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Il quadro normativo
1.1 Dal codice del 1942 alla legge sul divorzio
Il 26 gennaio 2006, con il si al disegno di legge n.3537, da parte
della Commissione Giustizia della Camera in sede deliberante, diviene
legge il cd. affidamento condiviso, riforma da molti considerata come
una vera e propria rivoluzione copernicana. In sostanza, quello che si
afferma è il principio della “bigenitorialità”, intesa quale diritto del figlio
ad un rapporto completo e stabile non con uno ma con entrambi i
genitori, sulla base dell’incontestabile verità che si resta genitori per
tutta la vita nonostante il venir meno del vincolo matrimoniale, e ciò
anche laddove la famiglia attraversi una fase patologica, con
conseguente disgregazione del legame sentimentale e talvolta anche
giuridico tra i genitori conviventi1.
Rivolgendo uno sguardo al passato piuttosto recente è possibile
notare come il codice del 1942, che stabiliva il principio
dell’indissolubilità del matrimonio, ammetteva la separazione solo in
caso di colpa di uno dei coniugi, con conseguente affidamento dei figli al
cd. coniuge “senza colpa”2. In questo modo, la personalità dei coniugi e
la loro condotta durante il matrimonio costituivano il principale criterio
che guidava il giudice nella scelta del genitore idoneo ad educare i figli.
In sostanza, i coniugi potevano fare ricorso alla separazione solo in
1 Selene Pascasi, Il nuovo Affido Condiviso, risvolti pratici, www.altalex.com.
2 Gaetana Bernabò Distefano, magistrato, L’art 155 c.c.,
www.affidamentocondiviso.it.
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presenza di gravi comportamenti lesivi dei doveri nascenti dal
matrimonio da parte di uno o di entrambi. I coniugi potevano separarsi
solo nelle ipotesi predeterminate e tipiche legislativamente previste
dell’adulterio della moglie o del marito, oppure se uno dei due coniugi
avesse abbandonato il tetto coniugale ovvero tenuto comportamenti
minacciosi o gravemente ingiuriosi o eccessivi, configuranti la cd.
“crudeltà mentale”. La giurisprudenza che si era formata prevedeva il
sistematico affido alla madre dei figli, specie i più piccoli, salvo che la
separazione fosse stata pronunciata per sua colpa, e in particolare a
causa del suo adulterio, con la conseguenza che il giudizio negativo
sulla condotta e sulla personalità della moglie responsabile del
fallimento del matrimonio convergeva nell’apprezzamento altrettanto
negativo circa la sua idoneità al compito educativo.
Circa trenta anni dopo, con l’entrata in vigore della legge n. 898
del 1970, cd. legge sul divorzio, cade il principio dell’indissolubilità del
matrimonio: esso non è più una scelta irrevocabile, ma diventa
un’esperienza suscettibile di essere interrotta e ripresa con un’altra
persona. Si delinea un nuovo assetto circa l’affidamento della prole in
quanto il profilo da privilegiare è quello della tutela dell’interesse morale
e materiale dei figli. In tal modo si prendono le distanze da quello che
era il criterio utilizzato nell’individuazione del genitore più adatto alla
cura dei figli ovvero il giudizio sul rispetto o meno dei doveri coniugali. I
suoi effetti sono talmente dirompenti nel costume, nella mente e nel
cuore degli italiani che, a nemmeno cinque anni dalla sua approvazione
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il legislatore si accorge che i tempi sono maturi per l’attuazione
dell’articolo 29 cost.,3 per il quale la famiglia deve essere fondata
sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
1.2 Dalla riforma del diritto di famiglia alla nuova legge
sull’affidamento condiviso
La materia cambia ancora con la legge n.151 del 21 maggio
1975, di riforma al diritto di famiglia, in cui la separazione non è più
configurata in termini di colpa, ma secondo i parametri
dell’intollerabilità della convivenza, quindi, come rimedio ad una
situazione di fallimento della vita coniugale. Si ha una trasformazione
radicale degli istituti che regolano la famiglia, in tutti i suoi aspetti –
relazionali, personali, economici, sostanziali – a partire dalla
rivisitazione della donna, moglie e madre, dei suoi rapporti con i figli, e
di quelli con il marito che non è più il “capo famiglia”, tenuto conto che
“ con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti ed
assumono i medesimi doveri”(art 143c.c.) ed entrambi sono titolari della
potestà sui figli minori. Con la riforma dell’art. 151 c.c. appare evidente
come il legislatore abbia adoperato una formula aperta in cui vanno
ricomprese anche tutte quelle situazioni, incolpevoli e non (malattia
mentale, tossicodipendenza, alcolismo), che oggettivamente e
3 Art 29 Cost.: La repubblica riconosce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con
i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
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soggettivamente rendono intollerabile ai coniugi la prosecuzione della
convivenza oppure si pongono come pregiudizievoli per l’educazione dei
figli. Per la prima volta si parla di fatti suscettibili di arrecare grave
pregiudizio all’educazione della prole, sulla quale entrambi i genitori
esercitano la potestà. Le eventuali colpe rilevano solo sotto il profilo
dell’addebitabilità e non influiscono sull’affidamento della prole,
affidamento di cui si occupano l’art 6 della legge 898/19704 e l’articolo
4 Art 6 “1. L'obbligo, ai sensi degli articoli 147 e 148 del codice civile, di
mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia
stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili, permane anche nel
caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori. 2. Il tribunale che
pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dichiara a
quale genitore i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole
con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Ove il tribunale lo
ritenga utile all'interesse dei minori, anche in relazione all'età degli stessi, può essere
disposto l'affidamento congiunto o alternato. 3. In particolare il tribunale stabilisce la
misura ed il modo con cui il genitore non affidatario deve contribuire al
mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio
dei suoi diritti nei rapporti con essi. 4. Il genitore cui sono affidati i figli, salva diversa
disposizione del tribunale, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve
attenersi alle condizioni determinate dal tribunale. Salvo che non sia diversamente
stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i
genitori. Il genitore cui i figli non siano affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla
loro istruzione ed educazione e può ricorrere al tribunale quando ritenga che siano
state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. 5. Qualora il genitore
affidatario non si attenga alle condizioni dettate, il tribunale valuterà detto
comportamento al fine del cambio di affidamento. 6. L'abitazione nella casa familiare
spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono
oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le
condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più
debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi
dell'art. 1599 del codice civile. 7. Il tribunale dà inoltre disposizioni circa
l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi in cui l'esercizio della potestà sia
affidato ad entrambi i genitori, circa il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto
legale. 8. In caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori,
il tribunale procede all'affidamento familiare di cui all'art. 2 della legge 4 maggio 1983,
n. 184. 9. Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo
per il loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell'accordo fra le parti: i
provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro
accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti
d'ufficio dal giudice, ivi compresa, qualora sia strettamente necessario anche in
considerazione della loro età, l'audizione dei figli minori. 10. All'attuazione dei
provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, e, nel
caso previsto dal comma 8, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di
affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare. 11. Nel
fissare la misura dell'assegno di mantenimento relativo ai figli il tribunale determina
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155 del codice civile5 che hanno la medesima ratio e tendenzialmente
anche il medesimo contenuto.
L’identità di previsioni nelle due disposizioni è data
dall’individuazione di un criterio unico alla cui stregua disciplinare i
rapporti genitori-figli: quello del superiore interesse della prole. Sulla
base di queste due disposizioni, infatti, il giudice decide sull’affidamento
tenendo presente l’interesse morale e materiale dei figli. In entrambi i
anche un criterio di adeguamento automatico dello stesso, almeno con riferimento agli
indici di svalutazione monetaria. 12. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è
obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto
cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al
risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la
difficoltà di reperire il soggetto.
5 «Art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli). Anche in caso di separazione
personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato
e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da
entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice
che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla
prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta
prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori
oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità
della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con
cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e
all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi
intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore
interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di
comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle
aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può
stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede
al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice
stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di
realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:1) le attuali
esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con
entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse
economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di
cura assunti da ciascun genitore.L’assegno è automaticamente adeguato agli indici
ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le
informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente
documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e
sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».
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casi l’affidamento è inteso quale “riorganizzazione di un modello di
comunità familiare in cui il minore possa venire educato e realizzare il
proprio diritto alla formazione ed alla crescita della sua personalità”6.
Tali disposizioni prevedono un affidamento di tipo
“monogenitoriale”, per cui il figlio viene affidato al genitore considerato
più idoneo a favorirne il pieno sviluppo della personalità, dotandolo di
“potestà esclusiva” circa l’educazione, l’istruzione e la cura. All’altro
genitore è riservata una potestà congiunta per quanto riguarda le
decisioni di maggiore interesse per il figlio e la possibilità di continuare
a vigilare sull’istruzione ed educazione del figlio, con ricorso al giudice
nell’eventualità lamenti un suo pregiudizio. Vengono altresì fissate le
modalità del cd. “diritto di visita”, con prassi variabili da un tribunale
all’altro, ma sostanzialmente riconducibili ad uno o due incontri
settimanali con il genitore non affidatario e a weekend, vacanze
natalizie, pasquali ed estive alternate tra i due genitori.
Da un punto di vista economico, l’affidamento ad un solo
genitore comporta la previsione di un assegno di mantenimento a carico
del genitore non affidatario, finalizzato alla contribuzione al
mantenimento dei figli e del loro alloggio, rappresentato, nella maggior
parte dei casi, dalla casa coniugale che, in ragione dell’affidamento,
viene assegnata al coniuge affidatario.
Come detto, quindi, il vecchio articolo 155 c.c. non citava i
genitori, ma si limitava ad affermare, in caso di separazione tra i
6 L’Affidamento Condiviso, www.gesef.it.
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coniugi, a quale dei due andasse affidato il figlio ed ogni altro
provvedimento relativo alla prole “con esclusivo riferimento all’interesse
morale e materiale di essa”, specificando, al secondo comma, che il
giudice “stabilisce la misura e il modo in cui l’altro coniuge deve
contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli,
nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi”.
Se questo è quanto previsto dalla carta, diversa è la realtà
quotidiana delle aule di giustizia, ove quello che era nato come
affidamento monogentoriale, diviene affido quasi “esclusivo” alla madre,
come dimostrano le indagini Istat svolte in Italia nell’anno 2000, dalle
quali si evince che la percentuale di affidamento alla madre sfiora
l’86,7% dei casi.
Eppure la nostra Costituzione all’articolo 307 sancisce il diritto-
dovere di entrambi i genitori di mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori dal matrimonio; allo stesso modo gli articoli 98 e 189
7 Art 30 Cost.: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i
figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge
provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal
matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della
famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.
8 Art 9 Convenzione di New York: “1 Gli Stati Parti vigilano affinché il fanciullo
non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità
competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le
leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse
preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in
taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattano e trascurano il
fanciullo oppure se vivono separati e una decisione debba essere presa riguardo al
luogo di residenza del fanciullo. 2 In tutti i casi previsti al paragrafo 1 del presente
articolo, tutte le parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle
deliberazioni e di far conoscere le proprie opinioni. 3 Gli Stati Parti rispettano il diritto
del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere
regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno
che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo. 4 Se la separazione è il
risultato di provvedimenti adottati da uno Stato Parte, come la detenzione,
l’imprigionamento, l’esilio, l’espulsione o la morte (compresa la morte, quale che ne sia
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della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che l’Italia fa
propri con la legge di ratifica n.176 del 1991 , ribadiscono “…il diritto
del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di
intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con
entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse
preminente del fanciullo”.
E ancora si ricordano la Risoluzione dell’Unione europea per una
Carta europea dei Diritti del fanciullo (1992), la Convenzione europea
sul’esercizio dei diritti dei bambini, adottata a Strasburgo il 25 gennaio
1996, la quale prevede, fra l’altro, l’audizione del minore nelle
controversie che possano in qualche modo riguardarlo e il regolamento
CEE n. 2201\03 in vigore dal 1\3\2005 in tema di “responsabilità
genitoriale”.
Una sempre maggiore valorizzazione di tali principi, unita alla
consapevolezza che le conseguenze negative derivanti ai figli dalla
la causa, sopravvenuta durante la detenzione) di entrambi i genitori o di uno di essi, o
del fanciullo, lo Stato Parte fornisce dietro richiesta ai genitori, al fanciullo oppure, se
del caso ad un altro membro della famiglia, le informazioni essenziali concernenti il
luogo dove si trovano il familiare o i familiari, a meno che la divulgazione di tali
informazioni possa mettere a repentaglio il benessere del fanciullo. 5 Gli Stati Parte
vigilano inoltre affinché la presentazione di tale domanda non comporti di per sé
conseguenze pregiudizievoli per la persona o per le persone interessate”.
9 Art 18 Convenzione di New York: “1 Gli Stati Parti faranno del loro meglio
per garantire il riconoscimento del principio comune secondo il quale entrambi i
genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del
fanciullo ed il provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo e di
provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori oppure, se del caso ai
genitori del fanciullo oppure, se del caso ai suoi rappresentanti legali i quali devono
essere guidati principalmente dall’interesse preminente del fanciullo. 2 Al fine di
garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente Convenzione, gli Stati Parti
accordano gli aiuti appropriati ai genitori e ai rappresentati legali del fanciullo
nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono
alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del
fanciullo. 3 Gli Stati Parti adottano ogni appropriato provvedimento per garantire ai
fanciulli i cui genitori lavorano, il diritto di beneficiare dei servizi e degli istituti di
assistenza all’infanzia, per i quali essi abbiano i requisiti necessari”.
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disgregazione del nucleo familiare sono accentuate dall’accesa
conflittualità che spesso caratterizza la decisione dei genitori di vivere
separati, ha indotto ad interrogarsi sulle possibilità di praticare, nelle
scelte sulla tipologia di affidamento, strade alternative rispetto a quella
tradizionale dell’affidamento in via esclusiva ad uno solo dei genitori. E
così, sulla scorta dell’esperienza americana e di quella di alcuni paesi
europei, sono stati introdotti anche nel nostro ordinamento, ma solo per
le ipotesi di divorzio, i due istituti dell’affidamento congiunto e
alternato, i quali hanno però mostrato molti limiti derivanti, in parte,
dalle rigorose condizioni di applicabilità. Tralasciando l’affidamento
alternato, scarsamente praticato nella prassi giudiziaria poiché ritenuto
responsabile di un sistema di vita tale da compromettere l’equilibrio del
minore, privandolo di uno stabile ambiente familiare, maggiore successo
ha riscosso l’affidamento congiunto. Esso è stato ritenuto una valida
alternativa al tradizionale affidamento monogenitoriale, in un’ottica di
condivisione per i coniugi separati o divorziati delle comuni
responsabilità educative riguardo ai figli. Con esso si supera la regola
per cui l’esercizio della potestà sui figli è attribuito ad uno soltanto dei
genitori con la possibilità per l’altro di intervenire solo sulle decisioni di
maggiore interesse; la presenza più incisiva di entrambe la figure
genitoriali nella vita del figlio, che comunque continuerebbe a coabitare
con uno dei due, assicurerebbe la sua crescita sulla base di un unico e
concorde progetto educativo.