1INTRODUZIONE
1.1 La biometria delle impronte digitali
La biometria e` l’insieme di tecnologie che consentono il riconoscimento di
un individuo sulla base delle sue caratteristiche fisiche e comportamentali.
A differenza dei sistemi tradizionali, il riconoscimento biometrico non si
basa su oggetti posseduti (come una tessera magnetica) o conoscenze di-
mostrate (come una password), ma su tratti fisici e comportamentali propri
della persona.
Affinche` una tecnologia biometrica rappresenti una valida alternativa
ai sistemi tradizionali, pero`, deve possedere delle caratteristiche che la ren-
dano utilizzabile da tutte le persone ed essere sufficientemente sicura. A
seconda dello scenario in cui viene impiegata, inoltre, bisogna considerare
le performance del sistema e il livello di gradimento degli utenti.
Tra le caratteristiche biometriche di un’individuo, le impronte digitali
sono state le prime ad essere sfruttate e, al giorno d’oggi, sono ancora
le piu` utilizzate. L’impiego su larga scala di questo tratto biometrico e`
dovuto principalmente a tre fattori: in primo luogo, l’accuratezza otteni-
bile dal riconoscimento basato su impronta digitale e` sufficientemente el-
evata affinche` questa tecnica possa essere applicata anche in ambiti in cui
1
2 INTRODUZIONE
e` richiesta un’elevata sicurezza; secondariamente, la scansione di un’im-
pronta digitale e` relativamente veloce e poco invasiva; infine, i costi nec-
essari al suo impiego sono relativamente contenuti ed inferiori a quelli
richiesti da tecniche biometriche piu` sofisticate, come per esempio quelle
basate sull’iride.
1.2 Problematiche attuali e nuovi sviluppi
La grande maggioranza dei dispositivi utilizzati per la scansione delle im-
pronte digitali richiede la pressione del dito sul sensore. Il contatto tra dito
e superficie di acquisizione comporta una serie di problematiche, tra cui la
deformazione del dito, l’accumulo sul sensore di polvere e sporco presen-
ti sulle dita, la diffusione di malattie cutanee, la permanenza di impronte
latenti.
Le ricerche nel campo del riconoscimento biometrico basato su im-
pronte digitali sono sempre piu` orientate verso lo sviluppo di tecniche
che non prevedano il contatto del dito con il sensore. L’uso di tecnologie
con questa caratteristica permette di effettuare un’acquisizione piu` veloce,
assente da sporcizia, invariante alle condizioni del dito e non influenzata
dalla posizione e della forza esercitata sul sensore.
Esistono inoltre studi che sfruttano l’applicazione di tecniche di ri-
costruzione tridimensionale al fine di ottenere un modello virtuale del dito.
In questo modo e` possibile ottenere una rappresentazione globale del tratto
biometrico ed utilizzare l’intera area dell’impronta digitale per l’estrazione
delle caratteristiche, aumentando quindi l’accuratezza del sistema di ri-
conoscimento. I principali sistemi di ricostruzione tridimensionale disponi-
bili al giorno d’oggi sfruttano tecniche di ricostruzione tridimensionale
basate su luce strutturata e fusione di viste multiple.
IL LAVORO DI TESI 3
1.3 Il lavoro di tesi
Lo scopo di questa tesi e` stato il calcolo di modelli tridimensionali del dito e
dell’impronta digitale tramite tecniche basate su viste multiple di immagini
acquisite senza contatto del dito con un sensore. I modelli tridimensionali
sono stati elaborati in modo da essere confrontabili con immagini ottenute
da sensori tradizionali.
Il lavoro svolto e` suddivisibile in passi distinti. Dopo aver effettuato
la calibrazione delle fotocamere, le immagini acquisite in laboratorio sono
state elaborate al fine di estrarne le caratteristiche salienti, tra cui bordo del
dito, regione di interesse, orientamento e frequenza delle creste, posizione
di punti notevoli.
Le immagini sono state inoltre trattate con una serie di algoritmi volti
a renderle simili a quelle acquisite con sensori tradizionali. Le immagini
cosı` ottenute sono state utilizzate per l’estrazione delle caratteristiche del-
l’impronta digitale, tra cui la posizione delle minuzie ed il pattern delle
creste.
Le informazioni ottenute sono state utilizzate per la costruzione di
modelli tridimensionali. Gli approcci proposti sono due: il primo di es-
si si basa sulla triangolazione delle minuzie per ottenere una ricostruzione
discreta delle caratteristiche dell’impronta digitale. Il secondo approccio
prevede l’uso di punti notevoli estratti dalle immagini (per esempio il pun-
to di massima curvatura delle creste) per l’approssimazione di un vol-
ume tridimensionale, che viene completato con la sovrapposizione delle
immagini originali.
Infine, i modelli tridimensionali risultanti vengono elaborati per ot-
tenere immagini planari, le cui caratteristiche sono confrontabili con im-
magini ottenute tramite sensori tradizionali.
Le immagini utilizzate per lo studio e la valutazione degli algoritmi
sono state acquisite in laboratorio con condizioni di luce controllate e con
una distanza di circa 20 cm tra il dito ed il sensore. Per poter avere a
disposizione in tempi rapidi un dataset di immagini stereoscopiche com-
4 INTRODUZIONE
posto da acquisizioni di impronte digitali di numerosi individui diversi,
sono inoltre stati studiati metodi per la generazione di immagini multi-
ple sintetiche. Tali immagini sono stare realizzate ricreando virtualmente
un modello tridimensionale dell’impronta digitale a partire da immagini
acquisite tramite contatto.
Le immagini sintetiche sono state poi elaborate in modo da valutare
l’accuratezza dei sistemi di ricostruzione tridimensionale. I risultati hanno
permesso di confrontare le prestazioni biometriche dei modelli tridimen-
sionali ottenuti con quelle dei sistemi tradizionali.
L’elaborato di tesi e` suddiviso come segue: nel Capitolo 2 e` descritta
la calibrazione delle fotocamere di un sistema a viste multiple e lo sta-
to dell’arte delle tecniche di ricostruzione tridimensionali; nel Capitolo 3
e` presentato il confronto tra le tecniche biometriche basate su impronte
digitali tradizionali e le tecniche che operano senza il contatto tra dito e
sensore. Sono descritte, inoltre, le tecnologie per il calcolo di rappresen-
tazioni tridimensionali del dito. Nel Capitolo 4 sono presentati i metodi
proposti per l’elaborazione delle immagini, l’estrazione delle caratteris-
tiche dell’impronta digitale, la costruzione di modelli tridimensionali e la
trasformazione dei modelli tridimensionali in immagini planari.
Nel Capitolo 5 sono descritti i test effettuati ed i risultati ottenuti. Nel
Capitolo 6, infine, sono riassunte le conclusioni a cui ha portato il lavoro
svolto ed alcuni possibili sviluppi futuri.
2TECNICHE DI RICOSTRUZIONE
TRIDIMENSIONALE
In questo capitolo vengono trattate in modo sintetico le principali tecniche
di ricostruzione tridimensionale, ovvero i metodi utilizzati per generare
una rappresentazione tridimensionale virtuale di un oggetto fisico par-
tendo da immagini bidimensionali. Le tecniche descritte appartengono
a tre grandi categorie: luce strutturata, lama laser e tecniche basate su viste
multiple.
La maggior parte dei metodi proposti ha in comune i concetti di trian-
golazione, nuvola di punti e mesh:
• La triangolazione e` un procedimento che consente di determinare
la profondita` di un oggetto osservando la sua posizione da diverse
angolazioni.
• Una nuvola di punti e` un modello tridimensionale descritto da un
insieme di coordinate in uno spazio tridimensionale.
• Una mesh e` un insieme di vertici, spigoli e facce che definiscono la
forma di un oggetto poliedrico rappresentato in tre dimensioni.
5
6 TECNICHE DI RICOSTRUZIONE TRIDIMENSIONALE
Prima di prendere in esame queste tecniche viene proposta un’intro-
duzione ai concetti geometrici e matematici propri dell’acquisizione di im-
magini, oltre ad una descrizione dell’operazione di calibrazione dei dis-
positivi di acquisizione stessi.
2.1 Modello della fotocamera
Un modello geometrico di acquisizione di immagini, come spiegato in [1]
e [2], descrive come un oggetto reale (in tre dimensioni) sia proiettato su
un piano bidimensionale, cioe` mappato da uno spazio R3 ad uno spazio
Z2. La conoscenza di questo modello, ottenuta tramite il procedimento
di calibrazione, fornisce gli strumenti necessari per ottenere una rappre-
sentazione tridimensionale partendo da immagini bidimensionali, con un
procedimento inverso alla calibrazione.
Prima di trattare i parametri che descrivono il modello piu` comune-
mente utilizzato, e` necessario introdurre un modello semplificato, detto
pinhole model. Come illustrato in Figura 2.1, in questo modello la foto-
camera e` priva di lenti ed e` caratterizzata da una piccola apertura su una
superficie (pinhole plane). Cio` permette che un solo raggio luminoso possa
attraversare l’apertura per ogni punto dell’oggetto ed essere proiettato sul
piano dell’immagine (image plane).
Nel pinhole model, un punto di altezza X nello spazio tridimensionale e`
proiettato in un punto di altezza x sul piano dell’immagine bidimensionale
secondo la formula:
− x = f X
Z
, (2.1)
dove f e` la lunghezza focale della fotocamera, Z e` la distanza dell’ogget-
to dalla fotocamera e X e` l’altezza dell’oggetto. Il valore negativo nell’e-
quazione 2.1 descrive il fatto che la proiezione di un oggetto risulta essere
inversa rispetto alla profondita` reale dell’oggetto stesso.
Tramite astrazione matematica, e` possibile eliminare il segno negativo
MODELLO DELLA FOTOCAMERA 7
Figura 2.1: Pinhole model
Figura 2.2: Pinhole model semplificato
dall’equazione 2.1, ottenendo:
x = f X
Z
. (2.2)
L’equazione 2.2 descrive il modello semplificato mostrato in Figura 2.2.
8 TECNICHE DI RICOSTRUZIONE TRIDIMENSIONALE
In questa semplificazione del pinhole model, il punto di intersezione tra
il piano dell’immagine (image plane) e l’asse ottico (optical axis) e` chiamato
punto principale (principal point). Nelle fotocamere reali il punto princi-
pale non coincide necessariamente con il centro del piano dell’immagine
perche´ cio` richiederebbe una precisione micrometrica nel posizionamen-
to dell’elettronica situata dietro alla lente della fotocamera. E` dunque
possibile migliorare l’accuratezza del modello precedentemente descritto
tramite l’ausilio di due parametri, chiamati cx e cy, che descrivono lo scosta-
mento del punto principale rispetto all’asse ottico. Un punto tridimension-
ale di coordinate Q = (X, Y, Z) e` proiettato su un piano bidimensionale
nel punto di coordinate q = (x, y) secondo le equazioni:
x = fx
X
Z
+ cx , y = fy
Y
Z
+ cy , (2.3)
dove fx e fy sono le lunghezze focali relative all’asse delle ascisse e delle
ordinate. Non e` possibile utilizzare un solo parametro per la descrizione
della lunghezza focale in quanto i pixel non rappresentano aree perfetta-
mente quadrate. I valori fx e fy sono dati dal prodotto tra la lunghezza
focale F e le dimensioni sx e sy degli elementi fisici: fx = Fsx e fy = Fsy.
La relazione che mappa i punti dello spazio sull’immagine e` detta
trasformazione proiettiva (projective transform). Per esprimerla, e` necessario
introdurre il concetto di coordinate omogenee, descritte da un vettore di
(n + 1) elementi, dove n rappresenta il numero di dimensioni. Un vettore
di coordinate bidimensionali (x, y), ad esempio, e` rappresentabile tramite
coordinate omogenee in un vettore di 3 elementi q = (q1, q2, q3):
q =
q1
q2
q3
=
x
y
1
. (2.4)
Le coordinate effettive sono ricavabili tramite:
p = (x, y) =
(
q1
q3
,
q2
q3
)
. (2.5)
MODELLO DELLA FOTOCAMERA 9
I parametri finora trattati consentono di definire la matrice descrittiva dei
parametri propri della fotocamera (matrice intrinseca M):
M =
fx α fx cx
0 fy cy
0 0 1
, (2.6)
in cui α definisce l’angolo tra gli assi x e y dell’immagine. Tramite questa
matrice, i punti bidimensionali vengono calcolati secondo l’equazione:
q = MQ , (2.7)
dove q rappresenta le coordinate omogenee del punto nel piano bidimen-
sionale e Q rappresenta le coordinate del punto nello spazio tridimension-
ale.
Nella realta`, la luce che attraversa il pinhole non e` sufficiente all’acqui-
sizione di immagini di buona qualita`. Al fine di ovviare al problema e
concentrare un maggiore quantitativo di luce su un singolo punto, le foto-
camere utilizzano delle lenti. Le lenti, pero`, introducono distorsione nelle
immagini. E` possibile distinguere due categorie di distorsione: radiale e
tangenziale.
La distorsione radiale e` dovuta al fatto che le lenti filtrano maggior-
mente la luce nelle zone ai bordi dell’area di acquisizione (Figura 2.3).
Questa distorsione e` generalmente di piccola entita` e puo` essere model-
lata tramite un espansione in serie di Taylor nell’intorno di r = 0, dove r e` la
distanza dal centro dell’area di acquisizione. E` quindi possibile correggere
la posizione del punto sul piano dell’immagine tramite la formula:
xrad = x(1 + k1r2 + k2r4 + k3r6) ,
yrad = y(1 + k1r2 + k2r4 + k3r6) , (2.8)
dove k1, k2 e k3 rappresentano i coefficienti di distorsione, che variano a
seconda della fotocamera.