I Capitolo
L’Autonomia Scolastica in Italia: l’era dei cambiamenti nel sistema
educativo
L’avvio dell’autonomia nelle scuole italiane introdotta con la riforma della
Pubblica Amministrazione del 1997, con la quale alcune funzioni del Governo
vengono delegate agli Enti locali, comporta una alcuni cambiamenti all’interno
del sistema di governo dell’istruzione. E’ riconosciuta, infatti, alle scuole
l’autonomia decisionale nella definizione delle strategie educative e dal punto di
vista gestionale/organizzativo dell’istituto. Esse gestiscono l’offerta formativa e le
risorse a disposizione (sia umane che finanziarie) nell’ambito di regole fissate dal
centro che garantiscano l’uniformità e la qualità dell’istruzione.
Per chiarire meglio i cambiamenti che comporta l’autonomia scolastica una volta
introdotta nel nostro sistema educativo, bisognerebbe dare uno sguardo alla
normativa che ha dato origine al rinnovamento delle funzioni delle singole
istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.
1. Le riforme che hanno dato origine ai cambiamenti del sistema
scolastico
L’autonomia scolastica affonda le proprie radici nelle riforme degli anni ’70 e ’80,
quando in quei tempi s’ insediavano i termini di “autonomia”, “autogoverno”,
“partecipazione e democratizzazione” nell’ambito del contesto istituzionale delle
scuole.
Il discorso sull’autonomia scolastica, però, è stato ripreso ed affrontato più avanti
nel tempo e precisamente nella seconda metà degli anni novanta, quando è stata
emanata la legge delega delle funzioni di governo agli Enti pubblici, la n. 59
del 1997, e soprattutto con l’art. 21 ed il suo Decreto attuativo dell’autonomia
scolastica (Decreto del Presidente della Repubblica dell’ 8 marzo 1999, n.
275) (Ministero Pubblica Istruzione).
Con la legge n. 59 del 1997 viene realizzato il decentramento amministrativo e si
realizza la riforma della Pubblica Amministrazione. In particolare l’art. 21 della
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suddetta legge, il quale affronta la riforma delle Istituzioni scolastiche, sancisce un
modello di scuola dotato di personalità giuridica e di autonomia organizzativa,
didattica, di ricerca e sviluppo, sperimentazione e finanziaria.
Questo nuovo modello di scuola è molto lontano da quello centralistico,
burocratico e verticale ove lo Stato è colui che indirizza e gestisce in modo diretto
il servizio educativo attraverso i programmi ministeriali assicurando in modo equo
ai propri interlocutori, ossia agli alunni e alle loro famiglie, l’istruzione. Ma, nel
momento in cui l’autonomia entra a regime, le istituzioni scolastiche saranno
sollecitate a seguire modelli, schemi e programmi ministeriali e saranno libere di
operare, singolarmente o in rete di scuole, delle scelte sulla base dei traguardi
formativi che intendono perseguire ed in base ai bisogni e le attese del territorio
attraverso risorse presenti all’interno e all’esterno della scuola nel rispetto degli
obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standards di livello nazionale.
Il Decreto del Presidente della Repubblica dell’ 8 marzo 1999, n. 275, il quale
rappresenta il decreto attuativo dell’art. 21 della legge in precedenza citata,
stabilisce e specifica l’autonomia scolastica sotto vari aspetti e che analizzeremo
approfondendo il discorso sull’autonomia.
L’art. 1 della 275, ad esempio, che precisa la natura e gli scopi delle istituzioni
scolastiche nel contesto dell’autonomia, afferma che esse prima di tutto sono
“espressioni di autonomia funzionale” e che “provvedono alla definizione e alla
realizzazione dell'offerta formativa nel rispetto delle funzioni delegate alle
Regioni” sottolineando la capacità di gestione autonoma dell’offerta formativa
delle scuole ed il decentramento delle funzioni agli Enti locali che una volta erano
proprie del governo centrale e che ora sono delegate alle agenzie del servizio
educativo. Inoltre, continuando, “i compiti e le funzioni trasferiti agli enti locali
devono mirare allo sviluppo della persona umana col fine di adeguare, ai diversi
contesti, l’offerta formativa alla domanda delle famiglie ed alle caratteristiche
specifiche dei soggetti coinvolti, col fine di garantire loro il successo formativo”.
L’autonomia scolastica così definita dalla riforma, ha introdotto un cambiamento
delle funzioni amministrative e della gestione del servizio d’istruzione. Infatti con
l’attribuzione, la ripartizione e il coordinamento delle funzioni delle istituzioni
scolastiche, si assiste ad un progressivo ritiro del ruolo decisionale dello Stato ed
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una più incisiva responsabilizzazione delle agenzie educative locali verso il centro
governativo e verso i fruitori del servizio educativo.
Queste riforme così presentate ci offrono una panoramica generale del processo di
autonomia scolastica che ha investito il sistema italiano dell’istruzione dagli anni
in cui sono state approvate. Da allora, col susseguirsi dei governi, sono stati
aggiunti regolamenti che hanno specificato ogni singolo argomento delle riforme
sopra citate.
Pertanto, nel dare una risposta alla domanda cosa sia l’autonomia scolastica
bisogna considerarla nei suoi vari aspetti ovvero autonomia didattica,
amministrativa, di ricerca e sviluppo ed organizzativa.
1.1 L’autonomia didattica
Come cita chiaramente l’art. 4 della 275/99: “Le istituzioni scolastiche, nel
rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle
famiglie e delle finalità generali del sistema…concretizzano gli obiettivi nazionali
in percorsi formativi funzionali…promuovono le potenzialità di ciascuno
adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo
formativo...regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole
discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di
apprendimento degli alunni”. Con esso viene messo in evidenza che le scuole
sono libere di costruire un’offerta formativa individualizzata che tenga conto delle
esigenze reali del territorio ed in linea con gli obiettivi formativi nazionali.
L'insegnamento non è più quindi soltanto il risultato di un lavoro di
programmazione ma diventa una "fase" di una complessa attività di progettazione
che tiene conto di tutte le risorse disponibili e le finalizza al raggiungimento del
successo formativo. Il lavoro di progettazione, insomma, è efficace solo se gli
obiettivi fissati vengono sistematicamente collegati all'uso delle risorse umane,
strumentali e finanziarie. Autonomia, quindi, deve soprattutto significare
combinazione intelligente e creativa di tutte le variabili che intervengono nel
processo di insegnamento e "ottimizzazione" di tutte le risorse richiamando quei
principi di corresponsabilità, condivisione, collegialità, progettualità che danno
sostanza al concetto di progetto di istituto.
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1.2 L’autonomia amministrativa e l’autonomia di ricerca e sviluppo
Con l’autonomia amministrativa le istituzioni scolastiche hanno funzioni di
competenza dell'amministrazione centrale e periferica relative all'amministrazione
e alla gestione delle risorse finanziarie provenienti dal governo centrale. In
particolare provvedono alla carriera scolastica degli alunni e curano la specifica
formazione e aggiornamento culturale e professionale del relativo personale.
Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate come una rete,
inoltre, esercitano l'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo tenendo
conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà
locali e curando la progettazione formativa e la ricerca valutativa, l'innovazione
metodologica e disciplinare, la documentazione educativa e la sua diffusione
all'interno della scuola, sviluppando e potenziando lo scambio di documentazione
e di informazioni, attivando collegamenti reciproci con il Centro europeo
dell'educazione, la Biblioteca di documentazione pedagogica e gli Istituti regionali
di ricerca.
1.3 L’autonomia organizzativa
Essa fa capo alla decisionalità delle scuole in merito a: calendari, orari,
valutazione, crediti e debiti, flessibilità temporale. Anche in questo ambito emerge
l’esigenza di precisare con più chiarezza le responsabilità dei diversi soggetti
professionali e di valorizzare il ruolo del Collegio dei docenti nel campo delle
scelte educative e didattiche temendo un possibile aggravio di lavoro per i docenti
(orari, turnazioni, sostituzioni) in relazione ai nuovi modi di essere della scuola
dell’autonomia. Esplicita, quindi, è la richiesta di formazione per i docenti e di
risorse finanziarie per riconoscere i maggiori carichi di lavoro. Si tratta dunque di
passare da un assetto rigido e immutabile della scuola ad un'organizzazione
flessibile, capace di mettere in movimento ed in connessione le variabili
dell'organizzazione scolastica, in funzione del miglior adattamento della proposta
formativa alle caratteristiche degli alunni, per "piegare" le scelte organizzative alle
ragioni del miglior apprendimento possibile (e non viceversa). Questo spesso non
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avviene nelle nostre scuole, per via della resistenza delle abitudini e la persistenza
delle routine delle indicazioni prescrittive del governo centrale.
Ecco perché l'approvazione della legge per l'autonomia potrebbe costituire
un'ottima occasione per il rilancio, la regolazione e lo sviluppo "dal basso" di una
riforma della scuola che deve essere una riforma culturale, professionale, di
atteggiamenti e comportamenti.
2. L’autonomia scolastica: cambiamenti dello scenario istituzionale
Dopo aver descritto le principali riforme che hanno introdotto l’autonomia
scolastica nel nostro sistema educativo, passiamo ora a delineare i principali
cambiamenti che essa ha apportato, con riferimento in particolare allo scenario
della regolazione dell’istruzione.
L’autonomia, infatti, potrebbe portare mutamenti nelle pratiche e negli
atteggiamenti degli attori all’interno della scuola (mutamenti che più avanti
approfondiremo), e che ora cercheremo di approfondire, che possono essere:
i motivi che hanno portato il decentramento o la localizzazione della
decision making delle scuole;
il superamento della concezione del sistema scolastico burocratico, rigido e
recalcitrante all’innovazione, nel presupposto che una gestione manageriale
del servizio educativo e una sua maggiore apertura alle esigenze del
territorio porti più efficacia, rispetto a quanto assicurato finora dalla
gestione centralizzata (Benadusi, Consoli, 2004).
e, innanzitutto, quale possa essere il modello istituzionale di regolazione
che possa aderire alle condizioni poste dall’autonomia e che possa
sottolineare il passaggio dal sistema tradizionale di government, gerarchico
ed autoritativo, ad un sistema di governance, orizzontale e di rete.
2.1 Modelli dell’autonomia scolastica
Per poter applicare il discorso dell’autonomia al nostro sistema scolastico, come è
stato approfondito precedentemente, a livello di macrosistema bisognerebbe
scardinare il modello di regolazione attualmente esistente, quello burocratico e di
government, il quale si presenta rigido nelle procedure perché il lavoro segue
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norme prefissate dal centro ed è poco flessibile alle innovazioni perché altamente
parcellizzato, strutturato gerarchicamente ed autoritativo (Biggiero, 2000).
Pertanto, sulla base della teoria politica ed organizzativa ed avvalendoci delle
indagini comparative tra i sistemi nazionali, possiamo isolare tre modelli
istituzionali di regolazione, detti anche di governance, che sul piano empirico si
presentano sempre ibridati col modello burocratico (Benadusi, Consoli, 2004),
essi sono: lo Stato Valutatore, il quasi-mercato e la rete.
2.2 Lo stato valutatore
Il primo dei modelli, lo stato valutatore, che si potrebbe chiamare “indirizzatore”
o “regolatore”(Benadusi, Consoli, 2004), tende a riproporre un ruolo forte dello
Stato ma anche un suo ritiro dai compiti di gestione diretta dei servizi: la
sostituzione di forme di regolamentazione afferenti alle risorse (input), ed ai
processi (troughtput) con forme di standardizzazione e di valutazione dei prodotti
(output) e dei risultati (Benadusi, 1997). Infatti l’autonomia delle scuole non è mai
assoluta ed è considerata funzionale al raggiungimento di scopi di pubblico
interesse (Benadusi, Consoli, 2004) ponendo l’accento sui prodotti delle singole
istituzioni scolastiche, che debbono conseguire gli standards di conoscenza fissati
attraverso la scelta flessibile di strategie idonee, confidando nella capacità di
autoregolazione degli insegnanti e dei capi d’istituto, per tutti gli studenti e il
coordinamento delle politiche per il loro raggiungimento (Benadusi, 1997). Si
reclamano, dunque, due principi diversi: l’autoregolazione degli attori
organizzativi locali e la loro responsabilizzazione nei confronti degli attori
preposti al pilotaggio del sistema (Benadusi, Consoli, 2004), assistendo ad uno
indebolimento delle funzioni dei poteri centrali.
Questo modello, però, può presentare ambiguità: per esempio il riduzionismo che,
nella fissazione degli obiettivi e nella definizione della qualità, può riproporre
meccanismi del controllo centralizzato ed un ricaduta nel ritualismo burocratico.
2.3 Il quasi mercato
Il secondo modello del quasi mercato si differenzia dal primo perché tende a
restringere la sfera di regolazione politico-burocratica ed attribuire un ruolo
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cruciale alla domanda dell’utente-cliente, ossia la libera scelta delle scuole da
parte delle famiglie (Benadusi, Consoli, 2004). Si tende così a passare da una
logica di “autoregolazione” professionale ad una logica di partecipazione
dell’utente alla gestione della scuola costruendo un quasi-mercato dell’istruzione e
una sorta di competizione fra unità erogatrici del servizio.
I tratti più importanti che costituiscono il modello di quasi-mercato nella sfera
dell’istruzione sono:
Libertà d’iscrizione per gli utenti ;
Larga autonomia di gestione dei singoli istituti scolastici, dell’offerta
formativa e scelta delle risorse con le quali realizzarla ;
Finanziamento di base delle scuole secondo la regola della proporzionalità
al numero degli iscritti ;
Concorrenza tra le scuole nell’acquisizione di studenti basata su
differenziazioni del costo e della qualità dei servizi offerti;
Impiego flessibile delle risorse umane e attribuzione di incentivi legati alla
performance individuale e/o collettiva creando figure manageriali dotate di
capacità “quasi-imprenditoriali” ;
Le funzioni di regolazione affidate agli organi amministrativi pubblici
preposti al settore.
Con la realizzazione di queste condizioni si giunge ad accrescere l’efficacia e
l’efficienza dei servizi d’istruzione grazie agli stimoli derivanti dalla concorrenza
tra i produttori ed alla maggiore sensibilità dell’offerta alle preferenze espresse
dalla domanda (Benadusi, 1997).
Ma anche questo modello presenta delle pecche e per esempio potrebbe
incoraggiare fenomeni di segregazione sociale ed accademica, aumentando le
disuguaglianze tra un segmento di scuole ad alta qualità ed un segmento a qualità
bassa.
2.4 La rete
Il terzo ed ultimo modello di governanace della pubblica istruzione risponderebbe
alle esigenze proprie dell’autonomia la quale, rispetto ai precedenti, privilegia il
coordinamento, la cooperazione e l’integrazione fra i diversi attori di offerta
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(dirigenti scolastici ed insegnanti) e di domanda (gli studenti e le famiglie)
piuttosto che la competizione (Benadusi, Consoli, 2004).
Le reti, che in Italia sono state istituzionalizzate con il regolamento 275/1999,
possono costituirsi attraverso alleanze tra organizzazioni diverse, scuole ed Enti
locali pubblici e privati, per realizzare in comune un progetto o un’iniziativa e
possono essere informali o governate, a seconda se dipendono da un centro o
meno. Codesto modello si sposa maggiormente con il regolamento dell’autonomia
in Italia perché esso tende ad ancorare la scuola con i bisogni del territorio
attraverso la mappatura dell’offerta scolastica sul territorio con un potenziamento
degli enti politici locali. La rete, inoltre, sembra essere una forma organizzativa
dotata di notevole flessibilità nelle modalità di presa delle decisioni (prese
congiuntamente) degli attori ed adattabilità alle esigenze del territorio, siano esse
economiche e sociali, ma con poco spessore istituzionale anche perché gli Enti
locali non sembrano essere ben attrezzati a dialogare con il mondo della scuola,
come il modello richiede, con il rischio di ricadere in un nuovo centralismo
istituzionale (Benadusi, Consoli, 2004). Infatti, i provvedimenti che hanno
istituito e regolamentato l’autonomia attribuiscono alle scuole una certa “libertà
da”, almeno sul piano procedurale, ed una “libertà di” ma che non sono perseguite
per via delle nuove prescrizioni, degli “obblighi a”(Bendusi, Consoli, 2004).
2.5 I cambiamenti endogeni del sistema scuola
Nell’ambiente interno la scuola, che viene travolta dalla riforma della autonomia
scolastica, si trova ad affrontare la necessità di rivedere l’intreccio dei saperi
operando un riassetto dell’impianto pedagogico e del rapporto formazione-
apprendimento ed una riorganizzazione dei processi educativi volta ad ottenere
una maggiore efficacia ed efficienza del servizio alla luce delle macro-finalità
dell’istituzione scolastica che sono: 1) promozione dell’apprendimento e
potenziamento dei talenti per veicolare la costruzione dell’identità personale e la
realizzazione del sé; 2) creazione dell’occupabilità attraverso lo sviluppo di
competenze professionali che consentano l’inserimento non solo nel mondo
produttivo ma in ogni area della vita sociale; 3) promozione di cittadinanza
attraverso la formazione di una coscienza etica e civile a livello planetario
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