Introduzione
Con l'espressione “disciplina pubblica del credito” si è soliti indicare quel
complesso di leggi, regolamenti e norme di origine comunitaria o internazionale
volte a regolare l'attività di quella particolare entità rappresentata dalla banca.
L'attività bancaria è un fenomeno centrale nell'ambito dei moderni sistemi
economici, perché costituisce lo snodo nevralgico del meccanismo di afflusso del
risparmio verso gli investimenti produttivi.
Questo spiega perché, nell'esperienza giuridica di tutti i paesi sviluppati, il
settore sia stato oggetto di una speciale disciplina che ha progressivamente portato
l'impresa bancaria fuori dalla normativa civilistica dettata per l'imprenditore,
passando attraverso varie configurazioni di controllo pubblico dell'attività e del
soggetto che la esercita. Si afferma che nel settore in questione, si sia “misurata,
quasi in via privilegiata, la questione concernente il rapporto tra iniziativa economica
privata e intervento dello stato”.1
Se poi si tiene presente il fatto che tale rapporto è carico di implicazioni non
soltanto politiche ed economiche ma anche ideologiche, risulta chiaro come qualsiasi
ricostruzione che voglia fare il punto sull'attuale disciplina normativa del credito e
del risparmio non può che prendere le mosse dalla sua evoluzione storica,
esaminando “il modo ed i tempi in cui tale disciplina si è venuta formando”.2
Si tratta di una storia che affonda le sue radici in tempi lontani, quantomeno nel
XIV secolo, quando compaiono le prime manifestazioni dell'attività bancaria
moderna. Si tratta di una storia che accomuna tutti i paesi della civiltà occidentale,
perché esigenze ed interessi sono simili, e trovano risposte in istituti e tutele
altrettanto simili, in una sorta di jus comune o lex mercatoria creata dai mercanti per
1FAZIO A., CAPRIGLIONE F., Governo del credito ed analisi economica del diritto, Banca borsa e
titoli di credito, 1993, I, pp.311 ss.
2NIGRO M., Profili pubblicistici del credito, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 1972.
5
i loro propositi commerciali, i quali, nel perseguimento dei loro interessi, si sono
sempre spinti oltre il loro quadro di riferimento geo-politico d'origine.
In questo lavoro mi propongo di guardare all'esperienza giuridica e legislativa
italiana in merito alla materia creditizia, cercando i punti di contatto con le diverse
esperienze statali o sovranazionali quando queste sono venute ad incrociarsi.
Come non di rado avviene nell'amministrazione italiana, l'insieme delle
discipline di settore del quale ci si interessa, non è frutto di un disegno organizzativo
unitario o di più disegni coordinati, ma è una combinazione piuttosto disorganica di
elementi che si sono aggregati in momenti successivi, e che appaiono da almeno tre
decadi, ininterrottamente, in una fase di transizione.
La storia della disciplina del credito nel nostro paese si può articolare in tre
fasi: una prima che va dall'unità d'Italia alla grande crisi del 1929, una seconda che
va dalla formazione del complesso normativo incardinato sulla Legge Bancaria del
1936 all'intervento della disciplina comunitaria, ed una terza che comincia con la
formazione del “nuovo ordinamento del credito” negli anni ottanta del XX secolo ed
arriva ad oggi. A tali fasi corrispondono, prima una qualificazione dell'attività
bancaria come comune attività imprenditoriale, poi una qualifica di specialità
dell'attività e della sua disciplina, poi infine una attenuazione del grado di specialità
attraverso la reintroduzione del carattere d'impresa, con l'avvento dei valori della
concorrenza e dell'orientamento alla produzione di reddito, caratteri dei quali non
possiamo non rimandare ad un momento successivo l'approfondimento.
La disciplina pubblica del credito ha quindi conosciuto una grande evoluzione,
ancora in corso, che trova la sua giustificazione nel mutare dei sistemi economici,
monetari e finanziari, delle strutture politiche e amministrative ed infine all'evolversi
dei rapporti internazionali.
Lo stato è in crisi, da almeno un secolo, e solo su di un piano internazionale
può cercare risposte congiunte e condivise alla sua difficoltà di incidere sul piano
economico di un mercato globale.3 La supervisione sull'attività bancaria va in crisi
3
CASSESE S., La crisi dello stato, Bari, Laterza, 2002. ROMANO S., Lo stato moderno e la sua
crisi (1910), riedito da Giuffrè, Milano, 1969.
6
con lo stato, perché se tale supervisione continua riferirsi a quei confini prettamente
geografici, si trova incapace di svolgere un'effettiva attività di controllo e vigilanza
su soggetti che operano su mercati più ampi, comunitari e internazionali. La risposta
a questa esigenza è stata fornita dalla riforma del sistema di vigilanza comunitario,
con l'istituzione di organismi all'uopo preposti, i quali si configurano come agenzie,
ma che vanno a mutare i caratteri conosciuti fino ad oggi di questa categoria
istituzionale.
E' in corso il dibattito, ad ogni livello, in merito ai modi ed ai tempi di riforma
della regolazione dell'attività bancaria, e se per le Credit Rating Agencies l'iter di
riforma si è appena concluso a livello comunitario, il dibattito è ancora aperto per
l'eventuale determinazione di nuovi limiti dimensionali per l'intermediario bancario e
per un ritorno al divieto per ogni soggetto che svolga contemporaneamente attività di
raccolta del risparmio ed erogazione del credito di compiere operazioni di trading
per conto proprio.
Mi propongo poi di analizzare il modo in cui lo stato risponde alle emergenze,
attraverso deroghe alle regole che si è dato, perché la “Costituzione non è un patto
suicida”4, con particolare riferimento al sistema bancario, perché di fronte a questa
emergenza lo stato si è storicamente sentito chiamato in causa dall'indeterminabile
numero di interessi e situazioni soggettive coinvolte.
Le crisi dell'intermediario bancario sono eventi che hanno accompagnato in
ogni epoca l'attività di questa particolare categoria economica che fa della gestione
del rischio parte del suo mestiere, avendo essa a disposizione in ogni momento solo
una frazione delle somme di cui è debitrice.
A fronte dell'eventualità del fallimento di primarie istituzioni finanziarie
internazionali, gli stati hanno (quasi) sempre dovuto approntare risposte. E tali
risposte, nella diversità dei loro contenuti legata alla loro origine prettamente statale,
si trovano accomunate nel fine del non abbandonare al proprio destino un soggetto
rilevante per interessi collettivi e generali.
4POSNER R., Not a suicide pact: the Constitution in a time of national emergency, New York, Oxford
University Press, 2006
7
Questa analisi vuole passare attraverso la considerazione degli eventi della
recente crisi bancaria del 2008, frutto di un'insieme di presupposti che non trovava
precedenti storici. Quella del 2008 è stata la prima crisi finanziaria globale, perché in
essa si è manifestata tutta l'interconnessione tra le economie dei paesi industrializzati
ed in via di sviluppo, e si è appalesato in modo inequivocabile il limite degli stati
nazionali, la loro incapacità di prevenire o di porre rimedio ad eventi che maturano le
loro cause e si sviluppano anche al di fuori dei loro confini.
Per concludere, nella crisi, lo stato, nonostante la sua debolezza, si è dimostrato
l'unico soggetto capace di dare una risposta all'emergenza del sistema bancario,
perché ancora oggi lo stato è l'unico soggetto che dispone della legittimazione
democratica necessaria a predisporre quella risposta, in primis per la capacità di
prelievo fiscale che tale legittimazione comporta.
La mia tesi è centrata sul ruolo e sulla natura dello stato, attraverso l'analisi del
modo in cui questo affronta l'emergenza, entrando nel delicato delicato equilibrio tra
la natura privata e d'impresa della banca e la necessità di tutela dell'interesse
collettivo rappresentato dal corretto funzionamento dell'intermediario creditizio,
tanto per il fine della tutela del risparmio, quanto per garantire un adeguato flusso di
finanziamento all'economia.
8
Capitolo I
L’evoluzione storica dell’intervento pubblico sull’attività bancaria
§ 1 – La rilevanza giuridica del credito
Il ruolo dell’esercizio del credito è emerso con ritardo nella ricerca giuridica ed
economica, nonostante il suo ruolo determinante nello sviluppo e nella
trasformazione della realtà economica e sociale.5 E se oggi abbiamo una disciplina
pubblica del credito che si compone di divieti, limitazioni e obblighi, non possiamo
affermare che sia sempre stato così: la disciplina è emersa gradualmente e con
diverse intensità a seconda della fase storica e delle esigenze contingenti.
Per decenni, infatti, ci si è limitati a guardare all’esercizio del credito come ad
una forma finanziaria di trasferimento della ricchezza, (impostazione rinvenibile con
diverse sfumature nel pensiero della Scuola Economica Classica), ignorando, o
quantomeno trascurando le forti interconnessioni e i legami che il sistema creditizio
sviluppa con le altre variabili del sistema economico. Una prima consapevolezza di
questi legami si sviluppa gradualmente nell’elaborazione marxista 6 e nella teoria
economica Neoclassica dove si guarda al rapporto esistente tra attività produttiva e
creditizia come elemento centrale in un sistema capitalistico. Piena maturità nella
considerazione di questa relazione arriva infine con la teoria generale Keynesiana
dove si concepisce che “i meccanismi di determinazione del reddito, del saggio
d’interesse e dell’accumulazione del capitale” possono essere influenzati dall’azione
della finanza e del credito.7
Anche gli studi storici hanno contribuito con forza a mettere in evidenza le
relazioni tra gli intermediari creditori e le realtà in cui operano, attraverso l’analisi
5
VELLA F., “L’esercizio del credito”, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 1990.
6
MARX C., La moneta e il credito. Raccolta di scritti, a cura di Brunhoff S. e EwenczykMilano,
Feltrinelli, 1981, p. 40 ss.
7
KEYNES J.M., “Trattato della moneta”, 1930, rist., Milano, Feltrinelli,1979.
9
della crescita e della trasformazione della vita economica nelle diverse realtà
nazionali, talvolta risalendo nella ricerca ben oltre l’età industriale.8
E se anche si è giunti ad importanti risultati nella definizione dei connotati di
fondo dell’esercizio del credito sul piano macroeconomico, non ci si è concentrati
sulle caratteristiche essenziali ed intrinseche del fenomeno e non si è costruita una
nozione unitaria di esercizio del credito. Problemi in proposito non si pongono in una
realtà statica, ma nelle fasi di mutamento strutturale ed istituzionale del sistema, fasi
cicliche di crisi o di sviluppo tumultuoso dell’attività, talvolta legate all’inevitabile
confrontarsi del mondo economico e bancario con la tecnologia e con i mutati
rapporti economico-sociali, l’esigenza di individuare con precisione il contenuto
dell’esercizio del credito si pone con forza.9
Per una questione metodologica dobbiamo conoscere il fenomeno con cui ci
misuriamo, per poi possiamo pensare di utilizzarlo per i nostri scopi o mutarlo.
Il credito, inteso come rovescio della medaglia del debito, va ritenuto antico
quanto l’uomo, di conseguenza lo Stato moderno trova largamente affermati il
principio del credito, gli istituti che si connettono al credito, e per cui mezzo il
credito si esplica; consapevolezza questa che del resto appare maturata già all’inizio
del ventesimo secolo nel pensiero di Majorana: “Presso tutti i popoli, dai più ai meno
civili, fra l’uno e l’altro individuo, dell’una o dell’altra classe, fra gli stessi membri
della famiglia, fra le diverse famiglie e classi, fra nazionali e stranieri, fra popolo e
stato, fra popoli, fra stati, vi fu e vi sarà sempre, in più o meno larga misura, una
somma di cose utili e permutabili, attribuita, ceduta, contro restituzione, pagamento,
8
NICCOLI A.. “Credito e sviluppo economico”, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 1982, p.131.
DELL'AMORE G., “Risparmio e credito”, Torino, UTET, 1996, p.86 ss, dove si analizza il contributo
del credito alla valorizzazione del tessuto sociale. AA.VV. “L’alba della banca”, Bari, Edizioni
Dedalo,1982, p.33 dove viene ricostruita la posizione della “satanica” figura dell’usuraio dal XIII
secolo, costui è alter ego dell’imprenditore ma “ladro” del tempo, bene divino ma allo stesso tempo
comune, contemporaneamente “fur”, cioè ladro di diritto comune e”latro” rapinatore, bandito; un
“mostro” al quale tuttavia la legge secolare non riserva la pena dell’impiccagione, perché gli usurai
non turbano l’ordine pubblico e talvolta tornano persino utili alla gente.
9
Relazione del governatore della Banca d’Italia per il 1985, tenuta a Roma il 31 Maggio 1986, p.325.
10
promessi, delegati, a termine più o meno lungo, con o senza (nella massima parte dei
casi con) interessi”.10
Non rientra nelle possibilità di indagine di questo studio ricostruire come e
quando è comparso il credito nella società umana, e sicuramente, anche i versamenti,
eseguiti a Roma da Cicerone affinché banchieri di Atene pagassero quel quantum a
suo figlio, non sono altro che casi “recenti” di esercizio di attività “bancarie”.
E siccome chi prende denaro in prestito, generalmente ne ricava un prodotto, e
chi lo presta percepisce una parte di questo prodotto sotto forma d’interesse, allora
tanto mutuatario quanto mutuante hanno un utile. L’indefinita ripetizione di queste
operazioni accresce poi indefinitamente il numero di mutanti e mutuatari, e quindi
delle persone che ne ricavano un utile. Dal momento che l’utile di molti è l’utile
generale, emerge un pubblico interesse,11 una materia degna dell’attenzione del
diritto, e probabilmente, secondo diverse misure, del legislatore.
L’attività bancaria moderna è il fenomeno che a noi più interessa: questa nasce
da una “brillante”, e mai termine fu più appropriato, intuizione degli orafi, che nel
XIV secolo, si ritiene a Genova12 sviluppano un redditizio business collaterale
tenendo in custodia le monete di altre persone, infatti, le loro casseforti costituiscono
per i ricchi una garanzia più forte rispetto ad un forziere nascosto sotto il letto. Ma
questo business presto diventa ancora più redditizio quando gli orafi prendono parte
delle monete che custodiscono per concederle in prestito a interessi.13 Ecco quindi
ricorrere se pure in forma primordiale le caratteristiche essenziali del rapporto di
credito: una raccolta presso il pubblico e un impiego delle risorse nella forma del
finanziamento.
10
MAJORANA G., “Il credito e le banche”, Milano, Società Libraria Editrice, 1907, p.3.
11
MAJORANA G., “Il credito e le banche”, op. cit. p. 6.
12FELLONI G., LAURA G., Genova e la storia della finanza: una serie di primati?scaricabile dal sito
web giuseppefelloni.it, il Banco di San Giorgio diventa presto così potente da essere rappresentato dal
Machiavelli come uno “stato nello stato”. Tuttavia va rilevato come dal Milione di Marco Polo appare
che in Cina tali attività fossero radicate da diversi secoli.
13
KRUGMAN P., “Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008”, Milano, Garzanti,
2009, p.273.
11
Il supporto del sistema creditizio, diventa centrale e imprescindibile, più che
mai, nello sviluppo economico, quando i paesi occidentali si incamminano nella
grande avventura dell’era industriale, ma di questo punto dobbiamo necessariamente
rinviare l’analisi ai prossimi paragrafi. 14
§ 2 – Le esigenze di regolamentazione in Italia
“Nel periodo corrispondente all’incirca alla formazione dello stato italiano, le
sole banche che godono di prestigio nel nostro paese sono gli istituti di emissione. Il
nuovo regno, infatti, non eredita dagli antichi stati un’organizzazione bancaria
rispondente alle esigenze della vita economica e finanziaria di una nazione che
acquista allora la sua indipendenza, ma che conta già 25 milioni di abitanti”,15 ma
forse di scandaloso in questo non c’è nulla se si considera che l’Italia nei fatti era un
paese sottosviluppato, termine questo da usare con cautela ma quanto mai vero se si
confronta l’apparato produttivo nazionale con quello degli altri paesi europei; in
fondo ognuno ha le banche che si merita.
Nessun altro paese presenta tanta diversità e varietà di banche, talvolta “banche
di circolazione” cioè variamente abilitate all’emissione cartacea di moneta in regime
di convertibilità piena con valuta metallica; è proprio questo collegamento con il
sistema valutario a creare le maggiori attenzioni. Il nostro è un sistema ispirato alla
pluralità degli istituti di emissione. 16
Con l’unificazione nazionale il nuovo stato si trova costretto ad affrontare
subito nel settore economico e finanziario, non lievi difficoltà : nel 1863 la crisi del
mercato monetario europeo genera sfiducia nei nostri biglietti di banca, che vengono
presentati in larga misura per il cambio agli istituti emittenti. E nel 1866 il governo,
14
AA. VV. op. cit. pg 309: qui H. A. Miskimin ricostruisce l’impatto del credito sulle attività
industriali nell’Inghilterra del XVI secolo, Majorana, op. cit. p.17 per il supporto del sistema creditizio
italiano alle iniziative industriali del nord italiano.
15
LANZARONE G., “Il sistema bancario italiano”, Giulio Einaudi Editore, 1948, p.3.
16
BELLI F., “Legislazione bancaria italiana (1861-2003)”, Torino, G. Giappichelli Editore, 2004
p.58
12
ottenuti i pieni poteri per la guerra contro l’Austria instaura il “corso forzoso”17,
esteso a tutte le altre banche di emissione, le quali diventano solo tenute, su richiesta,
a cambiare i loro biglietti con altri della Banca Nazionale.18 Corso forzoso che sarà
abolito nel 1883 per una sola breve parentesi di tempo visto l’imponente esodo d’oro
che ne renderà poi necessaria la reintroduzione.
La pluralità degli istituti di emissione sopravvive anche al “consorziamento”
del 1874 che individua e disciplina gli istituti abilitati all’emissione, così come al
riordino del 1893 che sfocia nella costituzione della Banca d’Italia e dimezza il
numero degli enti abilitati.
Il periodo post-unitario si caratterizza “in termini negativi” per la mancanza di
una disciplina speciale per l’attività bancaria. Quella bancaria è un’attività di “diritto
comune” ( nel senso di equiparata a quella di ogni altra attività imprenditoriale), e in
quanto tale sottoposta alla disciplina del codice di commercio del 1882.19
Le uniche norme “generali” del Codice di commercio destinate all’attività
bancaria sono:
• l’ art. 3 n.11 che si limita a ricomprendere le operazioni di banca tra gli
“atti di commercio” e quindi sostanzialmente di attività imprenditoriale senza
definire in cosa consistesse il contenuto dell’attività bancaria;
• l’art.177 che impone alle “società commerciali che hanno per principale
oggetto l’esercizio del credito”, l’obbligo di “depositare presso il tribunale del
commercio, nei primi otto giorni di ogni mese la loro situazione contabile riferibile al
mese precedente”.20
17Cioè si sospende l'obbligo delle banche di emissione di convertire a vista la propria moneta in oro.
18
LANZARONE G., “Il sistema bancario italiano”, op.cit. p.6
19
COSTI R., “L’ordinamento bancario”, Bologna, Il Mulino, 1994, p.15. N.d.r. forse è più corretto
dire che l’attività bancaria è di diritto comune perché sottoposta al codice di commercio, piuttosto che
sottoposta al codice di commercio perché ritenuta di diritto comune. Ma sarebbe come discernere del
primato dell’uovo o della gallina, forse quindi basta dire che è una comunissima attività
imprenditoriale.
20VELLA F., op.cit. p.11. Articolo 117 il quale si riteneva tuttavia non applicabile agli imprenditori
individuali in modo tale che sfuggiva all’area della pubblicizzazione una grossa fetta delle imprese
bancarie.
13