1.1 DALLE ORIGINI AL SECONDO DOPOGUERRA
I primi segni di presenza umana lungo le rive del Tamigi risalgono a tempi molto antichi,
nettamente precedenti l‟arrivo dell‟esercito Romano. Si tratta di popolazioni indigene, in movimento
dalle zone più occidentali dell‟isola, e probabilmente anche delle prime popolazioni di origine celtico-
germanica, provenienti dalla costa opposta della Manica. Bisogna però attendere l‟arrivo dei Romani,
nel 54 a.C., per poter assistere alla nascita ed allo sviluppo di veri e propri centri urbani sul territorio
britannico. Dopo nemmeno un secolo la presenza romana sull‟isola è ampiamente consolidata, su un
territorio che corrisponde all‟incirca a quello dell‟attuale Inghilterra. Il controllo su tale area è reso
possibile dalla presenza di numerosi centri urbani, collegati da una capillare rete di strade e da
consistenti relazioni commerciali.
La città di Londra, fondata all‟intersezione delle più importanti vie di comunicazione dell‟isola,
può già essere annoverata tra le principali città della Britannia. Le motivazioni di tale rapido sviluppo
vanno ricercate nelle peculiari caratteristiche del sito in questione, particolarmente adatto
all‟insediamento urbano ed allo sviluppo di attività commerciali: innanzitutto esso è facilmente
accessibile dal mare, essendo in prossimità dell‟ampio estuario del Tamigi; si colloca inoltre dopo una
profonda ansa del fiume che ne riduce, anche se non neutralizza, gli effetti dannosi dell‟acqua sugli
insediamenti costieri. Si consideri poi come la particolare conformazione del terreno, unita ad un
relativo restringimento del fiume, renda decisamente meno difficoltosa la costruzione di un ponte,
essenziale, oltre che per mettere in comunicazione le due sponde, per collegare il traffico marittimo e
fluviale con quello terrestre.
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E‟ inevitabile che in breve tempo inizino a concentrarsi su Londra tutti i principali traffici da e
per l‟Inghilterra. Da qui prendono origine le strade per ogni altra città dell‟isola, dal suo porto le rotte
marittime per il Mare del Nord, per i porti sul Reno e sulle coste della Gallia e, attraverso la Manica, per
la Spagna ed il Mediterraneo. Intorno all‟anno 100 d.C. la capitale amministrativa, militare e finanziaria
della provincia romana della Britannia viene trasferita da Camulodunum (l‟attuale Colchester) a
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Londinium: da allora la sua supremazia sull‟isola non è più stata messa in discussione.
Tale sviluppo è però destinato ad interrompersi nel IV-V secolo d.C., quando le popolazioni
germaniche degli Angli, Sassoni e Juti espellono definitivamente i Romani dall‟isola. Nucleo centrale
della loro vita sociale è il piccolo villaggio, attorno a cui si stabiliscono in piccoli gruppi. Le grandi
strade costruite dai Romani non sono più utilizzate e le città di fondazione romana, abbandonate, cadono
rapidamente in rovina. E‟ necessario attendere l‟arrivo dei Danesi, nel 991 d.C., e dei Normanni, nel
1066 d.C., perché i centri urbani possano riacquistare un ruolo centrale all‟interno della società inglese.
Tali popolazioni infatti, fortemente orientate alla navigazione ed al commercio, cominciano ad includere
nei loro circuiti commerciali le isole britanniche, collegandole stabilmente all‟Europa continentale. E‟ in
particolare la città di Londra a beneficiare della partecipazione dell‟Inghilterra ai regni danese e
normanno, potendo così sviluppare le prime relazioni commerciali con le più evolute regioni
nordeuropee (Francia, Fiandre, Danimarca e altri paesi scandinavi), oltre che riaffermarsi quale centro
politico e commerciale dell‟isola. Nel 1100 Londra è una delle poche città europee a superare i ventimila
abitanti, assieme ad Amburgo, Anversa, Colonia, Bruges, Parigi, Rouen, Venezia e Genova.
Nel X-XI secolo i centri urbani possono svilupparsi nuovamente su tutto il territorio inglese,
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Barker F. & Jackson P., London: 2000 years of a city and its people. La definitiva consacrazione del ruolo ormai acquisito
dalla città risale agli ultimi decenni del I secolo d.C., quando lo stesso Tacito la descrive come una città „piena di
commercianti e celebrato centro d‟affari‟.
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spesso in prossimità dei siti delle vecchie città romane che, oltre ad essere in genere localizzate in aree
particolarmente adatte, permettono di avere una buona disponibilità di materiale da costruzione. E‟
facile notare come in gran parte si tratti di località situate sulla costa o lungo il corso dei fiumi, che
basano la propria ricchezza sullo sviluppo portuale e commerciale: in un‟epoca in cui le strade sono
inaffidabili e pericolose, oltre che poco numerose, diventa infatti di fondamentale importanza l‟uso delle
comunicazioni marittime e fluviali fin dove possibile; basilare diventa allora il perfezionamento delle
tecniche di navigazione e la conoscenza delle maree, che permette alle imbarcazioni dell‟epoca di
addentrarsi nel territorio e di raggiungere così le località ed i mercati principali. Grazie alla doppia
posizione di Guglielmo il Conquistatore, quale Duca di Normandia e re d‟Inghilterra, si sviluppa uno
stretto legame commerciale tra Inghilterra e Francia Settentrionale. Vengono poi consolidate le relazioni
con le Fiandre e la Germania settentrionale, anche grazie al matrimonio di Guglielmo il Conquistatore
con Matilde di Fiandra. Risalgono a tale periodo le prime immigrazioni di artigiani e tessitori
fiamminghi che, trovando nell'area di Londra una collocazione ottimale per i propri traffici, danno il loro
importante contributo allo sviluppo dell'industria tessile inglese. Numerosi mercanti inoltre, già operanti
nelle maggiori città dell‟Europa continentale, preferiscono trasferire a Londra le proprie attività, al
seguito della spedizione del Conquistatore. Qui viene stabilita la Zecca, dopo un lungo periodo di tempo
in cui la monetazione veniva praticata in un gran numero di città: è questo uno dei motivi per cui a
Londra comincia a evidenziarsi una concentrazione di mercanti e banchieri, alcuni dei quali incaricati di
cambiare la moneta locale con quella di altre regioni e stati.
Va tuttavia rilevato come tale sviluppo commerciale, seppure accompagnato da un progressivo
consolidamento interno, sia in realtà carico di notevoli squilibri: la politica espansionistica attuata finora,
soprattutto a spese dei territori francesi, deve arrestarsi nel corso della prima metà del XV secolo, man
mano che la Francia comincia ad assumere i caratteri di una nazione unitaria (il crollo definitivo della
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potenza inglese in Francia avviene nel 1453, con la conclusione della guerra dei Cento Anni). La cronica
mancanza di finanze della Corona inglese può essere soltanto in minima parte attenuata dall‟imposizione
di nuovi tributi (la loro entità è necessariamente limitata, essendo sempre subordinati all‟approvazione
del Parlamento) o dall‟espropriazione di beni ecclesiastici (risale al 1534 l‟Atto di Supremazia, che
riconosce nel re, anziché nel papa, il capo della Chiesa d‟Inghilterra). Tale situazione danneggia
soprattutto i mercanti inglesi che, alla ricerca di nuovi mercati per la propria lana, e più in generale di
nuove occasioni di guadagno, sono di fatto obbligati a rivolgere una crescente attenzione alle terre
d‟oltreoceano: ogni sbocco sembra però precluso, essendo le rotte commerciali del tempo monopolio
esclusivo delle flotte spagnole e portoghesi, e non essendo ancora la flotta inglese sufficientemente
numerosa per competere con esse. Le navi inglesi, più veloci e dotate di una migliore artiglieria,
cominciano allora ad intercettare sistematicamente i galeoni spagnoli provenienti dall‟America,
derubandoli delle ingenti quantità di metalli preziosi destinati alla Spagna. Notevoli capitali vengono
investiti nell'armamento di navi corsare, e la Corona stessa disciplina e protegge tale attività, che le
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consente di mantenere in pareggio le proprie finanze.
La Spagna di Filippo II, già indebolita dalle rivolte dei Paesi Bassi, è costretta a dichiarare guerra
all‟Inghilterra, nel disperato tentativo di sottometterla al proprio dominio; ma nel 1587 la cosiddetta
Invincibile Armata viene dapprima fortemente danneggiata a Cadice (dove si stava concentrando e
armando) da un attacco a sorpresa della flotta corsara di Drake; l‟anno successivo, salpata da Lisbona
con l‟incarico di raccogliere truppe nelle Fiandre per poi sbarcarle in Inghilterra, sarà sbaragliata nella
Manica dalla flotta inglese, segnando così il declino irreversibile della Spagna quale potenza coloniale.
Lo sviluppo della potenza commerciale e marittima inglese può così procedere senza
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La regina mette a disposizione dei pirati i porti inglesi ed i marinai della flotta da guerra, e talvolta investe essa stessa
denaro nelle imprese che si vengono preparando, diventando compartecipe dei profitti ottenuti. Francis Drake, il più noto tra i
pirati di quest‟epoca, e quello che riesce ad infliggere le maggiori umiliazioni alle flotte spagnole, riceve dalla regina
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interruzioni, anche se con modalità e caratteristiche sostanzialmente autonome all‟interno del panorama
europeo: infatti, nel XV secolo, Spagna e Portogallo hanno potuto costruire i loro enormi imperi
coloniali (rispettivamente in America e in Asia) nell‟ambito di una precisa politica espansionistica
sostenuta dalle monarchie spagnola e portoghese. Lo stesso avverrà con lo Stato assoluto francese, nel
XVII secolo, grazie alla netta superiorità militare del proprio esercito. La monarchia inglese invece era
ancora troppo occupata, nelle epoche Tudor e Stuart, a costruire la propria identità nazionale ed a
consolidare la propria situazione interna per poter finanziare e sostenere attivamente una politica
espansionistica. Quando ugualmente questa è stata tentata, soprattutto con Enrico VIII, l‟unico risultato è
stato quello di condurre il paese sull‟orlo della rovina finanziaria, e di inasprire notevolmente le
relazioni tra Corona e Parlamento. La prima colonizzazione inglese risulta perciò prevalentemente dalle
iniziative private di mercanti inglesi, alla ricerca di nuovi mercati per i propri prodotti o di territori ricchi
di risorse naturali. E‟ del 1600 la nascita della East India Company, costituita con i capitali di un
centinaio di mercanti londinesi, e con il supporto della Corona, che di fatto sancisce una dichiarazione di
guerra commerciale ai monopoli sinora esercitati da Spagna, Olanda e Portogallo. Non si fa attendere a
lungo la risposta dei mercanti olandesi: nel 1602 viene fondata la Compagnia Olandese delle Indie, che
nei secoli successivi sarà la grande rivale della East India Company londinese.
Bisogna però aspettare la Restaurazione del 1660 perché il potere reale cominci a interessarsi
veramente al nascente impero coloniale e ad imporre legami sempre più stretti alle colonie
d‟oltreoceano. Ciò è legato al grande sviluppo della produzione manifatturiera (soprattutto relativamente
alla fabbricazione di vetro e sapone ed ai settori tessile e conciario), la quale richiede crescenti quantità
di combustibile in un periodo in cui il combustibile tradizionale, cioè il legname, è sempre più raro sul
territorio inglese. Si sviluppano i primi investimenti nelle miniere di carbone, finora impediti dal fatto
addirittura il titolo nobiliare per le imprese compiute.
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che la scarsa quantità di carbone vendibile non permetteva di recuperare, attraverso le vendite, il capitale
investito. A differenza che in passato, la carenza di legname non si traduce più in una crisi economica e
demografica ma, al contrario, in un ulteriore incremento della produzione: le dimensioni del fenomeno
sono tali da rendere, per la prima volta, economicamente conveniente l‟estrazione del carbone ed il suo
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utilizzo come combustibile, con effetti rivoluzionari sull‟apparato produttivo inglese.
E‟ in tale periodo che si sviluppano i porti di Newcastle e Cardiff, cui affluisce la produzione
carbonifera rispettivamente del Northumberland e del Galles. Non è casuale che i primi due porti inglesi
del XVII secolo siano Bristol e Londra, verso cui si dirigono in larga misura le navi carboniere. E‟
particolarmente rilevante il traffico che collega Newcastle al Tamigi per soddisfare il crescente
fabbisogno di combustibile dell‟area di Londra, in cui la carenza di legname è divenuta pressoché totale
nel corso del XVII secolo: da sola tale città arriverà ad assorbire, per riscaldamento domestico e per
alimentare le numerose fabbriche localizzate all‟interno ed in prossimità dell‟area urbana, i due quinti
dell‟intera produzione carbonifera inglese.
I porti e la flotta commerciale del regno ricevono in questo periodo un impulso notevole,
ponendo le basi per uno sviluppo senza precedenti del commercio internazionale dell'Inghilterra: in circa
vent‟anni le importazioni crescono del 30% (soprattutto relativamente a tabacco, zucchero e tessuti di
seta) e le esportazioni, non più limitate alla lana ma estese anche a birra, grano e tabacco riesportato,
quasi del 50%. Ciò permette, per la prima volta, di pareggiare il passivo che si era determinato nella
bilancia commerciale inglese nei secoli precedenti. Tale sviluppo commerciale va inoltre collegato ad
una politica governativa di tipo mercantilista, basata sul principio per cui il dominio del commercio
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Bontempelli M.-Bruni E., Storia e Coscienza Storica (pag. 330). Nella contea del Northumberland, dove avvengono i
maggiori investimenti capitalistici nel settore carbonifero, la produzione annua di carbone, che era di poco più di 50 mila
tonnellate all‟epoca della regina Elisabetta, alla fine del XVII secolo arriva a sfiorare il milione e mezzo di tonnellate; le
tradizionali aree carbonifere del Galles e delle Midlands nordoccidentali passano, nello stesso periodo, da una produzione
annua di 100 mila tonnellate ad una di più di un milione di tonnellate di carbone.
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internazionale, in quanto fonte di notevoli entrate per le finanze pubbliche, garantisce il potere e la
solidità del governo e, tramite questi, il benessere e la ricchezza di una nazione. In Inghilterra vengono
aboliti tutti i dazi interni, viene sancita la completa libertà di commercio, viene tolto ogni limite
all‟esportazione di grano e di manufatti mentre vengono posti rigorosi divieti all‟esportazione di materie
prime (soprattutto della lana grezza). Analogamente, la tassazione sarà lieve sulle importazioni di
materie prime e molto elevata su quelle di prodotti finiti e manufatti, allo scopo di favorire la produzione
interna e la vendita di prodotti finiti, nettamente più redditizia della vendita di materie prime o
semilavorati. Nel 1651 viene poi emanato il cosiddetto Navigation Act: per colpire il monopolio
olandese del traffico marittimo, esso vieta l‟accesso ai porti inglesi delle navi mercantili che non fossero
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inglesi oppure del paese di provenienza delle merci. L‟Inghilterra però non è ancora in grado di
sostituirsi all‟Olanda nell'assicurare il regolare svolgimento di tutto il traffico marittimo da e verso i
propri porti, data la netta inferiorità numerica della propria flotta rispetto a quella olandese, obbligandola
perciò a posticipare l‟effettiva applicazione del Navigation Act di una decina di anni. Quando questa
avviene, nel 1664, all‟Olanda non rimane che aprire le ostilità contro l‟Inghilterra. Tale guerra si
conclude nel 1666 con una completa vittoria olandese. L‟Olanda tuttavia, minacciata dall‟espansionismo
della Francia verso le Fiandre, e dal protezionismo da essa imposto alle merci straniere, è stata costretta
a risolvere con la massima rapidità la questione inglese, per poter poi fronteggiare adeguatamente la
minaccia francese. Per tale motivo le condizioni di pace per l‟Inghilterra sono state decisamente miti, e
non hanno minimamente intaccato lo sviluppo commerciale e capitalistico da essa raggiunto fino a quel
momento.
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Brodey K., History of England (pag. 48). Viene poi imposto che tutti i traffici commerciali tra Inghilterra e colonie debbano
avvenire con navi inglesi; che tutti i beni provenienti da paesi stranieri e diretti alle colonie passino attraverso uno scalo in
Inghilterra; che alcuni beni particolari (cotone, riso, tabacco, spezie) debbano comunque essere imbarcati in Inghilterra,
indipendentemente dalla destinazione; è infine permesso il commercio tra colonie, dietro pagamento delle relative tasse
doganali e dietro deposito di una somma di denaro, a garanzia che, se uno di tali beni sarà nuovamente imbarcato, la
destinazione sarà un porto inglese.
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Nel Settecento il predominio coloniale dell‟Inghilterra sulle altre nazioni europee sembra
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ampiamente consolidato. Risale a quest‟epoca lo sviluppo di una rete stradale capillarmente diffusa sul
territorio, eliminando così una delle maggiori strozzature del sistema produttivo inglese del XVIII
secolo: si consolida il collegamento tra città portuali litoranee ed i mercati interni, permettendo un
approvvigionamento sempre più rapido e sicuro dei centri urbani.
Nella seconda metà del secolo si intensifica la costruzione di canali navigabili che, in breve
tempo, diventeranno la principale via di collegamento tra i porti marittimi e l‟entroterra. Non stupisce
perciò che lo sviluppo economico e commerciale inglese possa procedere senza interruzioni anche se, a
partire dalla seconda metà del XVIII secolo, esso tende a modificare alcune sue caratteristiche essenziali.
Infatti, mentre i tradizionali interessi marittimo-commerciali inglesi si basavano sull'esportazione di
argento (dall'America all'Asia) e di schiavi (dall'Africa all'America) e sull'importazione di beni di
consumo (zucchero, tabacco, caffè da rivendere poi con larghi profitti sui mercati europei), sorgono ora
nuovi interessi di tipo industriale, basati sull'esportazione di manufatti e sull'importazione di materie
prime necessarie alla produzione (legname, ferro, canapa, pece).
Assume importanza strategica, a tal proposito, lo sviluppo del commercio con le colonie
americane, che consente all'Inghilterra di sottrarsi ad una dipendenza troppo esclusiva dall'area baltica,
nell‟approvvigionamento delle materie prime. Sono perciò sempre più numerosi, in Inghilterra, i gruppi
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Lawson P., The East India Company: a history (pag. 67). L‟unica minaccia è costituita dalla rapidissima ascesa della
Francia quale potenza commerciale, soprattutto in relazione a quattro settori fondamentali: il primo è quello del commercio
del tè con l‟India, anche se per il momento i mercanti francesi, privi di adeguati mezzi e canali di smercio internazionale,
sono costretti a vendere il proprio tè non ai mercati di consumo ma alla Compagnia Inglese delle Indie Orientali, la quale
provvede poi a vendere in Europa il tè di ogni provenienza; il secondo è quello della tratta degli schiavi dai possedimenti
francesi in Africa, in rapida crescita; il terzo è quello dello zucchero, che conosce uno sviluppo eccezionale in Martinica,
Guadalupa, Piccole Antille e nella Luisiana francese; sono infine minacciati i commerci delle colonie inglesi d‟America nel
loro insieme, le quali sono, da ogni lato, circondate da possedimenti francesi e perciò vedono preclusa ogni possibilità di
espansione. In tale rivalità commerciale la Francia sembra avere alcuni punti di vantaggio (una migliore strategia in India,
minori costi degli schiavi in Africa e dello zucchero nelle Antille e l‟alleanza delle tribù indiane nell‟America settentrionale),
ma una condizione di inferiorità decisiva, legata al diverso sistema di governo che caratterizza i due regni: a differenza che in
Inghilterra, lo Stato francese è ancora uno strumento dell‟aristocrazia feudale, i cui interessi continuano ad essere anteposti a
quelli della borghesia mercantile e commerciale. La borghesia francese è perciò lasciata priva di qualsiasi sostegno nella sua
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commerciali favorevoli ad una piena libertà dei traffici con le colonie, per poter disporre di un mercato
americano sempre più ricco e sviluppato, nel quale vendere manufatti e dal quale importare materie
prime. Rimangono ancora dominanti, tuttavia, gli interessi tradizionali, che premono affinché l'economia
americana resti rigidamente vincolata a restrizioni di vario genere imposte dalla madrepatria. Soprattutto
per le grandi compagnie mercantili è essenziale che le colonie non possano svolgere traffici se non
attraverso l'Inghilterra e con navi inglesi, potendo così continuare a vendere i propri prodotti a prezzi
molto elevati, ed al riparo da ogni concorrenza. Il contrasto tra le opposte fazioni si fa sempre più aspro
fino a condurre le colonie all'aperta insubordinazione nel 1773, quando il governo inglese vieta loro
anche il libero commercio interno del tè, riservandone la vendita esclusivamente alla Compagnia delle
Indie Orientali.
Nel 1776, con la dichiarazione d'indipendenza dalla madrepatria, scoppia la vera e propria guerra
tra Inghilterra e colonie americane (che possono inoltre disporre del sostegno di Francia, Olanda e
Spagna, intenzionate a sfruttare tale occasione per abbattere l'egemonia inglese). Pur sconfiggendo sul
mare tutti i suoi nemici europei, e conservando quindi il proprio predominio commerciale e marittimo,
l'Inghilterra soccombe nelle colonie nel 1781. Tale sconfitta permette l'ascesa al potere dei Whigs,
fautori degli interessi industriali e commerciali (e perciò favorevoli ad una piena libertà commerciale
delle ex-colonie), i quali riconoscono nel 1783 l'indipendenza delle colonie ribelli, mantenendo con esse
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delle relazioni commerciali privilegiate. Il commercio marittimo dell‟Inghilterra, confermata ancora una
volta la sua netta superiorità sulle altre nazioni europee, può così ulteriormente consolidarsi, potendo
contare su un continuo ampliamento dei mercati di sbocco. Le tradizionali tecniche di produzione,
ancora di tipo artigianale o preindustriale, rivelano la loro totale inadeguatezza a soddisfare i crescenti
competizione con quella inglese, la quale invece ha dietro di sé il consenso di buona parte della popolazione.
6
Brodey K., History of England (pag. 52). Le esportazioni inglesi verso le ex-colonie sono passate da 12,5
milioni di sterline nel 1782 a quasi 20 milioni di sterline nel 1790.
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volumi di produzione richiesti dal mercato, ponendo le condizioni per una prima introduzione della
macchina a vapore nei processi produttivi, ed innescando così una serie di cambiamenti di rivoluzionaria
portata.
Inizia in Inghilterra una fase di rapidissimo sviluppo industriale, facilitata dalla presenza sul
territorio di numerose banche (che hanno reso più agevole il finanziamento dei primi investimenti
in attività industriali) e di una capillare rete di canali navigabili (che, sviluppati ed ampliati nei decenni
precedenti, agevolano lo smercio dei prodotti industriali su un più ampio mercato interno ed a costi
minori). In una prima fase essa si concentra nel settore cotoniero; poi, quando le prospettive di sviluppo
di tale settore tendono a ridursi, cominciano a svilupparsi in Inghilterra altri settori, tra cui i più
importanti sono quello chimico e quello del ferro. E‟ in questo periodo che nasce e si sviluppa in
Inghilterra la ferrovia: se era già d‟uso comune, nelle miniere di carbone, il trasporto sotterraneo (ed in
seguito anche di superficie) del minerale, per mezzo di carrelli fatti scorrere su rotaie, bisogna aspettare
la diffusione della macchina a vapore per vedere la nascita della prima locomotiva, nel 1805 (la prima
locomotiva funzionante è però quella di Stephenson, costruita nel 1814).
La sua diffusione sarà una componente basilare dello sviluppo industriale inglese, consentendo
inoltre di neutralizzare il monopolio finora esercitato dai proprietari dei canali navigabili. Non è un caso
che una delle prime linee ferroviarie ad essere costruite sia stata quella tra Liverpool e Manchester,
aperta nel 1830: essa viene interamente finanziata dagli importatori di carbone e di cereali del porto di
Liverpool, interessati ad evitare il canale Manchester-Liverpool a causa del suo sovraffollamento e delle
alte tariffe praticate. Il grande successo di tale linea, che in brevissimo tempo ha permesso ai suoi
proprietari di recuperare integralmente il capitale investito, apre un periodo di febbrili costruzioni
ferroviarie: nel giro di pochi anni tutte le più importanti città inglesi possono disporre di un
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collegamento ferroviario.
Nascono in quest‟epoca le prime compagnie ferroviarie, incaricate della costruzione di nuove
linee e della gestione e manutenzione di quelle esistenti, le quali raccolgono i capitali necessari per i
propri investimenti tra i commercianti interessati al trasporto ferroviario delle merci. Non è più quindi il
settore cotoniero a guidare lo sviluppo industriale inglese, ma quello meccanico-siderurgico-carbonifero,
in stretta correlazione con la crescita delle ferrovie. Nel 1842 inizia poi una nuova fase di grande
sviluppo industriale, conseguente ad una serie di fattori interni ed esterni. Internamente si assiste ad una
riduzione di tutti i dazi doganali (fatta approvare da Robert Peel nello stesso 1842, per venire incontro
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alle rivendicazioni degli industriali riuniti nella Lega di Manchester) ed alla nascita di una legge
sull‟orario di lavoro (nel 1850), che prescrive per tutti gli operai le 10 ore lavorative giornaliere e, per la
prima volta, il riposo domenicale obbligatorio: si allarga il consenso attorno al governo liberale di
Robert Peel e successivamente attorno a quello di John Russel (1847-52).
Esternamente si verifica l‟apertura dell‟immenso mercato cinese ai tessuti di cotone inglesi ed
all‟oppio, in cambio soprattutto di tè e seta (nel 1842 si conclude la cosiddetta Guerra dell’oppio, con la
quasi totale eliminazione dei dazi doganali nel commercio con la Cina, la concessione di alcuni porti
cinesi alla diretta amministrazione dei mercanti stranieri, cui viene inoltre garantita l‟extraterritorialità).
Prende inizio, inoltre, l‟esportazione di capitali e di materiale rotabile in Belgio, Francia e Germania,
dove avviene adesso il primo sviluppo industriale e ferroviario. Dal 1851 cominciano ad essere costruite
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Brodey K., History of England (from the Stone Age to the Present). Robert Peel è stato eletto primo ministro nel 1842,
quale rappresentante del governo Tory. Il precedente governo Whig era stato fortemente criticato dalla classe operaia, e
boicottato dagli stessi capitalisti industriali i quali, costituita la cosiddetta Lega di Manchester (1838), rivendicano
l‟attuazione del liberismo economico in Inghilterra (inteso come completa assenza di interventi statali in ambito commerciale
e industriale), ed in particolare l‟abolizione dei dazi doganali sul commercio con l‟estero. Ciò che li caratterizza è la totale
sfiducia nel Parlamento e nei due tradizionali partiti inglesi (Tories e Whigs), che sembrano rappresentare gli interessi dei ceti
proprietari ed aristocratici, ma non di quelli industriali. La scelta di Peel, conosciuto come uomo moderato e aperto e
proveniente egli stesso dal ceto industriale, è sembrata perciò la più adatta a calmare il crescente spirito di rivolta del ceto
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linee ferroviarie in tutto il mondo, con capitali in gran parte inglesi (nella valle del Nilo, in India e in
America), ma anche francesi (per la linea che congiunge la regione del Danubio ai porti sul Mar Nero) e
americani (per la linea che congiunge costa atlantica e pacifica degli Stati Uniti). Nello stesso periodo,
con il primo utilizzo su larga scala del piroscafo (una nave a vapore non più mossa dalla tradizionale
ruota a pale ma da un‟elica, e perciò in grado di navigare anche in mare aperto), si apre l‟epoca della
navigazione a vapore a livello mondiale la quale darà, soprattutto in Inghilterra, un impulso
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rilevantissimo all‟industria cantieristica: già nel 1853 un quarto delle nuove navi inglesi sono navi a
vapore, di cui buona parte sono in ferro e dotate di elica.
L‟effetto combinato della ferrovia e del piroscafo permette di creare un collegamento regolare e
sicuro tra parti del mondo fino ad ora estranee l‟una all‟altra, dando così un contributo senza precedenti
allo sviluppo del commercio mondiale. Le ferrovie, infatti, sono costruite prima di tutto per collegare i
porti, in cui cominciano a fare regolarmente scalo i piroscafi europei, con le piantagioni e le miniere
localizzate in prossimità della costa. I profitti ricavati da tali attività commerciali si traducono spesso in
depositi bancari, poi utilizzati per prestiti alle industrie oppure direttamente in obbligazioni e azioni
delle società industriali, alimentando così in misura sempre maggiore la capacità di finanziamento e
reinvestimento del sistema industriale. La città di Londra si consolida, nella seconda metà del XIX
secolo, quale fulcro di tale circuito finanziario-industriale.
L‟Inghilterra è ormai divenuta l‟officina del mondo, esportando beni manufatturati in quantità
senza precedenti, ed arrivando a produrre i due terzi e la metà della produzione mondiale rispettivamente
industriale.
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Wrigley E. A., La rivoluzione industriale in Inghilterra: continuità, caso e cambiamento (pag. 57). Dal denaro di un gruppo
di industriali capitalisti londinesi nasce sul Tamigi il più grande cantiere industriale del mondo per la produzione, in serie, di
ferro adatto alle costruzioni navali, e cioè il cantiere di Millwall, nel quale lavorano oltre duemila operai e dal quale escono i
primi piroscafi inglesi progettati per attraversare l‟Atlantico.
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di carbone e di ferro.
Paradossalmente, „proprio l‟avvenimento considerato una sorta di epitome del successo
economico inglese sembra costituire in realtà un segnale del rapido approssimarsi dell‟inizio della fine
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del predominio economico britannico‟. Se ancora nel 1870 l‟Inghilterra aveva un largo vantaggio in
quasi tutti i comparti industriali, già nel 1890 il suo primato viene superato nella siderurgia (dagli Stati
Uniti, che hanno conseguito un superiore grado di concentrazione e standardizzazione dei processi
produttivi) e nella chimica (dalla Germania, grazie all‟intervento propulsivo delle banche e della scienza
nell‟industria; nel 1905 sopravanzerà l‟Inghilterra anche nella produzione globale di acciaio, ponendosi
dunque, nel settore siderurgico, al secondo posto dopo gli Stati Uniti).
L‟Inghilterra mantiene comunque il primato nell‟industria cotoniera e carbonifera, oltre che in
quella ferroviaria e cantieristica. E‟ rimasta incontrastata, inoltre, la sua egemonia marittima e
commerciale, mentre la City di Londra conserva il suo ruolo di centro della finanza mondiale.
L‟Inghilterra rimane di fatto l‟unico paese a rifiutare il protezionismo ed a restare fedele ai principi del
libero scambio (forte di un impero coloniale che non sembra ancora dare segni di cedimento e di una
sterlina che, sempre convertibile in oro, rimane l‟unica vera e propria moneta internazionale). In tale
quadro economico mondiale, che vede l‟affermazione di Stati Uniti e Germania quali maggiori potenze
industriali, gran parte degli industriali inglesi ritengono poco conveniente smantellare e rinnovare la
tradizionale struttura produttiva, con costi elevatissimi, per mantenersi al passo con le nazioni
tecnologicamente più avanzate. Essi preferiscono piuttosto instaurare con esse stabili e redditizie
relazioni commerciali, riversando i capitali sottratti al rinnovamento industriale in investimenti a lungo
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Brodey K., History of England ( from the Stone Age to the Present). E‟ la cosiddetta Età vittoriana (il regno della regina
Victoria I dura dal 1837 al 1901), che segna l‟apogeo della potenza economica inglese e del suo capitalismo. La stabilità
interna è notevole, come anche il consenso riconosciuto al partito liberale, che può restare al governo quasi ininterrottamente
durante tutto questo periodo. Le infrastrutture interne (banche, poste, ferrovie, vie di comunicazione fluviali) sono sviluppate
e capillarmente diffuse sul territorio. Il commercio mondiale è quasi interamente sotto il dominio dell‟Inghilterra, la cui flotta
è da sola pari alla metà di tutte le flotte degli altri paesi europei messi assieme.
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termine all‟estero, in modo tale da consolidare il primato inglese nel commercio e nella finanza
internazionale. Non vanno infatti dimenticate le rilevanti peculiarità che caratterizzano l‟eccezionale
espansione del capitalismo industriale mondiale tra il 1896 ed il 1907: questa si basa sulle nuove
possibilità di investimento offerte nel settore cantieristico, nella produzione dell‟acciaio, nella chimica e
soprattutto nei due nuovi settori dell‟estrazione petrolifera e dell‟elettricità; gli enormi investimenti
richiesti da tali nuovi campi di attività economica, e la maggiore durata intercorrente tra impieghi e
remunerazione del capitale, esigono una crescente concentrazione produttiva, sia orizzontale che
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verticale. Si riduce perciò il numero delle imprese operanti nei diversi settori industriali e crescono le
spese di ricerca scientifica e tecnologica, necessarie per una continua innovazione delle tecniche
produttive. Ciò contribuisce a portare fuori mercato le imprese meno dotate di risorse finanziarie. Alla
concentrazione delle industrie si accompagna una concentrazione delle banche, le quali devono
assumere dimensioni sempre maggiori per poter soddisfare le crescenti esigenze finanziarie delle
industrie (delle quali possono del resto influenzare politiche e strategie, grazie alle rilevanti quote di
capitale di cui dispongono).
Tale ciclo di espansione si interrompe nel biennio 1906-7 quando il crollo delle borse europee,
dopo un periodo di forti speculazioni, conduce ad una nuova crisi economica: essa investe soprattutto
l‟industria pesante (cantieristica, siderurgica, meccanica ed estrattiva), ed è legata soprattutto al fatto che
la produzione, dopo 12 anni di sviluppo, ha ormai raggiunto volumi difficilmente smerciabili. Crescenti
risorse vengono investite nello sviluppo degli armamenti navali e terrestri, allo scopo di offrire nuovi
sbocchi di mercato all‟industria pesante, ma anche di utilizzare tale accresciuta potenza militare per
estendere le proprie zone di influenza economica, da cui trarre materie prime più a buon mercato o verso
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Wrigley E.A., La Rivoluzione Industriale in Inghilterra: Continuità, Caso e Cambiamento (pag. 22).
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Per concentrazione orizzontale si intende l‟unione di più imprese operanti nello stesso settore produttivo, dando luogo ai
cosiddetti cartelli. Per concentrazione verticale si intende invece l‟unione di più imprese operanti in fasi successive dello
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cui indirizzare le proprie esportazioni. Si creano così nuove tensioni interne ed internazionali, il cui
inasprimento condurrà allo scoppio della prima guerra mondiale.
Negli anni del dopoguerra l‟espansione industriale rimane l‟obiettivo della gran parte dei paesi
sviluppati ma, più che all‟ampliamento dei mercati di sbocco e degli scambi commerciali, essa continua
a rispondere ad esigenze di affermazione nella politica internazionale oltre che di riduzione, nella
maggior misura possibile, della dipendenza economica dall‟estero. In un tale quadro internazionale,
ampiamente segnato da politiche di stampo protezionista e da una generale riduzione del commercio
mondiale, la stessa Gran Bretagna, finora rimasta fedele ai principi del libero scambio, è costretta a
rivedere parzialmente la sua politica commerciale. Vengono agevolate le importazioni dal proprio
impero a scapito di quelle provenienti da altre aree e presi provvedimenti a tutela dell‟industria
nazionale (Safeguarding of Industries Act, 1921); inoltre, di fronte alla volontà di alcune colonie (India e
Australia, in particolare) di ridurre il grado di dipendenza dalla Gran Bretagna attraverso lo sviluppo di
relazioni commerciali con altri paesi, il governo inglese si sforza di „ridisegnare la rete delle relazioni
economiche interne all‟impero‟, riconoscendo l‟autonomia alle comunità più progredite ed
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economicamente più dinamiche. E‟ in tale contesto che può maturare il concetto di Commonwealth:
esso definisce una nuova forma di rapporto tra madrepatria e colonie in cui l‟autonomia di queste ultime,
soprattutto in campo commerciale, non può più essere messa in discussione.
Va tuttavia rilevato come con la prima guerra mondiale siano stati irrimediabilmente
compromessi i rapporti commerciali e gli equilibri preesistenti; le stesse condizioni di pace hanno poi
introdotto nuovi squilibri, rendendo praticamente impossibile il ritorno alla situazione precedente; le
riparazioni di guerra, l‟inflazione e la svalutazione conseguenti alle crisi finanziarie del „29 e del „36, ed
stesso settore produttivo.
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