sempre in riferimento ad una norma, che può variare nel tempo e nello spazio;
quindi lo stesso comportamento può essere lecito o vietato in periodi storici o
aree geografiche diverse.
Lo studio del comportamento criminale prende il nome di criminologia.
La criminologia presenta alcune particolari caratteristiche. Una sua prima
peculiarità riguarda l’ampiezza del campo d’indagine, che non si riferisce
solamente ai fatti criminosi, alle loro variazioni nel tempo e nello spazio ed alle
condizioni socio-economiche che ne favoriscono la diffusione, bensì anche allo
studio degli autori dei delitti, con le loro caratteristiche psicologiche/
4
psicopatologiche, ed ai diversi tipi di reazione sociale che il delitto
7
stesso
suscita nelle vittime.
8
Quindi, si può affermare che la criminologia si occupa
dell’intero fenomeno della devianza, in tutte le sue manifestazioni
9
. Per poter
fare ciò, essa necessita delle competenze di studiosi di diverse discipline e di
diversa formazione culturale; per questo motivo è una scienza multidisciplinare.
A differenza delle altre scienze criminali, che concentrano la loro attenzione
esclusivamente sulla norma legale, la criminalità si serva in maniera congiunta
delle conoscenze della sociologia, della psicologia, della medicina, della
psichiatria, della pedagogia, dell’antropologia, della statistica e della filosofia.
Infatti, mentre queste scienze si occupano solo occasionalmente della
criminalità, è esclusivo della criminologia il riunire in sè i loro apporti per lo
studio del crimine. Data la necessità di dialogo tra le suddette discipline per
poter risolvere le questioni di interesse comune, la criminologia assume anche
carattere interdisciplinare.
Da quanto suddetto, si potrebbe pensare che la criminologia rappresenti
un mero sapere integrato, una sorta di sintesi di altre scienze. Tuttavia,
nonostante il confluire integrato degli apporti di diverse discipline secondo una
prospettiva sintetica rappresenti il suo tratto caratteristico, la criminologia è in
grado di fornire un approccio diverso, più esteso e meno settoriale di quello
delle altre discipline
10
.
5
7
Sebbene i delitti siano reati per i quali prevista la pena dell’ergastolo, della reclusione
e della multa, in questa sede i termini delitto e reato saranno utilizzati come sinonimi.
8
G. Ponti, Compendio di criminologia , Raffaello Cortina Editore (quarta ed.), Milano,
1999.
9
Anche se i termini crimine e devianza sono spesso utilizzati come sinonimi, bene
procedere ad una loro distinzione: qui il termine devianza sta ad indicare ogni
comportamento che violi un qualunque tipo di norma, mentre crimine si riferisce
solamente alle violazioni di norme giuridiche.
10
G. Ponti, Compendio di criminologia , Raffaello Cortina Editore (quarta ed.), Milano,
1999.
Lo studio del comportamento criminale può avvenire in due modi diversi:
puramente descrittivo oppure causale.
L’approccio descrittivo si occupa di osservare e raccogliere tutti i fatti
relativi a reati e delinquenti, ossia le varie forme di comportamento criminale,
come vengono commessi i reati, la loro frequenza, le varie caratteristiche del
delinquente. Tuttavia, è bene ricordare che tali “fatti” non possono essere
raccolti a caso, ma devono essere selezionati sulla base di un sistema di ipotesi
scientifiche. In questa fase il ricercatore è circondato da una infinità di dati, e
per poter effettuare una selezione ragionevole ed utile di ciò che intende
raccogliere, deve definire in maniera precisa il suo oggetto di studio
11
.
Come scrive Popper
12
:
“La scienza non può cominciare con delle osservazioni, o con la raccolta dei dati,
come credono alcuni. Prima di metterci a raccogliere dati, dobbiamo sviluppare il
nostro interesse verso un certo tipo di dati; il problema viene sempre per primo.”
Inoltre, i “fatti” non hanno alcun significato senza una loro interpretazione,
una valutazione ed una loro comprensione generale. Ogni evento può
significare molte cose diverse, e quindi una sua corretta interpretazione
richiede una profonda conoscenza di quanto osservato. Da ciò si deduce che il
compito del criminologo non è solo quello di descrivere, ma è anche quello di
“capire”.
Nel momento in cui alla descrizione si aggiunge la ricerca e
l’identificazione dei fattori responsabili di tali eventi, la criminologia assume il
carattere di scienza eziologica, cioè di scienza che ricerca le cause dei fenomeni
6
11
H. Mannheim, Trattato di criminologia comparata , Giulio Einaudi Editore (vol. I),
Torino, 1975.
12
Karl R. Popper, The poverty of historicism , London, 1957.
da essa osservati. In questo consiste l’approccio causale, nell’utilizzare
l’interpretazione dei fatti osservati per ricercare le cause del delitto
13
. Si
definisce causa di un fatto l’antecedente necessario e sufficiente al suo
accadimento. Qualsiasi fenomeno che si verifichi nella realtà richiede la
presenza di moltissimi fattori il cui ricorso è necessario per la realizzazione di
quel dato fenomeno. Tuttavia, ciò che si indica come causa deve essere non
solo necessaria, ma anche sufficiente; si deve, quindi, fra gli infiniti antecedenti
necessari, identificare solo quello che ha realmente provocato l’effetto, quello
che senza il quale l’effetto non si sarebbe verificato. Il concetto di causa
nell’ambito delle scienze umane è ben diverso da quello nelle scienze
naturali
14
. Nello studio del comportamento umano il significato di tale concetto
è da intendersi in termini molto relativi: l’enorme numero di fattori concorrenti,
insieme all’estrema varietà individuale nel rispondere e reagire anche in
identiche condizioni, devono rendere cauti sul significato della causalità nel
comportamento umano. Nessun fattore può mai da solo completamente
spiegare un fatto, in quanto innumerevoli sono i fattori che concorrono nel
comportamento sociale dell’uomo. In criminologia, dunque, non esistono
cause del reato che siano tanto sufficienti quanto necessarie. Ci sono soltanto
fattori che possono essere “necessari” per produrre il reato in connessione con
altri fattori. Nè il reato in generale, nè alcun delitto in particolare potrà mai
essere causato da un unico fattore, che produca invariabilmente quel risultato.
7
13
H. Mannheim, Trattato di criminologia comparata , Giulio Einaudi Editore (vol. I),
Torino, 1975.
14
Tra i moderni sici non cʼ unanimit di veduta circa il ruolo delle leggi causali nelle
scienze naturali. Secondo Bertrand Russell, gli antecedenti invariabili (ossia la causa)
sono estremamente rari, dato che pu sempre intervenire qualcosa di nuovo a mutare il
risultato atteso. Questa possibilit ha indotto i sici ad esprimere le loro leggi sotto forma
di equazioni differenziali, che possono essere considerate come lʼespressione di
qualcosa che tende ad accadere.
Inoltre, dando valore di causa come antecedente che da solo possa spiegare
l’agire dell’uomo, si finisce col dare un’interpretazione meccanicistica che non
lascia più spazio a quella che è la variabile fondamentale del comportamento
umano, e cioè la libertà di scelta. Tutto ciò implica che verranno rigettate tutte
le teorie sostenenti un fattore unico come causa del reato, ritenuto il più
rilevante o addirittura esclusivo, a favore di quelle multicausali. La conclusione
più importante della teoria multicausale è la necessità di arrivare ad una
selezione e classificazione dei potenziali fattori causali che sembrano avere una
correlazione statistica significativa con il reato
15
. Tuttavia, è necessaria una certa
attenzione nella scelta dei fattori da usare nell’analisi statistica, in quanto
bisogna tener presente che questi dipendono dalle conoscenze pregresse, e a
volte preconcette, del ricercatore, che tenderà ad escludere ed ignorare tutti
quei fattori che non rientrano nella sua idea preconcetta del fenomeno oggetto
di studio.
In conclusione, ogni costruzione teorica che miri ad identificare la causa
(o le cause) del comportamento criminale incontra ostacoli insuperabili, quali
l’estrema viariabilità sia di crimini che di risposte comportamentali umane. Da
queste considerazioni ci si rende conto che sarà molto difficile per una singola
teoria, unicausale o multicausale che sia, poter mettere in luce in modo
soddisfacente fattori eziologici validi per ogni tipo di delitto. Quindi non vi sarà
nessuna teoria capace di identificare una o più cause efficienti (ossia tanto
sufficienti quanto necessarie) per ogni fattispecie di reato e che pertanto
nessuna teoria sarà, sotto questo aspetto, più “vera” di altre.
8
15
G. Ponti, Compendio di criminologia , Raffaello Cortina Editore (quarta ed.), Milano,
1999.
•Il reato
I comportamenti che il diritto indica come proibiti e per i quali sono
previste delle sanzioni non sono stabili nel tempo, pertanto non si può indicare
definitivamente quali siano i comportamenti delittuosi dei quali la criminalità
deve occuparsi e quali quelli leciti. La relatività del concetto di delitto deriva dal
fatto che la norma penale è espressione dei valori prevalenti e degli interessi
particolarmente tutelati in una determinata società
16
. In passato per molto
tempo sono stati puniti come reati comportamenti che successivamente non
sono stati più ritenuti tali (ad esempio la stregoneria), lo stesso accade oggi:
con il rapido evolversi dei costumi si è osservata la depenalizzazione di alcune
condotte (ad esempio l’adulterio, l’aborto). La relatività del concetto di delitto si
osserva anche per il fatto che, nello stesso momento, concezioni difformi sono
presenti in diversi paesi appartenenti ad analoghe aree culturali (ad esempio il
meretricio, punito tuttora in alcuni stati degli USA). Alcuni fatti, poi, sono
ritenuti delitti solo per l’ordinamento politico vigente e per la maggiore o
minore libertà di espressione del pensiero o di associazione. Ogni condotta
dell’uomo è prevista e regolamentata da un’infinità di norme che in ogni
momento, dalla nascita alla morte, definisce a ciascun individuo quali sono i
comportamenti cui deve attenersi. La maggior parte di queste norme non è
codificata, non è scritta in nessun codice, ma è talmente connaturata ai costumi
ed alla cultura da farla ritenere addirittura naturale, cioè legata alla stessa
struttura biologica dell’uomo. Fin da quando si organizzarono le prime forme di
società, questi sono state strutturate da norme, ma tali norme non hanno mai
9
16
G. Ponti, Compendio di criminologia , Raffaello Cortina Editore (quarta ed.), Milano,
1999.
costituito un insieme immutabile, anzi la dinamicità delle regole è tipica
dell’evolversi delle varie culture, e le leggi si modificano per adeguarsi
costantemente al carattere evolutivo delle società. Inoltre, sono sempre state
fatte delle distinzioni fra le varie norme, alcune delle quali vengono ritenute di
minor conto, altre sono valutate come più importanti ed imprescindibili, a
protezione dei principi e beni ritenuti essenziali, e la cui osservanza è garantita
dal controllo esercitato dalla legge penale. Le leggi penali, quindi, rappresentano
uno dei numerosi “sistemi di controllo sociale” miranti ad inibire quei
comportamenti ritenuti più gravi perchè minacciano quell’insieme di beni che
una certa società ritiene maggiormente preziosi e che protegge in modo
privilegiato attraverso l’utilizzo della pena.
Il termine “reato” è stato finora usato per far riferimento ad un
comportamento che sia criminale dal punto di vista giuridico. Tuttavia, se si
vuole indagare sul perchè sia punibile un certo tipo di comportamento ed un
altro no è necessario rivolgersi alle norme della religione, del costume e della
morale. Per questo motivo, la criminologia non è limitata, nell’ambito della sua
ricerca scientifica, a ciò che è giuridicamente un reato in un dato paese e un
certo tempo, essa è libera di usare le sue classificazioni.
La legge non è altro che un sistema di norme che ordina in un certo modo
i comportamenti umani; spesso, però, essa è influenzata dai valori morali della
religione e dei costumi
17
. Infatti, i moderni codici penali contengono
disposizioni tendenti a proteggere non la religione o la Chiesa in quanto tali,
ma i sentimenti religiosi dei singoli cittadini e l’esercizio pacifico del culto
pubblico o privato. Inoltre, per il legislatore non sono certamente privi di
10
17
H. Mannheim, Trattato di criminologia comparata , Giulio Einaudi Editore (vol. I),
Torino, 1975.
significato le proprie credenze ed i propri valori religiosi nello svolgimento del
proprio lavoro. Si pensi, ad esempio, a quei casi in cui particolarmente forte è la
discordanza tra i principi religiosi e diritto penale, quali il controllo delle nascite,
l’aborto, il suicidio, la fecondazione artificiale.
Anche i costumi possono influenzare il legislatore. Benchè il costume è
molto spesso limitato ad alcune regioni geografiche e ad alcune classi sociali, se
esso è molto forte e radicato, il legislatore non potrà far altro che arrendersi a
tale costume. Dopotutto, il costume è sorretto dalla pubblica opinione, il che
vuol dire che esso è sostenuto da ciò che vuole la maggioranza. H. Kantorowicz,
nel suo lavoro postumo “The Definition of Law”
18
, ha fornito un’utile lista di
quelle regole dei costumi che non costituiscono legge, che vanno dalle buone
maniere (a tavola e in strada) agli argomenti di conversazione, dalle occasioni
che richiedono un regalo, e la sua appropriatezza, al comportamento durante le
cerimonie. Molte di queste regole potrebbero, in determinate circostanze,
divenire articolo del diritto penale. Inoltre, cattivi costumi, come ad esempio le
discriminazioni razziali, possono generare veri e propri reati; quindi è compito
del criminologo studiare i costumi ed esaminare i casi pro e contro per
garantire la prevenzione del reato.
Nello studio dei reati, dei delinquenti e del loro trattamento, non possono
essere trascurati i problemi relativi alla morale. La relazione tra diritto e morale
è stata spesso trascurata dai criminologi, essendo considerata come qualcosa
che interessasse solo il campo della legislazione, relativamente alla questione
se uno specifico tipo di comportamento umano dovesse essere considerato un
reato. Tuttavia, qualora la legge penale compia una scelta tra sanzioni differenti
a seconda del carattere morale dell’imputato, o della qualità morale della sua
11
18
H. Kantorowicz, The de nition of law , Ed. Campbell, Cambridge, 1958.